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Autore: IlakeychanMorgain28    16/09/2009    0 recensioni
Agli occhi del mondo, Albert sembra un uomo come tutti gli altri. Un po' solitario e schivo, forse, ma nulla al di fuori della norma. Eppure, il passato di Bert è quanto di più lontano ci sia dalla normalità, un passato antico che non dovrebbe ricordare, ma da cui non può staccarsi. Eva è una moderna ragazza londinese. Ultima arrivata al museo di Plymouth, è vivace, chiacchierona e pazza quanto basta. L'esatto contrario del silenzioso Bert. Eppure, quando una sera le vite di queste persone tanto diverse si incroceranno, segnerà per loro l'inizio di un'avventura sospesa tra passato, presente e futuro, alla scoperta di loro stessi e l'uno del'altra che cambierà la loro storia per sempre.
Genere: Romantico, Commedia, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Green Knight
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Introduzione al capitolo secondo: Mi chiamo (si fa per dire) Ilakey_chan ed inizio con gioia questa collaborazione con Morgain28, una fanciulla che ho ossessionato con fumettini su un cavaliere verde : D e su altre amenità (il 60% delle quali a sfondo slash). Ma chiudendo i blateramenti, vi lascio al secondo capitolo.

Capitolo 2: Le notti di Albert

Albert era una persona mediamente normale. Ha ventidue anni, un'intelligenza media, un monolocale nel centro di Plymouth e una famiglia relativamente benestante.
Faceva un lavoro che detestava, il contabile per un'azienda di mobili, aveva un colore di capelli che detesta, blu a causa di una vecchia scommessa, e viveva in una città che riteneva esageratamente caotica.
Albert era come una persona normale solo per metà perché l'altra sua metà era completamente immersa in qualcosa che lui davvero conosceva, di prima mano.
Ma erano finiti i tempi in cui, nell'antica Camelot, Albert poteva farsi chiamare Bercilak, il Green Knight, il Cavaliere maledetto e nemico della corte di Artù.
E per quanto questo possa sembrare strano, Albert era felice di essere solo Albert e non avrebbe voluto altro.
(Se non fosse che la notte sognava il loro volto, degli altri- il viso di Morgana, l'odore dell'erba al tramonto dopo una lunga cavalcata sotto il sole, il maestoso palazzo che poi era crollato e che un tempo fu-)
Ma Albert, che sua madre adorava chiamare Bert, non amava rivangare vecchi ricordi.
"Bert?" lo chiamò Lucinda, una delle sue colleghe di lavoro. Un'anziana donna di mezza età che insisteva testardamente nel suicidio ad opera di sigarette e tabacco.
"Scusami, Lucy, mi sono distratto un momento."
"Mi sembri un bel po' distratto in ogni momento," ribatté Lucinda, acidamente. Non amava le persone.
A dir la verità nemmeno Albert amava troppo le persone. Temeva di vedere nei loro volti le fattezze di antichi cavalieri della sua vita precedente.
E allo stesso tempo temeva di vedere solo delle persone anonime che non aveva mai conosciuto e mai avrebbe conosciuto.
Sua madre gli ripeteva che, effettivamente, era un bel indeciso.
"Sono solo stanco, non dormo molto."
"Baldoria tutte le sere," esclamò Mark, il ragazzo che faceva sempre le fotocopie per la signora Lucinda.
"Più o meno," mentì Albert, passandosi una mano tra i capelli blu, un tempo di un castano slavato.
"Qui nessuno viene pagato per dormire, caro mio," sospirò Lucinda, sembrando quasi, per un momentino, affranta, prima di sbattergli sulla scrivania un pesante fascicolo marrone.
Irritato dal comportamento della donna, Albert si appoggiò alla scrivania, sulle braccia incrociate e lasciò ai suoi occhi scuri il compito di fulminare Lucinda con lo sguardo corrucciato.
Mugugnò qualcosa tra le braccia.
"Cosa hai detto?" domandò Mark, incuriosito, sporgendosi verso di lui.
Albert alzò il volto. "Ho detto che comunque il mio turno finisce fra venti minuti."
"Renditi utile almeno in questi venti minuti, allora!" ribatté Lucinda, esasperata dall'inutilità della gioventù moderna, prima di tornarsene nel suo ufficio.
Con soddisfazione, Albert si immaginò di nuovo cavaliere con la testa del suo capo Lucy appesa alla sella del suo cavallo.
Quell'immagine gli riportò subito alla memoria sir Gawain, con la sua ciocca di capelli di donna appesa alla spada, in memoria della fanciulla che per sbaglio aveva ucciso.
"Oh no," sussurrò Bert, appoggiandosi di nuovo alla scrivania e tentando di pensare a qualcosa d'altro.

Tornando al motivo per cui il povero Bert non poteva eseguire i suoi doveri di contabile, bisogna specificare che non era una mera scusa da ufficio.
Albert, soprattutto quando si avvicinava il Natale, aveva dei seri problemi di insonnia che nessuna magica pillola prescritta era riuscita a curargli.
Così Albert aveva trovato il proprio personale metodo di cura, forse un po' placebo, forse un po' melodrammatico.
Nelle notti senza fine in cui ancora cavalcava nella foresta di Camelot, Albert, un tempo Bercilak, usciva di casa, prendeva la sua piccola bicicletta rossa che arrugginiva nel sottoscala da anni e si dirigeva al faro.
Laggiù poteva rimanere seduto anche per delle ore a guardare il mare ed ascoltare il richiamo disperato di quel faro rosso e bianco. Come il richiamo di una creatura solitaria che cerca un compagno.
E Bert si sentiva così, solo in un mondo che non gli apparteneva del tutto.
Lì, al faro, a volte riusciva a dormire, a volte, semplicemente, riusciva a raggiungere la pace.
Ma quella notte del 12 ottobre non fu la pace a raggiungere Bertilak.
Fu una ragazza che, da lontano, stava camminando verso di lui, senza nemmeno notarlo.

  
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