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Autore: Doctor Nowhere    20/10/2023    1 recensioni
Uro è un minotauro che si è votato a Nemesi, dea della vendetta, per portare giustizia dovunque lo porti la sua strada.
Un giorno, in una taverna, incontra Amalia, una vecchia barda, che gli propone di accompagnarla in un'importante missione, per salvare una povera donna incapace di trovare conforto e riposo persino nella morte...
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Uro aggiunse un ciocco di legno al fuoco, che divampò con rinnovato vigore. Il Cavaliere si concesse un sorriso soddisfatto e tornò a sedersi accanto al muro senza soffitto. Appoggiò la testa. Cosa aveva distrutto quella casa e tutti gli edifici vicini? Il tempo e l’incuria? O era stata la furia della tanto discussa Regina-mostro?

Al di là delle fiamme, Amalia pizzicava le corde del suo liuto, la fronte corrugata. Suonava due o tre note, si fermava, le ripeteva, a volte ne cambiava qualcuna e segnava qualcosa con un carboncino su un foglio che teneva tra le gambe.

Poco distante, in un angolo sotto quel poco che restava del tetto, Apuleio dormiva, in piedi, con uno zoccolo sollevato e i bagagli sparsi intorno.

Il minotauro allungò una gamba per sistemare una pietra che era rotolata via dall’anello intorno alle fiamme: “Dici che quei tre ci daranno ancora problemi?”

La barda suonò più volte la stessa nota con le labbra strette, poi alzò lo sguardo su di lui: “Mmh? Ah, David e i suoi? Non credo proprio. Ho preso le mie precauzioni.”

Il minotauro si accarezzò il mento: “C’entra qualcosa quella polvere che hai sparso mentre camminavamo?”

Amalia annuì: “Cenere Mimetica. Perfetta per cancellare ogni traccia del nostro passaggio. Non abbiamo niente di cui preoccuparci, a meno che tu non senta l’irrefrenabile bisogno di muggire alla Luna o di fare qualcos’altro di ugualmente stupido.”

Uro fece una smorfia e scrollò la testa.

Un alito di vento fece tremare la fiamma. Il minotauro si strinse nel mantello. Dondolò la testa. Si morse il labbro: “Perché hai voluto risparmiarli?”

“Mmh?”

Il minotauro arricciò il naso: “Sono ancora là fuori. Se tu non mi avessi fermato, sulle strade ci sarebbero tre pericoli in meno.”

La cantastorie scrollò le spalle: “Con tutti quelli che ci sono, tre come loro non faranno molta differenza. Li hai visti, sono tre idioti.” ridacchiò “Onestamente, se qualcuno è così fesso da farsi fregare da loro, un po' se lo merita di farsi rapinare.”

Uro batté lo zoccolo: “Non c’è niente da ridere! Se quei tre dovessero uccidere qualcuno, il suo sangue ricadrebbe anche su di te e su di me. Avremmo potuto fermarli, e non lo abbiamo fatto!”

La donna sospirò: “Se fosse così, ci hai mai pensato che se invece salvassero qualcuno sarebbe anche merito nostro?”

Il minotauro sollevò un sopracciglio.

Amalia continuò: “Se avessero, da qualche parte, dei fratelli, o magari dei figli o delle figlie, che dipendono da quel poco che riescono a razziare in giro? Chi siamo noi per stroncare le loro vite solo per un piccolo diverbio che abbiamo avuto?”

“Piccolo diverbio?” sbottò Uro: “Stavano per rubare il tuo tanto prezioso mulo, se non te ne sei accorta. Avrebbero potuto ucciderti!”

La barda gettò in aria le mani: “E allora sterminiamoli tutti! Tutti quanti!” la sua voce era aspra, pungente: “Ma ti avviso, serviranno parecchi Fanatici di Nemesi per ripulire le strade dalla feccia da quattro soldi come loro. Voi quanti siete in tutto nel vostro ordine? Una cinquantina, un centinaio? Migliaia non basterebbero per lo scopo!”

Uro batté il pugno contro il terreno. Quella donna! Impudente e irrispettosa! Fece un respiro profondo. Non avrebbe dovuto sopportarla a lungo, giusto il tempo di arrivare a quella maledetta fortezza, terminare quella cerca e poi…

Sgranò gli occhi. No, non era così. Ormai era legato a lei dal Debito di Vita. Era al suo servizio per un anno intero.

“Che succede?” chiese lei “Qualcosa non va?”

Uro mugugnò: “Che hai intenzione di farmi fare?”

“Mmh?” fece Amalia, tornata a volgere tutta la sua attenzione al liuto.

Il Cavaliere si strinse in sé stesso: “Per il Debito di Vita che ti devo. Visto che mi sono votato a Nemesi puoi disporre dei miei servigi solo per un anno. Cosa vuoi che faccia per te?”

“Una bella domanda” mormorò lei: “Ci devo pensare”

Strimpellò una cascata di note allegre. D’un tratto sollevò le sopracciglia e schioccò la lingua: “Senti… Perché ti sei unito ai Cavalieri di Nemesi?”

Il minotauro si accarezzò la base del collo: “Perché ti interessa?”

La barda sorrise, perfida: “Ho deciso di comporre una canzone su di te e le tue valorosissime imprese”

Uro inspirò e gettò fuori uno sbuffo lungo e forte.

“Dai” ridacchiò lei “Senti qui”. Suonò una cascata di note, una melodia goffa e divertente:

 

“Per le corna un toro puoi afferrare
Ma col minotauro non ci provare!
Di Uro il Possente vi canto la storia
Furia di Nemesi, degno di gloria…”

 

Sogghignò: “Che te ne pare come introduzione? Posso metterci così tante belle cose… ad esempio, quando oggi sei caduto in una fossa e hai avuto bisogno di una barda per essere tirato fuori. Oppure… oppure…” alzò lo sguardo e si accarezzò il mento, con un’espressione di finta pensierosità: “Eh, purtroppo non mi viene in mente niente. Dai, raccontami. Sono sicura che avrai un sacco di aneddoti degni di essere cantati nelle taverne!”

Uro grugnì.

“Orsù, Cavaliere, non essere timido. Quanti gattini hai salvato dagli alberi?” ghignò la cantastorie “Quanti carretti bloccati hai disincastrato? Quante povere anime hai salvato da un temibile galletto scappato dal recinto?”

Uro corrugò la fronte e strinse i pugni: “Sei molto fortunata” soffiò “Che tra te e me ci sia il mio Debito di Vita…”

“Allora facciamo un patto” Amalia gli strizzò l’occhio “Se tu mi racconti la tua storia, io ti abbuono il tuo anno di servizio e considero il tuo debito completamente ripagato.”

Uro aggrottò un sopracciglio: “Mi libereresti così facilmente?”

La donna alzò i palmi delle mani: “Non ho interesse a tenerti come mio servitore. E a dirla tutta, la tua compagnia mi annoia. Solo una cosa” sollevò l’indice “Non tentare di raggirarmi. Noi del Culto di Veritas non avremo il vostro Occhio Indagatore, ma siamo comunque molto perspicaci in fatto di menzogne.”

Uro raddrizzò la schiena: “Ripetimi un attimo… cos’è che vuoi sapere? Perché mi sono unito ai Cavalieri di Nemesi?”

La barda annuì: “Tutta la storia. Con più dettagli possibile.”

Il minotauro si accarezzò le guance. Sarebbe diventato lo zimbello di tutto il Regno. Ma Nemesi insegnava a non curarsi delle malelingue. E prima si levava di torno quella vecchia, meglio era.

“Va bene” si sfregò le mani contro le cosce: “Ma se vuoi raccontare la mia storia, che sia la verità” strinse gli occhi “Non mi importa delle tue prese in giro da quattro soldi, ma non azzardarti a mentire sul mio conto”

La donna roteò gli occhi e sollevò la sua collana d’argento: “Ti ricordi, no, quale dio servo?”

Uro sbuffò.

Chiuse gli occhi e trasse un lungo respiro.

Si schiarì la gola: “Non sono bravo a raccontare” mormorò “Ma farò del mio meglio”. Fu scosso da un brivido. “I Cavalieri di Nemesi mi hanno trovato al Tempio di Hestia quando avevo circa otto anni.”

“Aspetta” Amalia aggrottò le sopracciglia: “Non posso dire di essere esperta di Cidonia, ma… Hestia non era la dea del focolare domestico? Servita da un ordine di sacerdotesse che si assicurano che il suo sacro fuoco non si spenga mai? Che ci facevi nel suo Tempio?”

“Beh” il minotauro incrociò le braccia “Hai detto bene, ma non hai detto tutto. Hestia è soprattutto la dea dell’accoglienza. Chiunque può trovare rifugio nel suo Tempio. In particolare… gli orfani.”

“Oh” Amalia abbassò gli occhi.

“Madre Tecla mi ha raccontato che, come molti bambini, sono stato trovato di fronte alle porte del Tempio quando ero piccolo. Io non lo ricordo, ovviamente. Ricordo solo…”

Il rumore dei suoi passi pesanti sul pavimento di marmo. L’odore dolce e pungente che si spargeva nell’aria quando, durante le feste, le sacerdotesse gettavano erbe aromatiche nello scoppiettante fuoco sacro. E, una notte, il boato dei fulmini quando cercava di addormentarsi, il pianto degli altri bambini che riempiva la grande stanza, e poi la ninnananna delle sacerdotesse che li cullava e li calmava.

Uro scosse la testa. “Scusa” mormorò “Stavo dicendo… quasi tutti gli orfani accolti al Tempio erano umani. Di… diversi… c’eravamo io, un centauro, Ippolito, una driade chiamata Dafne, e un satiro di nome Piko, ma che tutti chiamavano Pik. Il piccolo Pik”

Si massaggiò la nuca: “Ora, gli altri bambini…” scosse la testa: “Al tempo c’era una guerra tra umani e non-umani. Al Tempio di Hestia tutti erano i benvenuti… in teoria. Cioè, non saprei dire come se la cavava Dafne, lei non la vedevo molto, perché stava nella parte del Tempio riservata alle femmine.” sospirò “So che a Ippolito lanciavano sempre sassi e sporcizia dal primo piano, perché non riusciva a salire le scale.”

Si incurvò, e si sorresse il mento: “Ma con Pik… erano proprio crudeli, con Pik. Lui era debole, mingherlino, zoppicava. Aveva pure un corno spezzato, non so come se lo sia rotto. Era il bersaglio perfetto. Lo prendevano per il corno che era rimasto, gli rubavano il cibo, lo spingevano… e lui sopportava tutto senza dire una parola.”

Afferrò una manciata di legnetti e li buttò nell’ormai esile fuoco: “Per quanto mi riguarda… beh, avevano troppa paura per provare a prendersela con me. Più che altro mi parlavano alle spalle. Non sapevano che io avevo orecchie migliori delle loro, e sentivo tutto. Ma non mi importava.” il suo pugno tremò “Non mi importava se dicevano che puzzavo, non importava se ridevano perché facevo fatica a scendere le scale.” deglutì “Non mi importava se mi chiamavano mostro! In qualche modo…” una lacrima si affacciò sul suo occhio, ma la ricacciò indietro “In qualche modo, ognuno per i fatti suoi, siamo andati avanti. Finché…”

Trasse un respiro spezzato: “A un certo punto è arrivato al Tempio questo ragazzo piuttosto grande, Kallistos. Avrà avuto almeno dieci, dodici anni, e si è subito fatto molti… amici. Ce l’aveva con i satiri. E non si limitava alle parole.” si conficcò le unghie nella gamba “Ogni volta che aveva l’occasione, non appena una delle Madri voltava le spalle, Kallistos e i suoi circondavano il piccolo Pik e iniziavano a colpirlo. E le poche volte che Pik ha provato a chiedere aiuto, loro hanno detto che il satiro era un bugiardo, che si era inventato tutto”

Ringhiò: “Kallistos era dannatamente bravo a fare l’innocentino. Ogni volta sembrava cadere dalle nuvole, era come se davvero non ne sapesse niente. Se non lo avessi visto con i miei occhi, forse ci sarei cascato anche io.”

Si grattò dietro l’orecchio: “Beh, un pomeriggio eravamo nei giardini fuori dal Tempio. A giocare, in teoria. Io me ne stavo per i fatti miei, all’ombra di un ulivo. C’era Madre Tecla a sorvegliarci, ma è arrivato un visitatore, un uomo con un grande mantello rosso, e lei è andata ad accoglierlo. Kallistos non aspettava altro.”

Contorse le mani: “Erano in tre, insieme a lui. Hanno afferrato Pik e lo hanno trascinato dietro un angolo dove Madre Tecla non poteva vedere. Uno lo ha imbavagliato con della stoffa per impedirgli di urlare. Kallistos e gli altri lo hanno massacrato. A un certo punto quello sputava sangue!”

Abbassò il capo: “Io non volevo averci niente a che fare. Ho provato a ignorarli, mi sono detto che non erano affari miei. Ma a un certo punto i mugugni disperati di Pik mi hanno costretto a guardare. Kallistos aveva in mano un pugnale, un maledetto pugnale! Lo volevano ammazzare, in nome di Zeus! Allora sono corso in suo aiuto.”

Si morse il labbro: “Un paio li ho stesi coi pugni. Quello che teneva fermo Pik è scappato. L’ultimo era Kallistos, ma… beh”

Aprì il mantello e sollevò la cinta sul petto. La pallida cicatrice svettava sulla pelle ustionata su cui il pelo aveva smesso di crescere. Amalia trattenne il fiato.

Uro aprì le labbra in un sorriso amaro: “Diciamo che anche se ero forte, non ero per niente addestrato. Il mio urlo ha attirato l’attenzione di Madre Tecla e dello straniero. Io ero lì, mi premevo le mani sulla ferita, ruggivo incapace di parlare… Pik, era crollato svenuto.” soffiò “Kallistos ha tirato fuori la sua migliore interpretazione, si è messo a dire che li avevamo attaccati, che si erano dovuti difendere. Madre Tecla mi ha guardato con…” si morse le labbra “Si è coperta la bocca come se stesse per urlare, aveva gli occhi grandi, umidi. Pieni di paura.”

Le mani presero a tremargli: “Non sapevo cosa fare, cosa dire, cosa pensare. Non sarei mai stato convincente quanto Kallistos. E poi, io ero un mostro. Ma non potevo sopportare quello sguardo.” si afferrò la testa: “Per un momento, ho desiderato di morire…”

Fece un respiro profondo. Poi un altro. Aveva la fronte madida di sudore. L’asciugò col dorso della mano.

Il fuoco crepitò, debole, ridotto agli ultimi istanti di vita. Con quella tenue luce era impossibile decifrare il volto di Amalia.

“Poi…” il minotauro si umettò le labbra “Ho visto lo straniero estrarre una spada, e quella ha preso fuoco. Ho pensato che avrebbe esaudito la mia preghiera silenziosa e che mi avrebbe ucciso. Invece mi ha tolto le mani dalla ferita e ci ha poggiato sopra la punta della lama”

Sussultò. Un brivido lo percorse, al ricordo di quel dolore lancinante. “L’ultima cosa che ho visto è stato lo straniero che rovesciava a terra Kallistos con un colpo di piatto della lama, e che gridava che era un bugiardo. Poi ho perso i sensi. Quando mi sono risvegliato ero in un letto, e al mio capezzale c’era lui, lo straniero.”

“Un Cavaliere di Nemesi, immagino” Amalia giocherellò con la ciocca di capelli.

Uro annuì: “Ha detto che aveva parlato con il piccolo Pik. E che ho dimostrato molto coraggio a difendere un innocente”

Amalia si accarezzò il mento, lo sguardo perso nel vuoto: “Sì, avevo sentito che i Cavalieri di Nemesi a volte cercano reclute negli orfanotrofi.”

“Più profondo il dolore subito, più grande la fame di giustizia” disse Uro: “È uno dei Proverbi del nostro ordine”

“E…” mormorò Amalia “Perché hai accettato di seguirlo? Cosa ti ha spinto a farlo?”

Uro scrollò le spalle: “Onestamente… non saprei. Cioè, tante cose. Un po’ era che mi sentivo in colpa per averci messo così tanto ad aiutare il piccolo Pik… un po’ mi aveva colpito la sua capacità di vedere oltre la menzogna di Kallistos” sospirò “Ma soprattutto… la tristezza che avevo provato allo sguardo che mi ha rivolto Madre Tecla si era trasformato in rabbia, e sentivo di non poter restare nel Tempio. Non potevo incontrarla di nuovo.”

Amalia si accarezzò una tempia: “Capisco”

Uro si strinse nelle spalle: “Sei soddisfatta? Il mio debito…”

Amalia annuì: “Il tuo debito di vita è ripagato, Cavaliere di Nemesi. Non mi devi più nulla” si alzò, gli si avvicinò e gli allungò una boccetta “Tieni. È un elisir di Dolce Sonno, ti garantirà una notte tranquilla. Non vorrei che tutti questi brutti ricordi ti portassero incubi.”

Il Cavaliere si sfiorò i lati della bocca, tolse il tappo di sughero e fiutò. Un odore dolce, di frutti di bosco. Poteva fidarsi? Alzò le spalle. L’Occhio Indagatore non si era attivato, dopotutto. Bevve, e il sapore di bacche selvatiche si sparse nella sua bocca.

“Domani riprenderemo il viaggio.” disse la cantastorie “È questione di pochi giorni, ormai”

“Mmh” fece Uro.

“Ah, un’ultima cosa, se non ti dispiace. Questa storia che mi hai raccontato… quanto tempo fa è successa?”

Il minotauro alzò gli occhi al cielo: “Direi… sette anni fa.”

“Ma…” la voce di lei era scossa “Avevi detto che avevi più o meno otto anni… quindi tu adesso ne hai quindici?”

Uro annuì: “Sì… circa” Le palpebre cominciavano a farsi pesanti.

“Per la barba dell’imperatore!” I passi di Amala risuonarono nell’ombra “Te ne avrei dati almeno venti, o venticinque… sapevo che alcune razze maturano prima, ma…”

Il minotauro spalancò le labbra e sbadigliò.

“Non importa.” disse lei “Buona notte, Uro. Dormi bene.”

La testa di Uro crollò, e tutto divenne buio.

   
 
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