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Autore: Marty_199    14/11/2023    0 recensioni
Sono passati ottant’anni dalla Sanguinosa Caccia che ha visto la morte di moltissime creature del deserto, gli Efir, la cui magia è stata presa dagli uomini.
Nel regno di sabbia e oro la convivenza tra umani e creature ha visto l'indebolimento dei patti e l'avanzare della guerra.
Dokor è il principe, generale dell’esercito dorato, con il sangue di una Dea è l'eroe della sua terra e ha completato la sua missione: riportare in catene l'uomo che lo ha tradito in passato.
Bellissimo, potente e pericoloso Elyim è per metà umano e per metà Efir, alla guida di creature ribelli e guerrieri contro il regno degli uomini è disposto a tutto pur di portare avanti la sua battaglia e pronto a bruciare tutto ciò che lo ostacola, compresi quei sentimenti che sette anni prima lo avvicinarono al principe.
Ma nel momento in cui si ritroveranno a collaborare in un viaggio attraverso le distese implacabili del deserto, tra Jiin furiosi, maestose corti e creature primordiali, i due dovranno muoversi in bilico tra l'essere amanti e nemici, mente le convinzioni di Dokor cominceranno a vacillare nello scoprire lo scopo della sanguinosa battaglia che gli Efir portano avanti.
*boyxboy*
*Enemies to lovers*
Genere: Angst, Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, Crack Pairing
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Incest, Tematiche delicate
Capitoli:
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CAPITOLO 2

-Dokor-

Qualcosa nel suo petto prese nuovamente a tirare con insistenza, sentiva di doversi alzare, di dover aprire gli occhi. 
Dokor sbatté le palpebre e riprese piano conoscenza, tornò immediatamente vigile e nervoso, spalancò gli occhi e cercò di tirarsi a sedere.
«Fa piano.»
Hurin era al suo fianco. Dokor si accorse di non trovarsi più nella sala del ricevimento, il soffitto sopra di lui era di pietra scura, il letto sul quale era sdraiato duro come un pezzo di legno e improvvisamente la secchezza di quel posto gli si attaccò alla pelle.
Voltò lo sguardo vedendo che nella stanza aleggiava una luce scura, le fiaccole rendevano chiara la presenza di pesanti sbarre di ferro attraversate dall’energia delle rune incise a fuoco su di esse, l'echeggiare delle armature dei soldati che sorvegliavano le prigioni e la polvere mista a sabbia che rendeva l’aria pesante.
Ogni malessere sembrò sparire dal suo corpo finalmente sveglio.
Le immagini delle mura del palazzo di giustizia che si crepavano e il bruciore delle fiamme lo destarono dall’osservarsi intorno.
«Cosa è successo?» Non sapeva spiegarsi come avesse fatto a svenire.
«Un Majid del Deserto ha attaccato il palazzo» Hurin si sistemò comodo sulla stessa brandina di Dokor, «uno scorpione nero, non sappiamo come sia giunto qui o perché abbia attaccato la città. Avresti dovuto vederlo, era maestoso.» I suoi occhi scintillarono.
Dokor si mise a sedere lentamente mentre nel petto continuava ad aleggiargli quella sensazione lontana di inquietudine, pressante e opprimente, il dolore che ricordava di aver provato era svanito, ma nei suoi occhi riusciva solo a rivedere lo sguardo di Elyim e le fiamme che lo divoravano.
«Non ci sono più creature Giganti che siano libere vicino le nostre città, i loro nidi sono lontani perché avvicinarsi così?»
Hurin si voltò verso di lui, indossava le stesse vesti che aveva durante il processo, ormai rovinate e sporche, i chiari capelli erano sfuggiti all’acconciatura e li aveva semplicemente lasciati sciolti sulle spalle come raramente si concedeva.
«Chi può saperlo, l’idea più logica è che lo abbiano spronato gli Efir dell’Arkadia.»
«Sai meglio di me che sono sacri per loro, non li manderebbero a morire in un attacco suicida.» Dokor aveva dato per scontato che la creatura fosse stata uccisa e nello sguardo di Hurin vi lesse la conferma.
C’erano troppi soldati e la loro forza nella loro città era troppo forte perché una creatura potesse vincere contro di loro da sola.
«Durante questi anni molte cose sono cambiate, non dovremmo dar per scontato che gli Efir non possano cambiare i loro principi», gli rispose semplicemente mentre si alzava «sono rimasti coinvolti diversi cittadini e alcuni palazzi dei nobili sono crollati o sono stati danneggiati.»
Dokor lo osservò, era certo che nessuno di quei dettagli interessasse Hurin per davvero, era solo un modo gentile di tenerlo informato prima di iniziare il tutto. Poteva sentire su di sé il peso delle rune di privazione incise nelle mura in cui era stato chiuso dopo l’attacco.
Abbassò lo sguardo verso la sabbia chiusa contro il suo polso.
La grave consapevolezza di aver agito contro il Dekatum e contro i suoi soldati gli pesò sulle spalle.
Le sue braccia erano intonse e senza nessuna ferita a dispetto del fuoco che aveva sentito divorarle.
«Sono stato colpito?»
«No, ma dei soldati sono stati colpiti da te.» La voce severa di Nohldir arrivò dal fondo della stanza, verso le sbarre aperte, appoggiato al muro i suoi occhi scuri lo osservavano con crudezza, senza la maschera era in grado di leggere quanto in sé la situazione non gli dispiacesse.
«Fa silenzio ora, non è il momento per il tuo sollazzo personale o per la vostra piccola guerra interna.» Hurin osservò con neutralità Nohldir che dal canto suo si fece più vicino.
Portava la spada posta nella fondina al suo fianco e l’armatura a scaglie si estendeva sul suo petto.
Una rifinita lavorazione di ferro importato decorata in bronzo, l’occhio del dio Tefeal della protezione al suo centro, le ali per solcare i venti e vincere i nemici distese lungo i fianchi in linee perfettamente geometriche decorata poi da pietre dure, copriva tutto il suo petto.
«Sappiamo che le sue azioni erano prive di intenzioni.»
«Prive di intenzioni? La sua freccia ha trapassato i nostri soldati, pronti a fermare il traditore dalla sua fuga. Abbiamo lottato contro quella creatura gigante mentre il generale versava a terra svenuto.»
Dokor si passò una mano sulla testa, massaggiandola e voltando gli occhi intorno a sé; il posto dove si trovava era una delle celle sotto il palazzo, l’aria gli pesava sui polmoni e il calore era soffocante, il letto su cui era seduto una striscia di legno con sopra un materasso indurito e dalle coperte ispide che gli erano state lasciate, era anche molto ovvio che le ancelle avessero sistemato al meglio possibile la sua cella.
«Non posso averli colpiti.» Sbatté le palpebre incredulo.
«Lo hai fatto, ma poco dopo sei svenuto, nello stesso momento in cui il condannato è stato colpito e fermato.» Hurin si toccò distrattamente i capelli. «Hai iniziato a comportarti in modo strano dal momento in cui la vita del condannato è stata effettivamente in pericolo.
Ma il vero motivo per cui, mio principe, siete stato imprigionato è l’aiuto che avete dato al condannato.»
«Il nostro Re ha dato questa disposizione.» La voce di Nohldir nascose soddisfazione dietro una placida osservazione razionale. Davanti ad Hurin riusciva a mettere su la maschera più finta che Dokor gli avesse mai visto, doveva ancora capire quale strano rapporto si fosse instaurato tra i due.
Si mise in piedi passandosi una mano sul petto, non poteva biasimare la scelta di suo fratello e della corte del Dekatum, cominciava a ricordare le azioni che aveva compiuto, la sua sabbia che si allungava come un arto a protezione di Elyim, che creava una arco e scoccava le sue frecce nei petti sbagliati mentre tutti gli altri erano impegnati a proteggere il popolo.
«Devo parlare con il Re.»
«Verrà lui a ricevervi.»
Dokor si voltò verso Hurin rimanendo in silenzio.
Il Re non scendeva mai nelle celle, non dava udienza a nessun condannato se non davanti la corte di giustizia, e non parlava con lui in una stanza con solo tre persone presenti da tempo.
Non riusciva ancora a comprendere cosa girasse nella sua testa, suo fratello si muoveva secondo i suoi piani e riusciva sempre a sorprenderlo.
Non gli era concesso scendere nelle celle sotto il palazzo ma sarebbe sceso per lui, solo che Dokor si rese conto che non era per forza detto che lo facesse per stare al suo fianco.
Durante quei semplici pensieri i passi di Erix rimbombarono per le pareti, il volto era scoperto dalla maschera ma il trucco la faceva da padrone sul suo viso, indossava vestiti puliti e l’anello a scorpione rilasciò un fascio di luce sotto le fiaccole.
Dokor, Nohldir e Hurin si inchinarono, il principe osservò per un momento i sandali ornati che portava ai piedi, leggermente rialzati ma non troppo.
Glielo aveva sempre detto che non li gradiva particolarmente alti.
«Ho parlato con Sidite e ha analizzato il tuo corpo mentre eri svenuto.»
Dokor sollevò la testa e lo sguardo verso l’espressione marmorea di Erix, le torce rendevano evidenti i riflessi dorati tra i suoi capelli.
«Ha confermato che su di te non vi è alcuna runa imposta e che il movimento della tua magia è caotico.»
«Non mi sono mosso per colpire i nostri soldati.»
Nohldir si staccò dal muro con un verso sprezzante. «Se posso permettermi… abbiamo assistito tutti alle azioni del principe nonché mio generale. Non credo che sia per noi possibile affidargli altri incarichi fino a che non avremo chiaro che relazione ha con il condannato.»
«Attento a come parli. Sono ancora il tuo principe.» Dokor dosò il proprio tono stringendo i pugni. Nohldir fece un piccolo passo indietro. Riportò gli occhi verso Erix. «Fatemi passare sotto l’occhio di Zydite, saprete che non mento. Non so spiegarmi cosa mi abbia mosso a muovermi contro la mia volontà, ma non mi sono mosso per tradire il mio stesso esercito.»
«La sua simpatia per gli Efir non sarebbe nuova» le parole di Nohldir aleggiarono tra loro per tre lunghi secondi. Erix rimase in silenzio e fu la voce di Hurin a farsi avanti. «Se Sidite non è in grado di decifrare la magia che lo scuote, forse non appartiene alla nostra magia» parlò con voce sicura «non abbiamo più le capacità del mastro Calimath ma gli allievi dell’Heka hanno appreso molto dai suoi studi. Un mezzosangue ne potrebbe capire di più.»
«E sia, fanne giungere uno di tua conoscenza e potremo verificare.»
Hurin si inchinò nuovamente, Dokor portò gli occhi verso Hurin e dopo verso Erix, nessuno dei due aveva preso l’iniziativa di smentire le accuse contro di lui, tuttavia fino a quel momento Hurin era l’unica persona che si era sporta dalla sua parte, si chiedeva se riuscisse a riscuotere favore solo da coloro che avevano sangue Efir, per quanto Hurin ne avesse poco, quanto necessitava per colorare solo i suoi occhi di un arancione sbiadito.
Le ore successive furono estremamente lente, la porta della sua cella venne nuovamente chiusa e Dokor si ritrovò a sedere sul duro materasso della stanza benché non lo infastidisse più di tanto, doveva ringraziare i mesi passati fuori il palazzo.
Si sfregò le mani tra loro mentre osservava la luce del sole fare il giro verso il basso e assumere una sfumatura sempre più arancione, tendendo a spegnersi man mano che giungeva il buio.
Nel momento in cui il cigolio della cella lo destò nuovamente dai suoi pensieri era rimasto a malapena un flebile raggio che faticava ad illuminare da solo l’angolo della stanza, mentre le fiaccole appese al muro avevano aumentato la loro potenza.
Una donna con indosso le lunghe vesti blu scuro dell’Heka fece ingresso nella sua cella con un inchino di riverenza, seguita dal Re, da Hurin e da Nohldir, tutti con la propria maschera sul volto, «Mio principe, sono una mezzosangue dell'Heka, posso?»
Dokor fece un cenno con la testa senza smettere di guardarla. I lunghi capelli color del bronzo erano legati in tante piccole trecce che partivano dal cuoio capelluto fino alle punte.
Sul collo svettava il geroglifico del sole alato impresso sulla sua pelle, ali che lo circondavano andandosi a sfiorare vicino l’ugola, erano affascinanti e terribilmente soffocanti da osservare.
I suoi occhi erano gialli ma tendenti al castano, le sue orecchie appena allungate e le sue gambe troppo lunghe per la sua stazza, donandogli un'altezza che non conferiva con la sua struttura, il tratto più anomalo che presentava, non doveva avere una forte discendenza Efir.
Prese a passargli una mano ad un centimetro dal corpo socchiudendo gli occhi, le pupille al di sotto iniziarono a muoversi a scatti e le rune impresse sul suo corpo si illuminarono leggermente nel richiamare la sua magia.
Sapeva che sui mezzosangue parte dell’Heka o di qualsiasi fazione nella loro città fosse sottoposto a quel trattamento per porre dei limiti e un contenimento alla loro magia, ma vederli in azione era strabiliante ogni volta, la loro pelle si illuminava e le linee geometriche dei geroglifici si riempivano di un’energia che le faceva risplendere.
Si era sempre chiesto se mai la magia di Elyim ne potesse essere limitata anche se la risposta negativa era giunta in quei giorni, era la motivazione per cui gli era stata risucchiata tramite un anello contenitivo e non con l’imposizione delle rune, era molto più doloroso.
Quando riaprì gli occhi il lieve luccichio giallognolo si affievolì fino a svanire.
«Credo che vi sia tra voi un vincolo o un legame di qualche entità.»
«Cosa...?»
«Quindi un legame, non lo rende forse un traditore?» Dokor sentiva nuovamente le forze essere al loro pieno potere, avrebbe voluto alzarsi e prendere a pugni quel fascio di muscoli ma doveva rimanere calmo, avrebbe pensato dopo ai tentativi di Nohldir di fargli perdere il suo potere sull’esercito, in quel momento aveva problemi più seri.
«Credevo che il nostro principe ti avesse già lanciato un avvertimento riguardo l’uso delle parole.»
Nohldir fece scrocchiare la mascella infastidito mentre l’antrace dei suoi occhi andava scontrandosi con il tramonto morente in quelli di Hurin.
«Fate silenzio ora. Dobbiamo prima capire e poi giudicare.» La voce di Erix giunse inaspettata dopo il silenzio che lo aveva caratterizzato in quella situazione, calma e dosata, non si era sporto troppo.
Dokor non si aspettava certo che prendesse le sue parti.
«Basandomi su ciò che mi è stato riferito, la vostra magia è entrata in atto nel momento in cui il condannato è stato ferito, o comunque che è stato in pericolo. Esistono diversi patti e vincoli che gli Efir, e prima ancora i Jiin, stipulavano tra loro o con gli uomini. Da come la vostra magia si muove è inevitabilmente collegata alla Fenice.»
Dokor deglutì nel sentire quel soprannome, Elyim non se lo era dato da solo ma col tempo seguendo le leggende del suo popolo il suo nome era andato a mascherarsi dietro quella figura.
«Che tipo di vincolo?»
«Sicuramente un vincolo interno e intimo, non vi sono segni sul vostro corpo. L’entità sembra... di protezione.»Dokor non riusciva del tutto a seguire, si mise seduto. «Come ha potuto utilizzare la magia e lanciarne uno? Era bloccata.» Lo disse con tono duro, mentre osservava le reazioni di chi lo circondava.
«Un vincolo non è istantaneo, può essere stato lanciato prima ed essere stato attivato dopo, non è possibile da sapere.»
Hurin si fece avanti, osservando con riflessione la donna. «Di protezione, vuol dire che il principe scatta per proteggere il condannato? E’ anche da tenere sotto controllo il fatto che sia svenuto nel momento in cui il condannato è stato colpito.»
Dokor fece un cenno, sfiorando con le dita la sua sabbia macchiata. «Ho provato dolore in quel momento» sospirò «e inoltre, me ne sarei accorto se mi fosse stata lanciato un incantesimo.»
La maga dell’Heka lo guardò, «non in questo caso mio principe, i vincoli sono per la maggior parte silenti. Alcuni non necessitano nemmeno delle parole per essere lanciati ma solo di una valvola per l’attivazione. La vostra magia si muove nella direzione dell’Efir come se… come se parte del suo sangue vi scorresse dentro.»
«Sangue per attivarlo?» Domandò Hurin, sembrava genuinamente interessato alla questione. Quella situazione doveva essere stimolante per le sue ricerche.
La donna rispose con un cenno positivo, «non posso dire con esattezza come. Ogni vincolo ha il suo modo di essere applicato, inoltre con gli studi degli ultimi anni molti sono stati modificati dall'intervento umano.» Si portò una treccina dietro le spalle. «Si potrebbe accettare la profondità o l'entità del vincolo.»
Erix la osservò «Come?»
«Sarebbe da testare la forza del loro vincolo con la presenza del condannato.»
«Non in vostra presenza.» L’ostilità di Nohldir non venne mascherata da nessuna nota di finzione, ma la donna si mantenne con le spalle dritte, si voltò verso il Re porgendogli i propri omaggi e successivamente verso Hurin con il capo chino. «Il mio consiglio è di chiamare uno studioso esperto di vincoli o patti ora che il tipo di magia è stato identificato.»
Hurin le fece un segno di assenso. «Sono d’accordo, vi ringrazio per il vostro parere, potete attendermi nella mia carovana, vi scorterò alla sede dell’Heka.»
La donna si incamminò fuori dalla cella lanciandogli un ultimo sguardo scintillante, come attratta dalla magia che circondava il corpo di Dokor, Hurin si sollevò la maschera liberando il volto.
«Possiamo chiamare il mago di corte e Sidite.»
«Questo mi scagiona dalle accuse.» Dokor si fece sentire prima che potessero muoversi, l’asprezza del suo tono porto Erix a guardarlo negli occhi.
L’oro al loro interno poteva apparire caldo o freddo come il metallo che era.
«Non c’è motivo di lasciare che resti qui, capiremo che cosa sta succedendo e come tutto questo è avvenuto. Nel frattempo non possiamo abbassare la guardia, l’esercito deve essere tenuto attivo in vista dell’attacco che abbiamo subito oggi» spostò lo sguardo verso Nohldir «fino a che non capiremo l’entità del patto l’esercito dorato rimarrà sotto la guida di Nohldir.»
Il pavimento sotto i piedi di Dokor sembrò tremare. «Vuoi lasciare l’esercito a lui? L’esercito è sotto la mia guida e destabilizzarlo così non farà che colpirci.»
«Non possiamo sapere che cosa comporterà il vincolo, inoltre dobbiamo essere sicuri quando parleremo alle truppe del deserto dicendogli che ciò che hanno visto non è un tradimento ma un sortilegio di cui sei stato vittima.»
Dokor strinse il pugno. «Si fidano di me.»
«E lo faranno ancora. Ma non possiamo permetterci delle crepe. La debolezza e l’incertezza in questo momento ci farebbero crollare.» La fermezza della sua voce assunse una nota più bassa e le fiaccole tremarono dietro le sue spalle, Dokor si bloccò mentre le unghie si infilavano nei sui palmi. Elyim si era nuovamente infilato nella sua vita e la stava facendo sgretolare.
Una crepa… una debolezza.
Quello era stato considerato per parte della sua esistenza da persone che fino a che non si erano presentate nella sua vita non erano altro che lontani semidei di famiglie racchiusi in palazzi dorati, li aveva guardati dalle strade della bassa città e non ne aveva mai sentito la mancanza o la vicinanza.
Non si era mai considerato una crepa fino a che non gli era stato detto.
Una crepa creata da altri che lui aveva risanato in quegli anni con la fatica.
Non si sarebbe lasciato portare tutto via.
Osservò ancora per un momento suo fratello, senza mai abbassare lo sguardo davanti alla maschera che rendeva i suoi lineamenti così distanti dal umano.
«Non credo sia necessario che il principe rimanga nelle celle. Potrebbe passare il messaggio sbagliato mio Re.» Hurin si inchinò e quella muta conversazione tra loro venne stroncata.
«Il principe riposerà nel palazzo, è la sua casa non gli sarà negato nessun accesso, al di fuori delle celle.»
Con un gesto Erix si voltò per lasciargli il passaggio aperto, la mantella che portava dietro sfiorava appena il pavimento, una piccola macchia che avrebbe potuto considerare come l’unica parte in grado di ricollegare a quello che un tempo aveva visto come suo fratello che ancora cercava di scorgere.
Con un movimento veloce uscì fuori senza guardare ulteriormente nessuno dei tre, improvvisamente l’afa di quel posto gli si era aggrappata alla gola e finalmente percepiva la sabbia al polso muoversi sotto il suo volere nel seguire le sue emozioni, il marchio della runa Geroglifica dell’occhio con il sole al centro bruciò sul suo collo mentre risaliva le scale e la lieve e unica brezza notturna di quelle giornate impattava contro il suo corpo.

***

Aveva raggiunto le sue stanze velocemente chiudendosi la porta dietro mentre le guardie a protezione della stessa vi si piazzavano davanti.
Non appena i suoi occhi si erano ritrovati sulla scrivania l’aveva rovesciata con un gesto veloce dando sfogo all’impeto e alla rabbia che aveva tenuto bloccata dentro di sé.
Il silenzio del castello era calato con forza sulle sue spalle portandolo a sedersi e a calmare il battito del cuore, mentre quel uncino nelle carni aveva ripreso a tirare con forza.
Una maledizione...un veleno che continuo a trovarmi nel bicchiere.
Riusciva a vedere gli occhi di Elyim che lo fissavano sorpresi e sgranati mentre veniva attaccato, lo conosceva, Dokor era certo che se fosse stato lui a scagliarlo non si sarebbe lasciato scappare l’occasione, se avesse avuto il tempo di ricorrere alla magia non avrebbe perso tempo a legarlo a lui.
Era stato Elyim a troncare tutto ciò che lo legava alla vita in quella città, era divenuto sabbia nel deserto selvaggio e proprio nel momento in cui Dokor era certo di essere riuscito ad afferrarla non era più certo che la sua mano fosse quella che la stringeva davvero.
Il palazzo reale raramente dormiva, nessuno di loro lì dentro aveva davvero in corpo quella necessità, almeno non era così forte da portarli a riposare tutte le notti, parte delle ancelle del palazzo erano dedite al dio minore Udis delle arti, della musica e dell’armonia, e in quelle ore della notte il loro lieve canto si innalzava verso quell’ora viaggiando per i corridoi e per le stanze accompagnando le notti insonni di chi viveva lì.
Le stelle e la luna gettavano un pallido raggio nella sua stanza che veniva smorzato dalle fiaccole che con il calare della notte avevano aumentato la loro forza, i disegni geroglifici lungo le pareti scintillavano sotto di esse venendo attraversati dalla magia di protezione che Dokor si era sempre immaginato come una bolla intorno a loro.
Passarono diverse ore prima che Zydite venisse nella sua stanza, indossava una lunga veste arancione, bracciali blu notte le stringevano la pelle e la sua maschera era stata lasciata da parte, il viso
giovane e dagli occhi vacui si posò su di lui senza entrare oltre la soglia.
«Il Re e il sommo Hurin vi attendono.»
Dokor la osservò, raggiungendola poco dopo e porgendole il braccio.
Zydite vi si aggrappò poggiando la mano delicatamente ma con sicurezza, come se sapesse ogni volta dove trovare un appoggio negli altri.
I capelli erano nascosti sotto un velo che dalla fronte scendeva lungo le spalle.
Dokor si incamminò con lei, «sei venuta ad esaminarmi?»
La collana dell’occhio tra le pieghe del vestito ebbe uno scintillio azzurro. «Sai molte più volte di quanto si crede è difficile per me giudicare a un solo sguardo, posso vedere solo determinati frammenti delle intenzioni.»
I corridoi erano illuminati e benché a quell’orario fossero più vuoti non aveva quasi mai la sensazione di essere solo, un aspetto che i primi tempi lo aveva spaventato quando era un ragazzo di città portato tra quelle mura.
Con gli anni però era divenuta una sensazioni di pace e appartenenza, aveva colmato quel vuoto di solitudine che lo aveva accompagnato, non aveva mai chiesto se fosse la presenza delle rune geroglifiche, della magia o l’appartenenza lontana che scorreva nel suo sangue, ma era certo di non essere l’unico a provarlo.
«E cosa vedi in quei frammenti?»
«Niente a dire vero, è come guardare un Efir, è tutto così confuso, una struttura che il mio occhio non sa decifrare.»
Dokor sospirò «bene la mia unica possibilità di innocenza si è appena frantumata.»
Zydite sorrise con delicatezza mentre seguiva i suoi passi. «Hai dei legami qui, alcuni sono forti. Non dovresti dubitarne.»
«Il tuo consiglio è la fiducia?»
«Verso te stesso, verso i tuoi legami e verso le tue scelte. Ma io non sono adatta al rilascio di consigli»
Dokor si voltò verso di lei, i suoi occhi chiari e senza luce gli restituirono uno sguardo all’apparenza privo di emozioni. «Mi stai suggerendo qualcosa?»
Zydite voltò lo sguardo verso la porta che si trovava dinanzi a loro, le guardie si fecero da parte e Dokor percepì gli occhi su di sé, occhi attenti e guardinghi.
Non erano parte del suo esercito del deserto ma sole guardie del palazzo, il loro compito era proteggere chi vi viveva all’interno.
Quando era un ragazzo Dokor si era chiesto da chi e da cosa li dovessero proteggere, nessuno era mai arrivato ad attaccare il palazzo reale, nessuno al di fuori del Dekatum e di chi vi veniva invitato su richiesta poteva entrare, tutti i servitori erano devoti e la runa della dea Thut, il geroglifico della bilancia, spiccava sulle loro spalle o sul loro avambraccio, Zydite era la prima a poter percepire delle intenzioni ostili.
Con gli anni si era convinto che oltre a svolgere un compito di mera precauzione, forse dovevano proteggerli da loro stessi.
Zydite lo lasciò nel momento in cui le porte vennero aperte per lui, Erix, Hurin e sua sorella Sidite, Nohldir, insieme al mago di corte, lo attendevano all’interno, aveva visto quella stanza molte volta prima che divenisse di qualcun altro che non fosse Calimath.
Un mago di corte veniva scelto nel momento in cui dimostrava una profonda conoscenza delle rune Geroglifiche e della magia degli Efir o dei Jiin tanto da poter studiare per tentare di unirle, per portare tramite le sue scoperte alla creazione di oggetti in grado di migliorare la dura vita del deserto.
Poteva capire la presenza di Sidite per la sua discendenza dalla Dea Pasha della magia, di Hurin e anche del mago di corte, ma si chiedeva se Nohldir non avesse deciso di pedinarlo fino allo sfiancamento.
Hurin fece un cenno a Zydite avvicinandosi a loro e prendendole la mano gentilmente.
«Non mi è possibile dirvi nulla, non ho potuto vedere nulla con solo il mio occhio.»
«Era ciò che temevamo, il vincolo che l’ha colpito funge come un velo.»
Hurin la accompagnò da una delle guardie, facendola accompagnare nelle proprie stanze. Zydite era strana, conosceva quei corridoi a memoria grazie a tutti gli altri suoi sensi, Dokor era certo che si sarebbe potuta muovere da sola ma preferiva essere scortata ogni volta.
Dokor si voltò verso i restanti nella sala nel momento in cui vennero chiuse le porte alle sue spalle.
«Avete scoperto qualcosa?»
«Dobbiamo accertarci della profondità del vincolo.» Sidite si lisciò la gonna di raso dorata, le rune sulla sua pelle scintillavano e per la prima volta nel vederle sulla sua pelle Dokor le trovava soffocanti, come se non fossero più in sintonia con lui.
Il portone di legno si aprì con un grosso cigolio e alcune guardie sciamarono all’interno del laboratorio, trascinarono Elyim che aveva un aspetto pallido e debilitato, la fasciatura intorno al collo macchiata di sangue e gli occhi incavati, appannati dalla rabbia.
«Afferma di non sapere nulla di un possibile vincolo tra voi.» commentò Hurin.
Fu lanciato a terra e atterrò in avanti, si sollevò in ginocchio aiutandosi con i gomiti a terra. «Perché non lo so.» Il suo respiro inciampava per l’affanno.
«Stai mentendo. Qui nessuno dice la verità.» Tuonò Nohldir, si avvicinò a lui con grandi falcate e gli prese la mano tirandolo in avanti. Elyim fu costretto a sollevarsi con il busto, la forza dello strattone lo fece barcollare. Dokor vide che i moncherini delle sue dita sulla mano destra erano stati lasciati così, le tre dita di ottone articolate e pregiate nella loro forgiatura gli erano state strappate via.
Nohldir estrasse il proprio pugnale dalla fondina e con un gesto secco lo piantò nella mano che teneva stretta. Elyim si lasciò uscire un gemito roco con una smorfia, Dokor lo vide stringere i denti e mordersi il labbro per non lasciar uscire nemmeno un fiato.
Un secondo dopo percepì un formicolio alla mano, una lieve pungolata, come se una spina si fosse infilata nel suo palmo, ma subito dopo quella pressione nel petto esplose, portandolo ad estrarre il suo pugnale. L’uncino nelle sue carni lo tirò e si ritrovò davanti il corpo di Elyim, il pugnale alto verso la gola di Nohldir.
Dokor vide tutti voltarsi verso di lui, la nebbia nella sua testa si dissolse e la prima cosa che vide fu il sorriso soddisfatto di Nohldir.
Hurin gli prese il polso, i suoi occhi studiosi e indagatori osservarono la sua mano.
«Non hai riportato ferite.»
Percepì Elyim dietro di lui estrarre il pugnale nella sua mano, voltandosi lo vide tenersela stretta al petto mentre rivoli di sangue avevano preso a scendere lungo il braccio. I suoi occhi colmi di una rabbia ferina, lievemente appannati dal dolore.
Le guardie lo presero nuovamente per le braccia trattenendolo.
Si sentiva soffocare non dalla mancanza di aria, ma da una cieca necessità. Il suo intero corpo aveva preso a dolere, qualcosa mancava ma decise di concentrarsi sulle sue parole. «Non le ho mai
riportare, se lo avete interrogato...»
«Non abbiamo utilizzato nessun interrogatorio pericoloso se non la magia, non sapevamo che effetti avrebbe avuto su di voi. Dato che durante l’attacco al palazzo di giustizia, il fuoco che ha intaccato il prigioniero ha fatto provare dolore anche a voi.» Sidite si fece avanti facendo frusciare la sua veste, si mise seduta sulla poltrona di velluto dinanzi alla scrivania nella stanza. «Ma ne sappiamo davvero molto poco. Appartiene strettamente alle capacità delle creature Efir, stiamo iniziando a replicarli per controllarli ma il loro studio è ostico. Le creature stesse non amano imporre vincoli tra di loro.»
Dokor aggrottò le sopracciglia «perché?», domandò.
«Sono troppo imprevedibili e duraturi, si evolvono insieme a coloro che ne sono costretti, possono avere risvolti non richiesti e sono complicati da rimuovere, non hanno per forza un obiettivo. Calimath ne era un grande studioso, ma nemmeno lui aveva mai osato utilizzarli.»
Elyim che fino a quel momento era rimasto in silenzio, spalancò gli occhi come se improvvisamente avesse compreso qualcosa.
«Da quanto ho compreso.» Il mago prese parola. «Il vincolo che vi lega permette al nostro principe di percepire il dolore del condannato ma solo dopo determinate condizioni.
Per certo è, secondo la risposta che ha avuto prima il principe, che davanti una situazione di pericolo per il mezzo Efir scatta la necessità di protezione. Non appena sono stato avvertito ho cercato negli archivi e ciò che ne è uscito fuori è un vincolo che venne creato anni fa, lo si voleva utilizzare per legare delle creature dal sangue Efir alla famiglia reale in modo che fossero leali e pronte a proteggerla. Ma era troppo imprevedibile, come abbiamo visto, ha portato molto probabilmente il principe ad uccidere i suoi stessi soldati.»
Elyim appariva fuori di sé.
«Qualsiasi azione compiamo contro di lui, fino a che avrete il vincolo, avremo una vostra reazione.»
Dokor per un momento si chiese se non fosse tutta una burla.
Poteva percepire intorno a sé che gli occhi erano puntati su di lui, sui suoi muscoli tesi contro il suo volere, i suoi sensi in allerta.
Era pronto a colpire.
«Il rischio peggiore è la sua evoluzione, andando avanti non possiamo sapere che cosa succederà se uno dei due muore.» aggiunse Sidite.
Hurin si lisciò i capelli. «Quanto tempo ci vuole perché il vincolo evolva?»
Il mago scosse la testa, pensieroso. «Non possiamo saperlo. È molto intimo in sé oltre che potente. Certo una creatura di enorme potere potrebbe lanciarlo se avesse le giuste conoscenze…»
«Non guardate me! La sola idea di questo vincolo mi stomaca» commentò piccato Elyim.
«Ne avresti avuti i mezzi, avresti rimandato la tua esecuzione.» Insistette il mago.
Elyim scrollò la testa, sfinito. «Il mio tentativo di dare fuoco a tutto è proprio sfuggito, avrei di gran lunga preferito che le fiamme mi divorassero.»
Dokor sospirò. «Se questo vincolo è stato creato qui come potrebbe un Efir lanciarlo o conoscerlo?»
Sidite lo guardò «non è da escludere che lo conoscano, noi li studiamo ma questo tipo di magia parte da loro. Potrebbero aver avuto il modo di infiltrarsi e renderlo loro.»
Hurin guardò Elyim con malcelato interesse, mentre Sidite faceva un cenno verso le guardie «colpitelo di nuovo, Nohldir tieni fermo il principe.»
«Cosa? E’ davvero necessario?»
Le sue parole si persero nella stanza nel momento in cui le guardie colpirono nuovamente Elyim buttandolo a terra e facendolo tossire violentemente per il colpo subito, il sangue alla mano prese a uscire copiosamente dalla sua ferita.
Un ulteriore colpo si abbatté sulle sue costole facendolo rantolare.
Nel momento in cui Dokor fece per voltarsi, il fuoco gli esplose dentro e la sua mente divenne un buco nero di necessità, venne trattenuto e il suo impeto di muoversi in avanti venne bloccato bruscamente, delle mani lo afferrarono e trattennero con forza.
La sua mente si annebbiò del tutto, percepiva solo quella necessità, nel petto vibrava il bisogno di farsi avanti.
Doveva proteggere.
Sentì il suo sangue ribollire e mentre la sua sabbia iniziava a fremere contro la sua pelle improvvisamente iniziò a mancargli il respiro. Un dolore lancinante gli esplose in petto e lungo il costato, concentrandosi poi nel palmo della sua mano dove vide apparire l’aprirsi di una ferita.
Prima che potesse fermarli si strinse la mano verso il petto che gli scoppiava con un verso di sorpresa e tutti si voltarono verso di lui.
Elyim stesso lo osservò da terra a malapena cosciente, gli occhi rossi.
Le guardie si fermarono sotto ordine ed Elyim da terra prese a boccheggiare con avidità, tossendo e riprendendo aria.
Dokor tossì appena, in lui svanì quella sensazione ma rimase la necessità di intervenire.
Elyim venne preso e sollevato di forza, riusciva a reggersi solo per la presenza delle guardie.
Sidite si pronunciò «Temo che la sua esecuzione debba essere rimandata se teniamo all'incolumità del principe.»
Nohldir fece trascinare via Elyim che nonostante le sue condizioni tentò di camminare sulle sue gambe senza farsi trascinare a forza.
Nell'ultima occhiata che gli lanciò Dokor vi lesse una profonda furia repressa, quella di una bestia in gabbia.
Le porte si chiusero dietro di lui, portandosi via anche quella scintilla che aveva intravisto.
«Cosa vuol dire?» Hurin si fece avanti, lasciando la presa su di lui e allungando le mani per controllare la sua ferita alla mano, non era profonda, come se fosse riuscita ad aprirsi del tutto.
La morsa sul suo petto invece divenne un fastidioso e continuo pungolare.
«Ha reagito come se non potendo intervenire per proteggerlo stesse subendo le stesse conseguenze. Non possiamo affermare fin dove possa arrivare.» Il mago rispose per Sidite che nel frattempo si era avvicinata ad Hurin.
«Potrebbe ucciderlo?» La seconda domanda di suo fratello.
«Potrebbe. Per certo è solo che la morte del prigioniero avrebbe delle ripercussioni sul principe e non possiamo sapere di quale natura.» Il mago piegò la testa verso una delle librerie, prendendo a scaglionare i libri posti al di sopra. La sua mente era già nel mezzo dei suoi studi. «Concedendomi qualche giorno è possibile che riesca a trovare qualcosa.»
«Seguiremo gli studi con lei.»
Il mago si inchinò rispettosamente ad Hurin e Sidite, non potendo rifiutare. Dokor era decisamente sollevato, non sarebbe divenuto una cavia da esperimenti per i santuari dell’Heka.

***

Le strade della città erano ancora ricolme dei festeggiamenti per la fine dell’Afa e per la vittoria riportata in guerra mentre i calcinacci del palazzo di giustizia e i feriti si andavano mischiando ad essi, era stato catturato e gettato in cella un criminale, riusciva a intravedere i colori dei coriandoli mischiati tra la sabbia per le strade, l’odore delle piccole magie che avevano intrattenuto il popolo vibrava nell’aria mentre l’attivazione delle rune lungo i palazzi accendeva un richiamo bruciante in ognuno di loro e l’aria gioiosa tra i nobili erano andate sfumando in una nube di attenzione e sospetto.
Nessuno nella città media e nella città bassa conosceva la vera situazione che si era venuta a creare, o nessuno ne conosceva i precisi dettagli.
Dokor osservò il deserto oltre la città, una lontana distesa che andava a perdersi a vista d’occhio svanendo tra i forti venti, i crepacci, le rocce e le oasi, fino alla città successiva. Cominciava ad invidiare i mercanti con le loro carovane e i loro cammelli che si incamminavano in esso.
Quando fece per rientrare nel palazzo dai lussuriosi giardini il suo umore era un po' migliorato, erano due giorni che non si prendeva il tempo per osservare il deserto e mesi che non passeggiava con Caa’li tra le sue dune, aveva anche assunto un atteggiamento un po' sciocco con una ancella, le aveva sorriso nel tentativo di non pensare a nulla ma non aveva poi sentito la voglia di andare oltre, non era il caso di infilarsi in altre situazioni, era già in una situazione complicata di suo, se per sbaglio si fosse avvicinato alle ancelle di Niphine sarebbe stato complicato levarsele di torno, tendevano a volere subito qualcuno che le sposasse e desse loro un figlio.
Degne della Dea Aseis della maternità e dei raccolti che rendeva il corpo di Niphine, sua discendente, così prospero.
Quel briciolo di buon umore che era riuscito a recuperare gli scivolò via quando vide di fronte la porta del palazzo Nohldir. La sua faccia si inasprì per effetto naturale.
Tutta la situazione in cui era finito lo faceva sentire decisamente uno schifo, vedere quella faccia ingrugnita non era il massimo. Soprattutto se sul capo sfoggiava un elmo da generale.
Suo fratello non aveva ancora parlato con lui, non lo aveva ricevuto e non lo aveva fatto chiamare, ma aveva mantenuto invariate le decisioni prese.
Percepiva intorno a sé l’aria di tensione tipica di un campo di battaglia, l’elettricità sotto la sua pelle, i peli dritti delle braccia e gli sguardi furtivi tra i corridoi.
Le sue azioni al tribunale non erano passate inosservate per nessuno, il suo passato non era stato dimenticato ma la posizione che aveva raggiunto era riuscito ad oscurarlo.
Ora era come una rovina venuta fuori dalla sabbia.
Nohldir non aspettava altro, l’unica certezza che Dokor aveva con sé era la spada al suo fianco, il simbolo del suo comando delle truppe. Nessuno poteva muoversi troppo fino a che l’esercito rimaneva suo, benché temporaneamente.
Il suo caro cugino, almeno aveva capito fosse così, non aspettava altro, doveva essersi legato al dito quando aveva sventato un suo tentativo di vendita di creature Efir.
Il destino delle creature era quasi sempre atroce tra quelle terre, finivano schiavi, venivano strappati alla loro magia, comprati o venduti per il soddisfacimento dei piaceri dei nobili e della supremazia
che vantavano. Avevano stretto degli accordi con le loro Corti e benché si fossero ormai incrinati Dokor credeva fermamente che questi andassero preservati.

Gli umani lo facevano già di loro, senza che vi ci si mettesse un mezzo idiota di buona famiglia che credeva di averne il diritto in quanto il suo sangue gli aveva donato solo qualche muscolo in più, Dokor lo aveva sempre creduto un po' deforme in realtà.
«Che incontro fortuito, avete fatto fuori qualche altra guardia?»
Dokor fece una smorfia, le parole di Elyim gli tornarono all’orecchio: “Sei tanto grosso quanto intelligente?"
«Cosa ti porta qui?» domandò freddo.
Voleva raggiungere la sua vecchia casa lontano da lì, non ci tornava da tempo, l’aveva quasi dimenticata.
«Desolato di aver disturbato l’intrepido guerriero, ma avevo urgente bisogno di parlarvi.»
«Sono qui.»
Non gli avrebbe fatto vedere la strada che portava in una delle parti più intime del suo passato, in pochi la conoscevano, uno di loro sarebbe dovuto morire in quei giorni. Il silenzio divenne fastidioso ma Nohldir sembrava calmo, vestito elegante, il viso scoperto della maschera.
Gli zigomi alti e il naso prorompente, la mascella squadrata e le labbra sporgenti, la pelle liscia e l’aspetto giovanile che cozzava con le cicatrici, la dicevano lunga sui suoi metodi di combattimento, rappresentavano il suo modo di combattere.
«Sono qui per proporvi un accordo.»
Dokor si irrigidì. «Un accordo? E perché dovrei averne bisogno?»
«Non siete in una buona posizione, mio principe.» Quel tono formale sembrava molto una presa in giro. Nohldir si dipinse un falso sorriso sulle labbra. «Il nostro Re non vi ha ancora ricevuto, gli unici funerali che si sono svolti sono stati per i soldati dell’esercito. In mancanza di una soluzione, abbiamo guadagnato due traditori da giustiziare.»
Dokor strinse la mascella. La sabbia sotto i suoi piedi si mosse. «Attento a come parli, sono il tuo principe.»
«Mio principe non ho l’ardire di prendervi il vostro titolo nobiliare. Ma… prima che il vostro retaggio tornasse a noi l’esercito era il mio destino. Cedetemelo permanentemente, e io e il mio esercito voteremo contro la vostra condanna a morte.»
Dokor sbatté le palpebre e quasi inciampò sui suoi stessi piedi.
«Usi parole errate. Non ti ho ancora concesso nessun esercito, non nominarlo come tuo. Non necessito di nessun accordo, la votazione è già avvenuta.»
Nohldir sorrise mentre lo superava camminando, la sua voce roca gli graffiò i timpani. «La prima votazione certo, e hanno anche decretato che per ora siete innocente, ma tutti qui conosciamo i trascorsi che vi pesano sulle spalle. Non si sa ancora che cosa risulterà dagli studi dei maghi.»
Dokor sentiva pulsare dentro di sé la necessità di colpirlo, dritto sul naso.
«E in un'altra votazione perché l’intera città dovrebbe mettersi a rischio per un principe che ha difeso il traditore, che ha interrotto gli interrogatori e che lo ha protetto. Per non parlare delle azioni passate, niente come gli errori del presente fanno riemergere alla mente gli errori del passato.» Nohldir ghignò, a malapena riusciva a contenersi.
Dokor percepiva un fischio nelle orecchie oltre che una profonda acidità di stomaco, si inumidì le labbra e socchiuse gli occhi, trattenendo a stento la rabbia.
Le parole gli uscirono basse e ferali.
«Mi stai ricattando Nohldir?»
Nohldir sventolò una mano, «non fatela così tragica, tra di noi si chiama scambio di favori. Nessuno può toccare la vostra nomina da principe, vi scorre nelle vene. Ma non siete nato per essere a capo dell’esercito. Lo avrete comunque dalla vostra parte sotto il mio favore, un vantaggio per voi non credete? Non potete essere certo che voteranno per voi nelle condizioni attuali.
Alla fine non sto chiedendo molto.»
Dokor poteva solo immaginare che cosa avrebbe fatto Nohldir con l’esercito sotto il suo comando. Il deserto come ogni altra nazione doveva potersi difendere, attaccare le creature era lecito sotto la necessità di proteggere la pace.
Nohldir era dedito alla violenza e alla battaglia, il suo posto non era a capo di un esercito ma tra di esso. Dokor aveva portato l’esercito dorato del deserto a grandi e sanguinose battaglie, ma per quanto possibile aveva limitato lo scambio degli schiavi e il saccheggio nelle terre degli Efir.
Aveva le sue colpe, ma non avrebbe ceduto l’esercito a un essere tanto avido, non era solo una questione di potere.
Nohldir si lisciò la gonnella di lino. «Forse non vi è ancora chiara la vostra posizione precaria. Il popolo ha imparato a conoscervi e vi adora, anche l'esercito vi riconosce e tutti nel palazzo hanno imparato a temervi e rispettarvi, ma la possibilità di una guerra con le creature e l’odio per il traditore può sorvolare tutto questo. Avete bisogno di alleati e di stretti, ne contate davvero pochi.
Non dovete rispondermi subito, mio principe, siete libero di prendervi il tempo che necessitate finché ve ne sarà.»
Dokor lo superò senza nemmeno voltarsi, sentiva la profonda necessità di prendere a pugni qualcosa, per non rischiare di seguirlo e prendere a pugni lui, compromettendo ancor di più la sua condizione ribaltò nuovamente il tavolino nella sua stanza che le ancelle avevano sistemato la mattina, creando un frastuono fastidioso.
Sentiva di funzionare molto meglio su di un campo di battaglia che tra le insidie di quel palazzo, aveva imparato negli anni come muoversi ed era stato capace di arrivare fin dove si trovava, non poteva cedere in quel momento.
C’era ancora tanto che non conosceva e tanto che ancora doveva avere. Si mise seduto sul letto iniziando a cercare una soluzione.
Nohldir non era il primo che veniva da lui alla ricerca di un accordo in vista della futura votazione che sarebbe avvenuta per decidere il futuro di tutta quella situazione, Dokor sapeva che non avrebbe potuto partecipare in quanto la sua parola con il vincolo attivo non sarebbe stata tenuta di conto.
I sacerdoti si appellavano ad Amus, discendete del Dio messaggero, per poter estrapolare dei favori particolari dalla situazione, spingendo su di lui perché potesse fare pressioni sull’Heka e passare determinati privilegi nelle loro mani.
Endall era favorevole alla protezione della città e di tutti loro a qualsiasi costo, era tra i più tradizionalisti e non lo aveva mai tenuto molto di conto se non per le funzioni in cui era costretto.
Da quando Erix aveva preso a isolarsi tutti quelli che lo circondavano avevano creduto che la sua posizione potesse traballare, li aveva fatti ricredere ma con la comparsa di quel vincolo non si era mai sentito tanto instabile.
Sarebbe più facile se non avessi di mio i miei dubbi su tutta questa guerra.
C’era un’idea che continuava a sussurrargli all’orecchio in modo seducente, ma ascoltarla significava mettere a repentaglio tutto e commettere nello stesso tempo un terribile errore, e ciò la diceva lunga data la situazione in cui versava.
«Chiuso in questo palazzo non concluderò nulla...» sussurrò a se stesso, «decideranno loro per me.»
Era come essere tornato un semplice ragazzo per metà sangue regale senza la scelta di dove poteva vivere, di che cosa poteva fare e senza un'identità sua.
Aveva lottato per avere tutto ciò.
Elyim saprebbe muoversi tra queste mura. Le creature sono le più brave a questi giochi.
Mente fredda.
Cosa farebbe?
Dokor scosse la testa, non era certo l’idea migliore immedesimarsi in qualcuno che avrebbe potuto uccidere tutto il palazzo pur di non essere messo a morte segnato dal destino di un altro.
Ma era anche certo che, al di fuori della sua sete di sangue e rivoluzione, Elyim avrebbe valutato l'opportunità senza pensarci due volte.
Lui non avrebbe nulla da perdere.
Dokor si alzò in piedi, passandosi una mano tra i capelli e voltando gli occhi verso la città sotto di lui. Aveva troppo da perdere per rischiare.
Forse doveva concentrarsi su cosa ne avrebbe guadagnato.

 

 
ANGOLINO
Ecco qui.
Capitoli un po' lunghini :).
Spero che man mano i nomi dei personaggi secondari non causino confusione.

E niente ringrazio chiunque legga questi lunghi capitoli ^^.
   
 
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