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Autore: Jason_Trth Hrtz    16/10/2023    1 recensioni
1 — Occhi (Ballet!AU)
2 — Montagna (Modern!AU)
3 — Vecchio (Modern!AU)
4 — Puntuale (Canon Divergence)
5 — Bianco (Modern!AU)
6 — Corsa (Modern!AU)
7 — Vergogna (Canon Divergence)
8 — Medaglia (Figure Skating!AU)
9 — Caccia (omegaverse)
10 — Libreria (Bookshop!AU)
11 — Secondo (School!AU)
12 — Clown (Trick or Treat!AU)
13 — Quadro (Artist!AU)
14 — Grembiule (Cooking Classes!AU)
15 — Lento (Modern!AU)
16 — Vetro (Stalker!AU)
17 — Tradimento (Canon Divergence)
18 — Grappolo (Greek Mythology!AU)
19 — Incontro (MMA!AU)
20 — Sigaretta (Modern!AU)
21 — Pettegolezzo (Canon Divergence)
22 — Antidoto (Canon Divergence)
23 — Sabbia (Modern!AU)
24 — Tremore (Canon Divergence)
25 — Manette (BDSM!AU)
26 — Mandorla (Coffe Shop!AU)
27 — Compleanno (Modern!AU)
28 — Nascondere (Mafia!AU)
29 — Argilla (Modern!AU)
30 — Domino (Canon Divergence)
31 — Tomba (Canon Divergence)
Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it
Genere: Drammatico, Erotico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bloom Peters, Nuovo personaggio, Sebastian
Note: AU, Raccolta, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Note Importanti: sconsiglio la lettura alle lettrici e ai lettori troppo giovani e/o sensibili. La lettura di questo testo potrebbe triggerare chi ha vissuto situazioni simili in real life. Ho cercato di non andarci giù troppo pesante, ma, allo stesso tempo, non mi sentivo neanche di edulcorare la tematica né mi permetterei mai di romanticizzarla (al massimo, troverei una maniera catartica per affrontare il tema nella scrittura, ad esempio usando il CNC e affini). Quindi il risultato è una OS un po’ pesante, da scrivere e da leggere; soprattutto per chi ha vissuto dinamiche del genere sulla propria pelle.

Fino all’ultimo sono stato tentato di cancellare quello che avevo scritto e sviluppare questo prompt (vetro) nella maniera più letterale. Ad esempio, scrivendo di Bloom che impara l’arte della soffiatura del vetro dal Maestro Vetraio Sebastian, a Venezia, ma alla fine ho voluto optare per l’usare questo Writober 2023 anche per raccontare le anime di coloro che hanno vissuto momenti traumatici come quello che state per leggere. Spero di aver fatto un buon lavoro, almeno nelle intenzioni. Mi ha abbastanza svuotato scrivere questa breve OS.

Oltre a darvi il mio conforto virtuale, non saprei cos’altro aggiungere—che non sia banale.

Sappiate solo che il problema non siete voi, non lo siete mai state/stati. La responsabilità di quello che vi è accaduto non è vostra, ma di chi si è approfittata/approfittato del vostro tempo e della vostra vulnerabilità.

Vi auguro ogni bene.

 

Lo so che il corretto ordine delle parole nel titolo dovrebbe essere: Tints, Tones & Shades (mancano anche altre diciture legate a questo mondo), ma ho arbitrariamente deciso di assegnare alle parole questo ordine per una pura questione di piacevolezza di pronuncia consequenziale delle parole. Spero capirete, grazie.




𝘘𝘶𝘦𝘴𝘵𝘢 𝘴𝘵𝘰𝘳𝘪𝘢 𝘱𝘢𝘳𝘵𝘦𝘤𝘪𝘱𝘢 𝘢𝘭 𝘞𝘳𝘪𝘵𝘰𝘣𝘦𝘳 𝘥𝘪 𝘍𝘢𝘯𝘸𝘳𝘪𝘵𝘦𝘳.𝘪𝘵

Prompt giorno 16: vetro

 

 

 

[Stalker!AU]

 

 

 

STALKER

3005 parole


 

Era tornato a disturbarla anche durante le ore del giorno. Non bastava aver contaminato i suoi sogni? O per meglio dire, incubi.

 

Puttana” recitava la scritta in stampatello sul vetro tirato a lucido dello specchio dalla cornice barocca. Aveva usato un rossetto rosso, probabilmente quello che da giorni Bloom non trovava più nella sua trousse e pensava di aver perso.

Erano passati tre anni dal suo ultimo messaggio. Sembrava essersi stufato di lei, perché non le aveva più mandato né messaggi sessualmente espliciti né fotografie che la ritraevano mentre dormiva nel suo letto o passeggiava con le sue amiche o, ancora, mentre faceva la fila da qualche parte. Pensava si fosse arreso, che magari fosse morto, o, egoisticamente, Bloom aveva sperato che chiunque fosse il suo stalker—dai messaggi sembrava riferirsi a sé come un uomo—si fosse spostato su un’altra vittima.

Bloom ci aveva messo un po’ di tempo a definirsi una vittima. La parola suggeriva impotenza, e a Bloom non era mai piaciuto sentirsi impotente. Ora più che in passato, dopo quello che era accaduto quei fatidici tre anni fa.

All’inizio si dava ogni colpa: di averlo in qualche modo giustificato, di essere stata troppo dura con lui e questo lo aveva spinto a vendicarsi su di lei, di aver fatto a sua volta del male a qualcuno vicino a lui e che quello che le stava accadendo fosse un modo per pareggiare i conti e farle capire come ci si sente. Ma, pensandoci bene, era giunta alla conclusione che niente di quello che poteva aver fatto nei suoi miseri sedici anni di vita, potesse giustificare un simile trauma.

 

Era iniziato tutto il primo giorno di iscrizione in palestra…

 

—ooOoo—

 

Aveva appena finito le sue due ore e, cambiatasi in fretta solo le scarpe, si rifiutava di condividere lo spogliatoio con donne adulte che non si facevano problemi a camminare nude di fronte a delle adolescenti—era bastata l’esperienza avuta quando li aveva usati due ore prima, per cambiarsi appunto le scarpe e indossare quelle adatte alla palestra. Avevano la suola immacolata e le usava solo all’interno, per non sporcare gli attrezzi.

Era arrivata da poco in Irlanda, aveva iniziato a frequentare la scuola cattolica da alcune settimane. Non aveva ancora fatto chissà quali conoscenze, figuriamoci amicizie, quindi aveva chiesto ai suoi genitori adottivi di potersi iscrivere in palestra. Non era mai stata in una professionale, neanche in America, dove era nata, ma aveva creduto che l’avrebbe distratta dai pensieri e dato una valvola di sfogo per la frustrazione e rabbia costante che la caratterizzava fin dall’infanzia.

 

Salutò lo staff della palestra, il personal trainer che la seguiva, si diresse alla fermata dell’autobus a cinquanta metri dalla struttura e salì di tutta fretta sull’autobus per tornare a casa. Scese a qualche fermata prima di quella più vicina a casa sua, era una misura di sicurezza che era solita prendere, ma evidentemente non aveva funzionato granché. Si fermò cinque minuti in un piccolo negozio di alimentari per acquistare un’altra bottiglietta d’acqua e una barretta proteica.

In resto del tragitto verso casa se lo fece a piedi. Entrò dalla porta d’ingresso e, dopo aver salutato tutti con un “sono a casa” ad alta voce, si diresse in camera sua per spogliarsi e infilarsi sotto il getto dell’acqua calda.

Uscendo dalla doccia, notò che la finestra della sua camera era aperta e che i vestiti sudati che aveva lasciato sul parquet erano spariti. Al tempo, non ci prestò troppa attenzione. Quella sera, litigò con sua madre adottiva perché Bloom l’accusò di essere entrata, per l’ennesima volta, in camera sua e aver messo mano alle sue cose, quando invece Bloom aveva ribadito più volte che preferiva farsi la lavatrice dei suoi vestiti da sola.

«Ero appena uscita dalla doccia, hai lasciato la finestra aperta e con il vento che tirava rischiavo di prendermi un accidente!» le disse, visibilmente agitata.

«Ti sto dicendo che io in camera tua non ci metto piede da anni»

Bloom le aveva dato le spalle e aveva alzato gli occhi al cielo, non credendole neanche per un secondo. Perché, crederle, significata ammettere a se stessa la possibilità che qualcosa di strano le fosse accaduto.

Poi erano iniziati i messaggi.

Messaggi che davano un voto a come era vestita quel giorno, che la sgridavano se era vestita “troppo provocante” per la sua età o le dicevano, neanche suggerivano, come avrebbe dovuto vestirsi la prossima volta che avesse messo piede fuori di casa. Messaggi che descrivevano nel dettaglio cosa l’anonimo avrebbe voluto farle quando la vedeva.

Bloom lo aveva creduto uno stupido scherzo, all’inizio. Uno scherzo inquietante, certo, ma sempre una trovata infantile da parte di qualcuno che era riuscito in qualche modo a ottenere il suo numero di telefono.

Poi si era passati alle foto.

Foto esplicite, personali, sue o del suo stalker. Foto che la ritraevano sotto la doccia o mentre dormiva.

Fu lì che Bloom cominciò ad aver davvero paura e a capire che non poteva essere solo uno scherzo. Nessuno che voleva fare solo uno scherzo si sarebbe spinto fino a quel punto, giusto?

Non aveva mai risposto a nessuno dei suoi messaggi. Sapeva che sarebbe stato inutile, o che comunque avrebbe mentito.

Per via della natura dei messaggi e delle foto, Bloom non se l’era sentita di rivolgersi alla polizia. Avrebbero aggiunto fuoco all’umiliazione, e Bloom non voleva che chiunque altro venisse a conoscenza di quel suo segreto.

“Con un po’ di fortuna—aveva pensato, sperando che quella situazione si sarebbe risolta da sola—e vedendo che non gli do corda, potrebbe stufarsi e smetterla. Capire che questi non sono i tipi di scherzi che fanno ridere, che mi sta molestando e creando dei traumi...”

 

—ooOoo—

 

In effetti, dopo un paio di mesi il suo stalker aveva smesso le sue giornaliere molestie.

Bloom era stata sollevata. La sua vita era ritornata quella di prima, seppur con una costante aura di essere in pericolo a farle venire i brividi ogni qual volta si sentiva osservata o si svegliava da un incubo in cui il suo stalker si intrufolava di notte nel suo letto, la drogava e abusava del suo corpo.

Quei pensieri erano rimasti con lei per tutti quegli anni, ma lentamente stavano venendo sostituiti da altri più felici.

Aveva avuto un ragazzo per circa un mese, Sky. Si trovava bene con lui, ma c’era sempre quella sensazione di potersi trovare in pericolo quando da sola con un uomo.

Si erano lasciati da qualche giorno.

 

Quella mattina si era svegliata e nel suo trilocale, ricevuto in eredità dai suoi genitori adottivi, regnava il silenzio. Tutto sembrava al suo posto, nulla fuori dall’ordinario aveva attirato la sua attenzione mentre si dirigeva in cucina. Aveva fatto colazione come al solito, leggendo le notizie del giorno e sfogliando il carosello di nuove foto dal profilo social di un ragazzo che aveva attirato la sua attenzione all’Università. Lo aveva visto per la prima volta solo qualche giorno fa, il suo primo giorno di lezioni, ma era incredibilmente tentata di presentarsi a lui e chiedergli di fare colazione insieme. Non voleva “spiarlo” per mesi, nella speranza che fosse lui ad accorgersi di lei. Le sembrava sbagliato, si sarebbe sentita in qualche modo simile allo stalker che aveva avuto lei in passato. Non era una bella impressione da lasciare a qualcuno per cui si ha un innocuo interesse.

Il ragazzo si chiamava Sebastian e frequentavano alcuni corsi insieme, sapeva solo questo. Non aveva idea di che età avesse, ma non poteva avere qualche anno più di lei, forse venticinque o ventisei anni.

 

Aveva fatto la doccia, si era vestita, truccata, sistemato i capelli e indossato le scarpe per uscire. Dopo quello che le era accaduto, aveva cominciato a indossare le scarpe anche quando era in casa, nel caso dovesse scappare a seguito di un intruso in casa sua. Se veniva invitata in casa di persone nuove, chiedeva sempre se avrebbe dovuto rimuovere le scarpe. Se la risposta era sì, Bloom si inventava una scusa e declinava l’invito. Dopo un paio di rifiuti, quelle stesse persone avevano smesso di invitarla, probabilmente convinte che la loro compagnia non fosse gradita a Bloom. Si sentiva in colpa di come faceva sentire le persone, ma allo stesso era un istinto più forte di lei. Se non si fosse protetta lei, chi lo avrebbe fatto al posto suo?

Esatto.

Bloom indossò la giacca che aveva lasciato la sera prima agganciata all’attaccapanni all’entrata e aveva recuperato le chiavi della sua macchina dal piccolo e sottile mobile all’entrata.

Fu in quel momento che la scritta sul vetro dello specchio le fu visibile.

Si pietrificò sul posto.

Che fosse la stessa persona di tre anni fa? La calligrafia sullo specchio sembrava simile a quella dei bigliettini che aveva trovato ogni mattina sotto il suo cuscino o dentro lo zaino scolastico.

Afferrò la statuetta decorativa sul ripiano del mobile e colpì ripetutamente lo specchio davanti a lei. Si frantumò in mille pezzi, intricandosi in una ragnatela di spaccature incongruenti, fino a crollare lungo la superficie della parete e raccogliendosi in parte sul tavolino e in parte sul pavimento. Bloom si era procurata qualche graffio, ma niente di grave. Gli occhi le si inumidirono e cominciò a mancarle il respiro.

La stanza ruotava e si stringeva contemporaneamente intorno a lei. Le orecchie le fischiavano e del sudore freddo le scorreva lungo la schiena. Si abbassò sui talloni, fino a toccare con il sedere il pavimento freddo in marmo.

Quella mattina non uscì di casa.

Non uscì di casa neanche i giorni successivi.

Si era chiusa in se stessa, aveva abbandonato l’Università e aveva preso a lavorare come babysitter a tempo pieno. Ogni giorno era in una casa diversa. Meno tempo passava in casa propria, meglio era per la sua salute mentale.

Non usciva più con le sue amiche, Stella e Aisha. Non usciva più in generale, non oltre le necessarie commissioni atte a sopravvivere. Si incappucciava fino alla cima dei capelli, nascondendo la sua chioma ramata in un cappello di lana. Era inverno, quindi vestirsi a strati ingombranti non straniva nessuno. Il vento su quella costa Irlandese non era da sottovalutare.

C’erano delle notti, quando non lavorava, in cui si recava agli strapiombi. Osservava gli scogli e le onde create dal mare impetuoso e pensava.

Pensava a cosa sarebbe successo se si fosse buttata di sotto.

Si chiedeva se sarebbe morta sul colpo o se avrebbe sofferto a lungo prima che la vita in lei l’abbandonasse definitivamente.

 

La voce roca e calda di un uomo alle sue spalle la distrasse dalla sua disperazione.

Le sembrava di riconoscerla, ma probabilmente era solo la sua mente che le faceva brutti scherzi. Non era possibile una coincidenza tale.

Si voltò di scatto, sorpresa di non essere più da sola con i suoi tormenti.

«Ti conosco?» gli aveva detto, sull’attenti.

«Ah, mi chiamo Sebastian».

Quindi era davvero chi Bloom aveva sospettato che fosse. Quell’isola era relativamente piccola, in fondo.

«Io sono Bloom, frequentavamo la stessa Università» gli rivelò subito. Sarebbe stato imbarazzante fare le presentazioni ora, senza menzionare che di sfuggita si conoscevano già.

«Ah, non ti avevo riconosciuta» le disse, avvicinandosi di un passo. La luce della luna gli illuminò il volto.

Bloom aveva una cotta per lui, ma sul momento si rese conto che risultava ridicolo focalizzarsi su quell'aspetto, dopo ciò che le stava accadendo. Fece un passo indietro. Sentiva il vento sferzare sulla sua schiena. Era pericolosamente vicina al bordo, lo sapeva anche senza voltarsi. Sembrava averlo notato anche Sebastian, perché cercò di farla ragionare.

«Potremmo andare a prenderci una cioccolata calda, che dici?» le propose. «Conosco un posticino tranquillo e confortevole. Fa freddo qui, no?» disse, tentando di riportarla in una zona sicura.

Bloom apprezzò il gesto. A quanto pareva, ricevere aiuto era tutto quello di cui aveva bisogno in quel momento.

 

Presero quella cioccolata calda e parlarono del più e del meno, impegnandosi a evitare di parlare del perché Bloom si trovasse così vicina a quello strapiombo, di notte, da sola.

«Tu cosa ci facevi lì?» volle sapere comunque Bloom.

«Facevo visita a un amico» le rispose sorridente.

«Amico o… amica? Se non sono indiscreta» chiese ridacchiando, fingendo di essere semplicemente una persona pettegola. Quella cotta che provava per lui non si era assopita del tutto, a quanto pareva.

«In realtà», disse lui, «è a malapena una conoscente»

«Ma a te piace, deduco, da come ne parli» rifletté Bloom, tornando seria. Come aveva potuto pensare di piacere a qualcuno come lui? Non importava da quanti anni Bloom vivesse lì in Irlanda, per tutti rimaneva una straniera: l’americana. Neanche i suoi capelli rossi riuscivano a “ingannare” le persone, appena la sentivano parlare, il suo accento sporco la portava allo scoperto.

«Mi hai scoperto». Un sorriso colpevole gli decorò il volto rassicurante, e rivolse il suo sguardo prima alla tazza di cioccolata calda che aveva in mano e in seguito a lei, mentre ne consumava il suo contenuto. «Lei non mi vede in quel modo» rivelò.

«Te lo ha detto lei?» gli chiese, curiosa della sua insicurezza.

«Non c’è stato bisogno. Sono invisibile per lei...»

«Questo non puoi saperlo se non glielo chiedi» lo confortò. Nonostante anche a lei piacesse Sebastian, sarebbe stato crudele allontanarlo dalla ragazza che, invece, sembrava piacere a lui.

«Dici che anche lei è interessata a me?» le chiese, gli occhi neri le penetrarono l’anima. Le mani erano avvolte intorno alla tazza in ceramica, a parte qualche sorso di tanto in tanto, Sebastian non aveva bevuto granché della bevanda.

Bloom, al contrario, frettolosa di scaldarsi, l’aveva finita in meno di tre-quattro sorsi sostanziosi.

«Non lo so, non la conosco, ma chiedere non costa nulla. Al massimo ti dirà di “no” e amici come prima, giusto?» gli fece presente.

«Giusto…» le rispose, ma non sembrava troppo convinto.

 

Sebastian si offrì di accompagnarla a casa, e Bloom, presa com’era da lui e dalla sua presenza, si era decisa a fidarsi. Era dovuta andare contro a tutto quello che le stava urlando la sua mente, c’era anche il rischio che, tornando a casa, il suo stalker le avesse lasciato qualche altro messaggio o segnale, ma forse era arrivato il momento giusto di chiedere aiuto. Sebastian sembrava una persona carina e premurosa, si chiedeva se, conoscendo il passato di Bloom, l’avrebbe aiutata oppure giudicata, evitata per paura che lo stalker se la prendesse anche con lui.

Bloom aveva una gran confusione in testa. Si sentiva improvvisamente stanca, dedusse che fosse l’effetto dell’adrenalina che piano piano stava scemando.

Arrivarono alla porta di casa di Bloom e lo invitò a entrare. Sebastian, chiedendole conferma, le disse che non voleva disturbarla, vista l’ora. La guardava dall’alto, con le palpebre semi-calate e il mento all’insù.

«Solo per vedere un film» gli aveva risposto, con una scusa, Bloom, ma in realtà sperava nella compagnia di un uomo dalla stazza di Sebastian, in modo da sentirsi protetta. In passato, mai avrebbe permesso a una persona di sesso maschile di rimanere sola con lei, ma quella sembrava essere la serata dei contrari per lei. Si stava comportando come mai si sarebbe comportata in presenza di altri. Sebastian aveva un che di magnetico dalla sua parte, desiderava la sua presenza. Parlare con lui era stimolante e sembrava quel tipo di persona che non avrebbe fatto del male a una mosca.

Chiuse la porta alle sue spalle con uno scatto e sollecitò Sebastian a lasciare il suo cappotto sull’attaccapanni.



«Puttana» sentì dire alle sue spalle. La voce apparteneva alla stessa persona con cui aveva parlato fino a quel momento, era solo più roca e consumata, come se stesse trattenendo una selvaggia offesa.

Il corpo di Bloom si immobilizzò, collegando finalmente tutti i puntini.

«Sei rimasta la stessa di anni fa. Anzi, sei peggiorata. Far entrare un estraneo in casa tua… Puttana» continuò a ripetere con cattiveria Sebastian.

Bloom provò a riaprire la porta, per scappare, ma un bracciò spuntò da sopra la sua testa e trattenne la porta chiusa. Il corridoio era troppo piccolo per riuscire a sgusciare via, ma doveva tentare lo stesso, non poteva dargliela vinta così facilmente.

Pensò di essere stata abbastanza veloce, ma Sebastian l’agguantò come fosse una bambina che sta facendo i capricci in mezzo al parco perché non vuole tornare a casa.

Provò a prenderlo a calci, pugni, urlava di lasciarla andare, ma Sebastian si limitò a portarla in camera da letto. Era come se conoscesse già la pianta di casa sua; quel pensiero la inorridì, riportandole alla mente tutto quello che il suo stalker, che ora aveva un nome, le aveva fatto passare in tutti quegli anni.

Si attaccò con le mani e poi con le unghie allo stipite della porta, ma venne strappata da esso con facilità e lanciata come una bambola sul letto matrimoniale.

Sebastian chiuse a chiave la porta della stanza.

Bloom provò contemporaneamente a uscire dalla finestra, ma un braccio di ferro l’afferrò prima che riuscisse a infilare una gamba nella finestra appena aperta. La strattonò per i capelli e la condusse di nuovo al letto.

Quella sua improvvisa mutezza la turbava più delle molestie in sé. Lo faceva apparire come un’entità giudicante, che la sovrastava dall’alto. I capelli neri, la pelle arrossata, se dal freddo o dall’eccitazione Bloom non voleva saperlo, il maglione e i pantaloni neri contribuivano a dargli l’aspetto di una creatura ultra-terrena; venuta a tormentarla.

«Lasciami! Lasciami, malato del cazzo!» gli urlava contro, mentre tentava di legarle i polsi con delle fascette già pronte che teneva conservate in tasca. Bloom aveva pensato che fosse un portachiavi, mai avrebbe sospettato che Sebastian si fosse portato quelle manette di fortuna in bella vista—sotto il tessuto pesante dei pantaloni.

Nulla di quello che gli diceva o faceva sembrava turbarlo, aveva un’espressione seria e concentrata nell’incapacitarla nei movimenti.

«Perché io? Che cosa ti ho fatto?» gli chiese, disperata di rabbia e impotenza. «Rispondimi!»

 

Neanche quella supplica lo convinse a rivolgerle la parola, fornirle una spiegazione circa quello che le sarebbe capitato di lì a poco.

Bloom era vittima di un crimine di cui non conosceva l’origine.

 

Cosa c’è di più crudele dell’indifferenza di fronte al dolore impartito ad altri?

   
 
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