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Autore: Chiara PuroLuce    16/10/2023    4 recensioni
Patty ha preso una decisione importante e non intende tornare sui suoi passi. Holly l'ha fatta troppo soffrire e l'ha delusa. Ma proprio questo dolore assoluto, la porta a rinascere proprio lì dov'era nato il loro amore, a Nankatzu, lontano da lui. E quando pensava di essere andata oltre, lui ricompare nella sua vita e...
Holly non riesce a crederci. Patty è riuscita a sconvolgerlo e ora non gli rimane che rimettere insieme i pezzi della sua vita. Come fare? Non lo sa, ma deve almeno provarci. E proprio quando crede di esserci riuscito, ecco che il destino si mette in mezzo e...
Due cuori che sembravano destinati al per sempre, sono in crisi, ma non tutto è perduto... o forse è già troppo tardi? Dicono che il tempo è la miglior medicina, ma sarà vero? Possono due anime ritrovarsi dopo essersi perdute per tanto tempo? Il dolore ha scandito le loro vite in modi diversi, ma riusciranno a superarlo e a rimettersi in... gioco? L'amore vero è davvero così potente da superare anni di silenzio e lontananza? Patty e Holly ancora non lo sanno, ma stanno per scoprirlo.
Genere: Romantico, Sentimentale, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Tsubasa Ozora/Holly
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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«Ehilà, cognatino. Ti sei ripreso dal colpo? Io non ancora.»

Così dicendo, Daichi agguantò con un braccio le spalle di Nobuo che stava passando accanto a lui in corridoio. Nobuo che, preso alla sprovvista, fece cadere il corposo plico di fogli che aveva in mano.
 
«Non sono tuo cognato» lo riprese Nobuo.

«Balle. Lo siamo. Tutti. E. Due.» Rimarcò l’ovvio lui. «Devo dire che la cosa non mi dispiace e...»

«Ah, piantala!» Lo bloccò lui liberandosi le spalle dal suo braccio. «Guarda che disastro hai combinato. Ci avevo messo mezz’ora a metterli tutti in ordine» disse infine accucciandosi a raccoglierli mentre imprecava contro l’amico.

«Ed ecco perché non faccio mai il rappresentante di classe o entro nel consiglio scolastico, come te. Scartoffie qua. Scartoffie là. Sposta di qua. Metti di là. No, non fa per me. Dai, ti do una mano. È colpa mia dopotutto, mi sembra il minimo che possa fare» e così dicendo lo raggiunse e iniziò a raccogliere fogli.

«Grazie, ma per sdebitarti come si deve, mi aiuti a sistemarli tutti di nuovo. E non provare a protestare. Non basta scusarsi. Se fai il danno, lo ripari» gli disse quando lo vide pronto a replicare.

«Dannazione, che despota che sei diventato. E va bene, affare fatto... cognatino.»

«E smettila con questa storia. Patty e quel cretino di tuo fratello sono stati sposati per un anno e separati per cinque. Conteranno pure qualcosa. Sulla carta saranno ancora marito e moglie, ma la cosa finisce lì.»

No. Lui non ne era così convinto. Sentiva che quei due erano ancora legati. Lo aveva percepito quando Patty erra caduta dalle scale fuori dallo stadio e Holly l’aveva soccorsa. Lo sguardo di suo fratello, la sua voce incrinata dalla paura... gli avevano aperto gli occhi e ora era sicuro che lui l’amasse ancora e... Patty? Non ne era ancora convinto totalmente, ma da quello che aveva captato fuori dalla sua porta qualche giorno prima mentre parlava con Holly, poteva essere.
 
«Mah, non sta a noi dirlo. Se la vedranno tra di loro. Sono adulti. Un po’ stupidi, ma lo sono» gli ricordò. «Anche se, devo dire, che tua sorella non lo è stata molto con i miei. Va bene essere ferita, ma sminuire Holly davanti a loro, è stata una bella carognata. Non se lo meritavano. È vero, le hanno dato ragione, ma poi sono stato io a tornare a casa con loro e ho visto il dolore nei loro occhi. Anche noi abbiamo sofferto in questi anni cosa credi.»

«Mai quanto noi» rispose l’amico con voce incrinata dopo una lunga pausa. «Mai come noi. A noi è stato strappato il cuore, la speranza, la gioia per... e nessuno ce le ridarà indietro» gli urlò contro prima di rialzarsi con molti fogli in mano. «Andiamo in biblioteca, lì nessuno ci disturberà.»

Come? Che cazzo stava per dirgli Nobuo prima di interrompersi bruscamente come se... sì, come se avesse parlato troppo. Daichi era confuso. Lo sguardo dell’amico era chiaramente sofferente, non stava fingendo di esserlo, ma allora perché non dire cosa lo tormentava. Doveva farlo parlare.
E ce la mise tutta, ma davvero tutta. Senza successo. Erano passati venti minuti buoni e ancora non ci era riuscito, nonostante diversi tentativi. Stava perdendo la pazienza.

 
«Abbiamo finito, grazie» gli disse infine recuperando anche il suo mucchio di fogli ora ordinati e alzandosi per andarsene.

«Ma grazie, cosa. Grazie un cazzo» si risentì lui. «Rimettiti seduto che non abbiamo finito noi.»

«E invece sì, fattene una ragione» reagì lui allontanandosi. «Senti, i nostri rapporti sono tornati civili e ok, ma non possiamo dirci amici come prima e di sicuro non siamo cognati.»

«Hai sentito tua sorella ieri, no? Il gran pasticcio che c’è stato in Spagna ha fatto sì che tutte le sentenze di quel giudice fasullo, siano state annullate. Insomma, siamo ancora tutti un’unica famiglia» insistette lui.

«Sulla carta certo, Daichi, ma quello non basta a chiamarsi così se non c’è più il sentimento. E credimi, Patty odia tuo fratello, con tutta se stessa, nonostante quello che va a dire in giro sul fatto che le sia indifferente. Ha una buona ragione per odiarlo, buonissima e io non posso che appoggiarla.»

«E quale sarebbe? Ho capito che stai nascondendo qualcosa, non sono stupido. C’è qualcosa che non state dicendo, voi Gatsby intendo e non lo trovo corretto perché sono convinto che coinvolge tutti, non solo voi. Hai detto che questa buona ragione giustifica l’odio di Patty verso Holly, no? Bene, dimmela, così posso confermartelo oppure no. Posso giudicarlo da me.»

Daichi lo vide indurire lo sguardo e poi scuotere la testa. Testardo fino alla fine. Era diventato un osso duro. Però era anche ammirevole, perché stava proteggendo quel segreto con tutto se stesso. Doveva essere proprio sconvolgente.
 
«L’unica cosa che puoi fare ora, è tornare in aula. Tra un’ora si chiude la Festa di Primavera e il presidente aspetta i resoconti finali da ogni aula. Così, mentre voi tutti tirerete il fiato, in attesa della festa di stasera col falò, noi del Consiglio Studentesco saremo occupati a vagliare i risultati per decretare il vincitore. Sbrigati. A quanto ne so, sei tu il responsabile della classe per il vostro progetto e quindi, tocca a te il lavoro finale. Niente favoritismi.»

Oh, cazzo, se l’era dimenticato. Sicuramente lo stavano cercando e lui aveva detto che andava solo al bagno per cinque minuti, poi era uscito dall’aula e si era scontrato con Nobuo. Sicuramente i suoi compagni erano furiosi con lui.
 
«Non cambiare discorso Nobuo. Sai che so essere sfiancante quando voglio. Prima me lo dici e meglio sarà per tutti, non credi?»

«No!» Si oppose lui con fermezza. «E poi chi sarebbero questi tutti. Oltre a noi famiglia Gatsby non c’è nessun altro che ne è coinvolto, quindi piantala con queste scemenze. C’è un lavoro che ti aspetta e che da solo non si fa. Gradiremo avere i risultati in tempo – pena l’esclusione della tua classe dalla lista dei migliori progetti, con negazione del premio – e questo per potere decretare il vincitore.»

Dannazione, lo aveva perso. Daichi si dichiarava momentaneamente sconfitto.
 
«Non finisce qua, sappilo. Io non mollo.»

«Fai come credi, per me è tutta fatica sprecata. Ti dico solo una cosa, lascia perdere. Basta la nostra di sofferenza. E credimi se ti dico che non avrà mai fine» disse con sguardo triste prima di andarsene.

Daichi non ebbe il coraggio di fermarlo. Aveva la sensazione che quel segreto fosse più brutto di quello che aveva pensato.
 
 



 
«Oh, era ora che rimettessi in moto le tue ormai arrugginite celluline grigie.»

Holly sobbalzò sul posto e iniziò a tossire. Non si aspettava un agguato di Patty in piena regola. Al buio. Appostata vicino al campo principale presente al ritiro. Non l’aveva vista, troppo preso com’era dal perfezionare un qualcosa che aveva in mente. Si era appena seduto sulla panchina, sfinito, ed era intento a bere avidamente dell’acqua quando lei aveva parlato. Facendogliela andare di traverso.
 
«Non c’è bisogno che mi muori qua davanti per farmi capire che ti stai impegnando, finalmente» lo prese in giro. «E dunque, a che si deve questo slancio di ingegno. Nostalgia del periodo pre Spagna? Non avevi un cazzo da fare? Non riuscivi a dormire? Eh, lo so, più si avanza in età e più la digestione risulta difficile e lunga.»

«Ah, ah, ah, non sei spiritosa per niente» le rispose lui una volta ripreso. «Ho un’idea in testa e voglio vedere se è fattibile, prima di proporla ai Mister. Ti sembra così strano?»

«Decisamente. Un evento più unico che raro. Non è più da te» gli disse andandosi a sedere accanto a lui e allungandogli l’asciugamano.

Holly avrebbe dovuto risentirsi di quelle parole, ma quel gesto un tempo così familiare lo distrasse e lo fece sorridere.
 
«Grazie, mia bellissima aiutante in seconda.»

Aveva usato volutamente quel termine per suscitare una reazione in lei e infatti arrossì molto. Si era ricordata. Holly era solito chiamarla così quando Patty lo aiutava con le fasciature o assisteva durante i suoi allenamenti privati, ma era una cosa che sapevano solo loro due e che aveva contribuito a unirli poco per volta.
 
«Prego, mio eroe autolesionista» e poi gli sorrise.

Dio, quanto amava quel sorriso impertinente. Gli era mancato.
 
«Io non starò dormendo, ma neanche tu a quanto pare visto che sei qui a distrarmi.»

«Distrarti, dici. E come? Eri già in pausa di tuo.»

«La tua sola presenza mi distrae, Patty. Anche se stai zitta, mi distrai.»

«Ah, ok. Be’... allora me ne va...»

Ma non fece in tempo a finire la frase perché lui la prese per mano e la tirò verso di sé, facendola cadere tra le sue braccia.
 
«Holly, ma che fai? Lasciami andare, subito!» Gli intimò, inutilmente.

«Cinque minuti, Patty. Poi potrai alzarti, schiaffeggiarmi, insultarmi, andartene, quello che vuoi. Ma ora ho bisogno di ricaricare le pile, sono sfinito.»

E così dicendo posò la testa sulla spalla di Patty e chiuse gli occhi. Si stava proprio rilassando.
 
«Non essere così rigida, tesoro, rischi di cadere. Guarda che non ti mangio» le sussurrò.

«Uff, sei impossibile. Ma hai ragione.»

E poi fece qualcosa che lo spiazzò e rese felice al tempo stesso. Gli passò un braccio dietro il collo e iniziò a massaggiargli i capelli. Holly per poco non si mise a fare le fusa.
 
«Em, scusa, sono un po’ sudato.»

«Non importa. Sei davvero stanco e si vede, hai bisogno di questo. Per una volta posso fare un’eccezione. Anche se non mi interessi più, non vuole dire che sono insensibile. E poi non è la prima volta, vero? Ci sono state molte occasioni in cui io... em... dopo che noiii... sì, insomma... hai capito, no? Ti prego, non farmelo dire.»

«Ahahah, ho capito, anche se mi piacerebbe davvero tanto sentirtelo dire» le confessò alzando la testa a guardarla per poi rimanerne incantato.

Patty era bellissima già di suo e il tempo l’aveva solo migliorata, ma quando arrossiva era semplicemente meravigliosa. Si perse nei suoi occhi imbarazzati. Istintivamente si avvicinò a lei, voleva così tanto baciarla e poi... poi non seppe chi avesse fatto la prima mossa, ma si ritrovò incollato alle sue labbra.
Fu un bacio profondo dettato dall’istinto e dalla passione che finì troppo presto e li lasciò senza fiato. La stanchezza era sparita. Si sentì galvanizzato e felice come non gli succedeva più da anni e la causa di questo suo benessere era sempre e solo lei, la donna che ora era tra le sue braccia, Patty. L’unica che poteva farlo sentire così.
Avrebbe voluto dirle Ti Amo, riempirla di complimenti, ma non voleva farla scappare. Momenti come quelli erano preziosi e lui doveva impegnarsi ad aumentarli. No, non esattamente. Doveva farglieli desiderare. Era diverso.
Per il momento, però, era ancora lontano dall’obiettivo infatti...

 
«No. Nonononono, no! Così non va bene, proprio no» gli disse rimettendosi in piedi e iniziando a camminare avanti e indietro.

«Oh, andiamo Patty, ogni volta che ci baciamo devi fare la melodrammatica?»

«Cosa? No. È solo che... oh, insomma... è pericoloso. Tu sei pericoloso.»

«Io? E perché mai? Io direi che quella pericolosa sei tu.»

Ma lei non lo stava ascoltando. Patty aveva iniziato a parlare da sola e Holly si mise comodo e si godette lo spettacolo.
 
«Cazzo, così non va. Devo smetterla di assecondarti. Devo smetterla di cedere. Mi piace baciarti sia chiaro, mi è sempre piaciuto, ma la cosa finisce qui. Siamo due ex, Holly, e gli ex non si baciano.»

«Ah, davvero? E dove sta scritto?» La provocò.

«Anche se hai delle belle labbra e sai baciare molto bene, i baci tra noi saranno out, d’ora in poi. Mi sono mancati, ok, è vero, ma questo non vuole dire che devo ricambiarli ogni singola volta che me ne dai uno» continuò lei imperterrita come se non lo avesse sentito.

«Oh, no, no, fallo pure. E che cazzo. Se poi volessi spingerti anche oltre...»

«Non va bene. No. Finito. Chiuso. Bas...»

E niente, non aveva resistito. Seguendo il suo istinto, Holly si era alzato e l’aveva raggiunta di spalle per abbracciarla stretta.
 
«Rilassati, cara. È solo un abbraccio» le disse sentendola irrigidirsi.

Forse non era stata una buona idea. I loro visi si toccavano tramite le loro guance mentre un braccio circondava la vita di Patty, l’altro si era ancorato saldamente al suo seno che – notò con stupore – si era leggermente riempito e ora i suoi capezzoli premevano turgidi contro il suo braccio. Che il cielo lo aiutasse, anche una parte ben precisa di lui si era irrigidita all’istante.
Era solo un abbraccio, sì, come no e lui era vergine. Senza potersi controllare, Holly iniziò a baciarle leggermente la spalla e la sentì trattenere il fiato dalla sorpresa.

 
«Stai sfidando la sorte» gli disse infatti con voce ridotta a un sussurro.

«Allora, con il tuo permesso, la sfiderò ancora un poco» replicò lui spostandole i capelli per posare un altro lieve bacio sul collo, per poi scendere lungo le scapole e... eh?

Holly si ritrasse di scatto, la liberò dal suo abbraccio e... e rimase fisso come un ebete a guardare il collo di Patty.
 
«Qualcosa non va?» L’interrogò lei girandosi a guardarlo.

«Quando... quando hai fatto quel tatuaggio?»

«Ah, quello» disse lei con voce atona «l’ho fatto in Italia.»

«Oook e... chi è Mairi?»

E lì la vide sbiancare, oddio... stava per svenire?
 
«Vieni con me, sulla panchina, almeno se svieni non cadi per terra» le disse preoccupato prima di trascinarcela di peso.

Cazzo, stava veramente male. Patty aveva lo sguardo perso, fisso e stava sudando freddo. Istintivamente prese la sua bottiglia d’acqua e gliela porse.
 
«Bevi, per carità. A piccoli sorsi. E respira.»

E lei eseguì tutti i suoi comandi, senza protestare. Solo quando la rivide prendere colore, Holly azzardò sa tornare sull’argomento.
 
«Patty, trovo che il tuo sia un bellissimo tatuaggio, anche se non avrei mai detto di vedertene addosso uno, ma vorrei saperne di più. Perché proprio lì? Cosa rappresenta? E perché il nome Mairi ti ha così sconvolta?»

In effetti non aveva mentito, era davvero ben fatto, ma Patty era l’ultima persona che pensava potesse farne uno.
Un cuore rosso con due grandi ali bianche ai lati che puntavano verso l’alto, con un’aureola dorata sopra e il nome Mairi scritto nel mezzo. Doveva essere appartenuto a qualcuno che era molto importante per lei se il solo sentirlo nominare la mandava in tilt completo. Finalmente lei parlò.

 
«Sai, Mairi è stata – ed è tutt’ora, anche se non c’è più – qualcuno che ha lasciato un segno indelebile nella mia vita e che mi ha resa ciò che sono oggi. La sua è stata una presenza simile a quella di una meteora, ma dal mio cuore e dalla mia testa, non se ne andrà mai. Ho voluto ricordarla anche così.»

«Che cosa le è successo? E chi era questa bambina? Perché, se ho capito bene, purtroppo, è morta che ancora lo era, giusto?»

«Giustissimo» gli rispose lei con un filo di voce appena udibile e gli occhi lucidi.

«Mi spiace. Non dirmi altro se non te la senti, per ora. Vedo che ti turba molto questo argomento e che non sei ancora pronta per parlarne, quindi mi basta così. Per quello che vale, mi rattrista molto questa morte ingiusta. Ma sono sicuro che lei sa di essere stata importante per te e in qualche modo ti è ancora vicina. Forse sono parole banali le mie, ma...»

E lì, Patty lo sorprese ancora una volta scoppiando a piangere a dirotto mentre ripeteva come un mantra il nome della bambina e lo stringeva stretto.
 
 



 
Patty pianse tutte le sue lacrime aggrappata al petto di Holly come un ancora al fondale. Pianse perché l’empatia di Holly l’aveva spiazzata. Pianse per la sua – la loro – bambina deceduta ancora prima di nascere. Sì, bambina, perché per lei lo era ugualmente, anche se per molti non poteva essere tale, non essendo ancora nata. Pianse perché non era riuscita a confessare a Holly quel segreto, nonostante ne avesse avuto l’occasione. Infine, pianse per se stessa che era una bugiarda e una codarda perennemente in lutto.
Diversi minuti dopo, si riprese e lo lasciò andare. Holly la stava guardando con un sorriso impacciato sul volto.

 
«Oddio, scusa, scusa, ti ho inzuppato la divisa» esordì.

«Ah, non importa, lo sai che ne ho due come tutti. Ne avevi bisogno, di piangere intendo e se vorrai ancora parlarmi di lei, di Mairi, dovrai solo cercarmi. Me lo prometti? Voglio sapere tutto di lei.»

«Pro... promesso, ma non subito. Voglio che tu affronti il Mondiale senza ulteriori pensieri nella testa e non voglio turbarti in nessun modo prima della sua fine.»

«Ma... ma no, nessun turbamento. Sono perfettamente in grado di venire a conoscenza della sua triste storia e, nello stesso tempo, di rimanere concentrato in campo, durante le partite.»

No, non lo sarebbe stato. Non se avesse saputo la vera identità di quella Mairi di cui bramava tanto sapere la storia. Quando prima le aveva chiesto di chi fosse la bimba... per poco il cuore di Patty non era esploso in mille pezzi.
Era nostra, è nostra! Avrebbe voluto urlare, ma non ce l’aveva fatta e le parole le erano morte in gola prima di uscire.
Decise di planare su un argomento più familiare e meno rischioso.

 
«Tu sei la nostra speranza, Holly. Fino a poco fa non ne ero certa, ma vedendoti così concentrato e impegnato alla ricerca di un nuovo tiro dopo tantissimo tempo... oddio, ora so che possiamo farcela a riprenderci la coppa e il titolo.»

«Lo spero davvero tanto, ma lo sai che non sarà solo per merito mio, vero?»

«L’importante è che lo sai tu. Dio, non immagini nemmeno come mi fa felice sentirti parlare di nuovo così. Lo sapevo io che quel postaccio non ti ha portato nulla di buono. Spero che quando ci tornerai, inizierai a usare la tua testa e non quella del tuo caro mister, ok? Non dovrai mai più essere il suo cagnolino, ma dovrai farti valere per il grande professionista che sei. Hai una testa, Holly, riprendi a usarla.»

«Pensavo di averlo sempre fatto e invece ora mi rendo conto che no, mi sono adagiato troppo sugli allori e ho lasciato che altri decidessero per me. Grazie per avermi aperto gli occhi per prima, mia cara. Non mi hai mai mentito e io ti ho ignorata e allontanata da me, potrai mai perdonarmi?»

Ti ho mentito. Ti ho mentito. Ti ho mentito. Ti ho deliberatamente mentito nel modo più meschino che potessi fare. E mi odierai, Holly. Appena saprai chi è Mairi, mi odierai a morte e per sempre. E avrai tutte le ragioni di questo mondo.
Ho mentito a tutti. Ha ragione l’avvocato, devo sbrigarmi a parlare di lei prima che lo faccia qualcun altro. Quindi... forza Patty, riprovaci prima che questo momento finisca.

 
«Riguardo a Mairi, iooo... eccooo, sì, io devo dirt...»

«No, ti ho detto che non è necessario farlo per forza ora. È tardi, sono stanco e lo sarai anche tu. Me ne parlerai, ma non adesso» le disse raggruppando le sue cose e alzandosi. «Allora, prima di andare dimmi... mi perdoni per essere stato così tanto stupido da averti trascurata?»

«Em, non lo so, ci devo pensare» gli disse con fare ironico.

«È un inizio promettente» commentò lui.

«Non perdere la speranza, magari un giorno accadrà» gli rispose facendolo ridacchiare. Ma poi tornò seria. «Davvero, Holly, è importante che ti racconti di lei, di Mairi e...»

«Ah, ecco chi sentivo parlare» li interruppe Mister Gamo «che ci fate fuori a quest’ora? È mezzanotte, per la miseria. Ho interrotto qualcosa?»

E niente, non era destino, punto. Confessione rimandata.
 
«Scusi, Mister, è colpa mia. Purtroppo, nessun appuntamento clandestino con questa bellezza al mio fianco» disse guardandola e facendola arrossire, suo malgrado. «Stavo solo provando un’idea per un nuovo tiro e lei mi ha sorpreso, tutto qui.»

«Un’idea? Davvero, Hutton? Che miracolo. A quanto pare ha ragione tua moglie, avevi solo bisogno di cambiare aria per tornare te stesso. Molto bene, ne sono felice. Sicuro di volere ritornare in Spagna?»

Appunto. Non che lei lo volesse lì a Nankatzu dove in qualsiasi momento poteva vederlo, beninteso, ma quella Nazione non faceva per lui. Non aveva mai capito il perchè avesse deciso di abbandonare il Brasile per finire lì. Cosa ci aveva visto di così speciale? Di certo il mister spagnolo, non lo rispettava come meritava e questo fin dal primo momento, quindi... per lei rimaneva un mistero.
 
«Ho un contratto da rispettare Mister. Alla sua scadenza, deciderò. Fino ad allora rimarrò fedele al mio impegno e gradirei non sentirne più parlare male. Mi trovo bene e mi sono integrato perfettamente. La Spagna è un bel paese e la gente mi piace. Devo molto a Mister Edward e, contrariamente a quanto dite tutti voi, lui mi lascia spazio di creatività, posso sperimentare, inventare, ma...»

«Oh, ma sta zitto» sbottò lei, arrabbiata.

Subito fu trapassata da due paia d’occhi curiosi che la scrutavano in attesa di qualche sua cattiveria, ma a lei bramava solo dire la verità. L’atmosfera serena di poco prima era rovinata, però non poteva stare zitta di fronte a quelle cavolate che aveva sentito dirgli con tanta sicurezza. E quindi continuò imperterrita.
 
«Cosa potresti fare tu, sotto il controllo serrato di quello lì? Nulla, te lo dico io, nulla. Almeno non raccontare balle. Oh, certo, gli devi qualcosa a lui... il manico del guinzaglio di corda che ti ha stretto al collo e forse anche un po’ del tuo sangue. Ma nulla di più. Mi ricordo i primi tempi. Eri così ansioso di proporgli le tue idee per sviluppare un nuovo tiro che partivi da casa tutto galvanizzato e tornavi demoralizzato perché lui non le aveva nemmeno prese in considerazione. E così, a poco a poco, hai smesso di farlo e ti sei adeguato a essere il suo ennesimo burattino. E gli effetti si vedono.»

«Quella che mente qui, sei tu» rimbottò lui ormai arrabbiato «come osi dire che...»

«Ha ragione lei, Holly. Tu stesso ti sei reso conto di alcune tue mancanze, ma fatichi ad ammetterlo. Sei già migliorato molto da quando sei tornato e il tuo gioco ne ha beneficiato, l’hanno notato tutti. In più, come se non bastasse, ti è tornata la voglia di fare, di migliorarti, di creare... prova ne è la tua presenza qui, ora, nel cuore della notte.»

«Sai cosa penso, Holly? Che prima dell’arrivo delle altre squadre dovresti guardarti dentro seriamente e farti un esame di coscienza. Se giungerai alla conclusione di avere ragione tu, allora mi scuserò per le mie parole, ma in caso contrario... dovrai ripartire da lì e tornare quello che tutti noi conoscevamo e stimavamo. Non manca molto, ma so che potrai farcela. Sei Oliver Hutton dopotutto.»

A quelle sue parole seguì un lungo silenzio, interrotto da una frase di Mister Gamo che la lasciò interdetta.
 
«Ed è per questo, Patty, che a seguito di un’attenta valutazione di noi Mister, ti abbiamo nominata “Manager addetta al ricevimento delle squadre straniere”, in parole povere... assisterai il nostro Capitano nell’accoglienza delle altre Nazionali all’aeroporto e in altre occasioni formali.»

«Cooosaaa?» Esclamarono all’unisono.

Per fortuna Holly era rimasto basito quanto lei se non di più, se era mai possibile esserlo.
 
«Ma... ma Mister, non esiste questa figura e non esiste che io lo faccia» protestò.

«Esiste da ora» replicò lui. «Te l’avremmo comunicato domani mattina, ma visto che sei già qua, ho anticipato i tempi.»

«Mister, come mai questa scelta?» Domandò Holly.

«Perché lei è la più qualificata tra le manager per esserlo e sono d’accordo anche loro. Sì, Patty, glielo abbiamo chiesto a tutte e il tuo nome è stato fatto da subito, all’unisono» le disse prima che potesse riprendersi dallo stupore. «Perché lei è tua moglie Hutton – anche se per uno strano scherzo del destino – e tu sei il Capitano della nostra Nazionale. È normale e giusto che sia lei ad affiancarti, non trovi anche tu? Perché lei, a differenza delle altre, è stata all’estero abbastanza a lungo da avere assorbito e appreso varie nozioni di comportamento, tali da mettere i nostri avversari a proprio agio fuori dal campo.»

Cheee? In pratica le stava dicendo che se lei non avesse confessato di essere stata in Europa per un anno, oltre che avere vissuto stabilmente in Spagna, non le avrebbe chiesto nulla? Non poteva essere così meschino.
 
«Mister, no. Non mi faccia questo, per favore» lo supplicò.

«Mi spiace, ma è già tutto deciso e anche i capi della Federazione Calcio, concordano. Il signor Katagiri poi, ne è entusiasta e ha appoggiato questa scelta di fronte a loro. Forza, ora a dormire, o domani mattina sembrerete degli zombie e poi potrebbero partire battutine neanche troppo velate al vostro indirizzo e io non farò nulla per farle cessare. Mi sono spiegato?» E se ne andò.

Cosacosacosacosacosaaaaaaaaaa? Assurdo, era assolutamente assurdo, vero?
 
«Holly, dì qualcosa, fermalo!» Lo implorò, ma ottenne solo un sorriso sghembo.

«Ah, Patty, dai... a che scopo dovrei fargli cambiare idea? Ti divertirai alla fine e poi ha ragione, tu sei l’unica tra le tue colleghe manager che può farlo e, in più, hai il vantaggio di essere mia moglie. In un certo senso i Mister ci hanno visto lungo, è quello che ci si aspetta da te.»

«Ex... ex moglie, Holly, ficcatelo bene in testa. Noi siamo ex, anche se una carta di merda dice di no. Ti giuro che, se avessi per le mani quel giudice fasullo, gli farei passare la voglia di spacciarsi per suo fratello defunto in meno di un minuto, altro che lasciarlo alla polizia. Chissà quante altre vite ha rovinato e vedrai che alla fine non le pagherà neanche tutte le sue cattiverie» s’infervorò. «Cambiando argomento... dimmi una cosa, ti prometto di non arrabbiarmi in caso me lo confermassi» e quando lui annuì titubante, proseguì «non è che sei stato tu a suggerire questa idea assurda ai Mister, vero?»

Ma Holly si limitò a ridere e a seguire il Mister verso il dormitorio urlandole un “Ciao Patty, dormi bene, se ci riesci, ahahah!”
E lì, lei non si trattenne più. Era stata incastrata un’altra volta, cazzo e questa volta era davvero furiosa.

 
«Vaffanculo, Holly, vaffanculo e rimanici» gli urlò contro sentendolo ridere ancora più forte in risposta.

Oh, questa me la pagherai Holly, anzi no, me la pagherete tutti e tre!, pensò. Poi tornò in dormitorio, controllò che Miss Fluffy nel suo gabbione dormisse beata e si infilò nel letto senza fare rumore, anche se era difficile superare il dolce russare di Eve.
 
 
 
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                             
Due settimane dopo, Aeroport de Barcelona      13h33’ a Tokyo
 
«Signore e signori, benvenuti a bordo di questo veivolo Iberia, sono il vostro comandante e insieme al primo ufficiale...»
 
Bla, bla, bla. Uffa. L’idea di essere chiusa sospesa per aria per circa tredici ore e mezza, non la faceva impazzire di gioia, ma di ansia.
Lei, Esper... no, Bianca Cou – reputava Esperanza un nome orrendo e non lo usava mai – aveva una paura fottuta di volare e questo era un bel guaio. In primis, perché per cause di forza maggiore, spesso doveva andare in Giappone e in secondo luogo, perché con la sua imminente futura posizione lavorativa, avrebbe dovuto viaggiare spesso per il mondo e quella era l’opzione più veloce.

 
«Tutto bene?» Le domandò la sua vicina di posto.

«No, sto pregando che questo coso non precipiti all’improvviso e non siamo ancora partiti.»

«Ahahah, vedrà che senza accorgercene saremo atterrati a Tokyo» continuò quella... come si chiamava? «A proposito, non ci hanno ancora presentate. Sono Manuela, la moglie di Gonzales, piacere.»

Lei guardò l’energumeno seduto accanto alla ragazza e gli disse con fare canzonatorio.
 
«Dì un po’, Gordoba, questa tipetta qui tanto carina è davvero tua moglie?»

«In carne, ossa e... pancione» rispose lui con orgoglio.

Bianca guardò la pancia della sua compagna di volo e le sorrise. Sì, non era ancora pronunciata, ma si iniziava a vedere.
 
«Quarto mese, quasi quinto» la informò quella anticipandola. «Femmina. Ultima occasione di visitare l’estero prima del parto. Preferisco non rischiare. Ho l’ok del medico e quindi... eccoci qua, tutti e tre.»

«Fottuto bastardo, alla fine sei riuscito a riprodurti» disse infine al massiccio difensore del Barcellona e della Nazionale, facendolo imbarazzare e provocando la risata generale dell’intera Nazionale Spagnola. «Be’, auguri a entrambi. Meno male è femmina, perché avere in giro un altro con la tua faccia non l’avrei retto. Un’ultima cosa, datele un nome decente che non la faccia vergognare mai, per favore e non sceglietelo da ubriachi perché poi un giorno lei ve lo rinfaccerà.»

«Sarà fatto» le disse lui col pollice alzato. «Grazie per avere accettato di venire con noi. È davvero importante che tu ci sia» le ricordò infine.

«Sì, sì, lo so, me l’hai detto e ridetto. Missione Vero Amore, iniziata. Cosa non si fa per la squadra, vero? Anche volare per ore e ore imbottita di tranquillanti che, per inciso, non mi hanno ancora fatto eff... effett...»

Ed eccola lì, in procinto di cadere in un sonno profondo, per fortuna.
 
«L’arrivo a Tokyo è previsto per le 9.00 a.m. ora locale. Mettetevi comodi e godetevi il viaggio.»

Ecco, voi lavorate che io schiaccio un sonnellino. Vedete solo di non farmi risvegliare nell’altro mondo. E poi si addormentò.
   
 
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