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Autore: May Jeevas    06/10/2023    1 recensioni
Paesi Baltici, XIII secolo.
Dopo la sconfitta contro un ordine che ha invaso le loro terre e che ha preso la vita dei suoi genitori, il giovane Toris Laurinaitis ha un solo obiettivo: difendere la sua gente da qualunque invasore, che siano i Cavalieri Portaspada o che siano i Vichinghi. E' proprio da una delle tribù scanidinave che un giorno salva Feliks, un giovane un po' stravagante con cui Toris si ritroverà a stabire un rapporto forte e solido. Insieme lotteranno per la libertà dei Curi. La storia darà loro ragione, o dovranno piegarsi agli invasori? [LietPol]
[Questa storia partecipa al Writober di FanWriter.it, lista pumpSea]
Genere: Guerra, Malinconico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Estonia/Eduard von Bock, Lituania/Toris Lorinaitis, Nordici, Polonia/Feliks Łukasiewicz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 5: Conoscersi.

A Toris non sfuggì l’occhiata di Eduard quando si allontanò dal fuoco prima di tutti e prese un pezzo di carne e delle patate cotte in più. Uno sguardo eloquente a cui il ragazzo sfuggì. Non aveva voglia di pensarci, non in quel momento. Si allontanò velocemente, cercando di npn dare nell’occhio.
Aprì la porta di casa, posò il il recipiente con il cibo sul mobiletto e accese una candela.
Gli occhi smeraldini di Feliks lo accolsero.
“Ciao, Tolys!” lo salutò allegro.
Toris cercò di ricambiare il sorriso. Nei due giorni precedenti Feliks si era dimostrato un ragazzino sveglio e soprattutto una curiosità verso le loro usanze che aveva stupito il ragazzo più grande. Aveva già memorizzato delle parole e comunicare con lui a gesti ed espressione riusciva particolarmente facile. A parte quella strana pronuncia che aveva quando pronunciava il suo nome. Era riuscito a comunicare che non era un vichingo e che era stato preso prigioniero, non aveva nemmeno partecipato all’attacco, il che aveva un po’ sollevato il morale a Toris, facendolo sentire meno in colpa verso la sua gente: non aveva portato un potenziale nemico tra loro. Però non era riuscito ancora a spiegare da dove venisse. Toris cercò di trattenere il sospiro, mentre osservava lo straniero umettarsi le labbra alla vista del cibo. Ancora non aveva trovato una soluzione da raccontare al resto del villaggio, quindi non aveva ancora potuto fare uscire Feliks da casa sua, e questo non poteva non farlo sentire in colpa. Sembrava di avere un prigioniero più che un ospite, e quella sensazione gli dava prurito sotto la pelle. Odiava chi prendeva prigionieri, non era un’usanza che i Curi condividevano. Il nemico meritava una morte immediata. Si sedette vicino a Feliks, che aveva cominciato a piluccare il cibo.
Mi spiace che tu non possa uscire. Toris lo gesticolò guardandolo triste. La reazione fu una reazione rassegnata accompagnata da un sorriso mite.
Non preoccuparti. Non voglio ancora morire. Feliks lo gesticolò quasi scherzando, ma questo non fece sentire l’altro ragazzo meno in colpa.

Il senso di colpa fu spazzato via in un secondo quella notte, quando si svegliò senza un motivo preciso e si girò assonato sul giaciglio improvvisato e vide il suo letto vuoto. Imprecò, scattando in piedi a prendere faretra e arco prima di correre fuori nel gelo della notte.
Lo ammazzo! Questa volta lo ammazzo davvero! Pensò, furioso, mentre correva tra le vie del villaggio cercando quel caschetto di capelli biondi. Ma non ebbe successo. Toris ebbe appena il tempo di rincuorarsi che almeno Feliks non era stato così idiota da rischiare di essere visto da altre persone, abbassò l’arco e se lo caricò sulla schiena. Pensò a dove poteva cercarlo. Magari era scappato e stava cercando di tornare nella sua terra. Forse sarebbe stata la soluzione migliore per tutti. Colto da un presentimento improvviso, Toris si diresse verso l’insenatura dove tenevano le barche.

Fu sollevato nel vedere che le barche c’erano tutte e che il suo ospite non era diventato un ladro. Lo fu ancora di più quando, sugli scogli all’estremità della spiaggetta, vide una figura minuta cui i capelli chiari riflettevano la luce della luna.
Toris si avvicinò. Feliks aveva preso dei suoi vestiti pesanti, indossati velocemente. Gli cadevano larghi e sia maniche che le gambe delle brache erano lunghe. I calzari che aveva indossato erano pieni di salsedine bianca e secca, segno che non era uscito da poco. Almeno non sembrava avesse intenzione di scappare. Il ragazzino si accorse di lui quando era ormai a pochi passi, e subito assunse l’espressione tipica di un bambino colto con le mani nel sacco. Cercò di sorridere, come per scusarsi, ma Toris non perse il cipiglio corrucciato. Lo raggiunse e si fermò di fianco a lui.
Perché? L’espressione era a metà tra il sollievo e la rabbia, oltre alla preoccupazione.
Feliks si voltò verso di lui, mostrandogli il foglio che teneva in mano. Toris lo riconobbe subito, era una mappa disegnata malissimo da lui e da Eduard quando erano ancora dei bambini, dopo essere tornati dalla loro prima uscita per mare con i loro genitori. Avevano poi chiesto a tutti nel villaggio fin dove si erano spinti con i loro viaggi, e in base alle testimonianze avevano disegnato una mappa del Mar Baltico e poco dell’entroterra. Feliks doveva averla trovata nelle ore passate solo a casa. Toris lo guardò, incrociando gli occhi verdi che stava imparando piano piano a decifrare. Erano pieni di malinconia. Sospirò, la rabbia scemò via come uno stormo di insetti passeggero.
Continuò a guardare Feliks, fece fare all’indice in giro sulla mappa e poi lo indicò, sperando che il significato fosse chiaro.
Da dove vieni?
Il ragazzino capì, perché gli occhi schizzarono sulla mappa veloci, percorrendo le coste disegnate, il dito si allungò, si fermò esattamente a metà strada tra la Curlandia e la Danimarca, per poi segnare un punto sotto al margine della mappa, facendo capire che veniva da un posto non vicino al mare.
Toris sentì ghiacciarsi il sangue nelle vene, il sollievo provato nello scoprire che non fosse un vichingo cancellato in un secondo.
Perché Feliks aveva indicato la terra da dove venivano i Cavalieri Portaspada.
Un odio mai sopito travolse il ragazzo, il volto si trasformò in una maschera di rabbia e prima di realizzare cosa stesse facendo, si ritrovò in piedi, armato del suo arco, la corda tirata e la freccia pronta a colpire.
 


Angolino di May
Giuro che questa storia ha un capo e una coda, anche se sto facendo verso nord, sud, est e ovest. Un po’ ci sono i prompt, un po’ questi due personaggi si devono far dirigere, ma sembra non ne abbiano voglia.
Il finale di questo capitolo non era previsto. Però bene così, spero, perché mi dà l’occasione di introdurre (anche se di poco) il capitolo di domani (no, non l’ho ancora pronto, pregate per me e per James, per favore.
Il prompt di oggi era Salsedine.
Al solito, critiche e pomodori marci sono ben accetti.
Mata ne!

   
 
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