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Autore: Meggie    16/09/2009    11 recensioni
“Il mondo finì quel giorno, lasciando me soltanto. Guardai verso il cielo nuvoloso e vidi che il colore era svanito. Mi sto ancora chiedendo cosa sia successo al sole che avrebbe dovuto splendere lassù…” (da “Stigmas” di Kazuya Minekura).
Ginny. Draco. Mangiamorte per scelta. Ron. Harry. Hermione. Auror per abilità. E ombre che nella notte si muovono veloci… e uccidono… uccidono… - Dedicata a Sunny!!
Genere: Romantico, Dark | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Potter, Luna Lovegood | Coppie: Draco/Ginny, Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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GLI ELETTI – Nati per uccidere

 

You take the breath right out of me. [Tu mi togli il fiato]
You left a hole where my heart should be. [Hai lasciato un buco dove dovrebbe essere il mio cuore]
You got to fight just to make it through, [Devi combattere per farcela,]
'cause I will be the death of you. [perché io sarò la tua morte.]

(Breath – Breaking Benjamin)


Capitolo 32: Quando inizi a cadere…

 

Espirò il fumo, guardandolo con una strana nostalgia, mentre si espandeva nell’aria e poi svaniva. E osservò con malcelato interesse la cenere staccarsi dalla sigaretta e poi precipitare nel vuoto, mischiarsi nel vento e divenire nulla. Polvere sottile che si distruggeva e annientava la sua intera esistenza così, in pochi istanti.

 

Brutto vizio il fumo, come tutti i vizi degli uomini. Le donne, le sigarette, l’alcool. Erano prove a cui era difficile resistere, e lui si era sempre considerato troppo pigro e indolente per lasciarsi scappare una qualche forma di divertimento. D’altra parte si considerava anche più forte dei vizi stessi, nonostante si abbandonasse ad essi. C’erano momenti in cui lasciarsi andare, e momenti in cui dovevi essere un’altra persona.

 

Quando nella tua vita c’era solo quello, in contrasto con un dovere assoluto e superiore, te lo facevi bastare. Così faceva lui. Così aveva imparato a fare lui. Osservando e plasmando su se stesso un modello comportamentale da ottimo purosangue. Niente rimpianti, niente rimorsi, niente pensieri buoni a nulla.

 

Uno doveva pur farle, delle scelte.

 

C’era chi combatteva per speranze vane e stupidi ideali che sarebbero finiti con la loro presa di potere, e chi invece stava dall’altra parte, stava a combattere per quella sensazione di superiorità che scorreva nelle vene. C’era chi poteva tutto, e chi non poteva niente.

 

Lui si era sempre considerato troppo, per rischiare di rientrare nel niente.

 

E poi c’era qualcosa che ti distruggeva comunque. Qualcosa con due occhi, una bocca, un naso, due mani, un corpo, dei capelli. Qualcosa che avrebbe volentieri eliminato, ma come tutti i vizi dell’uomo erano duri a morire. Era come una sigaretta o una droga, ne rimanevi incatenato anche contro la tua volontà.

 

Murdoch afferrò la maschera posta sul comodino e lanciò un’ultima occhiata fuori dalla finestra aperta. Là, dove si disperdevano le ceneri e il fumo, c’era Londra. Là c’era tutto ciò che l’avrebbe tenuto occupato in una vita che sembrava non decidere da che parte dirigersi.

 

La destra e la sinistra sembravano la stessa cosa. La via davanti a sé non aveva sfumature.

 

Quello era il non avere scelta. Un unico colore che si riversava su tutto. D’altra parte la sua scelta – quella importante. L’unica importante - l’aveva già fatta tempo prima.

 

Se non poteva eliminare lei, se non poteva ucciderla – e perché, poi? Perché non poteva far finire tutto quello a suo modo? Perché, dannazione? -, se non poteva strapparle ogni briciolo della sua attrattiva, allora avrebbe scacciato il tutto con altri pensieri. Dolore con dolore. Soddisfazione con soddisfazione.

 

Potere con annientamento.

 

Avrebbe eliminato altri, avrebbe ucciso altri, avrebbe strappato tutto ad altri.

 

Per non strappare neppure un capello a lei.

 

Avrebbe ridotto in fumo e in cenere Londra. E si sarebbe seduto sopra i suoi cumoli in fiamme. Se era l’unico modo per cancellare ogni cosa, allora avrebbe agito. Se era l’unico modo per cancellare lei, allora non avrebbe neppure pensato.

 

Agire per non pensare.

 

Pensare per non distruggere.

 

Distruggere per non distruggersi.

 

Erano pur sempre scelte.

 

Mudorch si tirò su il cappuccio della tunica, strinse saldamente la maschera, e uscì dalla camera.

 

Distruggersi per non distruggerla.

 

******

 

Ginny aveva sempre avuto un sesto senso particolare, che compariva e l’assaliva come in un agguato nei momenti più imprevedibili.

 

Quando sentì un brivido percorrerle la spina dorsale e poi fermarsi alla base del collo, non si stupì più di tanto. C’era abituata.

 

Aveva imparato a venire a patti con i strani risvolti che la magia poteva riservare ad alcuni.

 

Solo che in quel momento, e come sempre, non riuscì ad impedire al pessimo presagio di sciogliersi dentro di lei. Di insediarsi tra le pieghe del suo vestito, di trapassare nei pori della sua pelle, di attaccarsi alle sue vene. Di scorrerle nel sangue.

 

Draco” mormorò.

 

Il ragazzo sollevò lo sguardo dalla Gazzetta del Profeta e la guardò balzare giù dal letto. E la sua conoscenza di Ginny era così totale, che impiegò giusto quell’attimo per capire il suo turbamento.

 

“Cosa c’è?”

 

“Non lo so”

 

Ed è questo che mi preoccupa.

 

Draco appoggiò il giornale sulla scrivania in legno, senza distogliere lo sguardo della ragazza.

 

Non disse niente, rimase a fissarla. E Ginny ricambiò lo sguardo, fino a quando non alzò le mani per passarsi le dita fra i capelli. E in quel momento i braccialetti argentati legati ai suoi polsi tintinnarono, riempiendo il silenzio preoccupato che pesava nella stanza.

 

Un tintinnio breve, che si propagò come un’onda.

 

Tanto che Ginny ebbe l’orribile visione metaforica di una ninna nanna che si trasformava in requiem.

 

Ginny guardò fuori dalla finestra e porse una mano a Draco. Percepire le dita del ragazzo intrecciate con le sue la fece sentire meglio. Ma non riuscì a dimenticarsi del brivido lungo la schiena che l’aveva scossa poco prima.

 

E non poté impedirsi di sussultare leggermente, quando qualcuno spalancò la porta, dopo aver dato un leggero colpo.

 

E Ginny digrignò i denti, quando vide Bellatrix nell’arco della porta.

 

“Nell’entrata. Ora” fu tutto ciò che disse la donna. Ginny ebbe l’impulso irrazionale di schiantarla. O di mandarla a farsi fottere, lei e i suoi ordini perentori.

 

Ma non fece nulla di tutto ciò. La osservò mentre, con una punta di disgusto e derisione, spariva nel corridoio da dove era venuta. E rimase con la mano stretta in quella di Draco.

 

Se lui non avesse trattenuto nelle sue mani, più forti e più calde e più sicure, le sue dita si sarebbero molto probabilmente strette attorno alla bacchetta.

 

Ma era evidente. Non era quello il momento.

 

Quello era il momento di capire se il suo sesto senso l’aveva avvertita di qualcosa di reale. Di qualcosa che stava per accadere?

 

Nell’entrata. In quel momento.

 

******

 

C’era una sorta di omertà nell’aria, che a Ginny non piaceva per niente.. Certi sguardi, nascosti in parte da una maschera, risultavano solo più accusatori e meschini, quasi a voler indicare con fermezza il fatto che no, il gruppo degli anziani, il gruppo dell’elite, non l’avrebbe mai considerata una loro pari.

 

Quello era il gruppo della pazza, in fin dei conti, cos’altro avrebbe potuto pretendere?

 

Rodolphus Lestrange, con quella sua aria superiore e regale, stazionava con una calma invidiabile al centro della stanza.

 

Mancava ancora qualcuno, forse. O forse Rodolphus si stava semplicemente divertendo a verificare la fermezza delle loro menti. Dei loro nervi.

 

Quando lo sguardo dell’uomo si posò su di lei, Ginny strinse meccanicamente con la mano la bacchetta, ampiamente nascosta dall’enorme manica della tunica. Certi brividi li sentiva dentro anche senza stabilire alcun particolare contatto visivo.

 

“Che cosa sta succedendo?”

 

La sua conoscenza della voce di Draco era tale da non doversi neppure girare per figurarsi l’espressione sul viso del ragazzo. C’era così tanta irritazione tra le pieghe delle sue parole che solo una persona cieca e sorda avrebbe potuto non accorgersene.

 

La figura incappucciata di Bellatrix si girò verso di loro, scoccandogli uno sguardo che una persona normale avrebbe riservato a due scarafaggi particolarmente grossi. Ma lì non c’era nessuna persona normale. E nessuno voleva esserlo.

“Come cosa sta succedendo, nipote caro?” cantilenò, cercando di fare il verso ad un bambino. Il risultato fu talmente stridente che Ginny giurò di riuscire a sentire delle unghie graffiare l’ardesia.

 

Draco la guardò, inclinando la testa di lato. “Intendo dire perché siamo qui, raggruppati come un branco di bravi soldatini”

 

La stanza si riempì della risata sguaiata della donna. “Ma perché siamo dei bravi soldatini, e adesso andiamo a dimostrarlo…

 

Ginny corrugò le sopracciglia. “Che cosa-” La sua possibile obiezione venne interrotta da uno sguardo di Bellatrix. E Ginny si odiò per essersi fatta trovare impreparata.

 

“Ma come, non capisco proprio questi faccini così perplessi. A tutti sono arrivate le disposizioni… o forse no?” Bellatrix non attese una risposta. Sgranò gli occhi in modo teatrale e proseguì la sua performance. “Ops. Credo proprio di no. Mi dispiace così tanto. Ma suvvia, a questo punto si può dire che avete avuto una bella sorpresa! Esultate, stiamo per andare a fare una festicciola a Londra. E ci sarà un mucchio di gente con cui divertirsi, non è meraviglioso?”

 

Ginny rimase a fissarla, fin troppo consapevole del significato di quelle parole. Fin troppo consapevole, soprattutto, che niente lì dentro era casuale. E che se qualcuno poteva essere imputato per quella mancanza di informazioni, quella era di sicuro Bellatrix.

 

Puttana.

 

Ginny si girò verso Draco e capì che non avrebbero potuto fare niente se non ubbidire.

 

E Ginny si odiò, per la prima volta dopo tanto tempo.

 

******

 

Harry masticò l’ultimo boccone del panino al formaggio che aveva comprato nel chiosco all’angolo e deglutì, osservando con un mezzo sorriso Luna lottare contro la senape che sfuggiva da ogni lato del suo panino.

 

“Vuoi una mano?”

 

Luna alzò gli occhi verso di lui e scosse la testa. “Tu pensa ai Mangiamorte, ai panini con la senape ci penso io, tranquillo!”

 

Harry scosse la testa, mentre con una mano l’afferrava al volo per il gomito e la riportava sul marciapiede, prima che venisse investita da una macchina.

 

Avevano deciso di trascorrere la pausa pranzo nella Londra babbana. Luna ne era sempre affascinata, non faceva che incantarsi davanti a tutte quelle cose stranissime, colorate e assolutamente normali che in realtà costituivano la quotidianità delle persone. Per Luna, però, erano un mondo incantato e fantasioso.

 

Per lui, invece, era semplicemente più comodo riuscire a mangiare senza gente che lo fissava imbambolata, persone che sussurravano non appena notavano la cicatrice sulla fronte, gente che gli metteva in braccio i proprio figli come se lui avesse saputo cosa farsene. Più che una pacca sulla spalla alla madre di turno non avrebbe comunque saputo che fare.

 

“A che ora riprendi a lavorare?”

 

Luna si strinse nelle spalle. “Quando voglio”

 

Eh beh, certo. E io glielo vado anche a chiedere.

 

“Allora mi fai compagnia fino a quando non riprendo io? Sai, non tutti sono così fortunati da-”

 

Harry avrebbe concluso la frase, se la terra non avesse tremato. Un terremoto in mezzo a Londra? Un terremoto?

 

Quello non era un terremoto. Quella era magia. Quella era magia.

 

Magia che faceva tremare la terra. In mezzo a Londra.

 

Harry sgranò gli occhi. Sembrava a rallentatore, ma era la realtà. La cruda realtà. Talmente cruda che stava già sanguinando un po’. Lentamente, ma con costanza, come la peggiore delle ferite.

 

Quella era una ferita, comunque. Quella era un’esplosione.

 

E quella non era un’esplosione riconducibile ad un qualche avvenimento di carattere babbano – un chimico provetto distratto. Un incidente d’auto finito malamente. Una sigaretta che andava ad infrangersi su un parquet di legno - . No. Lì c’era la magia. E lui riusciva a sentirla. La percepiva fluire in quel punto. Riusciva addirittura ad avvertire l’ondata negativa che si propagava da tutto quel fumo. Come un fiume in piena.

 

Un fiume che trasportava magia e morte. Forse più morte che magia.

 

Mangiamorte.

 

Luna, accanto a lui, osservava con quei suoi occhi grandi e mai spaventati, il fuoco e il fumo e lo stridore in lontananza. Una lontananza che, in realtà, sembrava fin troppo vicina. Tanto da poterla toccare. Tanto da doverla toccare.

 

Harry si sentì lo stomaco attorcigliato. E aveva voglia di gridare. E vomitare. Ultimamente gli capita spesso, forse troppo. Forse non era normale, ma quello non era di sicuro il momento per pensarci.

 

Non era mai stato normale.

 

“Luna” la richiamò, scuotendole un braccio. La ragazza si girò verso di lui. Aveva le labbra serrate e gli occhi seri. E sul suo viso, quel viso che Harry riusciva a capire nonostante fosse così… particolare, non vi era nessuno scherzo, nessuna espressione di gioia. Luna non era stupida. Era molto più intelligente della maggior parte delle persone là fuori. Luna era solo, solo, particolare, ecco tutto.

 

“Voglio che tu te ne vada, ok?”

 

Luna scosse la testa. “No”

 

Harry lo sapeva. Luna, ad Hogwarts, era stata nei Corvonero, ma di certo non le era mai mancato il coraggio. E, in quella circostanza, Harry si ritrovò a pensare ‘Purtroppo’.

 

Sarebbe stato più facile se Luna non fosse stata Luna.

 

Ma se non fosse stata Luna, forse, neppure ci sarebbe mai uscito insieme, no?

 

“Sì, invece. Io devo andare là. Sono Mangiamorte e io sono un Auror, ma tu no. Voglio che te ne vai, d’accordo? Dico sul serio, Luna…”

 

La ragazza lo guardò per un istante infinito negli occhi, prima di scuotere la testa. “Vuoi sempre fare l’eroe solitario Harry Potter. Non va bene, sai?”

 

Harry chiuse gli occhi e respirò profondamente. Non aveva tempo per discutere con Luna, dannazione. Ma non voleva neppure litigare con lei.

 

“Luna…”

 

“Io sono un mago”

 

Harry la guardò negli occhi. Lo sapeva che lei era un mago. Ed era in gamba, Luna sapeva cavarsela. Ma non poteva permetterlo. Luna non era un Auror e non…

 

E no, cazzo, lui non poteva perderla. No. Non anche lei. Non di nuovo.

 

No.

 

Di nuovo no.

 

Basta.

 

“Luna, fallo come piacere personale, per favore. Per favore, Luna, te ne prego…” la stava supplicando. Con la voce, con gli occhi, con l’espressione del viso, con tutto se stesso. Stava urlando nella sua testa di andarsene, scappare, fuggire, nascondersi. E contemporaneamente stava urlando quanto fosse comunque orgoglioso di lei. Era forte, Luna. Era forte sul serio.

 

La ragazza lanciò un’occhiata al fumo. Osservò le persone correre via, lontane e spaventate e gridanti. Chiuse gli occhi per un istante, prima di tornare a guardare Harry.

 

“D’accordo. Però avverto il Ministero”

 

Harry le sorrise brevemente, prima di annuire e iniziare a correre. Non le disse neppure un ‘grazie’ che comunque aveva pensato. Non le disse che, in ogni caso, non c’era bisogno, perché di sicuro il Ministero l’aveva già saputo – e perché, poi, non era stato informato prima? Perché, dannazione? Che diavolo era successo? -.

 

Non le disse niente.

 

Corse via da lei senza guardarla.

 

Harry si sarebbe maledetto per quello che aveva fatto. Per non averla più guardata. Per essere passato dall’Harry-ragazzo all’Harry-Auror troppo in fretta.

 

D’altra parte, non era mai stato particolarmente sensibile.

 

******

 

Quando la notizia bussò alla porta del Ministero, nessuno fece in tempo ad aprire la porta. Quella era già stata spazzata via dal rombo di un tuono.

 

Quando la notizia arrivò al Ministero, Ron era uno dei pochi ad essere di turno.

 

Quando vide arrivare trafelata una giovane Auror, quando la vide balbettare, quando la vide chiedere di Armstrong, quando la vide chiedere di Harry, quando si decise, alla fine, a parlare, Ron capì che forse quella notizia portava con sé anche la parola fine.

 

E non presagiva nulla di buono.

 

Così, quando chiuse gli occhi e respirò profondamente, conscio di doversi preparare per l’ennesimo scontro con i Mangiamorte, si chiese se, da qualche parte in quella storia, fosse previsto un happy ending.

 

E giunse alla conclusione che forse no, non sarebbe mai accaduto.

 

Comunque, almeno per finirla con orgoglio, valeva la pena provarci.

 

******

Un dettaglio, un particolare, un graffio sulla tela, catturò la sua attenzione. Davanti a lei, disteso per terra, tra le pozzanghere ancora disponibili ad accogliere altra acqua, era disteso il corpo senza vita di una donna.

 

Hermione non la conosceva. Poteva dirlo perché lei si ricordava di tutti, si ricordava tutto. Soprattutto ricordava ogni singolo Mago. Quella donna era una perfetta estranea, caduta, letteralmente, sul suo cammino. Eppure…

 

Eppure Hermione si sentì molto più simile a quella donna distesa che alla frenesia disturbante che stava girando attorno a lei. E i suoi occhi finirono catturati su quella mano aperta, su quel palmo rivolto verso l’asfalto. Su quelle dita affondate in una delle tante pozzanghere, mentre l’acqua sporca e nera le ricopriva lentamente.

 

Non riuscì a togliere gli occhi di dosso da quella mano. Forse era l’asfalto bagnato, forse erano le grida che arrivavano da ogni direzione, forse il fatto che quella mano apparteneva ad una donna.

 

Prima viva, ora morta.

 

Sempre e comunque innocente, però.

 

Hermione si chiese se avesse avuto dei figli. Una famiglia. Un marito. Un lavoro. Una vita. E sì, un tempo l’aveva. Fino a – quanto? – pochi istanti prima l’aveva.

 

Ed era triste e doloroso pensare che chiunque fosse, non sarebbe più stata nessuno. Se non una tomba circondata da fiori.

 

Hermione strinse la presa sulla bacchetta, sentendo il legno levigato entrare a contatto con la sua pelle, quasi fossero stati una cosa sola. La sua bacchetta era lei. Lei era la sua bacchetta.

 

Sbatté le palpebre, mentre davanti agli occhi altre memorie e altri dolori facevano capolino. Mentre la rabbia tornava a farle visita e riprendeva a scorrerle dentro.

 

La rabbia.

 

Hermione la odiava.

 

La odiava perché era colpa sua, di quel sentimento cieco e brutale, se era diventata tutto quello. Un Auror e un assassino.

 

Hermione e No Angel.

 

Hermione è No Angel.

 

Riaprì gli occhi di scatto, imprimendosi nella mente quella mano in quella dannata pozzanghera. Imprimendosi nella mente l’idea che andava così. imprimendosi nella mente che la rabbia era troppa, che lei sbagliava - che tutti loro lo facevano -, ma che non poteva fermarsi.

 

Non fino a quando avrebbe incontrato sul suo cammino dei palmi aperti alla ricerca di aiuto.

 

Non era mai – mai! – riuscita ad ignorare quelle richieste.

 

Non ci sarebbe riuscita neppure in quel momento che il suo cuore piangeva ogni giorno un po’ di più.

 

 

 

Ron schivò un Avada per un soffio. Riuscì a vedere la luce verde. Riuscì quasi già ad immaginarsi per terra. Riuscì a vedersi in una bara. Ma i suoi riflessi furono abbastanza veloci per chinarsi ed evitarlo.

 

Non ancora. Non è ancora il mio momento, bastardi. Prima avrò la mia vendetta, poi potrò anche essere scaraventato in una fossa.

 

Ciò che non riuscì a calcolare fu l’uomo poco distante da lui.

 

Ciò che non riuscì a calcolare fu l’uomo cadere a terra per un Avada che lui aveva evitato.

 

Ron chiuse la bocca di scatto, sentendo l’ondata famigliare della rabbia farsi strada in lui. potente e distruttrice ed assassina più che mai. Anche se non poteva. Perché Ron era un Auror. Gli Auror non uccidono. Non ne hanno il potere né le capacità. Forse.

 

Death poteva uccidere. Ron Weasley no. Ron Weasley doveva limitarsi a chinare il capo, attutire la rabbia, e darsi da fare affinché cose del genere non accadessero più. Ron Weasley non avrebbe mai ucciso, perché poi non avrebbe più potuto guardarsi allo specchio. Perché poi la sua stessa immagine l’avrebbe perseguitato in ogni riflesso. Non poteva farlo. Ron Weasley non poteva farlo. Quello era un compito per Death.

 

Ma Death, lì, non c’era.

 

E, forse, per fortuna.

 

Ron lanciò un’occhiata alla strada, e poi a quell’uomo riverso sull’asfalto, prima di correre appresso ad un Mangiamorte che stava scappando in un vicolo poco distante da lui.

 

Non avrebbe mai, mai, desiderato morire come Death.

 

Era nato come Ronald Weasley, se proprio avrebbe dovuto morire, sarebbe morto sempre come tale.

 

******

 

Buh!”

 

Luna sussultò. E i suoi occhi si fissarono sullo sguardo della persona – un Mangiamorte. Un Mangiamorte era ancora una persona? O era solo uno schiavo? Una pedina al servizio di qualcosa di più grande. Come gli Auror, in fondo, però al contrario. –

 

“Paura?”

 

Luna fu certa che avrebbe potuto annuire. Se solo la punta della bacchetta non fosse stata premuta contro la sua giugulare.

 

Il cuore non iniziò a battere più forte. Non smise neppure di battere. Semplicemente, ogni contrazione e ogni rilascio era amplificato. E tutto intorno c’era solo silenzio.

 

E una bacchetta premuta contro. E un Avada sulla punta di quella bacchetta.

 

Luna pensò che la morte fosse proprio strana. E pensò anche che, ironicamente, non si era mai sentita così vicina ad Harry come in quel momento.

 

Adesso so cosa si prova. Adesso fa un po’ più paura, Harry.

 

È quello che hai provato tu?

 

 

******

 

I won't stay long, in this world so wrong. [Non resterò a lungo, in questo mondo così sbagliato.]
Say goodbye, as we dance with the devil tonight. [ addio, mentre balliamo con il diavolo questa notte]

(Dance with the Devil – Breaking Benjamin)

 

******

 

Aveva sempre amato lo scorrere impetuoso del potere nelle vene. Le dava la forza, le dava la spinta a fare, ad agire, a muoversi. A non pensare.

In quel momento, quella spinta, le diceva di prendere quella stupida ragazza e portarla via. Ma la volontà di fare del male, la volontà di spingere anche gli altri ad agire, era troppo forte.

Afferrò quella stupida per un braccio e si smaterializzò, per ricomparire, proprio in mezzo alla battaglia.

 

E adesso scoviamo il topolino. Dove sei, Potter? Dove sei?

 

Lanciò un’occhiata intorno, scontrando i suoi occhi con quelli azzurri, grandi – enormi – di quella nullità che stringeva tra le mani. E non vi lesse niente di quello che si sarebbe aspettata. Potter si era trovato una svitata. E come tale sarebbe morta.

 

“Luna!”

 

La voce che riecheggiò tra incantesimi e rimbombi, non fu quella di Potter. Era l’amichetta, quella. L’amichetta mezzosangue.

 

La sua bacchetta sembrò agire da sola, perché così era stata addestrata. E prima ancora che potesse pensarci, cercò di schiantarla. Ma non ci riuscì.

 

Dannazione. Crepa, una buona volta. Tu e tutti i tuoi amici.

 

Il fatto che non potesse uccidere Potter, non implicava il fatto che non potesse ammazzare i suoi amichetti. A parte la stupida ragazza bionda. Quella serviva. Quella era necessaria. Viva. Purtroppo.

 

Ballatrix osservò l’Auror rialzarsi da terra con uno sguardo furente. E le venne un po’ da ridere. Cosa credi di fare, bambina? Erano tutte così le nuove generazioni. Piene di un fuoco ardente che le spingeva nelle imprese più assurde. Ma lei sarebbe stata felice di dimostrare loro chi comandava. E chi avrebbe comandato anche in futuro.

 

“Lasciala andare!”

 

Bellatrix si girò verso il punto in cui aveva sentito provenire la voce. E incontrò finalmente la figura di Potter. Scoppiò a ridere.

 

Finalmente.

 

Finalmente.

 

“Non credo di prendere ordini da te, Potter. Sono qui solo per mostrarti il mio trofeo. Ti piace? Potrei tagliarle la testa e appenderla ad una parete, sarebbe molto più utile che da viva”

 

“NON TOCCARLA!”

 

Era così ridicolo. Così piccolo e ridicolo. Avrebbe giocato volentieri un po’ con lui, ma non poteva, non ne aveva il tempo.

 

“Per adesso” concesse, con un ghigno. “Forse” aggiunse, prima di ridere soddisfatta.

 

E mentre Potter e la sua combriccola di nullità si accingeva ad alzare le bacchette nella sua direzione, Bellatrix si smaterializzò regalando un sorriso, nascosto dalla maschera.

 

E portò con sé anche Luna Lovegood. Nullità, ai suoi occhi, ma fidanzatina di Potter. Utile, quindi, per l’obiettivo finale.

 

Concludere una volta per tutte quell’inutile guerra. Inutile, perché il vincitore sarebbe stato uno e uno solo.

 

L’Oscuro Signore Lord Voldemort.

 

******

 

Il mondo si fermò. O forse non si fermò affatto, ma si fermò lui. immobile, in piedi, impossibilitato a fare qualsiasi cosa, nonostante tutto dentro di lui gli gridasse di muoversi, di agire. Di fare qualcosa.

 

Il mondo non era fermo, era frenetico, ma la percezione che aveva lui era di un unico punto. Quello in cui Luna era sparita, risucchiata da un male a cui si era sempre opposta. Intorno a lui la battaglia continuava, e sarebbe stata ironica la scena, vedere Harry Potter in piedi, fermo ed immobile in mezzo ad uno scontro. Harry Potter, il primo che si tuffava nella mischia, il primo, l’unico, il Prescelto.

 

Ci doveva essere qualcosa dentro di lui a cui non sapeva dare un nome, ma che lo bloccava. Gli impediva di muoversi, di agire, di pensare. Mentre il suo cervello non faceva altro che ripetere un’unica parola.

 

Luna. Luna. Luna. Luna.

 

Fu quando una mano si abbatté violentemente sulla sua spalla, che riprese a respirare, che sentì nuovamente l’aria entrargli nei polmoni e dare ossigeno al cervello. Fu in quel momento che il mondo riprese a muoversi. Fu in quel momento che Harry tornò a sentire.

 

“Harry, Harry mi senti? Harry!”

 

Si girò verso Hermione, il cui volto riusciva a far trasparire tutta la preoccupazione. “Harry, dobbiamo fare qualcosa. Devi fare qualcosa…”

 

Hermione calcò particolarmente su quel verbo. Devi. Tu devi.

 

Io devo.

 

Quante volte si era imposto qualcosa? Quasi sempre. A volte non ci aveva creduto. A volte si era fidato. A volte aveva agito con la propria testa. Ma sempre, sempre, si era assunto le sue responsabilità.

 

Strinse la mano attorno alla bacchetta, fino a far diventare le nocche bianche, fino a sentire quella rabbia che l’aveva accompagnato per dei lunghissimi periodi della sua vita e della sua adolescenza. Era una rabbia matura, però, questa. Una rabbia consapevole. Una rabbia che gli nasceva dal desiderio di fare del bene, perché tutto quello non era giusto.

 

Una rabbia che lo portava anche a fare del male, però.

 

Una rabbia che lo infestava come un fantasma.

 

Si girò verso Hermione e annuì. Io devo. Io devo Hermione.

 

In quel momento Harry capì l’ennesima lezione della vita. Capì di essere arrivato sul fondo del pozzo. Capì che intorno a lui c’erano solo delle pareti che cercavano di stringersi addosso a lui. Capì che avrebbe potuto essere la sua fine, perché aveva già perso tanto e troppo, e perdere nuovamente…

 

Harry, però, capì che erano in momenti come quelli che le persone reagiscono. Nel momento in cui sono sul fondo.

 

Lui c’era appena arrivato, riusciva a sentire i mattoncini del pozzo attorno a sé, ma riusciva anche a vedere la luce se alzava la testa abbastanza.

 

Quando inizi a cadere non è vero che non ti puoi fermare. Prima o poi arrivi alla fine del tunnel. Prima o poi, o inizi a morire veramente, o inizi a risalire.

 

Io devo risalire.

 

Io risalgo.

 

Io ce la faccio.

 

Io devo.

 

Hermione, chiama gli altri, qui se la caveranno anche da soli, ora che una parte dei Mangiamorte è andata via. Ma noi dobbiamo andare a saldare la questione…”

 

Hermione lo fissò, le labbra serrate e gli occhi nocciola imperturbabili. “Significa…”

 

“Significa che è il momento di chiarire alcune questioni. E basta.”

 

Hermione corse in direzione di Ron, mentre i suoi capelli ricci si muovevano sulla sua schiena a causa della corsa.

 

****

 

Note dell’autrice: Non posso neppure permettermi di chiedervi scusa, perché sono inscusabile, quindi evito, ecco. Spero comunque nella vostra clemenza.

E dedico questo capitolo a chi l’ha atteso, voluto, sperato, letto. E a chi lo commenterà. Ma soprattutto a quelli che non hanno dimenticato questa storia (che continua a essere messa nei preferiti e anche nelle storie seguite). Sono realmente commossa dal vostro affetto. Grazie di cuore a tutti. <3 Non mi aspetto proprio niente di niente, perché non me lo merito, ma qualora decideste di voler commentare, sappiate che ve ne sarò grata, perché questo capitolo… è stato faticoso X’D E poi è stato scritto poco a poco. Scena dopo scena. Fino a quando non mi sono sentita nuovamente pronta di affrontare ‘il grande tema’, e quindi scrivere di Harry-Luna, in questo caso.

Spero che l’attesa sia stata, anche in minima parte, ripagata =)

E questa storia non la mollo. Io la finirò, contateci, sul serio =) Finisco tutto quello che go iniziato, forse con mesi e mesi di attesa, ma lo finisco <3

Grazie a tutte le persone che hanno commentato lo scorso capitolo. Sarebbe stupido rispondervi ad una ad una, è passato così tanto tempo che… bah, vi ricordate ancora di me? Comunque sappiate che io leggo sempre tutto e che è grazie a voi se ho sempre la voglia di portare avanti tutto questo. Grazie di cuore <3

 

PS: nel prossimo capitolo… grandi rivelazioni sugli Eletti XD E non vi dico nulla di più *bocca chiusa*

   
 
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