Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Marty_199    03/11/2023    1 recensioni
Sono passati ottant’anni dalla Sanguinosa Caccia che ha visto la morte di moltissime creature del deserto, gli Efir, la cui magia è stata presa dagli uomini.
Nel regno di sabbia e oro la convivenza tra umani e creature ha visto l'indebolimento dei patti e l'avanzare della guerra.
Dokor è il principe, generale dell’esercito dorato, con il sangue di una Dea è l'eroe della sua terra e ha completato la sua missione: riportare in catene l'uomo che lo ha tradito in passato.
Bellissimo, potente e pericoloso Elyim è per metà umano e per metà Efir, alla guida di creature ribelli e guerrieri contro il regno degli uomini è disposto a tutto pur di portare avanti la sua battaglia e pronto a bruciare tutto ciò che lo ostacola, compresi quei sentimenti che sette anni prima lo avvicinarono al principe.
Ma nel momento in cui si ritroveranno a collaborare in un viaggio attraverso le distese implacabili del deserto, tra Jiin furiosi, maestose corti e creature primordiali, i due dovranno muoversi in bilico tra l'essere amanti e nemici, mente le convinzioni di Dokor cominceranno a vacillare nello scoprire lo scopo della sanguinosa battaglia che gli Efir portano avanti.
*boyxboy*
*Enemies to lovers*
Genere: Angst, Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, Crack Pairing
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Incest, Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
CAPITOLO 1
-Dokor-

«Dokor?»
Continuava a colpire il manichino che aveva davanti senza sosta, il rumore sordo dei pugni raggiunse le sue orecchie, sperava di poter colpire così forte anche i suoi stessi pensieri e nonostante la loro materia fosse di aria e vuote parole nella sua testa da giorni cominciavano a prendere la pesante consistenza della roccia, sovrastavano qualsiasi cosa lui cercasse di portare a termine; in quel caso, fare tanto rumore da poter udire solo quello.

«Lasciami qui e vattene. Non mi interessa cosa mi succederà, se mi lascerai uscire farò in modo che la sabbia copra le vostre rovine.»
Doveva uscire dalla sua testa. Un altro pugno si abbatté sul sacco, tanto pesante da riuscire a spostarlo.
«Dokor.»
La luce del sole filtrava dalle volte delle finestre, gli bruciava sulla schiena nuda imperlandolo di sudore. Per terra aveva lasciato cadere le bende insanguinate che avrebbero dovuto tamponare la sua ferita al petto.
«Sei ridicolo, mi hai lasciato vivere. Cosa speravi che avremmo avuto un amorevole incontro e mi sarei pentito? So bene chi sono, sei tu a presumere di conoscermi.»
La sua risata lo ossessionava ancora. Avrebbe voluto che fosse derisoria, se non addirittura malvagia, ma ciò che aveva udito era la risata di qualcuno che si era abbandonato al suo destino. Qualcuno che trovava sinceramente divertente una situazione del genere.
La sentiva ancora, nella sua testa, rimbalzava fastidiosamente da un estremo all'altro facendolo impazzire. Non era ancora pronto ad affrontare la giornata, voleva rimanere in quel limbo personale, ogni pugno smorzava un pensiero, ogni tonfo gli faceva dolere le ossa già stanche. Sapeva che non appena sarebbe tornato a prendere coscienza di ciò che lo circondava sarebbe stato schiacciato di nuovo da un macigno di preoccupazioni. No, voleva smettere di pensare.
«DOKOR.»
Sospirò appena quando venne definitivamente strappato da quel vortice. Posò il pugno contro il sacco di stoffa e sabbia che penzolava, fermandone l'oscillazione. Con un profondo respiro irritato si voltò verso la donna dietro di lui, il petto gli si muoveva accelerato dal respiro irregolare e non aveva idea di che ora della giornata fosse o per quanto tempo fosse stato chiuso lì.
Drutia lo osservò con le sopracciglia scure aggrottate in modo pronunciato, aveva ancora il labbro spaccato e il sopracciglio aperto da una ferita ormai pulita, ma per il resto era impeccabile: indossava una veste di lino aderente al corpo, un corpetto stretto simile ad un'armatura le stringeva la vita, ricordando a tutti il suo grado da soldato al comando della fazione della guarnigione Est. I capelli raccolti delicatamente dietro il viso e soli due bracciali dorati ai polsi.
Dokor poteva essere certo che sotto la gonna nascondesse il suo pugnale preferito, mentre la cintura alla vita di cuoio teneva la spada lucidata nella fondina di un lato e la pistola nell'altro.
«Sei ancora in questo stato? Tu… è sangue quello?»
Dokor si poggiò al sacco con le mani, affondandoci il viso. «No. Non di adesso» rispose subito con un mugugno. «Che ore sono?»
«È tardi, il processo sta per iniziare e tu puzzi di sudore, sei sporco e insanguinato.»
Dokor accennò un sorriso per il suo tono spazientito. Si passò una mano sulla pelle ruvida delle guance per poi abbassarsi a prendere le bende. Non aveva alcuna voglia di funzionare quel giorno, non ci sarebbe stato nulla di positivo nelle ore a venire, avrebbe voluto chiedere agli Dei di cancellarle come si sarebbe potuta eliminare una riga da un vecchio papiro.
«Come mai sei venuta tu a recuperarmi?»
Sperava di averla fatta franca, di aver saltato il processo ma a quanto pareva si era solo illuso. Una volta raccolte le pezze a terra con un gesto della mano fece sgonfiare il sacco composto di sabbia su cui aveva scaricato parte del suo nervosismo. La sabbia fuoriuscì dai piccoli buchi della stoffa intrecciata e si raggrumò a terra in piccole cascate di granelli che con un movimento con delle dita Dokor fece muovere e aderire al suo polso sotto forma di bracciale. Si addensò intorno alla sua pelle assumendo la consistenza della pietra sotto il suo volere.
«In molti stanno facendo troppo caso alla tua assenza.»
«Ero… sono in convalescenza» borbottò e mentì. «Mi preparo subito.»
Dokor si incamminò verso le sue stanze, per i corridoi del palazzo non incontrò quasi nessuno. Le grandi arcate lasciavano entrare la luce rovente e aranciata del sole, il vento era lieve e faceva muovere dolcemente i tendaggi bianchi. Le pitture lungo i muri erano da poco state raffrescate, quando era partito era certo non fossero così evidenti.
«Sai non ti giudico, è giusto riposare, che si sia considerati semidei o meno.»
Poteva sentirlo nel suo tono che non voleva infastidirlo e di quello Dokor la ringraziava, cercava di dirgli qualcosa o forse semplicemente di distrarlo e anche in quel caso gliene era grato. Ma non era certo che stesse funzionando.
«Vieni dentro, non ci metterò molto.» Dokor le lasciò la porta aperta entrando per primo. La stanza era come l'aveva lasciata, anzi più ordinata, le ancelle dovevano essere entrate mentre non c'era per riordinare e spolverare. Se non fosse stato per la grandezza naturale della stanza e la sfarzosità del palazzo, Dokor avrebbe scelto sicuramente una stanza più umile nei dettagli e poco interessante per gli amanti dello sfarzo. Il letto spazioso e dalle lenzuola pulite era colmo di una moltitudine di cuscini di cui non sapeva mai che farsi, la testata in legno lavorato e scuro proveniente da terre lontane, come le colonne che sorreggevano il baldacchino e le leggere tende trasparenti che cadevano ai lati del letto. Si chiedeva del perché di tutti quei dettagli inutili, qualsiasi azione vi compiesse dentro non era mai andato a guardare quanto il suo letto quel giorno fosse sistemato.
Per il resto le mura erano adorne di mobili in legno lucido che riflettevano la luce delle lanterne a gas il cui geroglifico runico all’interno permetteva alla fiamma di rimanere sempre accesa, un tavolino nel centro per poggiare le sue cose, su cui era momentaneamente appuntata una mappa ingiallita dal tempo e un papiro arrotolato.
Buttò le fasce insanguinate a terra e si voltò verso Drutia ferma allo stipite della porta, mentre i suoi occhi scuri scrutavano la stanza e i suoi lati. Dokor poteva capirla, non sarebbe mai entrata in quel momento senza una valida ragione, avrebbe destato chiacchiere non desiderate ed effettivamente nessuno dei due ne aveva bisogno.
Andò a lavarsi, cercando di essere rapido ed efficiente, la sua sala da bagno era altrettanto grande e lussuosa, un lavabo largo e una vasca altrettanto spaziosa, tubature in ottone portavano l'acqua che necessitava per lavarsi benché anche per loro che erano nobili fosse centillinata. Con velocità iniziò a pulirsi il viso senza guardarsi troppo allo specchio.
«Hai comprato quel papiro da quattro soldi "la voce del deserto?"» domandò Drutia, doveva aver scrutato per bene la sua stanza da fuori.
«Un'ancella l'ha dimenticato e io l'ho preso.» Inventò sul momento passandosi un panno sul viso per asciugarlo. I capelli negli ultimi anni gli erano cresciuti troppo, avrebbe dovuto farli tagliare. Nella fretta li legò con un nastro scuro in modo che non lo infastidissero.
«Da domani avrai una fila di spasimanti e duchesse pronte a sposarti» subito dopo udì la sua risatina.
Indossò la gonnella di lino al posto dei pantaloni in pelle, per quanto li preferisse li aveva portati così tanto che l'idea di vestire in maniera formale ma con i suoi vestiti tradizionali non lo infastidiva. Alla vita si strinse la cintura con le armi lucidate e sopra la veste altrettanto bianca che copriva il petto scuro legò l'armatura in cuoio con lo stemma del Re, richiamando il suo grado di generale delle truppe dorate del deserto, ma permettendo ai suoi muscoli di non sorbire la fatica di appesantirsi con la sua armatura ufficiale. Lasciò perdere qualsiasi gioiello se non la collana con la pietra di giada rossa che aveva al collo, coperta dalle sue vesti e a contatto con la sua pelle. Si chiese se in quell'occasione non fosse il caso di toglierla, riporta in un contenitore e non riaprirlo mai più.
Si osservò un momento allo specchio, i capelli neri erano secchi e rovinati sulle punte ma legati indietro da una bassa coda avevano assunto un'aria ordinata. Le cicatrici sul suo volto erano guarite e la pelle scura era di nuovo più compatta e liscia, forse un poco più scavata del solito, poteva leggervi i segni della sua stanchezza. Si passò nuovamente le mani sul viso per strofinare via qualsiasi sensazione vi fosse riflessa e decise che nessun pennello e nessuna pittura avrebbero toccato il suo viso, non ne aveva più l'abitudine, durante le battaglie erano rari i momenti in cui si sarebbe potuto sistemare dinanzi uno specchio per truccare la sua pelle. Per quanto agli umani piacesse pensare che loro potessero combattere e allo stesso tempo essere perfetti come gli Dei, la verità era che il sangue, il sudore e il fango del campo erano uguali per tutti. Non c'era momento migliore in cui tutta la loro umanità si facesse notare come in quei momenti.
Uscì dalla stanza per raggiungere Drutia fuori, si incamminarono in un silenzio più pesante e consapevole.
«Non abbiamo avuto modo di parlare, ma...»
«Non c'è molto di cui parlare» tagliò corto, sperando di chiudere lì il discorso. Avrebbe dovuto sopportare già abbastanza sguardi.
«Non devi fingere con me.»
Avrebbe potuto ringraziarla per quella sincera proposta di aiuto, dentro di sé sapeva di doverle essere grato, non l'avrebbe ricevuto facilmente da chiunque, non in quel modo. Drutia nonostante gli fosse inferiore di grado, ceto sociale e potere, da quando glielo aveva concesso non si era mai tirata indietro nell'essere una persona sincera e schietta. Ma quello fu un momento in cui non glielo concesse, il suo silenzio si rifletté su di lei che non insistette.
Più tardi si sarebbe fatto perdonare.

***

Il palazzo del processo si trovava poco distante dal palazzo reale. C'erano abbastanza mezzi per raggiungerlo tranquillamente, avrebbe potuto prendere la piccola monorotaia che da anni gli umani avevano costruito spianando le dune del deserto e sulle quali alla punta si trovava incisa una runa geroglifica che ne fungeva da protezione e faceva sì che un campo d’aria la circondasse continuamente permettendogli di aprirsi la strada in caso la sabbia fosse tornata a riprendersi il suo spazio, un dono che Endall, discendente del Dio della protezione, aveva volentieri concesso.
Si poteva arrivare tramite le carovane per coloro che avevano abbastanza per affittarne una con i relativi cammelli o con i fendi sabbia, aveva sempre trovato quella specie equina speciale ma troppo intelligente per essere relegata a un mero lavoro di tiro.
Dokor decise che nessuna di quelle era un'opzione che sentiva adeguata, in entrambe avrebbe dovuto incontrare troppe persone lungo la strada per arrivare al suo posto. Con al suo seguito Drutia, a cui non aveva concesso in egual modo di valutare le due opzioni, si diresse verso l'uscita sul resto del palazzo.
Al contrario della centrale non era adorna di enormi scalinate in pietra lavorata, palme verdi e alte colonne decorate con fiaccole a gas sempre accese, era più simile ad uno spiazzo in pietra che andava a perdersi tra le dune arancioni del deserto, il vento ne muoveva i granelli senza gli intoppi dei palazzi. Non erano presenti mura e mai lo sarebbero state, nessun esercito al di fuori di quello del deserto sarebbe stato in grado di sopravvivere al deserto selvaggio e arido che si apriva fino alla linea con il cielo, se non fosse stata la fame o la sete a ucciderli, ci avrebbero pensato le creature che vivevano al suo interno. Motivo per cui Dokor si ritrovò su di uno spiazzo completamente aperto.
Per scendere si potevano variare due opzioni, piccole e strette scale attaccate al muro un poco rovinate dato che nessuna ancella aveva l'ardire di rischiare la caduta, o si poteva seguire il cammino che andava aprendosi in una balconata senza bordi aperta sul vuoto sotto di loro. Diversi metri separavano il pavimento da dove si trovavano.
Il vento soffiò poco più forte, Dokor chiuse un momento gli occhi e si fermò ad un passo dal baratro, percepiva Drutia pochi passi dietro di lui.
«Caa'li.» La profondità del suo tono mosse le montagne di sabbia sotto di lui. In lontananza udì il terreno tremare e le sabbie spostarsi e compattarsi tra loro, aprì gli occhi per vedere il movimento del deserto farsi sinuoso fino ad aprirsi al passare della sua creatura. Caa'li strisciò sulle dune spianandole sotto il suo peso, le squame giallo sabbia brillavano di diversi riflessi sotto il sole, ricoperte di macchie più scure sparse sul suo dorso in forme irregolari. Si fermò dinanzi il bordo, sollevandosi per arrivare alla sua altezza, il muso allungato dinanzi a lui mentre i suoi occhi neri lo scrutavano.
Dokor poggiò una mano sul suo muso e chinò il capo salutandolo con rispetto, le squame vibrarono producendo un basso brusio mentre la lingua biforcuta ebbe un guizzo.
Caa'li era al suo servizio da anni, si era piegato sotto il suo potere quando era ancora un ragazzo. Tuttavia era anche uno dei più grandi serpenti del mare di sabbia, un Majid del Deserto, le "Grandi creature", così veniva chiamato da chi possedeva la magia del deserto e riconosceva in quelle creature il potere della natura e degli Dei stessi. 
Dokor non gli aveva mai mancato di rispetto benché ne fosse il padrone, quell'equilibrio si sarebbe potuto spezzare come niente e nonostante la cerchia delle dieci famiglie appartenenti al Dekaetum, coloro che discendevano dalle dieci divinità principali, fossero avvantaggiate dal pizzico di magia che vibrava nel loro sangue, aveva faticato molto per avere la sua fiducia. Un Efir come Elyim, non ci avrebbe messo più di un giorno, loro sapevano come parlare alle creature del mondo.
«Salute amico mio, ho disturbato il tuo sonno ma non dovremmo muoverci per i prossimi giorni.»
Caa'li si spostò di fianco dandogli il permesso di salire. Sul suo fianco spiccò il geroglifico dell'occhio che fungeva da runa geroglifica per incanalare la sua magia, gliela aveva imposta nel momento in cui si era piegato sotto il suo volere. Calimath glielo aveva spiegato molto bene quando era arrivato a palazzo, le creature come i Jiin o gli Efir non avevano alcun bisogno di tramiti, la magia aveva la capacità di scorrere in loro come un fluido in piena. Per loro del Dekaetum era diverso, il popolo non possedeva nessuna qualità magica innata, le grandi famiglie come la sua erano le uniche a conservare la magia degli Dei, che potevano attivare al massimo della forza tramite le rune geroglifiche di canalizzazione, geroglifici antichi che secondo la leggenda che vigeva tra loro altro non erano che l'antica scrittura degli Dei lasciata a loro tramite i secoli. 
Non era l’unico modo in cui nei secoli avevano rafforzato quella discendenza magica, Dokor per un momento fece cadere l’occhio su l'anello che portava al dito, di ferro ricoperto in oro, perfettamente levigato a forma di serpente con i due piccoli occhi rossi e fiammeggianti di vita, uno degli oggetti venuti fuori grazie alla magia che strappavano agli Efir. Distolse lo sguardo velocemente, Elyim gli aveva sempre detto che la riteneva solo magia riciclata, Dokor non era fiero dell'utilizzo di quello che era stato fatto alle creature motivo per cui si atteneva strettamente ai patti che vigevano tra loro. 
Tuttavia rafforzare la sua magia era stato il modo di differenziarsi dal popolo, Dokor non aveva potuto tirarsi indietro, non aveva voluto. Era parte di quella corte e non più di quelle strade.
«Quindi... puoi richiamarlo anche per gli spostamenti? Come un cammello per una carovana?»
Dokor sorrise lievemente, posizionando i piedi sulle squame per issarsi e sistemarsi seduto poco più in alto del solito, quasi sulla sua testa. In quel momento la sua sella non sarebbe stata necessaria. Si voltò verso Drutia, ancora ferma dov'era.
«Più veloce e spero per i tuoi gusti più maestoso di un cammello. Una vista migliore e nessuna carovana barcollante» allungò poi la mano verso di lei, «vieni.»
Sotto il vento i suoi capelli castani erano un poco più spettinati, alcune ciocche si erano liberate dalle forcine alle quali le aveva costrette. Con un sospiro rassegnato allungò la mano verso di lui e un'altra la posò sul corpo di Caa'li per reggersi. Le squame sotto la sua mano vibrarono e si mossero spontaneamente, non riconoscendo il tocco. Dokor lo calmò per poi tirare su Drutia con poco sforzo, facendola sedere al suo fianco e indicandole dove reggersi, se lui poteva essere allenato nel rimanere in equilibrio mentre Caa'li camminava non poteva dire lo stesso di Drutia e voleva evitare che cadesse di sotto.
«Puoi avanzare.»
Caa'li prese a muoversi subito dopo, tenne la testa alta mentre iniziava a farsi spazio passando lontano dal solito cammino e addentrandosi nelle dune che li circondavano.
Dokor prese ad osservarsi intorno il deserto che tanto conosceva: il calore bruciante del sole, l'aria colma di granelli di sabbia e il lino contro la sua pelle accaldata. Il movimento ondulatorio di Caa'li riuscì un minimo a tranquillizzarlo e si immaginò di essere solo con lui, di poter sparire tra quelle dune.
In lontananza vide il palazzo farsi sempre più vicino, aveva preso il giro lungo e poteva osservarlo in tutta la sua austera magnificenza, la pietra bianca risplendeva, la cupola si allungava verso il cielo con il pennacchio in oro che riluceva sotto i raggi del sole. Dalla sua distanza riusciva già a scorgere la monorotaia che sfrecciava verso la sua direzione, le carovane ferme davanti lo spiazzo dell'entrata e piccole figure che si muovevano salendo i gradini. La sua possibilità di sparire si faceva sempre meno probabile e tornava a galla il suo vero intento, farsi vedere forte e deciso, in sella alla sua creatura per non permettere che nessuno osasse mettere in discussione la sua determinazione.
Non doveva far altro che tirare su un ottimo teatrino e per le persone comuni della città non sarebbe stato difficile, un serpente gigante era già abbastanza. La vera difficoltà sarebbe giunta dopo ma l'avrebbe affrontata a tempo debito.
Più si faceva vicino e più era certo di poterla sentire, la sua voce trasportata dal vento mentre lo prendeva in giro per farlo irritare.
«Sbruffone.»
Si voltò aspettandosi di trovarselo accanto. Gli occhi nocciola di Drutia lo scrutarono con una scintilla di curiosità, non aveva mai smesso di reggersi per tutto il tragitto, solo nelle battaglie più efferate l'aveva vista farsi sbiancare le nocche per una presa tanto ferrea. Scacciò i suoi pensieri e sorrise debolmente.
«Abbastanza plateale?»
«Compra La Voce del Deserto domani, non ci saranno altro che tue raffigurazioni.»
Il che non era una cattiva prospettiva, non avrebbe rischiato di trovarsi in giro per la città troppe raffigurazioni del processato del giorno.
Una volta vicino al palazzo una moltitudine di occhi si voltarono verso di loro, alcuni cammelli si agitarono e i proprietari dovettero calmarli tenendo strette le briglie. La maggior parte di loro si fermò ad ammirare l'enorme bestia dinanzi i loro occhi, maestosa e terrificante. Arrivati al balconcino Caa'li si fermò abbassando la testa con un sibilo che si protrasse nell'aria, permettendogli così di scendere.
Non appena toccò con i piedi la pietra sotto di lui Dokor allungò una mano verso Drutia per aiutarla a scendere, sapeva che in realtà lei non ne aveva bisogno, era allenata e benché la paura di una bestia a lei non avvicinabile la spaventasse, se avesse dovuto scendere non se lo sarebbe fatto ripetere due volte. Dokor voleva solo avere una scusa in più per prendere tempo da chi gli era alle spalle, la sua entrata era stata certamente plateale ma non si aspettava di trovarsi subito qualcuno ad aspettarlo.
Prese Drutia per la vita facendola toccare con i sandali a terra, Dokor sapeva che un contatto così ravvicinato davanti a tutti non era la migliore delle idee, quando tornava nel mezzo dello sfarzo del palazzo non era più solo il generale dell'esercito. Ogni suo tocco e ogni sua parola poteva venir soppesata, l'avere un contatto fisico stretto con uno dei comandanti donna sotto il suo comando, senza marito e di buona famiglia era un'azione che non passava inosservata.
Dokor non vi faceva caso e nonostante fosse sempre Drutia a riprenderlo per certe cose, su quello anche lei era poco attenta. Passavano tanto tempo insieme nel mezzo delle battaglie, si erano ritrovati a lottare uniti nel campo nel mezzo di una miriade di corpi, avevano lottato tra loro per tenersi allenati nei momenti morti, fare caso a un contatto tanto normale per loro era difficile. Era uno dei motivi per cui Dokor preferiva la quieta solitudine. Era cresciuto in un contesto troppo differente da quello interno al Dekatum, aveva compreso come muoversi e chi essere ma non era mai riuscito a farlo del tutto suo.
Lasciò andare Caa'li con un gesto di ringraziamento portandosi la mano alla fronte e poi verso di lui, in una imitazione del ringraziamento degli Efir, Caa'li mosse il capo oscillando come se gli stesse rispondendo, con il movimento flessuoso del suo corpo si mosse per voltarsi e si allontanò inoltrandosi nuovamente nel deserto senza che nessuno lo disturbasse.
Hurin li aspettava poco distante, con gli occhi seguiva ancora i movimenti del serpente sulla sabbia.
«Oggi mi raggiungono tutte persone che non mi aspettavo venirmi incontro spontaneamente.»
Hurin spostò gli occhi su di loro. Drutia aveva nuovamente preso una certa distanza da lui e con un cenno del capo si era chinata alla vista di Hurin, che aveva ricambiato con un veloce cenno della testa.
«Come sapevi che sarei entrato da qui?»
«Ho visto le dune muoversi e il modo in cui lo fanno all'arrivo di Caa'li è così morbido che non poteva che essere lui. Ho pensato che qualcuno avrebbe dovuto aspettarvi.» La sua veste di lino era nera e tanto leggera da muoversi con i pochi spifferi di vento che ogni tanto giungevano, Dokor riusciva a intravedere i suoi lembi di pelle al di sotto, la linea dritta dello stomaco fino all'inizio del petto che invece era completamente coperto da una collana d'oro che portava al collo posta sulla veste che si apriva a ventaglio e risaltava prepotentemente. La cintura lavorata andava stringendogli appena la vita rendendo la forma triangolare della gonna senza lasciare intravedere qualcosa, i sandali intrecciati di cuoio erano appena sollevati da un leggero tacco. L’anello al dito brillò sotto la luce del sole.
Dokor sapeva che Hurin avrebbe dovuto presenziare ad un processo tanto importante, in quanto discendente del Dio Heis della saggezza, dell’intelletto e dell'ingegno in ogni campo della sua attuazione. Ma vedere la sua figura lì presente era da una parte sorprendente, dall'altra parte era grato che Hurin l'avesse accolto, tanti sguardi ma poche domande, Hurin sapeva trarre da sé le sue conclusioni, uno dei suoi aspetti più spaventosi ma che in quella giornata facevano proprio al suo caso.
Si addentrarono nel palazzo della corte dove poco dopo Dokor dovette separarsi da Drutia, che avrebbe presenziato dai lati del balconcino con tutte le sfere più alte dell'esercito, aveva un grado importante ma nessuna relazione con la corte del Dekatum. Mentre sotto di loro si sarebbero trovati i rappresentanti dell'esercito.
Il tribunale interno consisteva in un'enorme sala ad anfiteatro, con al centro sistemata la pedana di metallo e ottone ricoperta di rune geroglifiche incise per tutta la sua lunghezza, con un palo al suo centro dove sarebbe stato incatenato l'imputato. Dinanzi a lui si sarebbero trovati i tribuni con i seggi rialzati dove avrebbe seduto il Re, il grande consigliere e gli otto del consiglio. Sui muri di pietra erano apportati ulteriori dipinti della bilancia, della giustizia e dell'occhio dell'anima, situati dietro i loro seggi mentre al loro fianco si innalzavano le statue simbolo del Deserto, alte e imponenti allungavano le loro braccia verso l'alto per sorreggere il tetto con le loro mani, le maschere che ne coprivano i volti allontanandoli dall'essere umano e fondendosi con i loro corpi fatti di pietra e ricoperti di bronzo, scintillavano sotto le luci del sole e delle fiaccole che ardevano ai lati del muro.
Dokor si incamminò verso il suo seggio, la sala straripava di persone e un gran vociare riverberava tra le pareti, sotto di lui riuscì ad adocchiare la fazione dei soldati alla sua sinistra e gli sembrò di notare i capelli di Drutia, mentre lungo il resto della sala si andavano sedendo la gilda dell'Eka nella destra seduti su di un rialzo, maghi di corte e studiosi dei geroglifici runici, la gilda dei mercati gli era accanto e i popolani, o chiunque avesse una fazione abbastanza importante da poter avere un proprio posto, si trovavano nel mezzo della sala che era divisa dalle guardie per lasciare un passaggio per il condannato.
Oltre le Tribune d'Onore erano accalcati sui restanti spazi funzionari, nobili, storici, studiosi e un paio di articolisti. Volti noti e meno noti ma tutti fra i più alti incarichi, la maggior parte appartenenti a illustri famiglie. 
Nessuno si lasciò andare in volgari applausi popolani ma Dokor poteva sentire i loro occhi su di sé, prese posto sulla sua seggiola sospirando, Hurin si sedette alla distanza di due seggiole da lui, la parte più esterna, se avesse potuto avrebbe volentieri fatto a cambio.
Quando il Re entrò la sala si ammutolì per un momento. Suo fratello entrò in completo silenzio, la lunga gonna di lino gli copriva le gambe fin sotto le ginocchia con lo stesso disegno a triangolo composto con la cintura in oro lavorato che gli stringeva i fianchi, i sandali erano stretti e leggermente rialzati da un tacco di legno che si intrecciavano lungo la gamba, al collo portava una collana che si apriva lungo il petto scoperto, coperto solo dalla pittura che si arrampicava lungo la sua pelle dorata rendendola più luminosa, i polsi erano coperti da bracciali e alla mano sinistra portava l'anello di osso e avorio lavorato a forma di scorpione. Il viso spigoloso era come sempre dipinto, gli occhi circondati di una linea nera spessa e decorati poi con sottili linee in oro, le labbra scintillavano dello stesso colore. 
Sul capo portava la corona che andava allargandosi sia verso l’alto che verso il basso sul suo volto, coprendo una sua parte e andando a creare la maschera che lo copriva, i capelli erano poco più lunghi di quelli che ricordava e a differenza della maggior parte delle persone il loro castano chiaro si faceva riconoscere.
Gli scoccò una lieve occhiata per poi sedersi al seggio alla sua destra, il centrale e più alto, nel punto preciso della pupilla dell'occhio che era dipinto alle loro spalle. 
Vide Nohldir entrare e nella sua bruta possanza prendere il suo posto, possedeva il doppio dei suoi muscoli e la metà del suo cervello, discendente del Dio nomade e della conquista, non si voltò verso di lui e Dokor ne fu lieto, non aveva l'ardire di starsi a sorbire le sue solite chiacchiere su quanto la sua posizione ereditaria nella famiglia reale gli avesse impedito di arrivare dove meritava e di quanto Dokor non fosse appropriato per il ruolo di generale.
Dokor non poteva competere contro di lui sul campo della forza bruta, la forza di quei muscoli sotto quella pelle sembrava in grado di frantumare qualsiasi cosa, eppure Dokor
lo aveva battuto e aveva dovuto vivere nel fango per guadagnarsi il posto dove era seduto. Nohldir sembrava essersi tirato a lucido, indossava anche la sua maschera nera sul viso che si allungava verso il basso simili a dei pugnali o a due zanne.

Zydite sedette al suo fianco, discendente dalla Dea Thut della verità, la collana con l'occhio di perla come unico ornamento, la maschera le copriva il viso e gli occhi vacui che erano celati sotto di essa, non vi era nulla sulla sua maschera, solo una colata di bronzo con le sembianze di un volto dagli occhi mai aperti. Dokor l'aveva sempre trovata affascinante e spaventosa, non era ancora riuscito bene a capire come si potesse muovere a suo piacimento.
Niphine, discendente dalla Dea Aesis dei raccolti e della maternità, nella sua delicata eleganza dai capelli neri e ricci nei quali erano incastonati i fiori del deserto. 
Amus, discendente dal Dio Fentho messaggero e del vento, con la sua maschera fatta di piume chiare e ben lavorate unite tra loro a forma di ali al di sopra la sua pelle scura come la notte. Sidite, discendente della Dea Pasha della magia e della scrittura, portava sulla pelle le decine di disegni delle rune geroglifiche antiche, trasformandola in una preziosa pergamena mentre il suo volto era coperto da un velo d'oro.
Endall che discendeva dal Dio Tafeal, osservatore e della protezione della terra e dei vivi, con i suoi occhi ambrati scrutava la sala attento, i capelli racchiusi in lunghe trecce pesanti e spesse, la veste di un dorato leggero che rimandava a tutta la sua nobiltà nei movimenti che accentuava.
Ricordava quanto gli era parso strano da ragazzo dover vivere in un palazzo condiviso con altre dieci persone presenti, più le guardie a protezione e i servitori sempre all'opera. In quell'occasione era stato suo fratello a spiegargli come vivesse la sua famiglia e quindi il Dekatum.
Quando i loro seggi furono pieni, tutta l'atmosfera da preparazione svanì e ogni persona prese il proprio posto. Dokor si isolò presto dalla situazione e cercò di pensare a qualcosa che lo distraesse da quel senso di oppressione che sentiva sul petto. Portò fugacemente lo sguardo verso il seggio vuoto al fianco sinistro di suo fratello.
«Fate entrare l'imputato.»
Qualsiasi ricordo stesse affiorando alla sua mente si dissolse velocemente ed ogni cosa venne invasa da Elyim: la sua mente, i suoi occhi, la sala stessa ed ogni persona lì presente percepirono la sua aurea prima ancora che facesse il primo passo verso la pedana.
Non c'era alcun modo di estraniarsi dalla sua presenza. Nella sala calò il silenzio mentre il prigioniero avanzava trascinando le catene, i polsi erano incatenati, aveva addosso stracci logori macchiati di sangue e sporchi. Niente a che vedere con gli abiti eleganti e pregiati che indossava in libertà, era una figura logorata, eppure aveva un portamento regale, come sempre, tipico degli Efir.
Camminava verso il palo con la testa alta, nessuna particolare espressione sul volto ma nessun segno di cedimento. I lunghi capelli solitamente rossi come una cascata di fuoco erano sporchi e ricadevano lungo il bacino in modo disordinato e selvaggio, gli occhi rossi e iridescenti come il sole saettarono verso di lui, come calamitati. Aveva lo zigomo spaccato e un grosso livido violaceo sul lato del viso, il labbro spaccato e l'occhio destro gonfio, solcati entrambi da profonde occhiaie violacee.
Eppure non dava cenni di dolore o cedimento, avanzava guardando in faccia i presenti con calma, raggiunse il suo posto al centro della sala sulla pedana, senza proferire parola nemmeno mentre lo incatenavano al palo strattonandolo.
Nessuno parlò per un lungo istante, anche dopo essere stato privato della sua magia, questa sembrava vibrare nel suo corpo e nell'aria potente e selvaggia, riempiva la sala rendendola elettrica, le ombre della sala sembravano volersi allungare verso di lui nonostante non potessero ricevere una risposta.
Dokor, suo fratello e sua sorella benché come gli altri discendessero da una Dea, Nises, colei che possedeva il potere del deserto, delle sabbie, del cielo e il suo calore venendo innalzata alla più potente delle dieci, non avrebbero mai potuto comprendere quel tipo di magia e il suo flusso che attraversava ogni Efir. 
Potevano avergli strappato la sua parte magica ma non potevano arrestare il flusso che lo attraversava. 
Ognuno del Dekaetum doveva avere con sé un talismano, un oggetto che ne facilitasse il tramite e la perfetta incanalazione o ricorrere all'utilizzo delle rune. 
Elyim era una creatura della terra, la magia primordiale gli concedeva un accesso diretto all'energia del loro mondo, il suo corpo era fatto apposta per la magia nella sua forma più pura e sfrenata, questo non poteva essergli strappato via. Ogni creatura della terra era pericolosa per gli uomini se non gli veniva imposto un freno, e nonostante gli umani avessero imparato a rubarla e ad apprenderla nessuno di loro avrebbe mai raggiunto un tale potere.
Tuttavia non era solo la sua magia a richiamare tutti quegli sguardi, anche il suo aspetto aveva creato quel profondo vuoto di rumori. Il terrore delle creature era dato dalla loro dissomiglianza e benché chi avesse sangue misto per la maggiore avesse l'aspetto umano in pochi si sarebbero aspettati un essere tanto efebico ed estraneo a ciò che
conoscevano. 

La sua pelle era bronzea, ma troppo luminosa in confronto a chiunque lì dentro, come un pezzo di ambra lavorata nel mezzo di una moltitudine di chicchi di caffè, i tratti affilati delle creature che gli conferivano un'aria efebica, le orecchie un poco allungate e a punta come gli occhi, tratti smorzati solo dalla parte di sangue umano che scorreva il lui.
Era bello in modo ultraterreno ma se lo si osservava bene qualcosa man mano andava stonando all'occhio, una bellezza ipnotica come lo strisciare di un serpente, era pericolosamente attraente, come un fiore velenoso.
Endall aveva iniziato a parlare ma Dokor se ne accorse a malapena, la giada sotto i suoi abiti prese quasi a bruciargli contro la pelle e gli tornò alla mente la prima volta che lo aveva conosciuto, o che meglio, lo aveva ritrovato nella stessa accademia, con i vestiti da allenamento, i capelli legati in una bassa e lunga treccia e gli occhi di un rosso vivace, simili a un tramonto dai colori violenti, curioso e tanto accaldato dal sole da avere i rossi sul viso.
"Perché mi fissi?"
Si era infuriato con lui dal primo istante, e poi se lo era ritrovato nella stessa stanza, seduto sul bordo della volta aperta con gli occhi verso la luce di una giornata assolata e il volto che risplendeva alla luce del sole. Si era voltato immediatamente verso di lui.
"Ti ho rotto il naso?"
«Elyim Dreimeirt, l'imputato.» Endall aveva preso a parlare e la sua voce possente coprì lo scorcio di quei ricordi. «Figlio di una popolana e una di creatura primordiale non identificata, adottato sotto il nome di Dreimeirt, al servizio della famiglia reale e condannato oggi per i seguenti crimini...»
Dokor rimase fermo nella sua posizione sentendo il peso di quelle accuse. I loro destini si erano intrecciati e non si capacitava di come Elyim, una creatura che credeva nella forza del destino tanto quanto negli Dei, riuscisse ad isolarsi da ciò che stava avvenendo. Non sembrava minimamente toccato o pentito, solo annoiato e distratto, la sua mente era altrove e Dokor non aveva modo di seguirlo per poter capire. Elyim non gli aveva mai dato la possibilità di comprendere, perché doveva cercarla in quel momento?
«Il mio occhio non riesce a vedere quasi nulla, percepisco solo la sua grande forza ora schiacciata.»
Dokor voltò appena lo sguardo verso Zydite, l’cchio di ferro con al centro una pietra azzurra colma di energia vibrava contro il suo petto. Per lei giudicare gli imputati tramite il suo occhio era semplice se questi non erano Efir.
Ma lì c'era poco da giudicare. Elyim era un assassino e un traditore.
Un condannato che era distante ma cosciente della situazione, poteva leggerlo nei suoi occhi. Semplicemente sembrava che la sua mente non fosse lì, come quando lo aveva scorto più volte ad ascoltare il vento in silenzio, fermo mentre questo sussurrava tra i suoi capelli segreti che nessuno poteva capire. Lo aveva visto far ballare il fuoco e parlarci, giocare con granelli di sabbia creando figure in essa ma nello stato in cui si trovava non avrebbe potuto dar loro la forza di manifestarsi. Elyim appariva come un guscio vuoto ma con ancora qualcosa che gli ronzava nella testa tanto da distrarlo al suo stesso processo.
Sapeva di esserne lui una parte della causa, lo aveva braccato e combattuto, colto in un momento di debolezza e approfittato per riportarlo in catene. Era certo che Elyim lo avrebbe deriso di meno se lo avesse ucciso sul momento, non era necessario un processo per le sue colpe, eppure riusciva a percepire quel peso sul petto nonostante non fosse dispiaciuto per lui.
Lo merita. Ha ucciso delle persone. Ha ucciso mia sorella e il suo bambino, ha negato al nostro regno il futuro.
I suoi occhi si calamitarono verso suo fratello, seduto al suo fianco. La maschera celava i suoi lineamenti solo per metà e nonostante tutto Dokor non riusciva a leggervi una chiara emozione, era convinto che vi avrebbe letto odio, rabbia, forse gioia. Ma tutto ciò che vide fu l'occhio libero incollato alla figura di Elyim e le labbra serrate, le mani rilassate sui braccioli e il corpo poggiato allo schienale. Avrebbe potuto intenderla come una muta soddisfazione, eppure voltandosi verso il processato sotto di lui, si ricordò un'altra colpa che non poteva perdonargli.
Non mi hai mai detto la verità.
Passarono diverse ore prima che la sentenza venisse emessa. Dokor si chiese la necessità di tutta quella lunga farsa, era ovvio che servisse a mostrare al popolo e alle varie fazioni presenti, nonché alle creature stesse, il loro potere e a mettere in mostra come un traditore tra i più potenti fosse stato ridotto. Elyim era stato messo in bella vista, emaciato, picchiato e legato nel mezzo di una pedana, in piedi per ore.
La sentenza di morte venne emessa da Endall con il benestare del Re, il volere dell'Eka, dei sacerdoti e dei mercanti, tutte fazioni che avevano al potere anche esseri mezzosangue come Elyim ma a cui non era stato permesso di partecipare. Il popolo rimaneva in un attento silenzio .
Dokor era certo lo avrebbero ucciso con il soffocamento, avrebbero ristretto l'ossigeno intorno a lui. Nessuna parte del suo corpo sarebbe stata rovinata  e dopo la sua morte, i maghi e i sacerdoti avrebbero proceduto alla mummificazione del corpo, non per elogiarlo nell'immortalità come gli antichi re, ma per poter sfruttare quel flusso che ancora scorreva. Un potente conduttore di magia che avrebbe servito il regno, i cui organi sarebbero tornati utili per un futuro utilizzo, le cui ossa sarebbero potute divenire talismani. Niente di più sacrilego esisteva per gli Efir che alla loro morte cremavano i propri corpi.
Dokor avrebbe camminato sui pavimenti che al di sotto avrebbero custodito il corpo di Elyim mummificato fino alla consumazione della sua carne e dei suoi organi.
«Riteniamo che siano i nostri esponenti più alti a doversene occupare. È un essere di grande potere e l'Eka è la più adatta per una tale esecuzione.»
Si udì un verso di disappunto nella sala, un sacerdote dai vestiti eleganti si alzò in piedi.
«Non è accettabile che un atto sacro come la mummificazione non avvenga per nostra mano, inoltre tra i vostri maghi vi sono dei mezzosangue e sappiamo tutti ormai quanto non siano affidabili.» L’uomo riservò un’espressione di finta compassione verso il condannato, sotto il trucco dei suoi occhi. «I suoi organi potrebbero essere distribuiti tra i vari templi e legandoli ai geroglifici runici potremmo garantire più protezione.»
Dokor si mosse a disagio.
«È uno spettacolo aberrante.» Hurin si poggiò con il gomito al bracciolo, gli occhi puntati sulla folla.
«Fastidioso direi.» Zydite incrociò le gambe tra loro, facendo scivolare la sottile gonna di lino. Dokor non ebbe la forza di ribattere, rimase fermo ad osservare la scena. Elyim sembrava improvvisamente interessato, si guardava intorno ascoltando come se avesse potuto decidere, fino a che Endall prese la parola, mettendo un freno a quella pratica.
«Dati i poteri del soggetto il suo corpo rimarrà custodito nel palazzo reale e i suoi organi saranno distribuiti equamente, ogni fazione potrà beneficiare della protezione e del potere che potranno offrire. Una volta che la sua carne sarà consumata il suo cranio rimarrà alla famiglia reale e le sue ossa saranno lavorate dall’Eka.»
Il cranio era la parte più agognata. Quando si trattava di creature purosangue Efir dopo la loro magia era ciò che valeva di più. Con il giusto trattamento sarebbero divenuti dei conduttori molto potenti e capaci di permettere uno sguardo all'interno di quello che loro chiamavano il soffio del destino. Gli Efir come Elyim erano strettamente legati ad esso, lo vivevano potendolo percepire e influenzare, osservare e predire. Un’altra cosa che nessuno era mai stato in grado di strappargli. 
Il cranio di uno di loro diventava un conduttore in grado di offrire uno squarcio su di una forza che agli uomini non era concesso conoscere.
Elyim gli lanciò un’occhiata e Dokor la sostenne aspettandosi di vedere qualcosa, odio forse, rancore, furia, ma nei suoi occhi nuovamente si celava qualcosa che non riusciva
a leggere.

Cosa provi? Fino alla fine vuoi tenermi nascosto ciò che sai. Dì qualcosa.
Si aspettava che finalmente fosse finita, ma una ragazza prese la parola dalle tribune degli aristocratici e dagli studiosi. I capelli ricci acconciati, gli occhi scuri dall'odio e il sorriso soddisfatto.
«Vogliate perdonarmi, il condannato è appartenuto anche alla mia famiglia. Mio zio, che voi ricorderete come lo studioso delle rune che ci hanno permesso di difenderci e conoscere più a fondo la magia, Calimath Dreimeirt, lo ha trovato nei bassifondi della città, lo ha comprato e gli ha permesso di usare il cognome di famiglia per diversi anni. Di fronte a quanto accaduto, senza ledere alle vostre maestà, parte del suo corpo o della sua magia ci spetta di diritto.»
Dokor colse un accenno di divertimento sul viso di Elyim. Non poteva dirsi sorpreso ma decisamente amareggiato. Quella donna aveva ereditato la sua posizione dalla morte di Calimath, si era sempre tenuta lontana da diverse pratiche ma si era gettata sulle spoglie dello zio come un avvoltoio e in quel momento si stava solo gettando su una preda più grossa.
Nonostante fosse stato Elyim stesso ad assassinare Calimath, Dokor era certo che quest'ultimo non avrebbe mai desiderato che la sua casa permettesse il dissacramento di una creatura Efir, a maggior ragione di quello che era stato il suo figlioccio prescelto. Era una completa mancanza di rispetto nei confronti di un uomo che aveva avuto sangue di Jiin nelle vene.
«Che gli Dei gli abbiano permesso di varcare la porta, fu Calimath stesso a portarlo tra noi e ad insegnargli la magia. Aveva sangue di Jiin, per quanto ne sappiamo poteva essere invischiato con l'Arkadia.»
Dokor strinse il pugno. L'Arkardia era l'associazione delle creature contro cui si stavano battendo ferocemente da anni in guerre ormai di logoramento. Non c'era altro che schiavitù, guerra e stanchezza ormai non aveva sapeva più se ci fosse un vero obiettivo dietro tutto ciò. 
Dokor era certo che uno dei pochi a salvarsi da quel giro fosse stato proprio Calimath.
Finalmente dietro di sé udì l'unica voce davvero in grado di mettere fine a quel processo. Il Re sollevò la mano per far tacere chiunque stesse ribattendo. Si sporse in avanti, osservando la sala.
«Prenderemo in considerazione ogni proposta, sarà indetto un incontro per discutere a fondo di ciò, dopo l'esecuzione, che avverrà con la fine della grande afa, nella piazza centrale ai piedi del tempio degli Dei.»
Una settimana. Dokor si sarebbe trovato già lontano a quel punto.
Lanciò un'occhiata verso Drutia e invece di notare i suoi capelli scuri, vide le ombre delle colonne allungarsi e arrampicarsi lungo il pavimento sotto la pedana. Sapeva che il sole non aveva compiuto nessun giro che permettesse loro quel movimento, a meno che le fiaccole alle pareti non avessero preso a muoversi. L’aria intorno a loro vibrò leggermente, Dokor allungò lo sguardo verso gli altri soldati presenti, li vide tutti essere attraversati da un lieve brivido, Drutia voltò lievemente il capo osservandosi intorno. 
Per un momento fu sul punto di lanciare la sua sabbia verso il condannato ma con un fugace sguardo si rese conto che anche Elyim era entrato in allerta allo stesso modo, gli occhi rossi si erano socchiusi e fatti più attenti, erano saettati a destra e sinistra e la sua schiena si era di poco incurvata in avanti.
Nel momento stesso in cui tutti coloro che erano lì dentro si resero conto del pericolo Dokor si alzò con uno scatto ma il colpo li raggiunse troppo velocemente, facendo tremare le pareti della sala. Le guardie già in allerta cominciarono a far spostare chi era sugli spalti, un gran vociare confuso si sparse per la sala. Dokor riacquistò l'equilibrio e si mise in piedi osservando immediatamente Elyim, che si guardava intorno mentre la sala pian piano veniva svuotata.
«Ci attaccano da fuori?» Chiese Zydite allungando la mano verso Hurin al suo fianco. 
«Non sono mai arrivati così vicini alla città.» Rispose Hurin facendo vagare lo sguardo, Dokor cominciò a rilasciare la sabbia stretta intorno al suo polso. 
«Non si avvicinano ancora così tanto alla città, non credo che–» la sua frase venne interrotta da un secondo colpo più forte, le pareti vibrarono nuovamente e alcune crepe cominciarono a crearsi andando a spezzare i geroglifici runici impressi su di essi. Da fuori le urla spaventate della folla giunsero fino a loro. 
All’interno della sala i nobili, i mercanti e il popolo raggrumato sui propri spalti prese a correre di fuori senza più ordine, Sidite di alzò in piedi cominciando a concentrare la propria energia nelle proprie mani dove erano disegnati perennemente due geroglifici sui palmi che ebbero un lieve scintillio, andando a ripristinare l’energia che attraversava le mura che li circondavano per non far crollare il marmo solitamente protetto. 
Nohldir cominciò ad abbaiare ordini contro i soldati che li circondavano intimandogli di spargersi fuori alla ricerca di chi stava attaccando, cosa che avrebbe dovuto fare Dokor ma il suo sguardo saettò verso suo fratello Erix che aveva cominciato a far muovere tutti quelli del Dekaetum fuori dalla sala. 
Hurin aveva lasciato Zydite nelle mani di Niphine e si trovava al fianco della sorella Sidite che continuava a infondere energia nelle rune, le sopracciglia arricciate in un’espressione di concentrazione. 
«Trattenere il prigioniero!» ringhiò Nohldir un secondo troppo tardi. Dokor lanciò la sua sabbia contro di lui ma le fiamme la bloccarono quasi coscienziosamente, le stesse fiamme che aveva visto muoversi prima che quell’attacco iniziasse si andavano arrampicavano lungo il pavimento e le pareti, dirette verso il prigioniero che dal canto suo si era già mosso, con la seconda serie di attacchi aveva colto l’attimo in cui era stato liberato dal palo per colpire le guardie, con una mossa veloce aveva estratto il pugnale legato alla gamba di uno dei soldati affondando la lama nel suo petto, pronto a colpire l’altro. Dokor agì velocemente scagliando la sua sabbia contro il secondo soldato facendolo cadere indietro e allontanando quanto bastava mentre le fiamme si aprirono in un’esplosione, come fauci affamate. 
Le persone continuavano a spingersi verso l'uscita e i soldati a sguainare le proprie armi. Dokor vide le mani di Elyim muoversi veloci nonostante fossero ancora costrette nei ceppi. Il fuoco si gettò verso di lui ma lo evitò con un salto veloce, rotolò a terra e si rialzò con uno scatto puntando verso l’uscita. 
Mentre Amus faceva muovere l’aria all’interno cercando di restringere l'ossigeno intorno alle fiamme e trattenere i calcinacci in aria per non farli schiantare a terra, Dokor vide nel mezzo del casino i soldati sugli spalti in alto incoccare le frecce per colpire il fuggitivo. 
«Colpirete anche gli altri così!» la voce di Drutia venne inghiottita dal rombo di un ulteriore colpo contro le mura che fece crollare una parte del soffitto oltre che spargere un denso strato di polvere. 
La figura di Elyim si muoveva veloce mentre si faceva largo senza badare a chi colpiva. 
Dokor percepì i fili degli archi dei soldati che veniva tirato e lo spostamento d’aria mentre prendevano la mira, Endall prese a innalzare una barriera sopra di loro, piccoli filamenti argentei uscirono dalle sue mani andando a solidificarsi per creare una protezione. 
Dokor era pronto a lanciarsi nel mezzo con tutti gli altri soldati, riusciva ancora a vedere la sua chioma rossa, se fosse riuscito ad afferrarlo nessuna freccia avrebbe colpito qualsiasi altra persona che spintonava per la propria salvezza. 
Con un movimento veloce saltò giù prima che la barriera di Endall potesse solidificarsi e la forza del suo corpo gli permise di atterrare sulle sue gambe senza sforzo mentre le fiamme continuavano a divampare lanciandoglisi contro. Dokor non perse tempo e si buttò in avanti a sua volta impattando ai piedi della pedana di ferro, si risollevò velocemente e non appena riprese la concentrazione qualcosa lo distrasse nuovamente. 
Una freccia era volata verso Elyim mentre si scontrava con un soldato. Dokor percepì qualcosa dentro di lui ribellarsi e tirare come un uncino nelle carni, la sua mente si oscurò e una necessità profonda e imprescindibile prese il sopravvento sui suoi sensi. 
Una pioggia di frecce sfrecciò verso Elyim e lo stesso fece la sua sabbia, si liberò sotto il suo comando allungandosi verso di lui e aprendosi a ventaglio in un’esplosione che la fece solidificare abbastanza da bloccare le frecce a un passo dal colpire il condannato. 
Dokor lo vide, vide quegli occhi rossi svettare verso di lui lievemente sgranati dalla sorpresa per poco più di qualche secondo, subito dopo Elyim si liberò dalla presa del soldato mentre il fuoco si gettava su di lui. Dokor lo intravide prima che qualcosa sotto la sua pelle iniziasse a bruciare, lungo le sue braccia iniziarono ad arrampicarsi striature rosse e un dolore lancinante lo colpì lungo gli arti facendolo gemere di dolore. Le vide scurirsi, come fossero pronte a incenerirsi. Ed era quello che sentiva, il fuoco che gli divampava dentro come se avesse potuto bere la lava.
«Fermatelo!» La voce imponente di Nohldir riverberò tra le pareti facendolo scattare sull'attenti, si era liberato anche lui della protezione di Endall ed era in procinto di buttarsi nella mischia. Quel dolore lancinante lo aveva bloccato dal dare un ulteriore ordine e la sua sabbia non sembrava disposta ad ascoltarlo ancora, la sua testa si era improvvisamente oscurata e solo un bisogno primordiale premeva in lui, c’era un pericolo e doveva scongiurarlo.
Nonostante l'imperversare delle fiamme e del caos, le frecce furono scagliate nuovamente. Superò il suo dolore quando con la sabbia creò il suo arco e le sue braccia si mossero per afferrarlo. Scoccò le sue frecce di sabbia solida e appuntita verso i soldati.
«Dokor!»
La voce di una donna. Doveva essere Drutia che si muoveva per scendere dalla sua postazione e prendere posto al fianco dei soldati che in quel momento parvero ai suoi occhi mosche senza un obiettivo preciso, la vide spingere ed estrarre il suo pugnale.
«Che cosa stai facendo? Fermati, traditore!» la voce di Nohldir, la maschera che sembrava essersi allungata e appuntita nel percepire tutto il caos di quello scontro.
I suoi occhi vennero calamitati verso il successivo soldato, la sua sabbia vi ci scagliò contro mentre era ancora macchiata del sangue degli altri. Non riusciva a bloccarsi. Doveva proteggere e uccidere.
Il dolore nel suo corpo divenne tanto forte da portarlo a lanciare un urlo roco. Elyim cadde in ginocchio afflosciandosi a terra poco dopo essersi voltato verso di lui confuso, era circondato dal rosso ardente del fuoco e Dokor non fece in tempo a vedere se una freccia lo avesse colpito, un soldato o se le fiamme avessero iniziato a divorarlo. Era certo che stessero divorando lui e si accasciò un secondo dopo mentre la sua sabbia si disperdeva nell'aria ancora macchiata di sangue.
 

Angolino🐍 

Ciao a tutti! Spero che questo primo vero capitolo vi abbia interessato o incuriosito e vi ringrazio per essere arrivati fino a qui.
Spero che possa intrattenere, ci sarà la storia d'amore che sarà una slow burn, quindi col tempo ci saranno scene più mature e molto probabilmente cambierò il rating al momento necessario.
Scrivere del mondo magico, delle varie differenze e implicazioni è per me una delle parti più difficili e spero che le informazioni in questo capitolo siano abbastanza chiare, mi sembravano tutte necessarie per capire l'inizio ma più avanti saranno distribuite al meglio che potrò.
Ogni capitolo nuovo sarà pubblicato di giovedì (spero).
Per ultimo lascio qualche appunto che magari può essere utile:
-La terra in cui si svolge la storia è inventata ma ho cercato di prendere come riferimento l'antico Egitto, in particolare per le descrizioni, i templi, la religione, il vestiario e alcune usanze.
-Come avrete notato alcune creature sono inventate come gli Efir, (consideratele circa come fate del deserto) altre sono parte della mitologia esistente come i Jiin, anche se mi sono presa diverse libertà interpretative.
-Il Dekatum è inventato, basato a grandi linee sull'idea dell'Enneade (secondo la mitologia il gruppo delle principali nove divinità egizie), che qui ho reso dieci, motivo della parola Deka (10 in greco antico secondo le mie modeste ricerche) e la parola Desertum. Ogni divinità è inventata da me, sempre con riferimenti a quelle "vere" della mitologia egizia.
-Ultima cosa, nel tipo di coppia ho inserito il Crack Pairing, ovvero coppie improbabili o inesistenti, per un motivo futuro quando si saprà come alcune creature del deserto si sono unite agli umani acquistando poi anche un aspetto più umanoide. Diciamo che per il tipo di "rapporto" che avviene mi sembrava adeguato.
Con questo penso di aver concluso, più che angolino è un angolone ma spero siano informazioni utili :)

Vi ringrazio ancora per aver letto e vi saluto ^^.

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Marty_199