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Autore: Doctor Nowhere    10/11/2023    1 recensioni
Uro è un minotauro che si è votato a Nemesi, dea della vendetta, per portare giustizia dovunque lo porti la sua strada.
Un giorno, in una taverna, incontra Amalia, una vecchia barda, che gli propone di accompagnarla in un'importante missione, per salvare una povera donna incapace di trovare conforto e riposo persino nella morte...
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Uro sollevò la testa e riaprì gli occhi. Davanti a lui la stessa enorme stanza del trono, le stesse due statue prive di vita. Solo la luce era diversa. I raggi del Sole avevano perso intensità, le tenebre avevano iniziato a reclamare l’immensa sala.

La voce di Klitandra lo raggiungeva da oltre la porta.

Non aveva senso aspettare oltre.

Si levò in piedi, sfoderò la sua spada e le fiamme sacre l’avvolsero. In un modo o nell’altro, sarebbe finita di lì a poco.

Afferrò un incavo dell’enorme porta e tirò. Il pietrone scivolò sul pavimento.

Il minotauro tese l’orecchio. Il canto si era arrestato. La gorgone sapeva che stava arrivando.

La luce della spada si infranse contro l’oscurità, insufficiente a percorrere l’immensa lunghezza del labirintico corridoio.

“Klitandra!” chiamò a gran voce “Se in te esiste ancora solo una minima traccia di umanità, voglio parlarti!”

Un sibilo, una risata sussurrata provenne dall’oscurità e gli fece accapponare la pelle: “Conosci il mio nome. Credi forse che ti consentirà di salvarti?”

Uro oscillò la spada, e la luce e l’ombra danzarono davanti a lui. Quindi Amalia aveva davvero ragione? O era solo un inganno della Regina-mostro? Non c’era tempo per queste domande. Doveva fidarsi del giudizio della cantastorie: “Voglio solo parlare.” ripeté, la voce lenta, nel tentativo di apparire calmo.

“E io voglio solo distruggerti, mezzo toro” rimbombò “Credi che ti lascerò scappare da qui? Hai firmato la tua condanna a morte quando hai messo piede nel mio dominio!”

Qualcosa strisciò sul soffitto. Era vicina. Uro strinse le labbra. Non andava bene. Doveva trovare il modo di costringerla a parlare. Forse poteva minacciarla di distruggere la statua di Nahor? Scosse la testa. L’avrebbe solo fatta infuriare di più. Serviva un approccio diverso.

“Oh, per Nemesi!” disse sottovoce: “E va bene. O la va o la spacca…”

Spense la fiamma e rinfoderò la spada “Non voglio farti del male.” sollevò le braccia, le mani aperte e bene in vista: “So cosa significa essere un mostro. Lo sono stato tutta la vita. Per questo vorrei che mi raccontassi la tua storia. Voglio sapere cosa ti è successo.”

Anche al buio, le sagome del corridoio erano abbastanza nitide. Era solo disarmato. Come se fosse poco.

“Oh…” venne da sopra di lui.

Gli occhi della gorgone rilucevano come tizzoni ardenti. Si sospinse con i suoi tentacoli e scese su di lui. Inclinò la testa di lato, i lunghi capelli rossi che fluttuavano come immersi nell’acqua: “Qual è il tuo nome, guerriero taurino?”

Il minotauro sollevò il mento: “Sono Uro, Cavaliere e sacerdote di Nemesi. Vengo da Cidonia, e servo la dea che mai ignora il sangue versato.”

La creatura emise un verso, a metà tra un riso e un singhiozzo: “La tua dea ha ignorato il sangue versato in questa terra per più di cento anni, Cavaliere” si poggiò con delicatezza sul pavimento, i tentacoli adagiati al suolo: “Io sono Klitandra, del popolo dei Vagabondi. Non ho un titolo di cui fregiarmi se non quello di abominio. Non ho un dio che sono fiera di servire. Nulla possiedo, se non questa vasta e solitaria fortezza, e una potenza blasfema e orripilante.” si piegò verso di lui: “Ma tutto questo già lo conosci. Quindi dimmi… cosa vuoi sapere esattamente? Di cosa vuoi disquisire, da mostro a mostro?”

Uro si accarezzò il mento: “Non conosco la tua storia. Non bene come vorrei”

“Aspetta” la gorgone sollevò un dito: “Voglio concedermi il lusso di essere onesta, con te. Sappi che hai il mio interesse, non la mia pietà. Quando questa conversazione volgerà al termine, porrò fine alla tua vita, senza nemmeno darti il tempo di estrarre la tua spada infuocata. Quindi valuta con grande attenzione le domande che mi poni.”

Uro sbuffò. Proprio in un bel vespaio si era cacciato. Si costrinse a reggere lo sguardo: “Si raccontano leggende su di te. Hanno composto una canzone, sulla tua vicenda.”

“Immaginavo” i denti aguzzi scintillarono nell’oscurità “La gente mormora, soprattutto sui fatti altrui.”

Il minotauro si asciugò la fronte sudata: “Ma quello che dicono non è corretto. Non del tutto, almeno.”

La donna-mostro inclinò la testa di lato.

Uro si sistemò il mantello: “Innanzitutto, secondo quanto ho sentito, il mostro…” deglutì “La creatura a guardia della reggia non saresti tu ma la Regina. Sarebbe stata lei a stipulare il patto con il Proibito.”

“Makat” mormorò lei: “Beh, un dettaglio abbastanza irrilevante. Dubito che susciti il tuo interesse a tal punto da giocarti la tua vita per esso.”

Il Cavaliere strinse il pugno: “In parte sì, in realtà. Io voglio capire come sono davvero andate le cose. Io so solo che re Achis si è innamorato di te, ti ha sposato e…”
“COSA?” l’urlo della gorgone rimbombò con fragore, il minotauro dovette puntellarsi per non essere sbalzato indietro.

I tentacoli del mostro si sollevarono e fremettero come serpenti sul punto di scattare: “Dicono questo?”

Uro strinse le labbra e annuì.

“E va bene” ruggì Klitandra: “Mettiti comodo, Cavaliere, perché ti racconterò la mia storia. La mia vera storia. E sarà l’ultima cosa che sentirai nella tua vita. Scegli una posa che ti piaccia, perché la manterrai per sempre!”

“D’accordo” Uro si sedette: “Ma sappi che non puoi mentirmi, Klitandra. Se cercherai di alterare la realtà con le tue parole, io lo saprò. È un potere che mi ha concesso la divina Nemesi.”

La gorgone liquidò la questione con la mano: “Non importa. Da me udirai null’altro se non la verità”

L’Occhio non si era attivato. Era un buon segno… se si tralasciava il fatto che lo avrebbe ucciso non appena avesse finito di raccontare.

Klitandra inclinò indietro la testa: “Ero felice, prima di conoscere Achis, che bruci negli Inferi! Ero un’artista di strada. Vagavo per il regno e guadagnavo di che vivere con il mio canto.” Chiuse gli occhi: “Più volte uomini ricchi e nobili mi avevano offerto di ospitarmi nei loro palazzi, ma non mi interessava. Ero un usignolo che per nulla al mondo avrebbe accettato di entrare in una gabbia, a prescindere da quanto fosse spaziosa o dorata. Però…” chinò la testa “Però quando è un re a invitarti cordialmente, e non è disposto ad accettare un no come risposta…”

Uro strinse il pugno. Era un’ingiustizia!

“Perciò” Klitandra si portò le mani alle spalle. Sul braccio sinistro, un bracciale scintillò: “Ho dovuto abbandonare le strade del regno, e venire in questa…” corrugò la fronte “Prigione con mio figlio, Nahor…”

“Aspetta!” Uro strinse gli occhi “Hai avuto Nahor… prima di venire a corte? Da quanto avevo sentito era figlio tuo e di Achis…”

La gorgone fu scossa da un tremito, poi dalle sue fauci scaturì un urlo disumano. La creatura gettò il capo all’indietro e si lasciò andare a una folle risata: “Oh… miei dei…” affondò il viso nelle mani, il suo intero corpo scosso da un tremito: “Il mio piccolo Nahor… figlio di quel porco? Mai! Sì, sono stata costretta a essere sua concubina, ma…” si fermo, sospirò e sorrise. Un vero sorriso: “No, Nahor era figlio mio, davvero mio, mio e della vita libera che sempre avrei dovuto avere.” rilassò le spalle “La gente davvero non sa quello che dice.”

“Beh” mormorò il minotauro “Sono passati cento anni…”

La gorgone si chinò di lato e si accasciò contro il muro: “E ne passeranno altri cento, e poi mille. E gli unici a conoscere la verità saranno un abominio e due statue imprigionate per sempre in questa reggia deserta.”

Uro si accarezzò la nuca. Forse iniziava a capire perché fosse così importante per Amalia e per il culto di Veritas indagare su misteri sommersi dal tempo.

“Comunque” Klitandra si riscosse: “Achis era un sovrano ricco e abituato a sentirsi dire sempre di sì. Io ero troppo assetata di libertà per vivere bene alla sua corte. Mi costringeva a cantare alle sue sconce feste finché non perdevo la voce, e poi si infuriava, mi picchiava, spesso mi strappava le vesti davanti ai suoi ospiti.” le sue labbra tremarono “Ma soprattutto minacciava di fare del male al mio Nahor. Lo teneva lontano da me e mi permetteva di vederlo solo le rare volte in cui si sentiva benevolo e soddisfatto. Avrei voluto scappare, ma come? E dove sarei potuta andare, dove avrei potuto trovare rifugio dalle sue grinfie e dai suoi sicari?”

Il Cavaliere incrociò le braccia e soffiò. Non era giusto, non era per niente giusto. Se solo qualcuno si fosse levato a fermare quel folle, se solo un seguace di Nemesi avesse udito quella storia di sofferenza! “E…” indicò la metà mostruosa della gorgone “Quindi è successo… quello?”

Lei sospirò: “Makat, la moglie di Achis, quella legittima. La regina. Bramosa di potere e, come ho avuto modo di scoprire, sacerdotessa di Dagon”

Uro sbarrò gli occhi. Dagon. Il Proibito delle Profondità, il Sussurratore di Follia, il Signore dell’Abisso.

“Makat non era gentile con me” continuò Klitandra: “Ma non arrivava a umiliarmi come suo marito. Mi ha offerto una via di fuga dalla mia gabbia. Se mi fossi sottoposta al suo rituale, disse, re Achis non avrebbe avuto più alcun potere su di me, e avrei potuto fargliela pagare.”

Aprì la mano e la trascinò sulla parete, incidendo un profondo graffio: “Sapevo che i Proibiti sono divinità malvagie che tramano inganni e distruzione, ma che altro avrei potuto fare? Ero prigioniera, mio figlio era in pericolo, ed ero impotente. Per cui ho accettato. Lei ha eseguito il rituale. E mi sono trasformata…” si sollevò dal terreno e fluttuò nell’aria, i tentacoli protesi in ogni direzione “In questo!”

Il minotauro si morse il labbro. Voleva dire qualcosa… ma le parole non vennero.

La gorgone si adagiò di nuovo al suolo: “Sistemare Achis è stata l’unica, perversa gioia che ho avuto da allora. Poi è iniziata una nuova forma di dannazione”

Sfiorò il bracciale sul suo polso, un gioiello d’argento su cui erano incise delle linee ondulate, come la superficie del mare, e che alle estremità terminava con delle zanne che premevano sulla carne: “Questo… è un empio ornamento di Dagon. Makat lo usò per imprigionarmi. Quando mi dava un ordine, io ero costretta a eseguirlo. Mi ha usato per assumere il controllo della corte e del regno. Ho cercato di sfuggirle e lei… lei…”

Un brivido corse lungo la schiena di Uro: “Ti ha costretto a trasformare tuo figlio in pietra… vero?”

I tizzoni ardenti della gorgone si inondarono di lacrime: “Non potevo resisterle! Quando tento di ribellarmi questo ornamento mi azzanna, e risuona una voce, una voce terribile… qui dentro!” si afferrò la testa: “Parla una lingua incomprensibile, e a ogni parola io mi sento schiacciare, divento incapace di respirare e di muovermi. Alla fine… alla fine…” scoppiò in lacrime “Alla fine ho obbedito, perché non c’era altro che potessi fare! Avrei preferito mille volte morire, strapparmi il cuore dal petto con le mie mani, ma Dagon non me lo lasciò fare, il bracciale mi morse e me lo impedì! Così… così ho perso il mio Nahor!”

La gorgone affondò le unghie nere e affilate nel suo stesso petto: “Non potevo lasciargliela passare liscia. Ho aspettato la mia occasione. Makat era furba, ma troppo sicura di sé e dei poteri che le aveva concesso il suo dio Proibito. Anche lei aveva bisogno di dormire. E una volta tolta di mezzo lei, la sua cerchia di cultisti non fu certo un problema, per il mostro che ero diventata”

Ridacchiò, ma la risata si spense dopo pochi secondi: “Oh, Dagon non l’ha apprezzato, neanche un po’. La stessa notte in cui mi sono sbarazzata di Makat, ho sentito di nuovo la sua voce. Distruggendo il suo culto avevo ostacolato i suoi piani. Mi ha confinata in questa reggia abbandonata, costretta a vivere per sempre, e a uccidere chiunque metta piede qui dentro. Ha detto… ha detto che se anche uno solo uscirà da qui vivo… ha detto che conosce molti modi ancora per moltiplicare la mia sofferenza. Lo sento ancora, ogni volta che cala il Sole. Solo quando trasformo qualcuno in pietra e distruggo la statua mi concede qualche ora di silenzio.”

Uro congiunse le mani davanti al volto: “Oh, Nemesi! Tutto questo… tutto questo…”

I tentacoli della gorgone si sollevarono. Sul volto della donna comparve un sorriso amaro: “Sai… Cavaliere… mi ha fatto piacere poterti raccontare la mia storia. Ho cambiato idea. Non posso lasciarti andare, ma credo che ti lascerò estrarre la tua spada. Mi sembra giusto darti la possibilità di difenderti.”

La mano del minotauro sfiorò l’elsa, ma si bloccò prima di afferrarla. Poteva vincere quello scontro? Certo che poteva. Ma… proprio non se la sentiva. Le sue dita furono scosse da un fremito. Un mostro che aveva assassinato chissà quante persone, un abominio creato direttamente da un Proibito per piagare la terra. Gli ordini del suo voto a Nemesi erano più chiari che mai. Eppure… anche se il suo desiderio di giustizia era più forte che mai, la sua furia lo aveva abbandonato.

Fece un lungo sospiro: “Mi…” mormorò “Mi puoi dare solo un momento per riflettere?”

Klitandra annuì “Sì, ma fai in fretta. Dopo il tramonto Dagon si fa più potente, e ricomincia a parlarmi. Per allora, vorrei che questa vicenda fosse conclusa, in un modo o nell’altro.”

Uro abbassò lo sguardo sui suoi zoccoli. Si accarezzò il volto di toro, e si toccò la punta del corno. Il suo dovere, in quanto Cavaliere di Nemesi, era vendicare gli innocenti, come Amalia, che era stata ingiustamente trasformata in pietra. Quindi… doveva combattere. Eppure continuava a non… a non essere giusto, quello che era successo a Klitandra. C’era ancora qualcosa di umano, in lei, qualcosa di buono.

Lui però doveva obbedienza a Nemesi, colei che esige sempre una vita colpevole per una innocente, colei che mai ignora il sangue versato. Il primo ordine di Nemesi ai suoi Cavalieri era di dare a ciascuno ciò che gli spettava.

Ma quella donna-mostro che gli si ergeva davanti, aveva davvero avuto ciò che le spettava? No, era evidente. E neppure Amalia, e Nahor, neanche loro avevano avuto ciò che meritavano. Se avesse ucciso Klitandra, non sarebbe servito a riportarli indietro. Lui era solo uno strumento di vendetta, non aveva quel potere.

“Ti sbrighi?” la gorgone fremette “Il Sole sta calando. Non ci resta molto tempo.”

“Aspetta” disse Uro: “Forse c’è un altro modo.”

 

   
 
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