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Autore: Mitsuki91    21/11/2023    1 recensioni
[La ballata dell'usignolo e del serpente + The hunger games]
Raccolta di piccole os concatenate fra loro. Headcanon che si inseriscono nella trama principale senza alterarla.
***
"Eppure Lucy lo sapeva. La fuga era sempre stato il suo sogno, non quello di Coriolanus Snow.
E se lo sarebbe pure potuto far andar bene. Avrebbe potuto fuggire già da sola, sin dal giorno prima, senza rischiare di aspettarlo - poiché Lucy Gray era in grado di vedere nell’animo umano, e aveva visto sin da subito le ombre negli occhi colmi di rabbia di Coryo, e aveva deciso di ignorarle finché non era stato troppo tardi.
Ma.
C’era un ma, un enorme ma che riecheggiava fra gli alberi, ora, oltre la pioggia, nelle ghiandaie imitatrici che mischiavano la sua canzone a spari ormai spenti."
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments, Movieverse, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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NdA: ho deciso di scrivere questa piccola raccolta di OS per mettere ordine a parte degli headcanon che mi son nati nella testa dopo aver visto il film. Ancora non ho letto il libro e vado a memoria, quindi spero di aver fatto le cose per bene, anche se non ci metto la mano sul fuoco.
Divertitevi! 

 

***

 

“You are headed for heaven

The sweet old hereafter

And I’ve got one foot in the door”

 

Lucy Gray si era coperta le orecchie, cercando di attutire il rumore continuo degli spari.

Lì, nascosta in una grotta coperta da spessi viticci di edera, era rimasta seduta per parecchio tempo dopo la fine del rumore, la pioggia che continuava a scrosciare fuori da quel misero riparo di roccia, tremante mentre i vestiti le si asciugavano addosso, abbracciata a se stessa per cercare un po’ di consolazione.

Stretto in un una mano un solo orecchino dorato ricoperto di perle, l’unico che si era salvato, ancora integro - ma pur sempre a metà.

La pioggia la distraeva dai suoi stessi pensieri, che giravano in tondo ormai da ore, lasciandola esausta e febbricitante.

Lo sapeva, l’aveva sempre saputo. Coryo aveva avuto paura di lei, alla fine; del suo giudizio nel momento in cui pensava di non aver più nulla da perdere - e aveva mentito guardandola negli occhi, due dita sotto al mento.

E non era stato per la bugia, davvero. Non solo. Quella l’avrebbe potuta capire. La vergogna di aver mandato a morire il proprio migliore amico era una macchia troppo recente per poter essere estirpata, e c’era una situazione più pressante - una fuga alla cieca, l’ignoto davanti a loro.

Non che Lucy pensasse di lasciargliela passare, ma - non ora.

Era stato il resto. Le armi trovate sotto le assi, lui che aveva impugnato il fucile e l’aveva guardata negli occhi.

Il germe - quel germe di pazzia, quello che aveva già notato in passato, quando Billy aveva avuto la sola colpa di essere un po’ più ubriaco del solito e quindi molesto. Quando Coryo non aveva esitato neppure un secondo prima di sparare quel colpo fatale verso la figlia del sindaco.

Quel germe che le aveva dato un brivido e aveva urlato, dentro di lei.

Corri. Scappa. Fuggi il più lontano possibile.

Si era guardati come preda e cacciatore, in quell’ultimo istante - e gli spari impazziti erano stati la conferma della sua sinistra premonizione, innescati solo da uno scialle e da un serpentello intrappolato al suo interno.

La paura che lei se ne fosse andata, andata via davvero. Via da lui, che per lei aveva rinunciato a tutto.

Ma, come per ogni cosa, Lucy Gray sapeva la verità: Coriolanus Snow non aveva mai avuto il coraggio di scegliere , e cercava solo di ricavare il maggiore interesse personale da situazioni per le quali gli era sfuggito il controllo. Non era mai stato in grado di lasciarla libera - perché se aveva perso ogni cosa per salvarla, soldi prestigio carriera universitaria , allora almeno avrebbe dovuto valerne la pena .

Non amore per amore, ma amore poiché non c’era più nient’altro se non la paura ad attenderlo a Capitol City - e, con il ritrovamento delle armi e la loro distruzione, l’unica paura era rimasta lei. Lucy Gray e il seme del tradimento che rappresentava, che rischiava di sbocciare.

Coriolanus Snow, cieco.

Cieco di fronte all’evidenza che non le avrebbe mai creduto comunque nessuno. Cieco di fronte al fatto che lei, piccola Lucy, non sarebbe mai potuta comunque tornare, poiché l’aspettava solo una corda appesa a un albero in piazza, qualsiasi fosse la testimonianza.

Cieco di fronte al terrore della consapevolezza che una scelta, ora, Coryo ce l’aveva: tornare a reclamare il suo posto nel mondo, a riguadagnarsi la gloria che sentiva di meritare per diritto di nascita, e tradire così il suo stesso cuore, il suo stesso amore.

Eppure Lucy lo sapeva. La fuga era sempre stato il suo sogno, non quello di Coriolanus Snow.

E se lo sarebbe pure potuto far andar bene. Avrebbe potuto fuggire già da sola, sin dal giorno prima, senza rischiare di aspettarlo - poiché Lucy Gray era in grado di vedere nell’animo umano, e aveva visto sin da subito le ombre negli occhi colmi di rabbia di Coryo, e aveva deciso di ignorarle finché non era stato troppo tardi.

Ma.

C’era un ma , un enorme ma che riecheggiava fra gli alberi, ora, oltre la pioggia, nelle ghiandaie imitatrici che mischiavano la sua canzone a spari ormai spenti.

Ma.

Lucy Gray si portò i due pugni chiusi - di cui uno con cui ancora stringeva l’orecchino rimasto solo - sul ventre, mentre le lacrime silenziose le bruciavano gli occhi, scavando solchi fra le guance.

Ma la verità era che non ce l’avrebbe mai fatta da sola, non con il frutto del loro amore che le cresceva ormai nel ventre.

Aveva scommesso che il suo amore sarebbe stato abbastanza. Che il suo sogno avrebbe colmato anche l'orizzonte di Snow, e che la consapevolezza di quel bambino li avrebbe tenuti uniti nelle avversità, da soli ad attraversare il mondo a piedi. Non era stata neppure in grado di dirglielo.

Aveva scommesso.

E aveva perso.

 

***

 

Dopo una notte perlopiù insonne, dopo aver dormito qualche ora solo per via della febbre e della stanchezza, Lucy decise di tornare al capanno sul lago.

Se lui era ancora lì, lei sarebbe morta. Ma andava bene. Perché la realtà era che Lucy Gray era già morta lo stesso.

Quello era un viaggio che non poteva intraprendere da sola.

La capanna, almeno, le avrebbe offerto un misero riparo e qualche scorta dei Covey.

Se lui le avesse lasciate ancora lì, intoccate.

Se lui non fosse rimasto ad aspettarla, in cerca della sua vendetta.

La casetta era vuota. Le scorte di carne, misere strisce sotto sale, erano ancora presenti e intoccate.

Quasi pianse, Lucy, di sollievo e di amarezza, riempiendosi lo stomaco con quel cibo di fortuna e attingendo l’acqua piovana dalla botte che si era riempita il giorno prima - tappando il vuoto nello stomaco per non pensare al cratere che Snow le aveva scavato nel cuore.

I suoi problemi, comunque, erano solo stati posticipati di poco.

Lucy non era ancora fuori pericolo. Forse non lo sarebbe mai stata.

E, per quanto se la sapesse cavare abbastanza da sola, come ogni Covey che sognasse il cielo aperto e infinito del mondo , ciò non le toglieva la realtà dei fatti che non sarebbe stata comunque in grado di farlo man mano i mesi avanzavano, avvicinandola al parto.

Non sarebbe stata in grado di sopravvivere neppure per quel bambino. E, nel malaugurato caso in cui l’avesse fatto, molto probabilmente sarebbero poi morti entrambi, di stenti o per mano delle bestie selvatiche che abitavano i boschi selvaggi attorno al distretto dodici, che diventavano più comuni più ci si allontanava dalla civiltà.

Con un bambino, con un neonato in braccio, non avrebbe mai potuto avanzare da sola.

Non poteva tornare. Non poteva andare avanti.

Aveva bisogno di un aiuto.

Così iniziò a cantare alle ghiandaie, sperando che almeno una di loro portasse il messaggio.

 

***

 

Fu Barb a trovarla.

Circa un mese dopo il suo appello disperato, mentre Lucy si era costruita una sua routine di caccia e raccolta e preparazione per i mesi a venire, rassegnata a strappare al destino ancora un giorno in più.

Ancora un giorno in più.

Poi Lucy l’aveva vista arrivare da lontano, quasi correndo sul sentiero, per arrivare da lei e buttarsi fra le sue braccia.

Avevano parlato, oh, se avevano parlato!

“Lui se ne è andato” le aveva detto Barb - e il sollievo le aveva corrotto il dolore che ancora si portava nel cuore.

“I Pacificatori stanno aumentando le protezioni attorno al distretto. È sempre più difficile uscire. Verrò quando posso”.

Non ti ha tradito.

Questo aveva sentito Lucy Gray, nel rimbombo delle parole di Barb, nei suoi pettegolezzi a cui restava quasi indifferente, persa nelle sue occhiaie viola scavate, che non erano mai state così pronunciate.

Non ti ha tradito. Non ancora. Forse mai.

Forse vuole che tu sia salva, dopotutto, Lucy Gray.

E poi avevano affrontato l’argomento.

Non era stupida, Barb. Non lo era e la conosceva troppo bene - erano famiglia , nessun segreto fra loro.

Non era più una bambina.

“Lo sai che farò tutto il possibile”.

La promessa le era scivolata dalle labbra seguita da uno sguardo duro, in cui brillava il fuoco della determinazione.

Lucy deglutì, ricacciando le lacrime indietro.

“Se anche non dovessi riuscire a venire prima… Verrò. In quell’occasione… Verrò”.

Lucy chiuse gli occhi, poggiando il viso sui palmi aperti delle sue mani, premendo fino a far esplodere un mondo rosso dietro le palpebre abbassate.

“... E lo amerai, come se fosse tuo?” sussurrò.

Il filo del non detto si tese fra loro, vibrando di tutta la sua paura.

Perché era quello il punto. Il coraggio che le avrebbe fatto scegliere la vita - la consapevolezza che lei, Lucy Gray, avrebbe dovuto abbandonare il suo bambino. Il frutto dell’amore che l’aveva prima salvata e poi dannata.

Il figlio di Coriolanus Snow, che gli altri Covey avevano dovuto accogliere mascherando il disprezzo e lui che li aveva, alla fine, tutti abbandonati, confermando la pessima impressione, cementando il sentimento di tradimento che vibrava nei loro cuori.

“Chiamami, canta alle ghiandaie” rispose Barb, sempre in un sussurro “E ti prometto che vivrà, Lucy. Vivrà… Se il destino non si abbatterà su di lui ad ogni Mietitura”.

Era il massimo che poteva chiedere.

Lucy deglutì di nuovo e tornò a guardare la cugina, la sorella - famiglia - con una nuova luce di determinazione negli occhi, ricacciando le lacrime indietro.

Fino al giorno in cui si sarebbe permessa di piangere, da sola, lontana, spezzata, anche se esternamente intatta, viva.

Come la metà di un paio di orecchini, un gioiello perfetto ma pur sempre incompleto.

 

***

 

Barb riuscì a tornare solo due altre volte. La prima volta Lucy la vide togliersi della stoffa arrotolata dal vestito e, per istinto, si toccò il suo stesso ventre, dove una piccola sporgenza stava facendo capolino.

“Sarà più facile spiegarlo, così” le disse Barb, seria come non mai “Non posso presentarmi con un neonato che appare dal nulla”.

Lucy annuí, osservando i pochi beni che Barb le aveva procurato - qualche cibo di lunga durata, legumi in scatola, e della stoffa con ago e filo, con cui confezionarsi nuovi abiti quando l’unico che si portava addosso le sarebbe stato stretto - e le due ragazze passarono il pomeriggio accoccolate l’una all’altra, in silenzio dopo i pochi aggiornamenti di Barb.

Era come se dovessero dirsi tutto, ma niente era realmente importante.

Si salutarono poco prima del tramonto, con un frettoloso bacio sulla guancia, mille promesse chiuse dietro gli occhi scuri.

E poi, la seconda volta, quando ormai Lucy era diventata così grossa da avere problemi con i movimenti anche più semplici. Anche questa volta Barb le portò dei cibo - la sua salvezza, la sua condanna - e coperte, tante coperte. Erbe medicinali e pochi altri oggetti.

Lucy contava i giorni intagliando un segno sulla corteccia di uno degli alberi in riva al lago, e chiudeva gli occhi sognando la neve, che bianca e implacabile seppelliva ogni cosa.

Portando la morte nel mondo così come aveva fatto nel suo cuore.

 

***

 

E poi rimasero urla, dolore; una pena infinita.

Mesi di struggimento annullati in un secondo; lei, Lucy Gray, sola in una capanna in riva al lago ad urlare. Acqua bollita, coperte disfatte. Tutto quello che, da sola, era stata in grado di avere per aiutarsi nel terribile compito di dover mettere al mondo suo figlio.

E le ghiandaie urlavano, echeggiando il suo dolore.

Nacque in un pomeriggio insolitamente freddo, il suo bambino. Anzi. La sua bambina.

La sua bambina.

Perfetta, nel viso rosso di pianto, negli occhi chiari e in quella nuvola di capelli biondi ora sporchi di sangue.

Così poco di lei. Così tanto di lui.

E non glielo rese affatto più facile.

Lucy pianse, urlò e spinse, continuando nell’orrore del parto, espellendo la placenta mentre la neonata si attaccava al suo seno, succhiando avida la vita .

E Barb la trovò in piena notte, con gli occhi ricolmi di lacrime ad ammirare la perfezione della sua bambina che di lì a poco avrebbe abbandonato.

La vide, Lucy Gray, la linea di disapprovazione che Barb aveva cucito sulle labbra. La vide, la vide guardare sua figlia e giudicarla manchevole; così poco Covey, così troppo Snow.

Eppure non aveva alternative.

“Si chiama Katniss” le disse, toccando per l’ultima volta il viso di sua figlia, saggiando le consistenza dei suoi capelli di neve sotto le dita “Ti prego, lasciale il nome che le ho scelto”.

Un ricordo felice, una vita prima. Una gita al lago e Maude che le porge una radice ancora acerba.

“Katniss”, una parola che sa di sorriso, un sorriso placido in ritorno.

Lui non li capiva, vero, loro strani Covey, vagabondi rinchiusi. Eppure era lì.

Coryo era lì per lei, e lei soltanto.

Lontano dalla civiltà, lontano dal Distretto Dodici e da Capitol City, avrebbero potuto essere diversi. Un futuro che lui aveva cancellato con le sue stesse mani, sepolto sotto l’orgoglio di un cittadino arrabbiato con il mondo per aver perso tutto, in una guerra che non aveva mai chiesto.

Da cui si sarebbe sempre tenuto alla larga, pagando ogni prezzo, ora Lucy questo lo sapeva.

Barb allungò le mani, prendendo la sua bambina senza nessun commento - strappandola via dal suo petto, gentile ma ferma, ricordandole ancora una volta che, anche lei, in questo caso una scelta non l’aveva.

Non l’avrebbe mai avuta.

“Ti auguro ogni bene, Lucy Gray” la salutò Barb, sorridendo per un istante, in un lampo che le illuminò il viso di tristezza.

Lucy la vide uscire dalla capanna in riva al lago, senza più le forze neppure per alzarsi e guardarla sparire in lontananza nella notte.

E forse era meglio in questo modo.

Esausta, piangendo ogni sua lacrima - portando il lutto per ciò che aveva perso - Lucy si addormentò sul pavimento, circondata da sangue e coperte sfatte, pregna dell’odore di latte che sarebbe sparito presto dalla sua pelle.

Domani sarebbe stato un giorno nuovo.

Lucy sarebbe sopravvissuta - come sempre, un passo alla volta - e, il prima possibile, si sarebbe rimessa in viaggio.

Non aveva ormai più alcun motivo per rimanere. Nessuna possibilità di tornare; aveva rinunciato persino alla sua stessa figlia, a carne della sua carne, sangue del suo sangue.

Al frutto di quell’amore che l’aveva prima salvata e poi condannata.

E l’unica strada di fronte a sé, ormai, era quella dell’ignoto, che si apriva sotto i cieli senza confini che i Covey tanto avevano amato.

 

“But before I can fly up

I’ve loose ends to tie up

Right here in the old therebefore”

 

   
 
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