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Autore: CervodiFuoco    24/10/2023    1 recensioni
Questa è una raccolta di racconti brevi la cui trama è la parola chiave suggerita dall'InkTober di quest'anno 2023!
Non mi attengo ad alcuno stile, atmosfera o genere fisso: entrate a vostro "rischio e pericolo", coscienti che potrebbe capitarvi di tutto sotto gli occhi! Ogni giorno una nuova storia, inventata e scritta sul momento lasciando libera l'immaginazione e la creatività. Spero di avervi numerose/i a leggere! Purtroppo l'introduzione può fare poco per stuzzicare la vostra attenzione, ahinoi; dovrò affidarmi alla mia, e vostra, buona stella.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Parole dal 18 al 24 Ottobre:

sella

paffuto

gelo

catene

graffiante

celeste

superficiale

 

 

 

 

 

 

 

SOLO UN SOGNO FUSO

 

 

 

In sella al suo potente destriero glaciale, un orso bianco delle nevi nordiche, Ramys galoppava tra gli alberi sfrecciando veloce come il vento. Non si curava né delle foglie che cadevano dagli alberi - che non avrebbero dovuto cadere - né del cielo sopra di lui, di un bianco cadaverico anziché azzurro. Doveva assolutamente arrivare alla prigione dov'era celato e nascosto il suo amico.

Non fu difficile. Anche se non c'era un sentiero, Ramys conosceva bene quella foresta come le sue tasche e in breve ne fu fuori. Ora solo un lungo declivio e poi una ripida salita dall'altra parte, lo separavano dalle Prigioni Celesti.

Giunto ai piedi dei possenti cancelli, smontò dall'orso, che ringraziò per lo sforzo impiegato. Poi andò a bussare mediante lo spesso battente in metallo meteoritico. Il suono che si produsse fu simile a un'antica campana, inquietante, e riecheggiò negli spazi ignoti dall'altra parte della lastra del portone.

D'improvviso l'uscio si spalancò da solo. Ramys prese le briglie di Lucius, l'orso, e lo condusse all'interno.

Si trattava di un antichissimo e derelitto tempio dei tempi che erano stati. Non c'erano luci accese, e nessuno gli diede il benvenuto: altissimi soffitti erano sorretti da imponenti colonne le cui effigi e decorazioni erano state erose dai secoli. Minuscole finestrelle squadrate alla sommità delle pareti lasciavano entrare la luce esterna, che andava a depositarsi a intervalli regolari e studiati sul pavimento. I suoni dei passi di Ramys rimbombavano lì dentro come sinistri sussurri prodotti da creature dimenticate che potenzialmente potevano annidarsi negli angoli non visti, dietro quelle statue deformi senza sembianze, oppure oltre l'altare in fondo, popolato di strutture in pietra dalle forme curiose, impossibili da decifrare per la mente moderna del cowboy. Il fatto strano era che, sebbene la luce fosse poca, lì dentro si riusciva a vedere: era come se il materiale stesso del tempio, quella roccia granitica tagliata e posizionata lì chissà quanto tempo prima, emanasse una sbiadita luminescenza bluastra, il che rimandava l'effetto ottico di star introducendosi in una specie di grotta naturale. Ma così non era. Mani e menti e complessi calcoli e tecnologie perdute avevano architettato e lavorato, lì dentro.

Adesso, però, era tutto immobile e morto.

Tutto, eccetto Sybil.

Sybil era l'esatto motivo per il quale Ramys si era introdotto nel tempio: il suo bisonte volante. Fu un suo gemito lamentoso ad attrarre l'attenzione del cowboy, che spinse lo sguardo abituato alla penombra fin dove poteva, là dove si ergeva l'altare. Ai piedi di un largo e tozzo pilastro, imprigionato da spesse catene, vi era il paffuto Sybil.

In un baleno Ramys gli fu accanto. L'orso lo aveva lasciato indietro, preso dallo sgomento e dalla felicità di poter rivedere il suo vecchio amico.

«Amico mio... che ti hanno fatto?» disse Ramys, sollevando le mani per aiutare la creatura, ma incapace di trovare una qualche soluzione. Quelle catene sembravano belle spesse, non si sarebbero spezzate facilmente.

Sybil tremava per il gelo. Guardò il cowboy con occhi stanchi e privi di speranza: era contento di vederlo, ma in un certo qual modo rassegnato, e ciò spezzò il cuore all'umano.

«Vedrai, troveremo un modo!» esclamò Ramys, sforzandosi di essere ottimista.

Al che, udì una voce alle sue spalle emettere una specie di squittio.

«Voi umani siete sempre così superficiali... veramente pensavi che sarebbe stato così facile?»

Pervaso dalla testa ai piedi da un brivido, Ramys si girò di scatto.

 

 

E si svegliò dal sogno.

«Ehy, non pensare che fare un pisolino ti accorci la giornata di lavoro! Guarda che non le pago le ore, se ti addormenti. La fucina non va avanti da sola!» lo rimbrottò graffiante Alanna, una giovane donna atletica dal lungo e nero crine con indosso il suo grembiule in cuoio scuro. Lo indicava con un dito. «Sveglia, pelandrone!» Drizzò il capo munito di corna, retaggio della sua razza Tiefling, e poi si allontanò.

Mollando uno sbuffo rassegnato, Ramys si passò una mano sulla faccia, si grattò la barba e si rimise al lavoro, anche se assonnato. Le immagini del sogno presto andarono a fondersi assieme al metallo, fra le fiamme.

   
 
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