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Autore: Selene123    11/10/2023    0 recensioni
La vita aristocratica di una donna alla ricerca di luoghi, persone e sentimenti raccolta in un prezioso diario settecentesco
Genere: Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Incompiuta, Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Epoca moderna (1492/1789), Rivoluzione francese/Terrore
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"Quando arriveremo a Tolone ci saranno altre celebrazioni ad aspettarci..." aveva esordito mio marito dopo quarantacinque minuti di silenzio da quando la carrozza e tutto il seguito erano partiti da Versailles, scuotendo la testa e alzando gli occhi al cielo infastidito per poi guardare fuori dal finestrino. Forse cercava di evitarmi, o forse era soltanto irritato all'idea che avremmo dovuto ripetere la medesima pantomima di finta felicità che stavamo lasciando dietro di noi. Avevo alzato le spalle per mostrarmi quanto più d'accordo possibile, o, meglio, quanto più rassegnata ad accettare la nostra sorte comune. Louis Alexandre tamburellava con le dita sulla seduta rivestita di velluto rosso, sbuffando di tanto in tanto. Lo capivo, condividevo il suo fastidio e avrei voluto dirglielo, ma il nervosismo che il suo atteggiamento non si preoccupava di nascondere inibiva ogni qualsivoglia mio tentativo di conforto. Mi spaventava da sempre l'idea di rimanere sola con gli sconosciuti per via della mia proverbiale mancanza di capacità di imbastire una conversazione che mia madre non aveva mai perso l'occasione di rinfacciarmi. Anche poco prima di partire, infatti, durante il cambio dell'abito la duchesse si era raccomandata di aprire bocca solo quando interpellata, per carità, che mi sarebbe bastato un secondo per rovinare tutto. Sospirai e, nel fare ciò, scostai l'ingombrante gonna che vedevo invadere lo spazio vitale del mio compagno di viaggio (metaforico e letterale). Un timido tentativo di chiedergli scusa mi era scivolato fuori dalle labbra, senza però ricevere troppa considerazione. Detestavo dover dare ragione a mia madre, ma quella sera avrei dato qualsiasi cosa pur di essere colta da un'illuminazione e imparare all'improvviso la nobile arte della convivialità. 

Il nuovo muro di silenzio che era spontaneamente sorto tra noi due mi sembrava perfino più inoppugnabile di prima. Mentre il sole tramontava colorando l'intero paesaggio di una luce calda, alcune persone facevano capolino e da lontano si sbracciavano per salutare il corteo che attraversava la campagna francese. Mi ero sorpresa a sorridere davanti a quello spettacolo inusuale: per la prima volta dall'annuncio del fidanzamento ufficiale provavo una sensazione piacevole, come se gli omaggi di figure non troppo indefinite che si stagliavano come ombre scure su un cielo arancione fossero diretti proprio a me. Con molta probabilità non sapevano neanche chi ci fosse sulle carrozze, sempre che ci fossero davvero passeggeri, ma la sola vista dello stemma reale forse bastava per dare loro l'impressione che da Versailles qualcuno avesse finalmente deciso di uscire e onorarli di una breve e fugace visita. Mi ero addirittura sporta un po' verso la piccola finestra rettangolare per osservarli meglio: d'altronde, ad esclusione del nido aristocratico che mi aveva cresciuta, non avevo mai incontrato il resto del mondo. Sapevo che esistevano altre realtà, ne avevo sentito parlare perlopiù in modo poco lusinghiero, ma il limite massimo oltre cui potevo aspirare ad inoltrarmi coincideva con la reggia. 

"Cosa vi meraviglia?" mi aveva chiesto Louis Alexandre dopo aver notato lo stupore sul mio volto, aggiungendo un ma chère in tono accondiscendente che, in futuro, sarebbe tornato diverse volte nel suo vocabolario e che gli sarebbe anche costato piuttosto caro. "Non avevo mai visto tutto questo..." I miei sedici anni dovevano sembrare all'improvviso essersi tramutati in sei a giudicare dallo sguardo perplesso che aveva assunto in seguito alla mia risposta. A costo di sembrare infantile, avevo deciso di godermi da sola quel poco che il tragitto ci stava offrendo se lui non avesse avuto intenzione di tenermi compagnia. "Com'è possibile che non siate mai uscita di casa?" aveva sbottato mio marito con fare interrogatorio, rendendomelo all'improvviso un po' più simpatico. "Certo che sono uscita di casa," gli avevo risposto io con un sorriso trattenuto, "ma potrete anche immaginare da voi che difficilmente si ha l'occasione di frequentare il popolo". Louis Alexandre si era stretto nelle spalle per poi incrociare le braccia e tornare seduto composto davanti a me. "A me capita" aveva ribattuto con un'espressione di protesta un po' infantile. Non un gran modo, quello, per cominciare a conoscere il mio consorte per l'eternità, però battibeccare pareva essere una soluzione efficace ad evitare ore di mutismo reciproco. 

"Voi vivete su una nave, monsieur..."

"E cosa volete insinuare con ciò?" Dovevo aver inavvertitamente toccato un nervo scoperto. Per quanto le voci che circolavano sui marinai fossero riuscite a raggiungere perfino le mie orecchie distanti e distratte, non mi sarei mai permessa di pensare che anche lui conducesse una vita dissoluta. "Dunque? Lanciate il sasso e nascondete la mano?"

"Intendo dire che su una nave è più facile incontrare persone di rango inferiore al nostro rispetto ai palazzi di Versailles, non trovate?" Mi stavo scoprendo a mio agio in sua compagnia, benché quella conversazione non fosse il massimo del divertimento. 

"Ve lo concedo." aveva ceduto il mio interlocutore con noncuranza. "Voi comunque non siete propriamente del mio rango..." Voltatosi di nuovo verso il paesaggio che correva veloce intorno a noi, mi guardava di sottecchi con un mezzo sorriso sotto i baffi. Se c'è una cosa che la nobiltà mi aveva insegnato fin dalla più tenera età, è la facilità con cui i suoi membri si divertono a provocarsi l'uno con l'altro puntando sempre sulle differenze di sfumature di blu del loro sangue.

"Ora lo sono, però." avevo con prontezza ribattuto io, "Forse non vi ricordate, ma sono diventata vostra moglie proprio questa mattina." Per fortuna o purtroppo, l'insolenza di mia madre e l'abilità di mio padre nel chiudere le frequenti rimostranze della moglie mi stavano venendo in aiuto e sarebbero rimaste con me per aiutarmi a uscire da situazioni scomode come quella. Ancora una volta Louis Alexandre aveva alzato gli occhi al cielo. Come colto da un pensiero fulmineo, poi, si era aperto i bottoni della giacca blu ornata di arabeschi dorati per cercare qualcosa. Dopo alcuni istanti, aveva tirato fuori da una tasca interna una busta di carta pregiata firmata con il suo nome e una piccola scatolina rivestita di velluto azzurro. "Non sono molto bravo con le parole, come avrete potuto immaginare..." si era scusato in anticipo lui mentre estraevo il biglietto concordando nella mia mente con le sue parole. Non un grande oratore, in effetti, men che meno poeta, però quando faceva lo sforzo di provarci se la cavava abbastanza bene e ispirava molta tenerezza. 

Ma chère épouse ,

potrà capitare di non vederci per molti giorni a causa dei miei numerosi impegni con la Flotta di Levante. Vi lascio questo mio ritratto per ricordarvi sempre del mio volto.

Con devozione,

Alexandre

"Alexandre?" avevo letto io a voce alta in tono perplesso, "Vi firmate così? Solo Alexandre?

"Dovreste esservi accorta anche voi che quasi tutti gli eredi della mia - pardonnez-moi, della nostra famiglia portano lo stesso nome: Louis. Dio non me ne voglia, per carità, ma l'idea di essere ipoteticamente confuso con il Delfino..."

"Sareste sposato con Marie Antoinette." lo avevo interrotto io con fare provocatorio. Chi non avrebbe voluto avere una ragazza tanto gentile e bella come lei? Se fossi stata un uomo, avevo riflettuto la notte insonne dopo il mio primo ballo e l'incontro con la coppia reale, sarei stata gelosa del suo impacciato marito. 

"È austriaca." Il tono sprezzante con cui aveva apostrofato sua (nostra, forse?) cugina acquisita mi aveva lasciata sorpresa. Non mi era apparso tanto ostile nei suoi confronti la famosa sera del ballo e anche poche ore prima, durante i festeggiamenti per le nostre nozze, si era dimostrato cordiale verso di lei che, con grande gentilezza, era stata tra i primi a porci le sue più sentite congratulazioni. 

"Io comunque vi chiamerò con il vostro nome per intero." mi ero impuntata io nel tentativo di ritornare ad un argomento meno spinoso. Il disappunto che regnava sul mio viso aveva lasciato spazio ad una titubante sorpresa quando finalmente avevo aperto la scatola e osservato il suo contenuto. Un piccolo dipinto a olio di forma ovale raffigurava il ritratto a mezzobusto di mio marito, abbigliato nella sua migliore uniforme della Marina Reale. Lì per lì non mi pareva del tutto somigliante all'originale, ma immaginavo che lavorare su una superficie così piccola non dovesse essere stato semplice. Tutto sommato, comunque, era un pensiero a suo modo amorevole che mi sentivo di poter apprezzare con sincerità. Ringraziandolo di cuore, avevo richiuso la scatola per tenerla in mano senza riporla nel bauletto appoggiato accanto a me sulla seduta. 

Quando la sera era ormai già calata da diverso tempo e nel cielo si vedevano solo le stelle, il nostro viaggio procedeva a passo sostenuto nel cuore delle campagne francesi. Nulla intorno a noi era più riconoscibile e il panorama sarebbe rimasto così, avvolto nell'oscurità, ancora per diverse ore. La conversazione tra mio marito e me era continuata non senza momenti di noia e di silenzi, ma con pazienza stavamo entrambi imparando ad abbassare la guardia e conoscerci un pochino di più. Avevamo davanti a noi quattro giorni pressoché ininterrotti di viaggio fino a Tolone e la carrozza si rivelava ogni momento più scomoda, al punto da far rimpiangere a Louis Alexandre le notti trascorse in mare.

"Pardonnez-moi, il letto della vostra nave avete detto? Non quello di casa vostra?" Le sue parole avevano improvvisamente instillato in me il seme di un dubbio che, se confermato, mi avrebbe spinta di nuovo in quell'atavico terrore che mi accompagnava fin da bambina. 

"Ve l'ho detto, sono spesso in viaggio e poi..." 

Il mio cuore stava accelerando sempre di più, mi sembrava che fosse arrivato a battere perfino nelle tempie. Stava per firmare la mia condanna, ne ero sicura. Tutta quella cordialità, perfino simpatia che mi stava dimostrando si sarebbe presto tramutata in un premio di consolazione consegnatomi in anticipo. 

"... Anche quando ritorno a Tolone è difficile che io passi le notti nel nostro palazzo."

Un'invisibile scure si era scagliata su di me. Il principe sconosciuto a cui ero stata destinata mi stava portando lontana quattro giorni di cammino in carrozza da casa per consegnarmi alla consueta, rituale condizione di solitudine da cui sognavo (e avrei tentato innumerevoli volte) di fuggire. Avrebbe potuto anche tradirmi quella sera stessa, riflettevo silenziosa mentre trattenevo l'istinto di piangere a dirotto e gridare, e tutte le successive fino all'infinito, se mi avesse quantomeno concesso di non dover tornare a parlare da sola allo specchio. 

 

   
 
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