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Autore: Doctor Nowhere    29/10/2023    1 recensioni
Uro è un minotauro che si è votato a Nemesi, dea della vendetta, per portare giustizia dovunque lo porti la sua strada.
Un giorno, in una taverna, incontra Amalia, una vecchia barda, che gli propone di accompagnarla in un'importante missione, per salvare una povera donna incapace di trovare conforto e riposo persino nella morte...
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Le scale di pietra ingiallita erano invase da radici e cespugli, e salivano verso l’alto finché i fitti rami dei cedri non ostruivano la visuale. Con tutta la vegetazione che era cresciuta intorno era difficile dire quanto grande fosse il palazzo, ma doveva essere enorme.

Amalia si accarezzò il mento “Oh, una ziqqurat. Non la meglio conservata che io abbia mai visto, ma comunque notevole”

Uro aggrottò la fronte: “Quanto dobbiamo salire per entrare?”

“Eh” Amalia scrollò le spalle: “Mi azzarderei a dire ‘tanto’. Il palazzo reale vero e proprio dovrebbe essere in cima” sbatté le palpebre “No, scusa, in cima c’è l’altare e la zona di culto. Noi dobbiamo arrivare appena più sotto, alla sala del trono.”

Il minotauro mugugnò.

Amalia inarcò un sopracciglio: “Non dirmi che il grande Uro, Cavaliere di Nemesi, trema di fronte alla prospettiva di sudare un po' salendo delle….” fece una smorfia e sventagliò le dita delle mani “Uuuuuh…scale!”

Uro incrociò le braccia: “È la discesa il problema. Te l’ho detto.”

La donna gli diede una pacca sulla schiena :“Guarda il lato positivo. Se la Regina-mostro ti sbrana, non dovrai preoccuparti di tornare giù.”

Uro sbuffò e mosse i primi passi. Poi si arrestò: “Un momento. Il mostro è ancora vivo?”

Amalia alzò lo sguardo: “Chi può dirlo? Secondo alcune interpretazioni della leggenda sì. Un verso della Canzone di Klitandra dice la tortura della poveretta è eterna e sempre rinnovata. Per alcuni è segno che la Regina continua a vivere e a tormentare quella povera donna.” i suoi occhi si socchiusero in uno sguardo interrogativo “Perché lo chiedi? Non te lo avevo detto?”

Uro sfoderò la spada “No. E saperlo prima avrebbe fatto comodo”

“Oh…” la cantastorie lo superò nella salita. Si diede un colpo sulla fronte: “Ora ricordo, è perché mi hai chiesto di raccontarti la storia in prosa. Scusa, colpa mia… fino a un certo punto. Se avessi ascoltato la versione originale lo avresti saputo.”

Il minotauro puntò il pollice alle sue spalle: “E l’asino?”

L’animale se ne stava ai piedi delle scalinate, ad abbuffarsi di erba e foglie cadute. Non era nemmeno legato.

La barda ridacchiò: “Non preoccuparti di Apuleio. Lui starà bene. Ci aspetterà per qualche giorno, e se non dovessimo tornare… beh, se la caverà.”

Il minotauro strinse gli occhi. Quella bestia non avrebbe aspettato neanche il tramonto prima di andarsene per i fatti suoi. Ma era un problema della cantastorie, non suo.

Gli zoccoli scalpitarono sul marmo, ogni passo una lenta falcata di tre gradini. C’erano delle incisioni, ai lati della scala. Strani ghirigori mezzi coperti da licheni e zolle di terra. Chissà se avevano un significato. Forse Amalia lo avrebbe saputo, ma chi aveva voglia di sorbirsi tutta la lezione?

Superò lo strato del manto boschivo e sbucò sotto la luce del Sole. Si coprì la fronte col braccio. La palla di fuoco bruciava prossima al punto più alto del cielo. Proprio l’ora migliore per la scalata! Ansimò. Faceva un caldo bastardo. Prese il suo otre, ne bevve un sorso, poi si rovesciò un po’ d’acqua sulla mano e se la sparse sulla fronte.

Alzò la testa. La ziqqurat si ergeva maestosa, anche se invasa da piante rampicanti. Nemmeno il Tempio di Nemesi o di Hestia erano così grandi. Era composta da diversi blocchi posti a ‘strati’, uno sopra all’altro, dal più grande al più piccolo. Quanto tempo era servito per costruirla?

Lungo la scalinata, ai lati, erano disposte decine e decine di statue. Molte erano ridotte a piccoli pezzi, spaccate in più punti.

Amalia si arrestò e si chinò su un cumulo di detriti “Ecco, questo è strano”

Uro la raggiunse con pochi passi. La barda aveva raccolto una testa di pietra abbastanza ben conservata. Aveva gli occhi sbarrati e la bocca aperta in un grido da cui faceva capolino una sfilza di denti storti.

“Non so come siano abituati qui” mormorò Uro: “Ma a Cidonia noi non riempiamo i nostri templi con statue così inquietanti. Che razza di dio si sentirebbe onorato da una cosa del genere? Solo un Proibito potrebbe gradire.”

Amalia mugugnò “Neanche qui, da quanto ne so. E c’è di più” girò la testa di pietra di lato. Un pendente dorato scintillò all’unico orecchio rimasto “Ho viaggiato in lungo e in largo, ma non ho mai visto una statua agghindata con veri gioielli.” fece riflettere la luce del Sole sull’orecchino “Questo sembra oro vero. Chi lascia dell’oro all’esterno, in piena vista?”

“Aspetta” Uro si abbassò e fiutò. Erba, edera… tutto regolare. Ma c’era qualcosa di più… odore di cuoio. Rovistò tra i blocchi e sotto un braccio di pietra fece capolino una scarsella. La sollevò e il contenuto tintinnò “Decisamente non c’è nessun motivo di dare questa a una statua”

Sciolse il nodo e la rovesciò sulla sua mano. Caddero fuori un paio di monete d’oro e una decina d’argento.

Amalia ne prese una e la rigirò tra le mani. Su un lato c’era una testa incoronata, sull’altro una lancia. “Questo è un scudo d’oro. L’effige è dell’imperatore Claudivo di Saturnia…” si grattò la testa “Che è asceso al trono sì e no dieci anni fa”

Un brivido corse lungo la schiena del minotauro: “Il che può significare solo una cosa”

“Per la verità due” disse Amalia “La prima è che la Regina Mostro è in grado di trasformare le persone in pietra. La seconda che è ancora viva, al di là di ogni ragionevole dubbio.”

Uro strinse il pugno libero e le sue dita scrocchiarono: “Perché non è possibile che negli ultimi anni qualcun altro sia venuto e abbia abbattuto quell’abominio, vero?”

“Ne dubito” la barda scosse la testa “Puoi star certo che tra i menestrelli una notizia del genere sarebbe presto diventata una canzone, e una di successo. Ho passato diversi mesi a documentarmi sulle leggende e sulle voci su questo luogo. Una notizia del genere non mi sarebbe sfuggita.”

Il minotauro annuì. Si avvicinò la lama alle labbra: “Divina Nemesi, riempimi con la Tua giusta ira, perché io possa diventare strumento della Tua giustizia” le fiamme divamparono e avvolsero l’arma.

Amalia lo guardò di sottecchi “Non rischiamo di dare nell’occhio, con quella?”

Uro la guardò in tralice: “Se preferisci, puoi entrare da sola e io aspetto che tu venga sbranata, cantastorie”

“Oooh, una risposta sarcastica” la donna applaudì “Allora non sei senza speranza!”

Salirono un’altra rampa di scale, e giunsero infine al piano dove doveva trovarsi la corte.

Davanti a loro si stendeva un lunghissimo corridoio. La luce filtrava da lucernari scavati nel soffitto a distanza regolare ma, anche col Sole prossimo al punto più alto, era appena sufficiente a muoversi. Uro sollevò la sua spada per illuminare la via. Amalia estrasse da una borsa un’ampolla luminescente.

Ai loro lati si aprivano numerosi corridoi, tutti più stretti di quello che avevano imboccato, che doveva essere quello principale.

“E adesso?” sussurrò Uro “Come abbiamo intenzione di muoverci?”

La barda si accarezzò il mento: “Allora, il nostro obiettivo è raggiungere la sala del trono. Spesso vicino ci sono degli archivi, forse c’è qualche informazione che può tornarci utile. Dunque, dovrebbe essere sempre dritto di qua, poi…”
Una vibrazione, davanti a loro. Un suono, in lontananza.

Uro drizzò le orecchie. Era… una voce. Un canto.

 

“Regina del dolore, supremo tormento

Senza conoscere di riposo un solo momento

Nell’angoscia del silenzio che mai tace

Vago senza sorriso né speranza di pace”

 

“Un momento” il Cavaliere interruppe la barda: “Avevi detto che Klitandra… il re si era innamorato di lei per il suo canto, no?”

La cantastorie annuì: “È un elemento costante in tutte le versioni, sì. Perché?”

“Ascolta…” sussurrò il minotauro.

La donna si portò una mano all’orecchio. Sgranò gli occhi e si sfiorò le labbra con dita tremanti: “La leggenda era vera! Quella povera disgraziata…”

Uro si mise in guardia, e il movimento della spada fece danzare la luce intorno a lui: “Gli innocenti prima di tutto. Dobbiamo salvarla, prima di fare qualunque altra mossa” emise un leggero ringhio “O hai qualcosa da obiettare, cantastorie?”

La barda mise mano alla balestra, innestò un dardo e iniziò a girare la manovella: “Concordo in pieno con te. Cerca solo di usare prudenza. Non caricare a testa bassa come hai fatto nella giungla, o allerterai il mostro”

Uro annuì. Procedettero, lui davanti lei dietro.

 

“E chi s’avvicina, stolto e sciocco!

Ché pietra e cenere diventa al sol tocco”

 

Trattenne il respiro. Era vicina, sempre più vicina!

La voce era limpida, le note penetravano nel petto di Uro come pugnali. Così tanta sofferenza… cento anni. Cento anni!

 

“Nel regno del nulla, sola nell’eterno dolore

Nemmeno un pensiero di gioia o d’amore”

 

Strinse la presa sull’elsa. Oh, ma la responsabile avrebbe pagato, che Nemesi gli fosse testimone! Il suo sangue avrebbe inondato quella reggia abbandonata, avrebbe…

Il suo zoccolo non trovò il terreno. Crollò a terra con un tonfo, e la sua spada tintinnò sul pavimento. L’eco rimbombò in lontananza. Il canto si spense.

“Attento, credo che ci sia un gradino” mormorò Amalia dietro di lui.

Uro raccolse l’arma e si levò in piedi “Non è divertente”

“No, infatti” disse lei, la voce inespressiva: “È drammatico, se pensi che ci siamo giocati il nostro effetto sorpresa”

“Piantala!” bofonchiò il minotauro. Sollevò la spada fiammeggiante sopra la sua testa. La luce si sparse nel corridoio, sulle pareti invase da rampicanti e segnate da profonde artigliate.

Un fruscio, ma da dove era venuto? Uro drizzò le orecchie, ma non venne nessun altro suono.

Il cuore prese a battergli forte nel petto. Trasse un profondo respiro. Non doveva perdere la calma. Durante l’addestramento aveva scoperto che aveva una visuale più ampia rispetto agli umani. Non era facile prenderlo alla sprovvista… e quel mostro non poteva saperlo.

“Attento!” gridò Amalia “È sopra di noi!”

Uro si gettò per terra e lo spostamento d’aria gli fece rizzare i peli del collo. Lo aveva mancato di pochissimo!

Si rialzò con un balzo e si rimise in guardia. La creatura che fluttuava davanti a lui era una donna dai lunghi capelli rossi, la pelle bianca come il marmo e striata da nere vene varicose. Indossava una veste bianca, strappata in più punti. Dalla vita in giù era come una cupola blu acceso, simile alle meduse del mare di Cidonia, e da lì uscivano tentacoli lunghi e sottili, come piccoli fulmini azzurri. Una gorgone!

Il mostro ruggì, si sollevò nell’aria con una bracciata e scagliò i suoi tentacoli contro di lui. Uro roteò la spada, e parò gli arti mostruosi, che rimbalzarono contro la sua lama. Il mostro indietreggiò. Era il momento per incalzarlo? No, quel mostro poteva trasformarlo in pietra, se non stava attento. Meglio restare sulla difensiva.

La gorgone ringhiò, i suoi occhi fissi sulla lama di Uro. Il minotauro si concesse un sogghigno “Brucia, eh?”

Ma dov’era Amalia? Uro strinse gli occhi. Eccola, dietro al mostro, intenta a prendere la mira con la sua balestra. Il mostro si voltò, e scartò di lato. Il dardo le trapassò la spalla. Con un ruggito di dolore e ira, la creatura gettò i suoi tentacoli sulla cantastorie.

“Stai indietro!” Uro balzò su di lei “Sono io il tuo avversario, affronta me!” con la spada tranciò un fascio di tentacoli. La Regina-mostro urlò, annaspò, avanzò di diversi piedi e si schiantò contro una parete.

Uro corse da Amalia: “Tutto bene?”

La donna si appoggiò a un muro “Sì… direi di sì. Ma non possiamo affrontarla adesso, dobbiamo… riorganizzarci.”

Il mostro gemette e si puntellò sulle mani per rialzarsi.

Uro sbuffò: “Ma ce lo lascerà fare?”

La barda annuì “Creerò un diversivo. Dobbiamo raggiungere la stanza del trono. Lì cercheremo qualcosa per barricarci e… potremo tirare il fiato”

La gorgone si tirò su e riprese a galleggiare nell’aria.

Amalia afferrò la boccetta luminosa dalla sua cintura “Preparati” sussurrò “Quando la lancio, chiudi gli occhi, farà tanta luce. Poi vai!”

Il mostro si gettò su di loro. La cantastorie lanciò l’ampolla per terra. Uro chiuse gli occhi. Risuonò un schianto di vetro che si frantuma, seguito da un piccolo boato.

“Vai, adesso!” urlò Amalia.

La gorgone, gemente, si era di nuovo gettata indietro, le mani premute sugli occhi. Il minotauro rinfoderò la spada, sollevò di peso la barda e si mise a correre.

Una luce veniva da più avanti, più intensa di tutte quelle nel corridoio!

Uro si mosse con ampie falcate.

“È tutto inutile!” gridò la creatura dietro di loro “Non uscirete mai vivi da qui! Le vostre carni muteranno in pietra e si sgretoleranno in queste rovine!”

Uro ansimò, ma si costrinse a non rallentare.

“Morirete per mano mia, come innumerevoli prima e dopo di voi!”

Un portale! Il minotauro ci si gettò dentro.

Depose a terra la barda. C’era un modo per chiudersi dentro? Sì, la porta di marmo.

Il minotauro ci poggiò contro la spalla e spinse con tutte le sue forze. La pietra scivolò sul terreno un pollice per volta.

“NO!” urlò la gorgone, ma era troppo tardi. La porta si chiuse, e Uro premette con tutto il suo peso.

Uno schianto, dall’altra parte, poi un altro e un altro ancora. Il mostro si gettava con tutte le sue forze contro la barriera, ma Uro non cedette.

Si concesse un mezzo sorriso. La Regina-mostro era un avversario temibile, ma in quanto a forza bruta non era paragonabile a lui!

La gorgone lanciò un ruggito di frustrazione “E sia! Se prediligete una lenta morte tra gli stenti, la avrete. Le vostre energie verranno meno, e allora non potrete arrestarmi! Badate, malcapitati avventurieri, badate bene! La vostra agonia è già principiata!”

Una risata aspra rimbombò nel corridoio, e si smorzò pian piano. Il mostro pareva essersi allontanato.

Uro si sfiorò l’orecchio, poi si allontanò dalla porta.

Amalia gemette.

Uro si chinò su di lei: “Va tutto bene?”

“Sì, sì” mormorò la donna “Credo…” si tastò il petto. Impallidì. Sollevò la maglia “Oh. No, invece. No, non va bene per niente”

Poco sotto l’ombelico della barda c’era un livido grigio.

No, non era un livido, era… pietra.

   
 
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