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Autore: Yrina    11/10/2023    0 recensioni
Nel tratto di strada tra un isolato paesino dell'entroterra e la città nella baia, Fernando e Amaranta si trovano attratti l'uno dall'altra in una torrida giornata tropicale.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Mentre la strada si srotolava deserta e infuocata davanti a loro, nella vecchia auto rumorosa la tensione cresceva. Sul lato del passeggero Amaranta si muoveva a disagio nella vana speranza di rimpicciolirsi fino a sparire. Alternava ora un’espressione distratta dal paesaggio, ora una manifestamente indifferente alla presenza di lui. Lo faceva perché il silenzio la imbarazzava, ma non voleva neanche essere lei a romperlo per prima, poiché era certa che la tensione l’avrebbe portata a dire qualche idiozia a cui lui avrebbe riso o, peggio, risposto educatamente stabilendo ufficialmente una certa distanza.
In realtà Amaranta era anche spaventata dall’uomo alla guida, Fernando. Aveva un grosso coltello, come quello dei contadini dell’isola, in un fodero di cuoio nero che gli pendeva dalla cintura e quando erano saliti in macchina l’aveva visto far scivolare sotto il sedile una pistola. Però non era questo a farle paura, erano i suoi occhi a inquietarla, vigili e rapidi, i movimenti, fluidi e misurati, il modo in cui spingeva il piede sull’acceleratore e tamburellava con le dita sulla coscia senza dire niente, con l’espressione di pacifica insolenza. Non si era girata un attimo verso di lui perché non era sicura di essere credibile nella sua indifferenza: se l’avesse guardato, era certa, sarebbe regredita a quella volta a diciassette anni in cui aveva improvvisato un litigio a senso unico per nascondere a un ragazzo che le piaceva. Che pena, pensò e tenne gli occhi fissi sul crinale della morbida collina bruciata dal sole impietoso. Lui lo sa cosa sto pensando, si disse assillandosi senza motivo, però se non mi rendo ridicola che potrà mai dire? Lo so che ti piaccio? E io negherò. Più o meno il corso dei suoi pensieri era questo, lui che la umiliava con frasi stupide e lei che arrossiva in silenzio con la lingua attaccata al palato, secca come una spugna asciutta e un senso di ridicolo che la gelava nonostante il caldo innaturale. Non si accorse che Fernando aveva rallentato e ora stava fermando la macchina rumorosa nel mezzo della strada completamente vuota, ma nonostante volesse chiedere spiegazioni non riusciva a parlare; parlò lui: “Dietro i banani c’è una fontanella e l’acqua è potabile, possiamo bere e rinfrescarci.” Era tranquillo, aveva parlato normalmente e Amaranta si sentì immotivatamente infastidita, perché in fondo era quello che voleva, ma non lo voleva davvero. Si figurò la scena: lei coi sandali che scendeva dalla macchina, iniziava a camminare e inciampava cadendo bocconi nella terra e nell’erba secca, lui davanti con le sue spalle larghe e il passo marziale si sarebbe girato e lei sarebbe morta di vergogna all’istante. Fu lui però a non accorgersi che aveva un anfibio slacciato, calpestò il suo stesso laccio e si sbilanciò in avanti, imprecando con malagrazia e lei rise forse più del necessario per causa della tensione e Fernando la sfidò “Ride bene chi ride ultimo.” Che originalità, si disse Amaranta. “Attento a quello” e gli indicò il machete alla cintura.
“Sai nuotare?” Domandò Fernando in modo casuale e senza una logica apparente. “Certo, abbastanza bene.”
Fernando prese un sorso dalla fontana e si scostò per farle spazio e proseguì asciugandosi la bocca e la barba con la maglia bianca sudata e sformata “Domani, più o meno a quest’ora, andiamo a vedere una spiaggetta.” Il tono era serio, ma non da guida turistica.
“Mi dicono che valga la pena di vedere l’oceano al tramonto, non a pranzo”
“Uhm uhm, però col sole alto si vedono meglio i dettagli.” Buttò lì noncurante e Amaranta capì che per superare l’impasse del silenzio le stava proponendo una visita guidata allo scopo di aiutarla a scrivere il suo libro e continuò a bere senza sete per sopprimere la tentazione di declinare bruscamente l’offerta.
“Se devi andare in bagno lì l’erba è alta abbastanza, io aspetto alla macchina. Veloce.” E iniziò a camminare verso la strada. Amaranta sentì l’aggressività diventare fisica, come un dente che per farsi strada squarcia la gengiva seminando bruciore, tensione e gonfiore. Fece qualche passo nell’erba alta perché in bagno doveva andarci davvero e si alzò il vestito, si abbassò le mutande di cotone e urinò sforzandosi di non perdere l’equilibrio. Ci mise molto e tremava per lo sforzo con le cosce doloranti e le ginocchia accroccate, oltretutto troppo tardi si accorse di essersi bagnata quasi completamente le mutande: le veniva da piangere per la frustrazione. Con il terrore di calpestare nell’urina calda, fu attraversata da un pensiero fulmineo che decise d’istinto di assecondare, anche perché non c’era altro da fare. Si sfilò le mutande e le usò per asciugarsi, uscì dall’erba alta a passo deciso e andò verso la macchina. Fernando la guardava arrivare e gettare qualcosa in un cespuglietto di malerba rigogliosa e gli parve diversa: era scesa dalla macchina imbarazzata e a disagio ed ora vi rientrava sicura, muovendosi fluida tra le erbacce quasi come se la sostenesse un segreto che la rendeva immune. Amaranta salì in macchina e Fernando inebetito colse solo una goccia d’acqua o di sudore rotolarle giù per il collo, poi lo sterno e tra i seni piccoli e sodi. Non portava reggiseno e si domandò se fosse quello ciò che aveva buttato via. Mise in moto: “Che hai buttato?” Lei rise allegra: “Un tovagliolo.” Mentiva, e lui fu certo che già quando si erano incontrati un’oretta prima lei non portasse il reggiseno.
 
Le si era rotto il tasto n della macchina da scrivere, poi anche la barra spaziatrice e aveva deciso di cogliere l’occasione per passare una giornata diversa. Aveva preso il primo e unico bus per andare da Antonia, che abitava a tre ore di strada dalla città, nella campagna con le strade sterrate e la canna da zucchero alta due volte un uomo. Era arrivata stravolta e aveva scoperto, mentre Antonia le chiudeva la sua macchina da scrivere nella custodia a valigetta, che il bus che l’avrebbe riportata indietro non sarebbe passato che alle cinque del pomeriggio. Parlarono un poco e Antonia le promise di scendere in città a trovarla appena il tempo si fosse un po’ rinfrescato, bevvero caffè e ripresero l’argomento del caldo asfissiante; non era così che si era immaginata quella visita, ma non avevano amici in comune perché abitavano lontane e in più lei in città ancora non aveva una vita sociale; quindi, a parte il tempo e i prezzi al mercato gli argomenti scarseggiavano. Qualcuno bussò forte alla porta chiamando Antonia che aprì e si slanciò per abbracciare il tizio alto sulla porta. Li presentò e quando lui le strinse la mano, forte, ad Amaranta venne meno il dono della parola e dunque non precisò che il libro che Antonia sosteneva stesse scrivendo, in realtà lei si aspettava di trovarlo già pronto sotto una roccia o al mercato già impacchettato per essere spedito. Antonia prontamente aveva chiesto a Fernando se tornasse in città e se potesse dare un passaggio alla sua amica, con un’aria fintamente innocente che lui fu molto bravo a fingere di non cogliere. Si erano messi in macchina quasi subito e Fernando si era accorto che le piaceva molto, niente di nuovo sotto il sole, pensò, un’altra signorina annoiata che scopre gli uomini senza cravatta. Rifletté che però era un peccato perché anche se non era bella era attraente, ma quell’atteggiamento passivo-aggressivo da predatrice che era a malapena una preda gli faceva passare l’entusiasmo. Era scesa per bere con passo malfermo, gli aveva indicato il coltello con aria inequivocabile e poi si era allontanato per quanto? Tre minuti in tutto? E che era successo? Ora in macchina aveva una gatta più che la signorina impressionata di prima.
Amaranta allungò il braccio per prendere un foglio sul cruscotto davanti a lui e le guardo la mano sottile, le dita affusolate, le unghie lunghe e lucide e poi spostò lo sguardo sulla strada. Amaranta si soffiava col foglio piegato e lui la sentì sospirare piano, con la coda dell’occhio vide che si tirava su l’orlo del vestito bianco fino alle ginocchia e si sentì le orecchie prendere fuoco.
“Se fossimo più vicini al mare mi butterei vestita.” Disse piano e Fernando sentì le orecchie ancora più calde e si lisciò i capelli folti e neri, un po' confuso dalla sensazione improvvisa. Gli sembrava che Amaranta intendesse dire qualcosa che lui non poteva capire, forse il segreto che l’aveva trasformata in tre minuti. Si batté la mano sulla coscia “Che fai la sera?”, la vide indugiare un secondo di troppo con gli occhi sulla sua mano aperta sui pantaloni cachi e si rianimò: segreto o non segreto, gatta o non gatta, lo voleva esattamente come prima.
“Niente, esclusa Antonia non conosco ancora nessuno. So che la sera c’è in giro un sacco di gente, musica… Ma non ho visto niente ancora.” E scivolò sul sedile di qualche centimetro stendendo le gambe. Fernando ebbe l’impulso di allungare la mano destra e toccarle il ginocchio, scostarle il vestito e sentire quanto lo voleva, ma rimase immobile a guardare la strada, concentrato sul suo respiro che, gli era parso, si era fatto veloce.
“ Domani andiamo a vedere la spiaggia, poi se ci sarà qualcosa di interessante andremo a vedere anche la città di notte.” Si voltò e le sorrise più con quegli strani occhi che con la bocca. Amaranta gli rispose entusiasta “Mi piacerebbe davvero molto, ovviamente se non è troppo disturbo” e lo disse per due motivi: il primo era che ora quando la guardava l’aveva colto a fissarle le labbra e non più gli occhi come prima, si leccava impercettibilmente le sue e poi si toccava la barba scura e disordinata e questo le diceva che non era un disturbo; e poi lo disse perché l’aveva visto spesso in città, sempre circondato da gente che voleva parlare con lui, che gli portava qualcosa, qualche bambino lo seguiva sempre finché lui non si fermava a fare due tiri col pallone o se era piccolo a metterselo in spalla per qualche passo e questo le diceva che forse non aveva molto tempo per sé. “Nessun disturbo” e le sorrise guardandole le labbra rosse. Lo sapeva che lei se n’era accorta e poteva vedere che le piaceva. Era sicuro che nell’erba in quei tre minuti fosse successo qualcosa, chissà cosa, ma ne era grato agli dèi.
“Vuoi una sigaretta?” Gli domandò. “Si.”
Amaranta prese una sigaretta, se la mise tra le labbra, l’accese e tirò e gliela passò; lui se la mise a sua volta tra le labbra e sentì il sapore biscottato del rossetto di lei. La osservò con la coda dell’occhio accendersene una per sé, aspirare incavando le guance, le labbra rosse che baciavano il filtro e si sentì chiedere “Ti raggiungerà qualcuno? Un fidanzato, un marito, famiglia?” Almeno, pensò, non sembravo troppo interessato.
“Sono sola. I miei sono in Italia e difficilmente attraverseranno l’Atlantico per venire qua” Lui tacque incerto. “E tu?” riprese Amaranta. “Neanche io sono proprio di qui, però ho molti amici. Ma sono solo.”
Amaranta aveva la schiena sudata per il violento effetto serra causato dal sedile in pelle, e le cosce le si attaccavano prudendole selvaggiamente, più il tempo passava e più il caldo aumentava, più comprendeva il significato profondo di un indumento insignificante come le mutande. Fu però abbastanza lucida da prendere nota del fatto che due persone adulte, straniere in terra straniera, che si dicevano senza giri di parole di essere sole avevano già qualcosa di più forte dell’attrazione a legarle. Fu mentre giungeva a questa conclusione che l’asfalto deformato fece sobbalzare la vecchia auto, anche lei sobbalzò e l’orlo del vestito si alzo su metà della coscia sinistra, Amaranta sovrappensiero si sistemò allargando istintivamente le gambe senza malizia, ma Fernando colse il movimento delle ginocchia che si divaricavano mentre lei guardava fuori dal finestrino assorta. Lui si sentì la febbre nell’intestino. La pelle delle mani gli prudeva e sentiva l’esigenza di toccarla, però avrebbe preferito morire che uscire bruscamente da quella che gli sembrava un’esperienza mistica.
“Ci siamo quasi” e indicò l’oceano a strapiombo sotto una scarpata di palme maestose e la fortezza francese che dominava la baia e la vecchia città coloniale. Amaranta sentì che la voce gli si era arrochita e gli chiese compiaciuta “Te ne accendo un’altra?”
Fernando la guardò in tralice con un sorriso sornione “Non sarò io a dirti di no”. Gli accese la sigaretta e gliela mise tra le labbra avvicinandosi trattenendo il respiro per la tensione che sentiva in ogni muscolo del suo corpo. Lui respirò l’odore di fumo e di agrumi che arrivava dal polso di lei. Tenne le mani sul volante e chiuse un occhio perché non vi entrasse fumo. Lei si risistemò sul sedile, volgendosi però verso di lui, con la gamba sinistra piegata sotto di sé e il braccio sinistro steso sul bordo dello schienale basso. Guardando il profilo di Fernando domandò curiosa “Che fai a parte portare carte e dare passaggi?” Lasciò perdere la pistola sotto il sedile e il machete alla cintura, perché in fondo lei non ne sapeva niente della gente di quel posto e della situazione precaria di quelle terre e istintivamente non sentiva che quelle armi fossero indice di pericolo per lei. “Uhm, sono venuto qui a scrivere poesie e poi mi è presa la fissazione di fare fotografie. E poi altre cose.”
Le parve che non volesse scendere troppo nel dettaglio e commentò “Siamo colleghi allora” Certo, lui magari le aveva scritte le poesie, lei il suo romanzo più che altro se lo augurava.
Lui sbuffò il fumo e sorrise di nuovo sornione “Per ora sì”.
Lei ormai lo fissava senza ritegno e lui la lasciava fare. Amaranta studiava i capelli corti e neri, folti, pettinati e lucidi, le mani delicate, da dottore o da poeta, che però erano anche forti, l’orologio col cinturino in pelle nera che gli ornava il polso deciso. Si figurò che fosse uno di quegli uomini che stanno meglio nudi che vestiti, però non riuscì proprio ad immaginarselo. Fernando buttò la cicca dal finestrino e Amaranta vide che erano già in città “Gira alla seconda, abito nella casa di donna Teresa”.
Fernando aveva fatto in tempo a conoscere donna Teresa e conosceva la casa: un gradino conduceva dalla strada all’interno della cucina-salotto e questa terminava con una porta stretta che portava alla camera da letto dove stavano il letto, il comò e un armadio e una tenda- separé dietro la quale se ne stava un minuscolo bagno. La casa era piacevolmente ombrosa perché oltre alla porta c’era una sola finestrella in cucina, sopra il lavandino a una settantina di centimetri dall’ingresso e in camera da letto un’altra finestrella faceva entrare poca luce in direzione dei cuscini.
Fermò la macchina davanti alla porta e fece per andare ad aprirle la portiera ma Amaranta era già fuori che si trascinava la valigetta della macchina da scrivere; lui gliela prese dalla mano, indugiando un poco più del necessario nel contatto con le dita di lei e Amaranta non si sottrasse, lo ringraziò e lo sorpassò cosciente di essere sotto l’esame del suo sguardo. Aveva la schiena rossa e sudata, ma non le importava perché anche lui era fradicio sul petto e sulle spalle, l’afa era innaturale e se non fosse cessata all’indomani tutti si sarebbero svegliati con le branchie e già semi-arrostiti.
Camminando verso la porta Amaranta fu presa da un prurito all’inguine che era decisamente poco sensuale ed era certa di avere qualche sfogo perché la pelle irritata le bruciava nei punti più umidi. Aprì la porta con urgenza e indicando il frigo disse “Fai come fossi a casa tua, io ho bisogno del bagno” e mentre ancheggiava verso il comò Fernando le rispose insolente “Non è la temperatura ideale per lo stile naturale”. Almeno ha il senso dell’umorismo, pensò Amaranta scostando la tenda del bagno, con gli zigomi in fiamme e il basso ventre in subbuglio.
 
Fuori dalla porta di casa, dietro di lei, con la valigetta della macchina da scrivere in mano, Fernando la guardava attentamente: collo lungo, esile, vita sottile, un seno da ventenne anche se aveva almeno quei dieci o dodici anni di più, attraente senza essere appariscente, anche se non ne era certo doveva avere più o meno la sua età, forse un paio d’anni di meno. Gli piaceva quello che vedeva e poi, in un attimo, la luce del sole fece il miracolo mentre lei saliva l’unico gradino davanti alla porta. Il lungo vestito bianco divenne trasparente come una zanzariera e lui seppe che ciò che aveva buttato nell’erba non era un tovagliolo. Forse non se ne rese conto coscientemente, preso com’era da una smania che mai aveva sperimentato, ma entrando nella casa in cui donna Teresa aveva vissuto ed era morta sola, Fernando aveva capito che avrebbe sposato Amaranta e che forse non sarebbe vissuto abbastanza da invecchiare con lei, ma di certo avrebbe lasciato solo lei a piangerlo.
 
Quando lei rientrò in cucina lo trovò di spalle, intento a sciacquare il bicchiere che aveva usato, Amaranta si scoprì incerta su come procedere: era abbastanza imbarazzata da poter ritornare al cieco disagio dell’inizio del viaggio, ma ormai che la parte più sconcia era venuta fuori poteva anche giocare a carte scoperte. “Come va?” le chiese.
Stava in piedi contro il lavandino adesso, con le braccia incrociate sul petto e negli occhi scuri un’espressione tutta sua, difficile da rendere con le parole, ma ad Amaranta parve che ci fosse approvazione. Si accese una sigaretta e si lasciò cadere su una delle due sedie del tavolo in cucina: “Di tutte le cose che avrei potuto fare al naturale di sicuro ho scelta la meno pratica” Ma sì, si disse, ormai tanto vale essere franchi in fin dei conti non siamo mica ragazzini.
Lui le indicò la valigetta della macchina da scrivere per terra, vicino al frigo, e le disse sorridendole di nuovo più con gli occhi che con la bocca “La prossima volta mi piacerebbe trovare tutti gli indumenti al loro posto e pensarci io”. Amaranta sorrise inebetita perché aveva colto che, mentre parlava, si era sistemato il machete in un modo che l’aveva sconvolta più del senso delle parole in sé. Non rispose perché Fernando era già fuori e aveva messo in moto.
Rimasta sola, nell’ombra, seduta al tavolo di donna Teresa, controllò l’orologio. Erano quasi le tre del pomeriggio e tutta la via stava dormendo, il caldo era asfissiante e non le rimaneva che farsi una doccia e provare a scrivere qualcosa senza pensare troppo a quell’uomo anche se era l’unica cosa che voleva fare.
   
 
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