Anime & Manga > Death Note
Segui la storia  |       
Autore: Non Molto    16/11/2023    0 recensioni
«M-ma Lei è pazzo» biascicò Ella tra i singhiozzi, mentre le lacrime avevano cominciato a scenderle copiosamente lungo le guance arrossate. «L-lei non può demolire in questo modo la vita di una persona, lo capisce?!».
«E invece posso, dottoressa» obiettò Wammy, calmo. «E, come già Le accennavo prima, se c’è qualcosa che posso prendere, perché non allungare semplicemente la mano e afferrarlo? Comunque, il bambino di cui Le ho parlato finisce lezione verso mezzogiorno, ma riprende subito dopo la pausa pranzo e, in ogni caso, ora Lei mi sembra fin troppo provata per incontrarlo, dunque potrete conoscervi stasera. Nel frattempo la signora Sybil, la nostra governante, Le mostrerà i Suoi alloggi. Ah, e non disfi completamente la valigia: domani sera ripartirà per Sydney e vi rimarrà per circa un mese e mezzo. Naturalmente potrà continuare a vedere i Suoi cari e i Suoi pazienti, seppur sorvegliata. Dopodiché lascerà permanentemente l’Australia e farà ritorno in Inghilterra, e dunque renderemo pubblica la Sua morte, sui cui dettagli La informerò in un secondo momento. Da lì in poi, Lei sarà sotto completa sorveglianza e a completa disposizione del bambino, il piccolo L».
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: L, Nuovo personaggio, Watari
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

I

Blue Rebirth

 

 

Praga, 2003. 

Dal dodicesimo piano del Four Seasons, una donna sui quarantacinque anni osservava l’andirivieni di persone sul Ponte Carlo e quello di traghetti sul Moldava. 

Non somigliava affatto a quand’era giovane, Ella. Il suo fisico snello e slanciato si era fatto più gracile, e quei capelli che un tempo erano lunghi, morbidi e lucenti le arrivavano ora appena sotto le spalle, ed erano sfibrati e spettinati.

Quelli però non erano gli unici cambiamenti che Ella aveva notato: lo specchio le restituiva l’immagine di una donna con le labbra più sottili e i capelli più scuri di quelli della ragazza che era, e si vedeva perfino più piccola di statura. Ella si diceva di star vaneggiando: le labbra non si rimpiccioliscono, i capelli non cambiano il loro pigmento e le ossa non si accorciano. Si diceva che quella era solo un’immagine distorta che i suoi occhi percepivano, un’immagine torturata e denutrita da quei più o meno quindici anni di prigionia tra le sbarre di quella gabbia dorata in cui il vecchio Wammy, che era ormai sulla settantina, aveva rinchiuso non solo lei, ma anche un altro uccellino, minuto e dal piumaggio nero, che Ella aveva sempre gelosamente tenuto sotto la propria ala protettiva: L.

L aveva circa nove anni quando Ella l’aveva incontrato per la prima volta, e ora stava per farne ventiquattro. La psicologa l’aveva seguito sin dal primo giorno, cercando di infiltrarsi nel suo strano mondo tramite il gioco quand’era più piccolo, e tramite il dialogo quando aveva raggiunto l’età della preadolescenza. L le aveva sbattuto la porta in faccia parecchie volte, ma Ella non si era data mai per vinta. Ora che anche lui era adulto, tra i due si era instaurato un rapporto di reciproci fiducia e, avrebbe azzardato Ella, affetto. Il ragazzo non si chiudeva più in se stesso ma anzi, quando si agitava perché temeva di non saper gestire determinati stati emotivi o pensieri, chiedere aiuto a Ella era la prima cosa che faceva.

Dal canto suo, per Ella il ragazzo era diventato fondamentale. C’erano tre cose che facevano sì che la psicologa non si buttasse dall’ottavo, decimo o dodicesimo piano di uno di quegli hotel di lusso in cui aveva cominciato a soggiornare da quando L aveva iniziato a lavorare, e dunque a viaggiare per il mondo, ed erano: la salute mentale di L, le telefonate con Heath, e la speranza che un giorno avrebbe potuto avere indietro la sua vita.

Ah, e sì, il vecchio Wammy alla fine l’aveva avuta vinta: L, di un’intelligenza spiccata e fuori dal comune sin dalla prima infanzia, era diventato un detective di fama mondiale. Ad appena sedici anni era partito per gli Stati Uniti per frequentare Yale, ed Ella con lui. La donna aveva dovuto rimanere in quella villetta unifamiliare di New Haven (sempre sotto scorta e sotto sorveglianza, naturalmente) solo per un anno e mezzo: quello era stato l’arco di tempo che era servito a L per ottenere una laurea in Legge.

Dopodiché erano tornati a Winchester, e L aveva cominciato a collaborare anonimamente con Scotland Yard, con l’FBI e perfino con l’Interpol. 

Infine, prima di dedicarsi interamente alla propria carriera da investigatore, L era volato di nuovo negli Stati Uniti (ed Ella con lui, ovviamente). Quella seconda volta si trovavano però nel Massachusetts, ad Harvard, dove L aveva poi conseguito il dottorato in Criminologia.

Ella aveva notato che la fiducia da parte di L nei suoi confronti incrementava anche perché, man mano che il ragazzo avanzava negli studi, le chiedeva sempre più frequentemente dei consigli o dei pareri riguardo gli argomenti che trattava durante alcuni corsi di psicologia. Durante i primi mesi a Yale, per esempio, si limitava a qualche domanda a fior di labbra, mentre durante il dottorato ad Harvard i due si trovavano quasi ogni sera nell’appartamento a Somerville di Ella, a parlare di criminologia clinica davanti a una fumante tazza di tè. 

In quei momenti, in cui L era tranquillo e a proprio agio, tendeva a parlare con una lieve cadenza australiana, in particolare quella tipica dell’area di Perth, di cui Ella era originaria. La psicologa aveva dedotto che quello era ormai diventato il modo naturale di parlare di L, dato che era con lei che il giovane detective comunicava di più. Certo, quando lavorava (e anche durante la maggior parte dei loro colloqui) il ragazzo manteneva la parlata che aveva imparato al The Wammy’s House per preservare l’anonimato, ovvero una pronuncia “neutra”, a metà tra quella britannica e quella americana. Però, in quei rari attimi in cui L metteva da parte il detective e lasciava spazio al giovane adulto che era, la sua cadenza si faceva parola dopo parola sempre più somigliante a quella di Ella. E quello era un particolare che scaldava enormemente il cuore della donna.

Comunque, tra i diciannove e i vent’anni L aveva iniziato a lavorare regolarmente come investigatore privato, e nel giro di sei mesi i giornali di tutto il mondo l’avevano già innalzato a “detective migliore del mondo”, un appellativo che L non aveva mai avuto difficoltà a mantenere. Il giovane era infatti un portento: ad appena ventun anni aveva già risolto la maggior parte dei casi ch’erano stati archiviati in ogni parte del globo. 

C’era solo un particolare della vita lavorativa di L che faceva sorridere Ella: il ragazzo si era guadagnato in poco tempo una fama tale da permettergli di lavorare unicamente ai casi che voleva risolvere, e non era dunque costretto a occuparsi di qualsivoglia garbuglio gli venisse sottoposto. La donna vedeva questa “libertà” che il detective aveva ottenuto come una sorta di rivincita nei confronti del vecchio Wammy, che l’avrebbe voluto meno ragazzo ventiquattrenne e più robot-risolvi-crimini. Infine, un altro fatto che scatenava l’ilarità di Ella era la trasformazione che lo scaltro e machiavellico direttore del The Wammy’s House aveva subito: il vecchio Wammy era infatti ora diventato una sorta di maggiordomo per L. Certo, era un supporto fondamentale per l’attività investigativa del giovane, ma al contempo lo riforniva di cibo e acqua, gli faceva da autista privato e obbediva a qualsivoglia suo ordine.

A riscuoterla dai suoi pensieri fu qualcuno che bussò alla porta. Ella s’irrigidì d’istinto, ma si tranquillizzò subito dopo: quello era un bussare inconfondibile. Tre colpi, perché i numeri pari lo innervosivano, lievi e delicati come una carezza ma al contempo secchi e veloci quanto il morso di un serpente: quelli erano gli unici colpi a cui rispondeva «avanti!» senza alcuna esitazione.

«Tòh, ma tu guarda. Chi non muore si rivede» ghignò Ella, quando il giovane L si materializzò sulla soglia della sua camera d’albergo e si richiuse poi la porta alle spalle.

«Già. Nonostante la sindrome di Marfan e una piramide alimentare basata principalmente su caffeina e zuccheri raffinati sono ancora vivo. Ciao, Ella» la salutò lui, avviandosi con le mani sprofondate in quei jeans di due o tre taglie in più che si ostinava a portare verso il salottino della suite.

L era alto dieci centimetri buoni in più di Ella, e dati i suoi cinquanta chili non era difficile intuire il fatto che il ragazzo fosse in sottopeso. Il giovane era sempre stato di corporatura esile, e ai pasti tendeva più a spiluccare come fa un bambino di sei/sette anni che a nutrirsi in maniera adeguata. Nonostante ciò, era sempre stato in buona salute.

Era arrivato a perdere ben dieci chili una volta iniziato a lavorare, e negli ultimi tempi aveva anche adottato un modo di mangiare ch’era una vera e propria trappola mortale: dolci e caffè erano all’ordine del giorno, costituendo le fondamenta della piramide alimentare del ragazzo. Lui sembrava determinato a non voler abbandonare tale stile d’alimentazione, ignorando gli innumerevoli rimproveri da parte di Ella a riguardo.

Il giovane, così come Ella e il signor Wammy, aveva i tipici tratti europei: pelle chiara (lattea da quando L aveva iniziato a lavorare, poiché da allora stava molto raramente all’aperto), forma dell’occhio arrotondata e leptorrinia. I capelli di L erano lunghi e corvini, gli occhi grigio-azzurri e le labbra sottili. Il ragazzo aveva infine l’abitudine di portare sempre indumenti larghi (probabilmente per comodità, oppure per mettere in atto l’infantile tentativo di celare il proprio corpo scheletrico agli occhi di Ella, di modo da evitare di sorbirsi i suoi rimproveri), e di girare a piedi scalzi.

Nella suite c’erano un divano e due poltrone color amaranto attorno a un tavolino in vetro, su cui Ella aveva appoggiato il telefono e Il Ritratto di Dorian Gray, libro che stava leggendo. Di fronte al divano e al tavolino c’era un’ampia finestra che dava sull’intera città di Praga.

La psicologa si chinò per afferrare il tavolino in vetro da un lato. «Mi aiuti a spostarlo?» domandò a L. «Così ci guardiamo in faccia».

«Certo» mormorò il giovane. Per sollevare il tavolino, L lo alzò con la punta dei polpastrelli, così com’era abituato a maneggiare qualunque oggetto.

Il giovane si appollaiò poi su una delle due poltrone (quello era il suo abituale modo di sedersi), ed Ella si accomodò di fronte a lui, sul divano. 

«Allora» cominciò la donna «come stai? Non ti vedo da cinque giorni».

«Ho avuto da fare» si giustificò L, sebbene gli fosse chiaro che la psicologa non lo stava rimproverando. «Ricarda Doppel è morta».

«Oh», il volto di Ella si rattristò. «Che le è capitato? Si è suicidata?».

L fece segno di diniego col capo, facendo ondeggiare i lunghi ciuffi corvini. «Pare che sia morta d’arresto cardiaco».

«Ma come?!» esclamò Ella, incredula. «Era giovane, avrà avuto sì e no vent’anni! E il fratello?».

«Ricarda ne aveva ventidue» specificò L. «E no, di Lucius non si sa ancora niente, e neanche del bambino. Ma ho ragione di credere che siano ancora vivi e vegeti, tutti e due».

A portare L, Ella e il signor Wammy nell’Europa dell’Est era stato quello che inizialmente era sembrato un ordinario, seppur terribile, incidente stradale: Ricarda Doppel, ventidue anni e originaria di Amburgo, era sotto l’effetto di sostanze stupefacenti quando aveva perso il controllo della propria Volkswagen Polo ed era andata fuori strada, coinvolgendo due ragazzini: uno di sedici anni, ch’era in coma da allora, e una di quattordici, ch’era morta sul colpo. 

L si era imbattuto in quella notizia durante un periodo di magra: era da tempo che non trovava un enigma sufficientemente intrigante da stuzzicarlo. Certo, neanche quello era un granché, ma il giovane ci si era focalizzato perché era rimasto affascinato dal breve tempo in cui vi aveva trovato un punto di svolta.

Gli unici articoli a riguardo che L aveva trovato in rete erano in lingua ceca e tedesca, dato che l’incidente aveva fatto notizia solo in Repubblica Ceca e in Germania. Lì veniva spiegato che Ricarda Doppel, ragazza madre, era giunta a Praga tre giorni prima in compagnia del figlio Michael, di cinque anni. Erano andati a trovare il fratello minore di Ricarda, Lucius Doppel, diciotto anni e studente del primo anno all’Università Carolina, facoltà di Legge.

Poi c’era stato l’incidente: i fratelli Doppel avevano affidato Michael a Felicia, la ragazza di Lucius, ed erano andati a fare un giro per Praga con la Polo di Ricarda, con quest’ultima alla guida. Si trovavano in periferia quando avevano investito quei due ragazzini, e la polizia aveva trovato entrambi i fratelli Doppel positivi all’esame tossicologico.

Infine, il giorno dell’incidente Michael era sparito. Secondo quanto sostenuto da Felicia, la ragazza lo stava riaccompagnando all’appartamento di Lucius quando il bambino le era sfuggito scappando via di corsa, e lei l’aveva perso di vista.

L, parecchio annoiato, aveva analizzato le due o tre interviste fatte a Ricarda che erano state pubblicate in rete, e studiando le parole e il linguaggio del corpo della ragazza aveva capito che quest’ultima stava mentendo: non era stata lei a uccidere quei due ragazzini, ma il fratello. Era lui, quella sera, alla guida della Polo. 

L aveva dunque contattato il Capo della Polizia di Praga, Patrik Hruška, spiegandogli che era Lucius il vero colpevole dell’incidente, e non Ricarda. Il motivo per cui Ricarda si trovava ora dietro le sbarre al posto del fratello era chiaro: lui la stava ricattando con la vita di suo figlio. Il bambino infatti non era semplicemente sparito nel nulla, ma era stato rapito dallo zio, probabilmente anche con l’aiuto di Felicia.

Per fortuna, Hruška aveva dato retta a L: dopo appena tre giorni dalla loro prima telefonata infatti, era venuto fuori che l’investigatore aveva fatto centro. Dopo aver intuito le intenzioni della polizia Lucius era fuggito e, credeva L, si era portato suo nipote con sé. Infine, Felicia giurava di non sapere nulla dell’improvvisa partenza del ragazzo.

«Sei certo che Ricarda sia morta per cause naturali?» domandò Ella. «Voglio dire, non capita tutti i giorni che una ragazza di ventidue anni muoia d’arresto cardiaco. Forse si tratta di omicidio, magari Lucius è riuscito a ingaggiare qualcuno per farla fuori».

«Sono ormai praticamente certo che si tratti di omicidio» ribatté L. «Solo che il mandante non è Lucius Doppel».

«Che vuoi dire?», Ella sgranò gli occhi. «Ah, oh. Pensi che abbia a che vedere con ciò che si è verificato nei giorni precedenti, vero? Ho sentito qualcosa al telegiornale…».

L annuì. «Negli ultimi cinque giorni sono morti 574 criminali in ogni parte del globo. Queste morti hanno due punti in comune: il primo, sono avvenute tutte per arresto cardiaco, e il secondo, le vittime erano state tutte incriminate per qualcosa, e la loro condanna era stata resa pubblica dalla stampa».

«Mh. Direi che è abbastanza inquietante come faccenda».

«Inquietante?» domandò L. «E perché?».

«Be’, perché sembra quasi una sorta di giudizio divino» si spiegò Ella. «Tu non la trovi inquietante?».

«No, non direi» fece L. «Più che inquietante direi adrenalinica. Anche perché sono praticamente certo che non si tratti dell’opera di una divinità».

Ovviamente, pensò Ella. «Mh. E come mai?».

Gli occhi di L baluginarono appena, al che Ella lo fermò subito: «ricordati di parlare con calma e di non essere prolisso». 

L annuì. «Io credo» cominciò, portandosi un indice al labbro, «che si tratti di un pluriomicidio su larga scala, che non implica né il fato né l’operato di una divinità. Cominciamo dal fato: in cinque giorni sono morti 574 criminali, e tutti per arresto cardiaco. Davvero il fato è in grado di operare con tale precisione? È decisamente improbabile. Per quanto riguarda l’opzione della divinità, invece… be’, una divinità in grado di uccidere 574 criminali dovrebbe sapere che ad investire quei due ragazzini mentre era sotto sostanze stupefacenti (e senza aver mai neanche preso la patente, tra l’altro) è stato Lucius Doppel, e non Ricarda. Eppure è stata la ragazza, che ha dovuto dichiararsi colpevole davanti alle telecamere per salvaguardare la vita del figlio, a morire».

«Come fai a essere così certo che Lucius non sia morto?» domandò Ella.

«Infatti non lo sono» ribatté il giovane. «In Germania ci sono però stati alcuni avvistamenti di un ragazzo e di un bambino che corrispondono alle descrizioni di Lucius e Michael Doppel, il primo vicino a Ratisbona e il secondo, che risale ad appena due giorni fa, in un qualche villaggio di montagna del Baden-Württemberg. Abbiamo ragione di credere che si stiano nascondendo da qualche parte sulle Alpi sveve. E poi, se lo zio fosse morto, il bambino sarebbe sicuramente uscito allo scoperto per andare a cercare aiuto».

«Quindi credi che questo pluriomicidio di massa sia opera di un individuo?».

«Sì, di uno o più individui» disse L. «E penso che si trovi, o si trovino in Giappone. I crimini di tutti coloro che sono morti erano stati riportati da enti televisive e radiofoniche mondiali (l’incidente dei fratelli Doppel ha fatto il giro del mondo quando si è scoperto che L stava lavorando al caso, sebbene non sia mai trapelata l’informazione dell’eventuale colpevolezza di Lucius Doppel), tranne uno: cinque giorni fa, il primo criminale a morire d’infarto è stato un sequestratore, i cui crimini erano stati documentati unicamente da TBS e TV Tokyo, due emittenti televisive giapponesi. E poi, d’un tratto, sono morti quasi seicento tra i criminali più pericolosi al mondo. Inoltre, c’è un’ultima differenza: la colpa del sequestratore non è minimamente paragonabile alle atrocità compiute dai restanti criminali uccisi. Per concludere, credo che il colpevole (o i colpevoli) sia (o siano) in Giappone e che quell’uomo, la prima vittima, non sia stato altro che una cavia».

«Molto bravo, L» lo lodò Ella. «Hai spiegato il tutto in maniera sintetica ma perfettamente comprensibile. Comunque, da come ne parli pare che tu sia intenzionato a stanare il colpevole molto presto».

L annuì e balzò in piedi, facendo sussultare Ella e cominciando a camminare in giro per la suite. «Qualcuno si sta già mobilitando. Il G8 ha già indetto una seconda riunione annuale, e a breve si riunirà anche l’Interpol. Sarà lì che mi presenterò e prenderò in mano il caso».

«Ah» commentò Ella. «Hai davvero le idee chiare, vedo. E quando ci sarà questa riunione dell’Interpol?».

«Tra più o meno due settimane» disse il detective, fermandosi per qualche secondo a osservare la città al di fuori della finestra.

«Cavolo. Non ti rimane molto tempo per stanare Lucius Doppel, allora. Devi darti da fare» notò Ella.

«Già. Ieri ho contemplato per qualche minuto l’opzione di partire per il Giappone senza aver risolto il caso dei fratelli Doppel e mi è venuto un attacco di panico» disse lui, con estrema naturalezza.

Ella tentò di celare lo stupore. «E l’hai gestito da solo?».

«Sì» fece il ragazzo. «Mi sono seduto a terra con la schiena contro il muro e ho semplicemente aspettato che il panico passasse, cercando di liberare la mente per non alimentarlo. L’unica cosa su cui tentavo di concentrarmi era la frase che mi dicesti quando avevo quindici anni, dopo il mio primo attacco di panico, e cioè che “di panico non è mai morto nessuno”».

«È la verità», sorrise Ella. «Quindi cos’hai intenzione di fare col caso dei fratelli Doppel?».

L si abbandonò sulla poltrona, questa volta senza portare le ginocchia al petto.«Cercherò di risolverlo in queste due settimane, e se non ci riuscirò continuerò a lavorarci anche mentre sarò in Giappone».

Ella arricciò le labbra. «Non pensi che questo t’impedirebbe di concentrarti al meglio sul nuovo caso che ti aspetta in Giappone?».

«Indubbiamente» mormorò L, portando la mano sinistra a grattarsi il capo. «Ma cosa potrei fare, scusa? Non posso di certo lasciarlo irrisolto».

«Ma non lo stai lasciando irrisolto» obiettò la psicologa. «Lo stai semplicemente lasciando nelle mani del Capo Hruška».

«No, no», L scrollò la testa nel modo in cui lo faceva da bambino. «Sono io, che devo rimanere fino alla risoluzione del caso. Che devo risolvere il caso».

«E chi t’impone questo dovere?» domandò allora Ella.

Il ragazzo parve spiazzato per qualche attimo. Teneva lo sguardo sul pavimento. «I-io» mormorò poi.

«E lo fai per qualche motivo in particolare?» domandò Ella. «Cosa ci sarebbe di male nel lasciare questo caso nelle mani del Capo Hruška per andare a occuparti di una grana ben più importante?».

«V-vorrebbe dire che… che non sono infallibile» ammise il giovane, con una punta di vergogna.

Ella alzò le sopracciglia. «Be’, ma essere infallibile è una caratteristica che decisamente non si confa all’essere umano. E tu sei un essere umano, mi sembra di ricordare» sogghignò poi.

«Già, pare che sia così» mormorò L arrossendo appena, e rannicchiandosi nuovamente sulla poltrona con le ginocchia tirate al petto. 

«E se aspettassi di chiudere il caso dei fratelli Doppel prima di partire per il Giappone?» suggerì Ella.

«Oh, no» ribatté subito lui. «Devo stanare quel criminale, o quei criminali, quanto prima».

«E come mai hai tutta questa fretta?» domandò la psicologa.

L liberò un ringhio di frustrazione. «Mettiamo che il killer sia un singolo. Quel tizio, o quella tizia, ha ammazzato Ricarda Doppel. Se lei fosse stata la vera colpevole, lui o lei avrebbe risolto il caso dei fratelli Doppel. Ma era roba mia, il caso dei fratelli Doppel».

«Ah» fece Ella. «Be’, direi che ora mi è tutto più chiaro. A me sembra evidente che tu abbia una scelta da fare, L: o deleghi il caso dei fratelli Doppel al Capo Hruška e cominci a lavorare al nuovo caso in tranquillità, o lavori contemporaneamente a entrambi i casi, rischiando di non dare del tuo meglio e dunque di non progredire granché in nessuna delle due indagini».

L sbuffò, sciogliendo nuovamente la posizione rannicchiata e allungando le gambe sul pavimento. «Hai ragione» si limitò a mormorare.

Il ragazzo rimase con lo sguardo perso a terra per qualche minuto. Poi, si schiarì la voce, e si alzò leggero dalla poltrona. «Vado a comunicare al Capo Hruška che abbandono le indagini sul caso dei fratelli Doppel» mormorò mogio.

Ella alzò lo sguardo su di lui, sorridendo. «Mi sembra un’ottima scelta».

L sospirò, andando verso la porta. «Ti suggerirei di cominciare a preparare le valigie, Ella. A breve partiremo per il Giappone».

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Death Note / Vai alla pagina dell'autore: Non Molto