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Autore: May Jeevas    04/10/2023    1 recensioni
Paesi Baltici, XIII secolo.
Dopo la sconfitta contro un ordine che ha invaso le loro terre e che ha preso la vita dei suoi genitori, il giovane Toris Laurinaitis ha un solo obiettivo: difendere la sua gente da qualunque invasore, che siano i Cavalieri Portaspada o che siano i Vichinghi. E' proprio da una delle tribù scanidinave che un giorno salva Feliks, un giovane un po' stravagante con cui Toris si ritroverà a stabire un rapporto forte e solido. Insieme lotteranno per la libertà dei Curi. La storia darà loro ragione, o dovranno piegarsi agli invasori? [LietPol]
[Questa storia partecipa al Writober di FanWriter.it, lista pumpSea]
Genere: Guerra, Malinconico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Estonia/Eduard von Bock, Lituania/Toris Lorinaitis, Nordici, Polonia/Feliks Łukasiewicz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2: Battaglia e incontro.

Coste della Curlonia, attuale Lettonia, 1217
Toris digrignò i denti, rabbia e paura montavano dentro di lui mentre correva sui sentieri del villaggio, andando a recuperare la sua spada e il suo arco.
“Come hanno fatto ad avvicinarsi così tanto quei maledetti?!” urlò rabbioso arrivando vicino a Eduard, anche lui con una ruga preoccupata e già pronto a combattere. La nave nemica si avvicinava correndo sul mare, si sentivano già le urla dei vichinghi pronti all’attacco.
“Non abbiamo navi sul Baltico al momenti, Toris. Molti dei nostri sono ancora nell’entroterra”
Il ragazzo incurvò la bocca mordendosi il labbro inferiore alle parole dell’amico.
Entroterra. Perchè non dici direttamente Riga? Pensò, la ferita ancora aperta dopo tutti quegli anni. Con movimenti nervosi raccolse i capelli lunghi fino alla spalla in una coda affinché non gli dessero fastidio durante l’attacco. Non era la prima volta che lui ed Eduard erano responsabili del loro villaggio. Lasciò da parte i pensieri legati a Riga e si concentrò sulla difesa che doveva essere organizzata.
Tese l’arco, testando l’elasticità della corda. Automaticamente mirò verso le navi che si scorgevano al largo, senza freccia. Il braccio si tese il più possibile, e Toris annuì soddisfatto. Voltò lo sguardo verso sud-est, dopo la collina che provvedeva il villaggio di cacciagione.
“Eduard.” annunciò, senza distogliere lo sguardo. “raccogli i migliori arcieri disponibili e falli venire con me. Tu tieni gli spadaccini più capaci e difendete il villaggio. Noi vi raggiungeremo il prima possibile.”
Eduard seguì lo sguardo di Toris e annuì. Mise una mano sulla spalla del più giovane e strinse la presa con affetto e determinazione prima di correre a eseguire come gli era stato detto.

Eduard finì un nemico che era rimasto mortalmente ferito dalle ustioni. Il piano di Toris aveva funzionato e aveva di sicuro fatto risparmiare tempo e vite umane. Mentre lui e gli spadaccini facevano da esca dietro la spiaggia, Toris era andato e recuperare due navi con i migliori arcieri, che arrivando alle spalle dei nemici avevano dato fuoco alle loro imbarcazioni, imprigionandoli in una gabbia fatta di fuoco e spade, impedendo loro qualsiasi ritirata
“Raccogliamo i corpi nemici, prendo una barca e li getto in mare.” Toris lo disse monotono, il volto macchiato di sangue e il braccio che sanguinava.
“Possiamo aspettare domani, adesso riposiamo e occupiamoci dei nostri.” lo disse con gentilezza, ma il tono non ammetteva repliche. Toris gonfiò un poco le guance prima di sbuffare, un tic che gli era rimasto da che era bambino.
“Va bene. Ma la ferita me la curo io.” borbottò, allontanandosi.

Quella notte, il ragazzo non riusciva a dormire. Si rigirava nel giaciglio, l’adrenalina della battaglia che ancora non calava. Mosse il braccio bendato (alla fine Eduard lo aveva dovuto aiutare nella medicazione), si alzò in piedi e accese una torcia, uscendo al freddo della notte.
Adorava l’aria pungente e salmastra che graffiava gelida la pelle. Sapeva di casa, e gli ricordava le notti passate con suo padre sotto il cielo stellato, quando il genitore lo istruiva sulle stelle e come orientarsi di notte in barca. Sorrise a quel ricordo, malinconico. Volse lo sguardo verso la luna piena che illuminava il cielo specchiandosi sul mare. Toris continuò a camminare fino alla spiaggia, sdraiandosi sulla sabbia e incastrando bene la torcia in modo che non si spegnesse. Il cuore gli batteva ancora forte. Alla fine avevano vinto e i pochi nemici sopravvissuti erano scappati su una barchetta di fortuna che lui non era riuscito a raggiungere con le frecce infuocate. Poco male, avrebbero raccontato che i Curi non si sarebbero lasciati sconfiggere facilmente, e che dalle loro terre era meglio stare alla larga.
Un gemito lo fece sedere di scatto. Si guardò intorno, cercando la fonte del rumore recuperando la torcia Poteva essere un lupo o un’animale selvaggio nei dintorni. Fece un paio di passi facendosi luce per vedere meglio. Identificò una sagoma priva di sensi sul bagnasciuga poco distante da lui. Svelto prese il pugnale che portava sempre con sé: magari era un animale ferito che poteva sfamare il villaggio, o parte di esso, per qualche giorno.
Man mano che si avvicinava, però, si rese conto che sia i gemiti che la sagoma appartenevano a un essere umano. Le fiamme della torcia illuminarono un volto delicato sporco di sabbia e coperto di graffi. Le labbra erano blu e i denti battevano per il freddo. I capelli biondi erano poco più corti dei suoi con un tagli irregolare ed erano zuppi, esattamente come gli abiti…
Gli abiti.
Toris scattò sull’attenti e strinse di più le dita sul pugnale.
Il ragazzo indossava vestiti vichinghi.
D’istinto portò l’arma al collo bianco del ragazzo, pronto a finirlo. In quel posto non c’era pietà per i nemici.
All’improvviso il volto del ragazzo si mosse, causandosi un taglio superficiale dove lama di Toris premeva, le palpebre si strinsero e le labbra si mossero in un sussurro: “Mokosh”.
Il ragazzo sussultò dalla sorpresa. Tolse la lama dal collo del ragazzino e lo guardò, gli occhi azzurri che squadravano quel corpicino con curiosità e diffidenza.
Toris non capì mai bene la motivazione che lo portò a caricarsi quel ragazzo sulle spalle e a dirigersi verso casa sua. Sentiva il fiato spezzato e i denti che battevano a un respiro dalla sua guancia mentre tornava verso il villaggio, e non capiva perché stesse facendo una cosa del genere per uno sconosciuto, anzi, probabilmente un nemico.
Non lo capì mai, ma negli anni seguenti ringraziò gli Dei per averlo guidato quella notte.
 


Angolino di May
Come dite? Sono in ritardo? guarda malissimo James eh, lo so, chiedo venia. Corro a scrivere il prompt di oggi così magari prima di mezzanotte lo finisco e forse riesco a pubblicarlo. Aiuto.
Mokosh vuol dire “madre” in slavo antico. In realtà mi sarebbe servito in curese, o in polacco antico al massimo, ma chissà perché non sono riuscita a trovare nessuna delle due traduzioni. E allora la lingua che più si avvicinava geograficamente era lo slavo antico. Se non è chiaro dalla scena, Feliks parla la lingua di Toris, facendo capire al nostro protagonista che non è un nemico come aveva pensato in un primo momento.
Al solito, critiche e pomodori marci sono ben accetti.
Mata ne!

   
 
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