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Autore: CervodiFuoco    17/10/2023    1 recensioni
Questa è una raccolta di racconti brevi la cui trama è la parola chiave suggerita dall'InkTober di quest'anno 2023!
Non mi attengo ad alcuno stile, atmosfera o genere fisso: entrate a vostro "rischio e pericolo", coscienti che potrebbe capitarvi di tutto sotto gli occhi! Ogni giorno una nuova storia, inventata e scritta sul momento lasciando libera l'immaginazione e la creatività. Spero di avervi numerose/i a leggere! Purtroppo l'introduzione può fare poco per stuzzicare la vostra attenzione, ahinoi; dovrò affidarmi alla mia, e vostra, buona stella.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Parole chiave dei giorni 13 - 14 - 15 - 16 - 17 Ottobre:

sorgere

castello

pugnale

angelo

demone

 

 

 

 

 

 

 

 

 

IL PUGNALE DEL POTERE

 

 

 

 

I primi raggi del sole mi sfiorarono il viso, lambendomi una guancia. Caldi eppur leggeri, quasi taglienti, affilati. Ma gentili. Ma spietati. Una spietatezza che non voleva ferire: una spietatezza che voleva mostrare. Mostrare ogni cosa, anche e soprattutto se tu ne avevi paura.

I raggi del sole mi lambirono la guancia mentre l'astro sorgeva, spuntando da sopra il dorso di quel colle lontano, mostrando un primo sottilissimo spicchio incandescente.

Allora capii. Capii che fino a quel momento il castello non ero riuscito a intravederlo - figuriamoci trovarlo - non tanto perché fossi io a sbagliare qualcosa, ma perché era fisicamente impossibile da trovare senza le condizioni giuste. Ed eccolo là, adesso, in tutto il suo splendore: il Castello nel cielo, brillante di mille fuochi celesti come riflessi di vetro diamantato, fisico eppur trasparente. Soltanto la luce dell'alba lo rendeva visibile! Avrei dovuto intuirlo dalle scritture, che sciocco sono stato. Ho agito d'impulso, ho avuto troppa fretta e ho ignorato i dettagli fondamentali, quelli che si danno per scontati, oppure si tralasciano per ignoranza vestita da supponenza.

Così mi alzai e mi misi in cammino. E ben presto mi accorsi che camminare non bastava; perciò accelerai l'andatura e mi misi a correre, perché dovevo raggiungere la sommità della collina prima che il sole fosse sorto del tutto. Ne andava della missione.

Guadagnai la cima. Il sentiero, che tagliava il bosco ed io scalai a perdifiato, si tuffava infine in un'ampia radura in mezzo agli alberi proprio sul cocuzzolo del rilievo erboso, laddove, ne ero certo, vi era una via per raggiungere il Castello. Così mi misi a cercare.

Beh, fu una ricerca piuttosto inutile, perché durante quella manciata di minuti durante i quali me ne stavo chinato a cercare chissà che tra i fili d'erba, oppure scrutavo tra gli alberi, non mi accorsi - di nuovo - di un altro dettaglio fondamentale ma apparentemente inutile: al centro esatto della radura il sole disegnava una lama di luce arancione, perfettamente dritta, che si stendeva sul prato attraverso un varco nel bosco.

Fu quando calpestai l'arancione sull'erba che me ne accorsi. Quella lieve, piacevole trazione. Come qualcosa che voleva sollevarmi, sia da sotto che da sopra. Mi solleticò simpaticamente lo stomaco.

Mi raddrizzai, colto da un'intuizione, mentre uno strano brivido mi percorreva il corpo da capo a piedi. Allora alzai lo sguardo. E vidi che il Castello nel cielo era perfettamente sopra di me.

Chiusi gli occhi. E venni sollevato.

So che ad un certo punto socchiusi gli occhi e sbirciai: stavo letteralmente fluttuando verso l'alto. Le cime degli alberi erano già sotto di me. Ed io non avevo paura. Stavo benissimo. Ero in pace. Anche se sapevo dove stavo andando.

All'ultimo alzai di nuovo gli occhi, e notai che il pavimento sotto al Castello si era aperto in un quadrato di luce: doveva partire da lì il raggio traente, ed io ci stavo andando dritto dentro. Assistetti ad occhi aperti all'ultimo tratto fino a quando non varcai l'entrata, la forza invisibile mi sostenne un istante sopra al pavimento, l'apertura si richiuse ed io venni lasciato cadere in piedi, illeso.

Mi trovavo dentro al castello. Incredibile! Credevo che, a quel punto, come minimo mi sarei sentito esagitato, febbricitante, con le palpitazioni; e invece, niente. Me ne stavo lì, col fiato sospeso, ad accorgermi che dall'interno del Castello non si vedeva niente di fuori, al contrario di quel che si potesse pensare. Lì era tutto buio. Non avevo la minima idea di quanto lontane da me fossero le pareti, né se mi trovassi effettivamente in una stanza o chissà dove. Però stavo bene. L'aria era tiepida e inodore. Percepivo il mio stesso respiro con un leggero eco.

Poi, dinnanzi a me si spalancò un'altra porta, squadrata, su quella che, ora la vedevo, era una parete. Una porta scorrevole, violenta, veloce. Mi inondò una luce giallo-rosa accecante. Un chiaro invito.

Mi avviai. Scoprii, con tranquillità, che l'impercettibile pavimento mi sosteneva. Con una mano a parare quella luce insostenibile, accorciai le distanze e infine attraversai la soglia.

«BENVENUTO» tuonò una voce. Al che sobbalzai. Ma come minimo, cioè. Mi era vibrata dentro fino al midollo delle ossa. Sobbalzai per la sua portata sonora, non tanto perché mi aveva spaventato.

Pian piano, senza fretta - continuavo, assurdamente, a non avere il benché minimo briciolo di paura in corpo - tolsi le mani da davanti alla faccia, poiché riuscivo a tollerare sempre meglio la luce. Così riuscii a capire dove mi trovavo.

Si trattava di quella che a un primo impatto appariva come una sala del trono: al centro, a una decina di metri avanti a me, c'erano due troni giganteschi e identici, uno di fianco all'altro, sui quali sedevano due esseri a dir poco titanici. Saranno stati alti almeno cinque metri (da seduti!). Per il resto la sala non era molto decorata: qui le pareti sembravano (semi)trasparenti come avrebbero dovuto essere, fatte di luce cristallizzata e di cangianti riflessi opalescenti. Anche il pavimento appariva della medesima fattura. Non c'era mobilia né altra suppellettile, se non qualche incombente lampadario di cristallo stracolmo di candele accese luminosissime - però la luce presente non era irradiata da loro, no. La luce giallo-rosa che illuminava fortissimo la stanza veniva prodotta dai due esseri seduti sul trono... anzi, no; ora che guardavo meglio, mi accorsi che a metà strada fra i due troni c'era una sorta di globo luminescente. Era quello a produrre la luce. Di cui i due esseri erano vestiti, circonfusi, e a loro volta la riflettevano dappertutto.

In quei fugaci istanti in cui mi fu permesso di guardarmi attorno senza essere interpellato, mi sentii investito da un senso di beatitudine e... potere, si... potere! Senza eguali. Ogni cosa in quel luogo traboccava di potere. Un potere immane, qualcosa di sovrumano... o per meglio dire, l'umano non vi era estraneo e poteva accedervi, ma non era lui la fonte del potere. Ecco.

Poi quel sublime momento di estatica contemplazione finì - non mi stavo nemmeno domandando chi fossero i giganti sul trono, né il motivo della loro presenza - perché venni nuovamente chiamato.

«CHI SEI» chiese l'impetuosa voce. Non era una domanda (infatti manca il punto interrogativo), anche se esigeva una risposta. Da me.

Come se venissi docciato da una secchiata d'acqua gelida, ora ebbi timore. Non paura, ma timore. Avrei potuto dire qualcosa di sbagliato... ? Schiusi le labbra e, balbettando gemiti muti, riuscii a mormorare: «Sono...»

«CHI SEI» ri-tuonarono le voci, in coro. Oh, si: erano due, e parlavano nel medesimo istante, con la stessa inflessione e intensità, sì da suonare come una sola; ma adesso le udivo come due, assieme. Bellissime, terribili, inarrestabili, accecanti. Eppure io me ne stavo lì in piedi inerme davanti ai giganti, e dovevo rispondergli.

Li guardai meglio.

Quello a sinistra era in tutto e per tutto umano, solo di dimensioni ciclopiche. Aveva la pelle di un grigio-nerastro sbiadito ed era di sesso maschile - almeno credo. La testa era calva, i suoi lineamenti netti e spigolosi, marcati, con occhi infossati e uno sguardo di brace incandescente. Il corpo era possente, muscoloso, tronfio: indossava abiti succinti e privi di qualsivoglia decorazione, a lasciar trapelare ogni linea che demarcava un fisico a dir poco scolpito. Le mani, grandi come elefanti, stringevano i pomelli dorati in fondo ai braccioli del trono e i piedi, nudi, posavano sul pavimento arcobaleno. Mi fissava senza alcuna espressione.

Quello a destra, invece, si sarebbe potuto definire come il suo esatto opposto. Anch'egli umanoide, emanava un'aura di dolcezza, morbidezza e gentilezza: il suo incarnato era pallido, di un bianco quasi ingiallito, e sebbene anch'egli possedesse un fisico massiccio, dava più d'idea di essere una donna piuttosto che un uomo. Aveva lunghi capelli lisci d'un biondo dorato tirati indietro a ricadere sulle spalle e sullo schienale del trono; il vestito che indossava era un pezzo unico, lungo e bianco immacolato, a coprirla fino alle caviglie, tuttavia abbastanza aderente da lasciar intuire forme prosperose e sode. Il suo volto era ogivale e permeato di benevolenza, ma solo alla lontana: dalle due fessure degli occhi passava un'abbagliante luce d'oro impossibile da sostenere con lo sguardo. Come l'altro essere, stringeva i pomelli sui braccioli del trono con le mani e i piedi nudi erano ben poggiati sul pavimento.

Due esseri speculari.

Intuii: un Angelo e un Demone. Terribili e bellissimi, come un'eruzione solare.

«CHI SEI» mi dissero un'altra volta.

«S-sono venuto per il Pugnale» esordii, fattomi coraggio. Il timore di prima era scomparso: mi reggevo dritto e fiero sulla spina dorsale, i pugni chiusi ai lati del busto. Le dicerie sulla magia del Castello nel cielo erano fondate! Ma in quel momento non ci pensai nemmeno, dal momento che ne ero completamente pervaso.

«BENE» dissero l'Angelo e il Demone all'unisono. Quindi voltarono i capi, sincronizzati e sempre speculari, l'uno verso l'altro, a guardare quel globo di luce posto in mezzo a loro, quello da cui supponevo provenisse la luce. Sollevarono una mano e indicarono a palmo aperto la luce.

«TU SEI QUI PER IL PUGNALE. MA LA DOMANDA E': IL PUGNALE E' QUI PER TE?»

Al che, dal centro di quel globo luminoso a mezz'aria partì un flusso di particelle radiose, che mi investì in pieno.

E poi, boh.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Urla. Disperate.

Bambini piangono, separati dalle loro madri, dai genitori, dai parenti. Da chi loro sono convinti li proteggeranno per sempre da ogni male. Ora invece sono soli e disperati, e piangono strillando, madidi di lacrime.

Polvere. Sabbia. Edifici diroccati, distrutti. Bombardati? Non solo.

L'aria è greve di polvere di sabbia, e odore di cemento vecchio sbriciolato, e di polvere da sparo. La polvere da sparo prende le narici, soffoca, strozza, insopportabile.

L'asfalto della strada è costellato di buche profonde, squarci, scavi.

Il cielo è grigio. O marrone. E' morto.

La terra urla, disperata.

Che cosa abbiamo fatto?

 

Che cosa abbiamo fatto, per meritarci tutto questo?

 

«VOI VI MERITATE CIO' CHE VOI CREDETE DI MERITARVI.

VOI SIETE ARTEFICI DEL VOSTRO DESTINO.»

 

Crollo sulle ginocchia, me le sbuccio. E piango. Piango anch'io. Sono anch'io come quei bambini, soli, disperati, privati di coloro che credevano li avrebbero protetti per sempre: ma io sono solo, terribilmente solo, in un modo simile eppur diverso da loro.

Che cosa posso fare?

Non sono io che ho voluto tutto questo. E' il mondo ad essere sbagliato, non io.

E' qualcun altro al di fuori di me, che ha generato tanta cattiveria. E' colpa dei cattivi.

E' colpa... dei cattivi!! .... si!

Una rabbia cieca, sorda, muta, paralizzante, mi stringe il cuore e mi toglie il respiro. Le lacrime mi diventano di fuoco sulle guance, lasciando un solco. Strizzo gli occhi, strappato.

 

E' colpa dei cattivi! E' colpa dei cattivi! Sono loro... loro ci impediscono di vivere una vita in pace!!!

Odiati... maledetti... vi odio, vi odio! Stupidi, inutili, egoisti... fame senza fine... mostri, demoni... vi odio!!!! Vi odio, per sempre! Vi ho sempre odiati e sempre vi odierò! E' tutta colpa vostra se il mondo va a rotoli!!

 

«B A S T A!!!!»

La voce dell'Angelo e del Demone mi sganciano da quell'orribile vortice di emozioni. Sono sempre lì, inginocchiato sulla strada nel bel mezzo della Fine del Mondo... tuttavia è stato ristabilito un collegamento.

Mi parlano.

 

 

«IL POTERE E' DENTRO DI TE.

IL PUGNALE E' DENTRO DI TE.

PER CHE COSA LO USERAI?

PER FERIRE, O PER AMARE?

IL DEMONE INSEGNA AD AMARE ATTRAVERSO LA SOFFERENZA.

L'ANGELO INSEGNA AD AMARE ATTRAVERSO L'AMORE.

E TU PER CHE COSA USERAI IL PUGNALE?

TU SEI QUI PER IL PUGNALE, MA IL PUGNALE E' QUI PER TE?»

 

 

Il dolore della Fine del Mondo, che avvertivo causata dai Cattivi, mi scioglie. Mi sciolgo nel dolore. La visione s'appanna, diventa una mistura confusa nella quale navigo come un tappo di sughero alla deriva. E poi, in quella mistura intravvedo il Demone. Il suo faccione punta su di me inespressivo, inarrestabile. I suoi occhi bruciano.

 

«AMA!»,

mi dice. O meglio... mi ruggisce. Mi impone. Non è gentile, non me lo sta chiedendo. E' un ordine, il suo.

 

Al che, mi sciolgo davvero nella mistura. Scompaio.

Scompare il dolore, scompare la strada crivellata di buche, scompaiono gli edifici distrutti e i bambini urlanti. Scompare veramente ogni cosa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mi risvegliai disteso prono sul pavimento del Castello. Avvertivo di nuovo l'atmosfera nutriente e rinvigorente, pregna di potere celestiale, che in un paio di respiri mi ridonò le forze. Premetti le mani a terra e mi alzai, anche se decisamente frastornato. Ci misi un po' a tornare in me stesso e a notare che l'Angelo e il Demone erano ancora là dov'erano, sui troni, con le facce inespressive volte l'una verso l'altra e le mani speculari indicanti la sfera di luc... oh. No. Non c'era più il globo di luce... al suo posto, un pugnale.

 

Angelo e Demone girarono le teste e mi guardarono, implacabili.

 

«AMI?»

 

Venni investito da una cascata di brividi. A malapena resistetti per non essere schiacciato contro il pavimento.

Lo sapevo, che loro potevano vedermi attraverso, dentro. Ma me lo stavano chiedendo comunque.

 

Mi tornarono alla mente le immagini del sogno... -era un sogno?- ... il dolore, la sofferenza, la disperazione... la frustrazione, la rabbia. La... rabbia. Si, la rabbia! Quanta rabbia... cieca, muta, inespressa... impotente. Un Demone gigantesco.

Che vuole solo insegnarmi ad Amare. E' così.

 

Chiusi gli occhi. Sospirai a fondo.

 

Una goccia cadde al centro del Lago, increspandone appena l'immobile superficie.

 

 

Ed io strinsi il Pugnale fra le mie mani.

 

 

 

   
 
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