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Autore: May Jeevas    12/10/2023    1 recensioni
Paesi Baltici, XIII secolo.
Dopo la sconfitta contro un ordine che ha invaso le loro terre e che ha preso la vita dei suoi genitori, il giovane Toris Laurinaitis ha un solo obiettivo: difendere la sua gente da qualunque invasore, che siano i Cavalieri Portaspada o che siano i Vichinghi. E' proprio da una delle tribù scanidinave che un giorno salva Feliks, un giovane un po' stravagante con cui Toris si ritroverà a stabire un rapporto forte e solido. Insieme lotteranno per la libertà dei Curi. La storia darà loro ragione, o dovranno piegarsi agli invasori? [LietPol]
[Questa storia partecipa al Writober di FanWriter.it, lista pumpSea]
Genere: Guerra, Malinconico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Estonia/Eduard von Bock, Lituania/Toris Lorinaitis, Nordici, Polonia/Feliks Łukasiewicz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 7:Possibilità

Toris sentì la schiena cozzare dolorosamente contro gli scogli e dovette stringere le labbra trattenere un gemito. Il suo corpo rispose d’istinto al pericolo, rialzandosi su un ginocchio e l’altro piede già pronto a dare la spinta, le braccia già pronte sull’arco e la freccia per difendersi.
Riconobbe subito il vichingo che aveva attaccato il villaggio. Ringhiò, alzandosi in piedi e mirando al bulbo oculare dell’avversario. I denti digrignati, gli occhi ridotti a fessure nonostante la vicinanza dell’obiettivo, la rabbia che ancora sentiva sgorgare nelle vene. Non perdeva di vista l’avversario, cercando di ignorare il respiro affannato di Feliks al suo fianco, evitando di guardarlo.
Lo stava per uccidere. Anzi, la freccia era scattata appena lo aveva visto muoversi, lo aveva mancato per la direzione improvvisa che il ragazzo aveva seguito, si era ficcata con un sibilo nel terreno e Feliks gli aveva salvato la vita, salvandolo da una decapitazione certa.
Non permise ai pensieri di vagare, doveva restare concentrato sull’obiettivo e su come battere l’invasore. Tirò ancora di più la corda dell’arco, in un gesto che voleva essere un avvertimento.
Il bagliore della spada del vichingo brillò alla luce della luna pronta a colpire, e Toris si lanciò alla sinistra per evitare l’arma. Rotolò sulla schiena sempre con arco e freccia in posizione, e scoccò.
Con un sibilo la freccia mancò l’avversario, che ghignò apertamente e gli fu di nuovo addosso. Il curo indietreggiò, sentendo il pugnale che aveva legato alla cinta premere contro il fianco. Non era una spada, ma forse in un combattimento ravvicinato era meglio un’arma bianca piuttosto che un arco. Evitando i colpi serrati del nemico Toris cercava un modo per cambiare l’arma senza riuscire a trovare il tempo per farlo.
Feliks aveva recuperato le due frecce dal terreno e le teneva tra le mani, protezioni improvvisate che sapeva non sarebbero servite: non aveva mai avuto occasione di fare allenamento con nessun tipo di armi. Guardava Toris affrontare il vichingo ed essere in difficoltà, la fronte imperlata di sudore e i movimenti sebbene esperti, erano segnati dalla stanchezza.
Ricordi di un altro combattimento gli tornarono non richiesti alla mente. Quando in un altra occasione era rimasto inerme a terra e a pagarne il prezzo era stata…
L’urlo di Toris, colpito al fianco dalla spada del vichingo, lo svegliò dal torpore in cui era caduto. Lo vide cadere in ginocchio, dolorante, il sangue inzuppò subito i suoi vestiti formando una macchia scura.
Le mani di Feliks si strinsero forte intorno alle frecce che aveva in mano. Agì senza pensare, si scaraventò urlando contro l’avversario che aveva ferito il ragazzo più grande, che forse colpito dalla sorpresa o dalla sua stupidità non reagì per tempo. Feliks piantò una freccia nella coscia del nemico con una furia e una forza che non sapeva di possedere. Aiutato dalla spinta che si era dato correndo verso l’avversario, sentì la freccia entrare e uscire da una parte all’altra. Il vichingo urlò di dolore prima di reagire troppo presto per dare il tempo a Feliks di riprendersi dal quella piccola vittoria. Gli arrivò un calcio forte sulla guancia e sentì il suo corpo alzarsi da terra, fare una penosa piroetta a mezz’aria e cadere miseramente sul terreno, battendo forte la nuca. Dalla bocca gli uscì un grido di dolore e strinse gli occhi, la mano destra ancora stretta sulla freccia rimastogli, mentre sentiva la vista ofuscarsi.
Blóta kurir!” sibilò il vichingo, che nonostante la gambe ferita fu sopra di lui e alzò la spada per colpirlo. Con le ultime forze che aveva, feliks usò la freccia per cercare di colpirgli la mano, in modo da disarmarlo, almeno. Il suo attacco fu vano, mancò il bersaglio e la freccia cadde vicino ai loro corpi. Il ragazzo urlò dimenandosi, non volendo soccombere alla morte in una maniera così passiva. Urlò bloccando le mani del vichingo, fermandole dal darli il colpo di grazia, cercando di non svenire, nonostante tutte le forze lo stessero abbandonando. All’improvviso sentì un urlò e il sibilo di una freccia che colpiva la mano dell’avversario. Ebbe appena il tempo di vedere che era una delle frecce simili a quelle costruite da Toris e spostare lo sguardo verso il salvatore che sentì l’oscurità avvolgerlo e questa volta non ebbe la forza per rimanere cosciente.

Eduard guardava Toris massaggiarsi dolorosamente il petto da sopra la fasciatura.
“Lasciala stare. Devi riposare e guarire, Toris. Quel capo vichingo è riuscito a scappare, tornerà e ci servi in forma.”
A quelle parole il ragazzo non nascose il suo disappunto. “Scusami. Avrei dovuto finirlo, ma non…”
“Taci, Toris.” il tono di Eduars non ammetteva repliche. “Sei fortunato ad essere vivo. E avrei potuto ucciderlo anche io, se non fosse comparso il suo compagno e lo avesse aiutato. Avevo due corpi da portare al sicuro, mi scoccia dirlo ma meno male che hanno scelto la ritirata.”
Toris voltò lo sguardo verso il corpicino disteso di fianco a lui. Feliks non aveva ancora ripreso conoscenza.
“Sappiamo benissimo che i vichinghi sono dei lupi di mare, e non ci metteranno molto a sferrare un altro attacco. Magari con più barche e più uomini della volta scorsa.” continuò il ragazzo passandogli una tazza con dell’acqua fresca dentro. Toris annuì, cercando di capire come poter evitare un altro attacco al villaggio.
“Dovremmo partire con le nostre navi e attenderli fuori da golfo, Eduard.” disse dopo averci pensato un attimo. “Siamo anche noi lupi di mare. Dimostriamolo e rivendichiamo la supremazia dei Curi sul mar Baltico.” ringhiò il ragazzo, convinto.
Eduard annuì, rassicurato dal fatto che almeno il morale dell’amico era sempre combattivo. Lo sguardo andò su Feliks. “Era lui il ragazzino di cui mi avevi parlato, quindi.”
Gli occhi dell’amico si fecero distanti. “Sì. Ma gli ho chiesto da dove venisse e mi ha indicato un punto che era la terra dei Cavalieri Portaspada.” rispose in un tono abbastanza neutro, ma a Eduard non sfuggì la rabbia e il dolore che celavano. “Avevi ragione, Eduard.” concluse, e l’amico capì a cosa si stava riferendo.
Noi non facciamo prigionieri.
“Toris, non so davvero cosa pensare. Ma sappi che ti ha salvato la vita. Ho visto come si è battuto per difenderti mettendo a rischio anche sé stesso. Tutto mi pare, tranne che un nemico, e con queste premesse il villaggio non dovrebbe fare troppi problemi. Forse una possibilità se la merita. Ma” lo sguardo cercò gli occhi di Toris. “la decisione spetta a te.”
Il ragazzo seduto sul letto guardò l’amico uscire dall’uscio e lasciarlo solo con i suoi pensieri. Si scostò, ingrandendo la distanza tra lui e Feliks nel letto.
Una possibilità, aveva detto Eduard.
Toris sospirò e guardò quel ragazzino minuto che gli aveva salvato la vita due volte dopo che lui aveva cercato di ucciderlo.
No, un nemico non sembrava proprio. E Toris doveva ammettere che aveva un grande debito da colmare nei suoi confronti.
Senza rendersene conto appoggiò la mano sulla fronte di Feliks, controllando che non gli salisse la febbre. A quel tocco il ragazzo sembrò protendersi verso la mano, muovendosi impercettibilmente. Quel gesto gli ricordò quella parole che aveva mormorato quando lo aveva trovato sulla spiaggia. Una parola che lo identificava, almeno in parte, come uno di loro.
Toris aveva mal di testa. Troppi pensieri, troppi dubbi e troppe domande. Cercò di ignorare il senso di colpa che sentiva ogni volta che rivedeva sé stesso pronto a colpirlo con l’arco e gli occhi verdi che lo fissavano.
 


Angolino di May
Ci sto provando, piano piano vado avanti. Con il permesso di JamesBevitoreDiMojito, si intende.
“blóta kurir” dovrebbe voler dire “maledetto curo” in nordico antico. Dovrebbe perché ovviamente la declinazione degli aggettivi non era prevista dalla traduzione! XD
Cerco di continuare a scrivere. A presto, spero.
Al solito, critiche e pomodori marci sono ben accetti.
Mata ne!

   
 
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