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Autore: Glance    14/10/2023    0 recensioni
Non immagina che il suo viaggio la condurrà da qualche parte, perché non ha meta.
Ma un destino sopito si sta risvegliando e l'attende tra le stanze vuote di un luogo dimenticato. Il segreto della sua malinconia si svelerà nell'abbraccio che il tempo le ha promesso e precluso.
Genere: Dark, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Immersa nel silenzio, la casa veglia il suo strano sonno. E’ il freddo e l’odore stantio di tempo immobile a svegliarla:  una sensazione di gelo, che le penetra sin dentro le ossa, l’attraversa facendola tremare.
Cerca di aprire gli occhi, ma non le riesce di farlo al primo tentativo, capisce però che all’interno tutto è immerso nella semi oscurità; prova a parlare ma non emette che un lungo sospiro che vede condensarsi  in vapore uscendo dalla bocca.
Attingendo alle poche forze e alla sua volontà a fatica riemerge da quello stordimento.    
Quando finalmente riaffiora da quella nebbia, realizza di essere adagiata su di un vecchio divano; la tappezzeria è logora, ricoperta di polvere e odora di muffa, riesce  a percepirne appena il colore sbiadito dal tempo che doveva essere stato di una qualche tonalità di turchese.
Il pavimento in parte, è ricoperto da foglie secche e detriti, pezzi d’intonaco che hanno ceduto all’umidità.
Non comprende subito dove si trova, come abbia fatto ad arrivare sin la.
Poi la mente le riporta un sentore di cuoio e tabacco, e allora  la sensazione di due braccia forti che la sorreggono ritorna. Realizza di trovarsi all’interno della grande casa, ma tutto quello che la circonda è in un decadente abbandono, eppure poteva giurare che non fosse così, che durante il tragitto sorretta, al sicuro di quelle braccia, tutto le era sembrato vitale e fiorente . L’incuria del tempo le trasmette disagio, quel senso di separazione e perdita che riconosce, perché da sempre la tiene per mano e l’accompagna, paziente, aspettando.
Dalle fessure delle imposte sconnesse guarda il lento discendere della neve.
Si alza dal divano, ancora intorpidita e confusa. Non sa cosa sia successo, ma avverte una sensazione di vuoto farsi strada nel profondo, fino quasi a farla sentire rarefatta. E’ come se quel tempo immobile sapesse di lei.
Si guarda intorno, ripercorre mentalmente ogni passo. Forse, tutto quello non è altro che il frutto di una suggestione, forse ha solo immaginato.
Ma lui era reale, lo ricorda, lo ha sentito. Ha respirato il suo odore: Cuoio e tabacco.
Ha sentito il suo respiro caldo sfiorarle il viso, ha toccato il manto morbido e caldo del cane fulvo.
Si aggira in quel luogo abbandonato sentendosi un fantasma.
Di fronte a lei, dal soffitto pende un lampadario maestoso, alle cui braccia sono appese gocce di cristallo.
La polvere ne ha spento lo scintillio e le ragnatele lo hanno avvolto come in un bozzolo, quasi a volerlo proteggere.
Alle pareti consolle sormontate da specchi, talmente rovinati da non riuscire a riflettere nessuna immagine, alle finestre pesanti tendaggi di velluto scolorito. Tutto sembra essersi addormentato. Fatica ad ogni passo, ha come l’impressione che il pavimento fluttui, si ferma per ritrovare l’equilibrio poggiandosi allo stipite di una porta che delimita la stanza. Riesce ad attraversarne la soglia, distingue un grande ingresso, le è chiaro che da tempo nessuno v i ha più abitato, quando prova ad aprire il pesante uscio lo ascolta cigolare sui cardini arrugginiti.
La vita di qualcuno è stata custodita tra quelle stanze, e ormai altro non è che oblio.  Fuori l’aria gelida le sferza il viso facendola rabbrividire, cammina accompagnata dal rumore dei suoi passi sulla neve. Non c’è nessuno.
Cerca con lo sguardo, ma in vano. Il senso di vuoto sembra amplificarsi ad ogni passo verso l’esterno.
Rimane a guardare il sedile, la neve che lo ha ricoperto è immacolata.
Non ha idea di che ora sia e non saprebbe dire neanche di quale giorno.
Ogni cosa è immersa in un silenzio irreale, i contorni sono ammorbiditi dalla neve.
Si volta per guardare la grande casa: qualcuno l’ha portata sino la.
Ha udito la sua voce, respirato il suo profumo, non sa darsi una spiegazione per tutto quello, ma sa che non è frutto della sua fantasia. Non sa però, se può fidarsi di quello che crede di avere visto e ascoltato.
Forse voleva solamente che fosse così.
Le sue impronte affondano nella neve, sono l’unico segno che indica la presenza di qualcuno in quel luogo.
Ritorna verso la casa, entra e nel chiudere la porta i cardini le rimandano la voce arrugginita del tempo.
Si guarda intorno e cerca di adattare lo sguardo al buio che regna.
Sente entrare il vento da ogni fessura,  rimane immobile, in ascolto di ogni suono, di ogni scricchiolio, immersa nell’oscurità di un posto sconosciuto e abbandonato, senza nessun punto di riferimento, in balia di qualunque cosa: aspetta, considerando che quel luogo è stato di qualcuno, lo ha raccontato, ha custodito la sua essenza vera e profonda. E tutto quello è ancora lì, lo respira in quell’odore stantio, come un monito.
Lo avverte chiaro, tangibile, ma non riesce a darsi una spiegazione.
La sua mente inciampa in quel groviglio di emozioni, tra la polvere di quel tempo immobile.
Anche lei, come ogni cosa in quel luogo, cerca di resistere, a fatica, ancorata ad ogni più piccola certezza.
Trema, di un tremore che la scuote e le fa battere i denti, che provoca un rumore secco, ritmato, accompagnato quasi da una cantilena che viene dal suo torace, che contraendosi sotto gli spasmi incontrollati genera un suono monotono e penoso.
Ha bisogno di sedersi, stringe il cappotto al corpo, sino quasi  a volervi scomparire.
E’ li che trema, quando qualcosa di caldo e umido le sfiora la mano, sente guaire e riconosce sotto le dita il pelo morbido del cane fulvo.
Ricorda che lui lo ha chiamato “ Ares” .
Il suono di quel nome le sfiora le labbra, è appena un sospiro, che il cane avverte. Sente l’animale mugolare.
Lo accarezza. Lui poggia le zampe sulle sue gambe e sembra volerla rassicurare.
Ad un tratto, vede un bagliore tremolante che le ricorda la luce del fuoco di un camino, provenire dalla stanza del divano e di nuovo la sua voce.
“ Ares, cosa c’è? Qui bello.”
E’ ancora lì in mezzo, in piedi, quando la casa sembra ad un tratto svegliarsi dal suo sonno e riprendere vita e i suoi colori. La luce fioca delle lampade torna ad illuminare l’ingresso. Sente dei passi e vede l’ombra proiettarsi sopra i muri incastonati dalle boiserie.
Lo sente arrivare, ne scorge la figura slanciata.
Cammina verso di lei con passo sicuro e cadenzato.
Quando la vede si ferma, rimanendo nel cono d’ombra che impedisce di scorgerne il viso.
“ Siete… qui?”
Lo sente pronunciare quelle parole appena la vede, con quel tono di voce che ha l’impressione di avere sempre udito. Ne coglie l’incertezza mista ad un vago senso di stupore.
“Come vi sentite? Vi abbiamo cercata ...Ma… dove …?”
Non le riesce di emettere nessun suono. All’improvviso,  sente  la gola e la bocca secca. Lui comprende.
“ Non importa. Venite a scaldarvi.”
Mentre lo dice, lo vede muoversi verso di lei. Non le riesce di tenere gli occhi aperti, come quando si cerca di ripararli dalla luce intensa del sole. Mano a mano che sente i passi farsi vicini, il cuore accelera nuovamente i battiti.
E’ un frammisto tra timore e incredulità.
“ Venite, non abbiate paura: vi aiuto. Poggiatevi al mio braccio.” Le tende la mano lentamente, per raggiungerla; ne sente il tocco. Avverte la lana del pullover, morbida e ruvida allo stesso tempo, quando le porge il braccio.  Il profumo di colonia, quella nota intensa e particolare, le ritorna nelle narici.
“ Vieni Ares, su, da bravo. Starà bene, tranquillo .”
Lo dice in modo rassicurante, ne avverte il sorriso accompagnare quelle parole. “ Venite vi prego, sedetevi accanto al fuoco, avete le mani gelide.”
Lei accenna un sorriso.
“ Il mio cane vi ha presa a ben volere. Non è qualcosa che gli ho visto fare spesso.” Continua a parlare in un modo così quieto e gentile che la distrae e la fa inciampare nei suoi passi. Lui la sorregge, con un gesto pronto. Stringe la presa sulla sua mano, tenendola in maniera più salda. “ Venite, ancora pochi passi e potrete sedere e scaldarvi.”  La voce ha un tono basso, come un vago senso di rassegnazione. In quelle poche parole  coglie qualcosa che riconosce: il ricordo di qualcosa di antico e bello, l’eco di una felicità mai raggiunta, il dolore di una memoria languida e sfuggente.
Lui cammina al suo fianco adeguando il passo, con gentilezza la sorregge.
“Ecco, venite: sedete. Vi scalderete in un attimo.”
Gli occhi  piano piano le restituiscono una vista chiara e può osservare la stanza: è accogliente, la luce soffusa data dalle lampade e dal fuoco che arde nel camino,  i mobili sono eleganti; il divano è lì, con il suo colore  di un turchese acceso.
Non c’è traccia delle foglie sul pavimento, dei pezzi d’intonaco, non c’è odore di muffa, ma un profumo aromatico e dolciastro di brandy e tabacco.
Alza gli occhi a cercare il lampadario e lo osserva: i suoi cristalli riflettono i bagliori del camino, scomponendoli in riflessi colorati.
Lui la osserva, composto, quasi solenne, perplesso, ma troppo discreto per rivolgerle domande. E’ alto, la barba curata, lo sguardo grigio, profondo, che la scruta un po’ perplesso. Forse come lei non riesce a spiegare cosa stia succedendo.
L’unica cosa che sa è che ora è lì, reale quanto lui.
L’aveva portata in casa, infreddolita  e quasi priva di sensi, si era allontanato e non l’aveva più trovata.
Adesso la guarda, senza sapere bene come comportarsi, capisce che non vuole farla preoccupare, desidera che  si fidi di lui.
Il cane fulvo gli è accanto, lui lo accarezza e l’animale poggia il capo sulle gambe del suo padrone, in quel gesto che esprime complicità, fiducia e gratitudine.  
“ Siete ancora  tanto pallida” Gli sente pronunciare quelle parole sottovoce, come se lo stesse dicendo a se stesso. Poi lo vede  accovacciarsi accanto al cane, pensieroso intrecciare le dita, poggiarvi le labbra, come a voler valutare il da farsi.  E’ come se cercasse di venire a capo di un mistero: “ E adesso, cosa dovrei fare. Che ne faccio di voi?”, sembra pensare. Ha intuito però che non lo dirà. Rimangono così in silenzio, osservandosi, per un lungo attimo.
I suoi occhi la scrutano cercando di comprendere.
Lei lo guarda, lì in quella stessa stanza che poco prima, era immersa nella desolazione dell’abbandono,  e adesso invece è calda, accogliente, fiocamente illuminata dalle fiamme della legna che arde nel camino  crepitando. Rabbrividisce assecondando la sensazione di freddo che le percorre la schiena.
Lentamente, ancora perplesso, lo vede camminare verso una poltrona accanto al camino, e prenderle un plaid che le porge, poi attizza il fuoco, porta le mani al viso e si accarezza la barba curata, con  gesti che è abituato a fare in maniera inconsapevole.
E’ come se volesse dire qualcosa, ma non lo fa. Il silenzio nella stanza è rotto dallo scoppiettare della legna e dal ticchettio dei passi del cane che si muove in torno e poi sceglie un angolo in cui accucciarsi.
Attraverso i vetri appannati si riesce a vedere il giardino, la neve è ritornata a cadere silenziosa.
“ Nevica ancora.”
Lei continua a non parlare, ancora preda del timore che tutto possa svanire di nuovo. Si concede solo di annuire con un gesto appena percettibile.
“ Sentite ancora freddo?”
Il silenzio si strappa su quella domanda piena di esitazione, si sospende nell’attesa di una risposta che non arriva.
“ Volete mangiare qualcosa, avete fame?” lo dice rimproverandosi di averlo fatto.  “Perdonatemi, non voglio mettervi in imbarazzo, ma se avete fame potete dirlo. Non dovete vergognarvi.” C’è qualcosa in lui e in quel luogo che la rasserena, la fa sentire stranamente bene, a suo agio.
Continua ad avere timore che tutto possa svanire, ma vuole dare una risposta a quella domanda in un “si” appena sussurrato.
 “ Bene...” Un sorriso gli increspa le labbra.  “Dunque… voi pensate solo a riposare, mentre io vi porto qualcosa di caldo. ”
Lo vede scomparire dietro una porta accanto al grande camino. Rimane sola e per un momento il timore che ogni cosa possa dissolversi torna ad insinuarsi sotto la pelle, la posa si irrigidisce, le mani si poggiano sul tessuto del divano e le dita arpionano il cuscino come a volersi ancorare a quel luogo, come se da un momento all’altro quel presentimento che sente albergare in lei potesse diventare reale: non vuole che tutto scompaia, non vuole riprovare la sensazione avuta al risveglio, di gelo e desolazione.
La neve fuori continua a cadere silenziosa e il fuoco a crepitare nel camino, ma ha paura che muovendosi tutto scompaia; nella stanza ogni cosa emana tranquillità, mentre un orologio scandisce il tempo con il suo ticchettio monotono e rassicurante.
Si immerge in quel suono, lo asseconda chiudendo gli occhi, ha come un potere ipnotico che l’allontana svuotandole la mente da ogni pensiero. Ne segue il ritmo, cerca di adeguarvi il respiro e il battito del cuore. Il suono del tempo che passa, che si scompone in momenti che si depositano gli uni su gli altri e sanno diventare passato nello  stesso istante in cui accadono.
Negli  occhi quell’ombra di smarrimento le ha dilatato lo sguardo, mentre la sorpresa di ritrovarsi immersa in quella stanza la fa sentire come un’ubriaca.
Senza quasi volerlo sussurra: “Ares.” Mormora con la voce che le vibra di timore, con la mano tamburella sul cuscino del divano per invitarlo a raggiungerla
Il cane apre gli occhi, scodinzolando la raggiunge. Poggia il muso accanto a lei e la guarda.
La mano si muove piano, è lo stesso cane che ha incontrato alla stazione, ma già una volta come il resto, era scomparso e il vuoto l’aveva avvolta.
Le dita si poggiano sul pelo morbido e il calore torna a diffondersi sotto i polpastrelli.
Ad un tratto lui compare sulla porta, si ferma a contemplare quella complicità tra il suo cane e quella sconosciuta, piacevolmente colpito da quell’intesa. Porta con se un vassoio.
“Spero questo possa andare bene.” Sorride e poggia il vassoio sul piccolo tavolino intarsiato e immediatamente si spande nell’aria un profumo invitante. “ Su, mangiate prima che si raffreddi”. La esorta, e lo fa con un sorriso, poi fa un cenno per richiamare il cane che lo segue riluttante.
Lei guarda il vassoio, il tovagliolo ricamato, il cucchiaio d’argento, la porcellana. “ Vi assicuro, che è buono. Fidatevi” La incoraggia e lei ancora una volta si muove con gesti lenti e pieni di timore. “ Grazie.” Sussurra a fior di labbra, così fievolmente che è sicura che non può averla sentita, aspettandosi che tutto da un momento all’altro si dissolva strappandola da quel luogo sicuro, facendola ripiombare nell’abbandono di una casa deserta.
“ Non dovete ringraziarmi.  Mi auguro vi sentiate meglio.” Lei fa un cenno di assenso con il capo. Il suono del cucchiaio  sulla porcellana le ricorda quello di una piccola campanella. Porta il liquido caldo alle labbra: è piacevole e confortante.
Poi prende il tovagliolo candito e ricamato tra le mani, ne avverte il delicato profumo di pulito così piacevole.  Indugia come a volersi assicurare che non nasconda in se un sentore di muffa.
Tiene gli occhi bassi, ma lo vede voltarsi, avvicinarsi ad un mobile e versare da una bottiglia in un bicchiere lavorato  finemente, un liquido ambrato il cui avverte l’aroma aroma spandersi nel tepore della stanza.
Lo osserva, è sicuro ed elegante. Tiene il bicchiere tra le mani e si siede sulla poltrona di cuoio dall’aspetto vissuto proprio accanto al camino, accavalla le gambe e rimane a fissare il fuoco. Oscilla leggermente il bicchiere, facendo roteare il contenuto che continua a sprigionare il suo aroma. Gesti disinvolti, che lo fanno sembrare uscito dalle pagine di un libro. Come tutto quello che lo.
Immerso nei suoi pensieri, lo sguardo distante sembra perdersi in un luogo lontano. La mano continua a far roteare lievemente il contenuto del bicchiere. Ogni tanto lo porta alle labbra, senza cambiare posa. Il cane fulvo gli si è accovacciato affianco, la stanza è immersa in una quiete senza tempo. Tutto è così separato da quel luogo, la sua vita, quello che era, sembrano momenti di qualcuno che fatica a ricordare, una lei che per tanto tempo è stata prigioniera di emozioni e di un tempo non suo.
Continua ad assaporare il piacere di quel cibo caldo, e quel calore le penetra dentro, la culla e la fa sentire al sicuro. Ogni volta che sbatte le palpebre ha paura che quello che tornerà a guardare non le restituisca quelle immagini. Quando posa il cucchiaio il tintinnio lo fa voltare. “ Si, state decisamente meglio. Avete ripreso colore. Eravate pallidissima.” Le dice sorridendo, mentre non può fare a meno di notare che quel sorriso appena accennato gli ha illuminato lo sguardo, che la luce del camino rende ancora più trasparente, accendendogli i capelli di riflessi.
“ Grazie.” Continua a sentire quella parola sulle labbra e si sente una sciocca.
“Non dovete, davvero, non ringraziatemi…” Torna ad indirizzare  lo sguardo verso il camino, forse perché ha capito il suo imbarazzo e non vuole metterla a disagio.
“ Adesso è meglio che vada. Ho approfittato anche troppo…”  Di nuovo quella vertigine che l’aveva costretta ad accasciarsi al suolo torna a farla vacillare. La luce l’abbaglia e le rimanda contorni sfocati e figure indistinte. Nuovamente il freddo la stringe nel suo abbraccio, sente la nausea chiuderle lo stomaco e montarle la salivazione. Non sa se riuscirà a trattenere quello che ha mangiato e non vuole dare di lei quello spettacolo. Ha paura, non comprende cosa le stia capitando, sa solo di non sentirsi bene. E’ come se fosse  febbricitante. Quando riemerge da quel malessere le sembra passato il tempo di un battito di ciglia, ma quello che la circonda le rimanda l’immagine di anni di desolante abbandono.
La stanza è silenziosa, il camino è spento, non c’è la luce delle lampade, l’aroma del brandy è scomparso, ed è tornato quello pungente di muffa: non c’è più lui, né il cane fulvo.
  
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