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Autore: Flying_lotus95    24/11/2023    1 recensioni
Torino, 1944.
L'omicidio di un ufficiale tedesco, un uomo in fuga, una donna che cercherà di proteggerlo. Amore e odio, segreti e bugie, guerra e pace, sia dentro che fuori.
[𝘘𝘶𝘦𝘴𝘵𝘢 𝘴𝘵𝘰𝘳𝘪𝘢 𝘱𝘢𝘳𝘵𝘦𝘤𝘪𝘱𝘢 𝘢𝘭 𝘞𝘳𝘪𝘵𝘰𝘣𝘦𝘳 2023 𝘥𝘪 𝘍𝘢𝘯𝘸𝘳𝘪𝘵𝘦𝘳.𝘪𝘵]
Genere: Drammatico, Guerra, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Prompt: Quadro
 

Capitolo 6
Nella cornice del (quadro)

 

Il capitano Schlütz e i suoi uomini avevano fatto irruzione al campo dei partigiani, iniziando a sparare in aria con i loro fucili, come avvertimento della loro imminente presenza. 
Fu lo stesso Alfredo ad accoglierli, con una freddezza tale che quando si ritrovò il capitano tedesco davanti, quest'ultimo non fece in tempo a nascondere una leggera sorpresa in volto.
«Siete venuti per arrestarci tutti, capitano?» lo sfidò Alfredo, fissandolo sarcastico. Non aveva impugnato nessun'arma, eppure il timore che il partigiano seppe incutere nel tedesco fu piuttosto eloquente.
Tuttavia, Schlütz sogghignò, cercando di non farsi cogliere impreparato.
«Siete in troppi e le nostre celle pullulano di traditori come voi» dichiarò il capitano delle SS, le mani guantate strette dietro la schiena.
«Sono venuto a proporvi un patto» iniziò poi, iniziando a girare intorno alla figura di Alfredo, ben inchiodato al suolo.
«Consegnatemi il giovane Brünner e non vi sarà torto un capello. Sarà come se questo incontro non fosse mai avvenuto» propose placido il tedesco, era di nuovo davanti al partigiano, sfidandolo con i suoi occhi affilati e minacciosi.
Alfredo resse quello sguardo con un leggero sorrisetto malizioso sulle labbra.
«Mi spiace deluderla, capitano, ma tra le mie fila non accetto i vostri mangiapatate slavati!» rispose, guadagnandosi le risate d'incoraggiamento dei suoi uomini, pronti a sparare se fosse stato necessario.
«State cercando nel posto sbagliato».
A Schlütz quell'ultima frase non andò proprio a genio.
«Il nostro superiore è stato ucciso brutalmente. Devo avere la testa di Brünner servita su di un piatto d'argento. O preferisci che prenda uno a caso dei tuoi uomini e lo giustizi in pubblica piazza, come monito alla città per aver disobbedito ad un ordine?».
Alfredo lo fronteggiò spavaldo, imitando la sua stessa posizione, braccia incrociate dietro la schiena e gambe leggermente divaricate. 
«È finita l'era delle vostre prepotenze. Il vostro potere si sta affievolendo sempre di più. Gli Alleati stanno arrivando, e ben presto vi cacceranno a calci in culo dalla nostra terra!». Schlütz perse per pochi secondi la baldanza che lo aveva accompagnato fino ai piedi di quella montagna, dove il gruppo partigiano di Alfredo si era rifugiato. 
Tuttavia, il suo contegno di soldato gli impedì di lasciarsi sopraffare dal panico. Le voci dell'arrivo degli Americani si stavano facendo sempre più insistenti, e dalla Germania le notizie non erano chissà quanto rassicuranti. 
«Non farmelo richiedere con le cattive, Alfredo Chiodi» esclamò il capitano tedesco, avvicinandosi pericolosamente al partigiano «consegnami quel soldato, o dei tuoi uomini non rimarrà in piedi neanche la loro casa» minacciò, fronteggiandolo con crudeltà.
«I miei soldati sono un po' nervosi ultimamente, magari le loro mogli, figlie o sorelle sapranno come calmarli».
Alfredo strinse convulsamente le mani dietro la schiena, soffocando a stento il desiderio di spaccare il naso a quel verme e ai suoi sottoposti nell'udire quella non proprio velata minaccia.
Di consegnargli o meno Maxime, in verità gliene importava poco o nulla. Aveva saputo sin dall'inizio che quel moccioso gli avrebbe arrecato solo guai. 
Ma sapeva perfettamente che Ismaele non lo avrebbe mai permesso, e di andare contro la sua autorità era fuori discussione.
Sapeva inoltre che chiunque in città avrebbe protetto quel ragazzo volentieri, nonostante fosse uno straniero, per giunta invischiato tra le fila nemiche. 
«Suvvia, Schlütz, non c'è bisogno di spingersi a tanto» le iridi verde oliva del partigiano non lasciarono trapelare alcuna emozione, parve addirittura divertito da quello scambio di battute.
«Davvero pensa che se quel Brünner si fosse anche solo azzardato ad avvicinarsi, lo avremmo accolto a braccia aperte?» e indicò col capo uno dei suoi, che stava impugnando un fucile contro di loro. «Da un anno a questa parte è questa l'accoglienza che vi dedichiamo, e non facciamo eccezione per nessuno».
Schlütz sollevò un sopracciglio, guardandosi intorno, il buio della notte ormai aveva coperto qualsiasi cosa col suo manto bluastro.
«Setacciate ogni cespuglio, il bosco, il fiume… trovate quel traditore ad ogni costo!» urlò improvvisamente in tedesco il capitano, spingendo i suoi uomini ad avanzare, appropriandosi di un permesso che né Alfredo e né gli altri presenti gli avevano concesso. 
Con la coda dell'occhio, Alfredo vide due soldati giungere quasi in prossimità del capanno. Il cuore gli saltò in petto per l'apprensione. 
«Fossi in te, pregherei che non trovino nessuno. Altrimenti non ci sarà santo a cui potrete rivolgervi».
L'ennesima minaccia di Schlütz giunse ai timpani di Alfredo come un anatema.
Dopodiché lo vide dirigersi verso il capanno, con passo sicuro. Dopo qualche minuto di immobilità, anche lui prese a seguirlo, cercando di nascondere la preoccupazione mantenendo il volto basso e schiarendosi più volte la gola con qualche colpo di tosse randomico.
 
Quando Schlütz giunse all'interno del capanno, vi trovò soltanto Ismaele Chiodi, il padrone del casale e del vigneto lì vicino.
Si guardò intorno circospetto, come a volersi accertare che non vi fosse qualcun altro pronto a sbucare fuori per aggredire lui e i suoi uomini.
«Capitano Schlütz» dichiarò l'ovvio Ismaele, sistemandosi il cappello sulla testa con fare lento e ponderato. Non sembrava preoccupato, né ansioso.
«Spero che l'accoglienza di mio fratello non sia stata troppo sfacciata» lo provocò lui bonario, con la sicurezza tipica di avere tutto sotto controllo. Quell'atteggiamento infastidì maggiormente il capitano delle SS.
«È da solo?». Non finì neanche di dirlo, che con un semplice gesto delle dita, ordinò ai suoi uomini di mettere a soqquadro l'abitacolo. Ismaele li lasciò fare, la cosa parve non recargli fastidio.
«Le sembro in compagnia di qualcuno?» dichiarò sarcastico, girandosi con espressione ovvia. Irritare quell'uomo lo divertiva più del dovuto. 
«Dov'è Brünner?» chiese Schlütz tra i denti, proprio nell'istante esatto in cui Alfredo e Dante raggiunsero la porta del capanno. Il capitano dava loro le spalle, lasciandoli liberi di esprimere il proprio terrore muto agli occhi di Ismaele, che lo tenevano proprio di faccia.
«Non ne ho idea» si limitò a commentare Ismaele, guardando con distacco l'operato dei soldati. Ribaltarono il materasso e i pochi mobili presenti, senza mostrare rispetto o cura.
Ismaele non seppe spiegarsi se lo stessero facendo per sfregio o perché costretti ad eseguire gli ordini. La ferocia dei loro gesti tradiva una certa disperazione mista a prepotenza.
Il capitano tedesco continuò a guardarsi intorno, passando in rassegna qualsiasi dettaglio che avrebbe potuto aprirgli una pista, che lo avrebbe condotto a quella recluta assassina.
Improvvisamente, dall'uscita secondaria del capanno, un soldato entrò a perdifiato, reggendo il fucile tra le mani, tremando vistosamente.
«Was ist passiert, Gustaf?» esclamò Schlütz, sorpreso nel vederselo spuntare davanti così all'improvviso.
«Ich hab' ihn gesehen!».
L'ho visto.
Alfredo tremò nel comprendere al volo cosa quel soldato avesse appena rivelato. Ismaele invece rimase impassibile, e non perché non avesse capito quella frase.
«Stava andando verso il bosco, signore!» dichiarò Gustaf, cercando di riprendere fiato dalla corsa fatta.
La reazione stizzita del capitano immobilizzò ancor di più i presenti sul posto.
«E perché sei tornato indietro per dirmelo, idiota?!» sbottò, avanzando due passi verso il povero malcapitato. Gustaf deglutì, e il suo sguardo incrociò brevemente quello fiero di Ismaele.
«Ho- ho fatto più in fretta che ho potuto… per richiamare gli uomini… da solo lo avrei comunque seminato!» balbettò il soldato, intimorito dinnanzi alla furia cieca dipinta sul volto del suo superiore.
Quando lo vide voltarsi in direzione di Alfredo e Dante, si sentì in dovere di aggiungere dell'altro.
«Non veniva da qui, signore. Probabilmente si sarà nascosto tra le montagne da giorni, anche da loro» specificò, sperando che la voce non gli tremasse troppo.
«Sì trovava dall'altra parte del fiume».
Il silenzio regnò per qualche minuto nel capanno. Schlütz fu il primo a ravvedersi.
«Avete sentito? Muovetevi a stargli dietro! Non c'è un minuto da perdere!» ordinò poi, richiamando i soldati rimasti ad ispezionare.
«Ma signore, è notte, come facciamo a…» provò a ribattere uno dei soldati, che si guadagnò immediatamente l'occhiata glaciale di Schlütz.
«Attaccatevi al culo di quel bastardo e portatelo in caserma! Ricordate che siete soldati! Eseguite ordini, non frignate come donnicciole!» gridò il tedesco, così forte da far saltare i timpani a tutti i presenti.
«Jawohl!» dissero infine all'unisono i soldati, e uscirono da dove Gustaf era appena entrato. Quest'ultimo li seguì non appena scambiò un fugace sguardo d'intesa con Ismaele. Aveva assistito alla scena con un'impassibilità invidiabile. 
«Vi è andata bene stavolta» sibilò Schlütz, con un ghigno malefico in viso.
«Ma non pensate che finirà così» minacciò poi, prima di seguire i suoi uomini fuori e richiamando a gran voce coloro che erano rimasti nelle camionette.
Una volta che i tedeschi lasciarono l'accampamento, Ismaele tirò un sospiro di sollievo, sedendosi sulla branda priva di materasso.
Alfredo gli si avvicinò sorpreso, a pugni chiusi.
«Cosa cazzo è successo qui, me lo spieghi?» chiese Alfredo, Dante gli stava dietro di un paio di passi, sorpreso e interdetto quanto lui.
Ismaele lo fissò truce, serio in volto. Strinse il cappello nella mano destra, sospirando.
«Quel ragazzo deve andare via da qui, il più in fretta possibile».
 
°°°
 

«Via libera!» sussurrò Romeo, con tanto di gesto energico della mano.
Agnese e Maxime erano poco più indietro di lui. Da quando erano usciti insieme da quel capanno, Maxime non aveva lasciato la mano di Agnese neanche per un secondo. Non la stringeva troppo, si era sentito tranquillo con lei, nonostante la fuga rocambolesca che avevano dovuto intraprendere una volta preso il sentiero oltre il fiume.
Per fortuna al casale non era arrivato nessuno. Agnese e Romeo si erano accertati che, andando per il vigneto, non vi fossero camionette parcheggiate o soldati appostati. La situazione al ritorno non risultò variata.
Corsero così tutti e tre tra i tralci del vigneto, se non fosse stato di notte e con la paura addosso di poter essere scoperti da un momento all'altro, avrebbero potuto dare benissimo l'impressione di essere tre ragazzini intenti a rincorrersi tra loro con aria spensierata.
Raggiunsero il cortile cercando di non svegliare nessuno. Romeo fece da apripista, guidandoli sotto al porticato.
«Cazzo! Ce la siamo vista proprio brutta ragazzi!» sospirò Romeo, appoggiandosi sulle ginocchia e lasciando che il fucile gli scivolasse lasco sulle spalle. 
Agnese si portò una mano sul petto, cercando di riprendere fiato. Maxime si era appoggiato al muro, non lasciando la mano di Agnese neanche in quell'istante. Socchiuse solo gli occhi, cercando di ritrovare la calma. 
«Spero che zio Ismaele ed Alfredo se la siano cavata con Schlütz» si augurò la ragazza, mentre cercò di dare qualche colpetto gentile al petto del tedesco, come a ridestarlo da un sonno profondo.
«Sei stato bravo» si lasciò scappare, non guardandolo però negli occhi. Glielo avrebbe baciato quel petto, come a volergli calmare il cuore che gli batteva troppo forte al suo interno, ma si trattenne dal farlo. Maxime accennò un sorriso, in un'altra circostanza le avrebbe rubato un bacio, ma sentiva di non averne più il diritto, che non avrebbe mai più potuto fare qualcosa di così ingenuo con nessuno al mondo. Perché anche le sue labbra ormai avevano preso il sapore del sangue.
Un rumore di passi li fece scattare tutti sull'attenti. Agnese massaggiò velocemente il petto di Maxime, una scusa e una richiesta silenziosa, quella di lasciarle la mano. Il tedesco obbedì senza protestare.
La vide impugnare nuovamente il fucile, allontanandosi di qualche passo da lui e Romeo.
«Agnese, che fai? Vieni qui!» mormorò quest'ultimo, sbiancato in volto. Vide la ragazza avanzare verso il buio ed ebbe l'impulso violento di afferrarla per la vita e non farle compiere un altro passo verso morte certa. 
Lo avrebbe fatto se improvvisamente, davanti a loro, non fosse apparsa Blanca Chiodi, che per la sorpresa di trovarsi un fucile puntato contro, si portò le mani sul viso, soffocando un grido di spavento.
«Zia!» esclamò Agnese, abbassando il fucile. 
«Ma… benedetta figliola! Volevi farmi prendere un infarto?!» sbottò piano Blanca, portandosi una mano sul petto abbondante. 
Agnese le dedicò un sacco di scuse, rassicurandola che non le avrebbe fatto alcun male.
Nel mentre, dietro di lei, Blanca scorse il volto familiare di Maxime, e si avvicinò al ragazzo con aria preoccupata, affranta.
Gli prese il viso tra le mani, esaminandolo nel caso vi fosse stato qualche graffio da curare e disinfettare.
Maxime le avrebbe voluto dire di non toccarlo, che era sporco, e l'ultima cosa che avrebbe voluto in quel momento era di insozzare le mani gentili di quella povera donna con il suo lerciume e le sue colpe, ma a Blanca questo parve non importare.
«Ma povero ragazzo… tu stai tremando… che ti è successo, Maxime? Non avrai mica la febbre? Devi mantenerti in salute, qui le medicine scarseggiano…».
Blanca lo riempì di così tante premure, che Maxime per poco non si sentì male davanti a lei. 
Gli girava la testa e avrebbe voluto piangere abbracciato a lei, come un bambino che voleva lasciarsi coccolare dalla propria madre. 
«Venite con me, tutti e tre!» decise infine la donna, cingendo con un braccio le spalle del giovane tedesco. Era leggermente più alto di lei, ma non fu un problema camminare leggermente piegato. Il tragitto da fare non era poi tanto lungo.
Agnese e Romeo li seguirono in silenzio. Lei non tolse di dosso neanche per un momento lo sguardo dalle spalle piegate di Maxime. Allungò una mano, toccandogli lievemente la schiena. Non ricevette nessuna reazione dall'altro. Lo fece di nuovo, stavolta trovando il coraggio necessario per dargli una carezza come si deve. Osò alzare lo sguardo verso il suo viso, ma Maxime fissava il suolo con occhi spenti, stanchi. 
Agnese abbassò anche il suo, continuando ad accarezzarlo con dolcezza.
 
Blanca li condusse in cantina, attraverso un lungo corridoio pieno di botti enormi contenenti vino sia novello che datato.
Dietro una delle più grandi, si nascondeva una porticina minuscola, che aprì con l'ausilio di una chiave, tirata fuori dalla tasca del grembiule.
«Entrate, forza!» l'incoraggiò, chiudendosi la porta alle spalle una volta che il gruppo la varcò.
Era una stanzetta spoglia, usata come deposito, vi erano dei sacchi e delle cassette di legno che venivano usate per la raccolta dell'uva. Un piccolo divanetto era coperto da un lenzuolo bianco, a cui Blanca diede una veloce ravvivata con le mani.
«Vieni, Maxime, vieni!» lo chiamò la donna, invitandolo a sedersi. Agnese lo seguì come una madre preoccupata che il proprio figlioletto, incerto sulle gambe, potesse rovesciare col sedere a terra.
«Gli devo preparare qualcosa! Ha gli occhi scavati! Ma Alfredo non gli faceva mangiare niente?» chiese Blanca alla volta di Romeo, che rispose con una scrollata di spalle. 
«Ci ho provato…» si difese debolmente il ragazzo, ma Agnese gli carezzò il braccio con premura, voleva che non si prendesse troppa responsabilità in questa storia.
«Dev'esserci ancora un po' di zuppa di verdure e brodo di pollo su in cucina… l'avevo messa da parte per Ismaele, ma questo povero figliolo ne ha più bisogno» commentò Blanca, facendo per dirigersi verso la porta.
«Romeo, vieni con me!» disse poi, dando un leggero colpetto alla spalla del giovane italiano.
Agnese guardò sua zia uscire dalla stanza con Romeo al seguito, ed improvvisamente si sentì persa, esposta a qualsiasi tipo di pericolo. Le girò la testa.
«Agnese, sitz hier!» mormorò Maxime, vedendola di colpo sbiancata. Le riprese la mano dolcemente e la invitò a sedersi lì, accanto a lui. La ragazza inspirò lentamente dal naso, voleva recuperare lucidità il più in fretta possibile.
«Geht's gut» biascicò Agnese, coprendo con l'altra mano le loro mani strette tra loro. Era un contatto che non si verificava da diverso tempo.
«Troppe emozioni mi stanno facendo perdere il controllo» spiegò, tirando le labbra in un sorriso stanco. Maxime rimase semplicemente a fissarla, negli occhi vi era sorto un improvviso raggio di luce.
«Immagino che sia anche un po' per colpa mia…».
La voce del soldato era rauca, incerta. L'accento tedesco faceva facilmente capolino nella frase pronunciata in italiano.
Agnese abbassò il capo, trattenendo a stento un sorriso.
«Soprattutto per colpa tua» rincarò la dose, senza risultare eccessivamente arrabbiata. Anche se avrebbe avuto tutte le ragioni per esserlo.
Maxime si morse un labbro prima di risponderle.
«Es tut mir leid, Agnese. Mi dispiace, io non-»
«Sei stanco. Siamo tutti stanchi» lo interruppe Agnese, con voce spezzata. 
«Cerca di riposare adesso» gli disse poi, alzandosi dal divano, faticando a sciogliere le proprie mani da quelle del ragazzo. Non voleva davvero lasciarlo solo, ma aveva bisogno di avere un momento per sé stessa. La corsa all'accampamento, il loro incontro dopo l'omicidio di Gabriel, la fuga dagli uomini di Schlütz… era stato tutto troppo veloce, tutto troppo in fretta. E si era sentita sopraffatta da tutta quella situazione. 
«No andare via». Maxime raccolse tutto quel poco coraggio che gli era rimasto, non appena Agnese raggiunse la porta dello stanzino, decisa a varcarla. 
«Devo dire tante cose… du musst mir hören, bitte» la pregò il ragazzo, alzandosi di scatto dalla poltrona. Aveva il fiatone e guardava Agnese supplicante. 
Lei ricambiò, affranta e stanca, tanto stanca. Nonostante tutto, quel ragazzo le faceva tenerezza, e non riusciva ad essere forte e dura come avrebbe voluto e dovuto. 
Sapeva perfettamente che Maxime non era neanche lontanamente simile a Gabriel, né nell'aspetto né nei modi, ma mostrarsi accondiscendente verso un altro uomo le avrebbe fatto ribollire il sangue, la faceva sentire irrequieta. 
«Morgen» disse lei, con un filo di voce.
«Domani ne parliamo con calma».
Uscì piano, richiudendosi la porta dietro le spalle, per poi lasciarsi scivolare a terra, stringendosi le ginocchia al petto. Più lontano di così da Maxime non sarebbe riuscita ad andare. Senza sapere che dall'altro lato, il giovane tedesco aveva fatto esattamente la stessa cosa, appoggiandosi con la schiena verso la porta e portandosi le ginocchia al petto, nascondendo il volto tra le braccia, esausto.
 
Se qualcuno li avesse visti, li avrebbe ritratti a loro insaputa, dando vita ad un quadro che con la sola forza della rappresentazione avrebbe potuto dire molto più di un misero testo scritto, abbellito con parole e frasi d'effetto che mai sarebbero arrivate davvero a descrivere cosa esattamente si celasse dietro quei colori, dietro quella postura, dietro quel silenzio. 
Un quadro chiuso nella cornice del tempo.
 

▪︎♡▪︎
 

«Mi sono visto spuntare Agnese e Romeo dal nulla» raccontò Ismaele a Blanca, una volta rientrato a casa. La moglie gli aveva riferito che Maxime si nascondeva in casa loro. 
«Era arrivato anche Gustaf, per fortuna è stato al gioco» continuò l'uomo, trangugiando un bicchiere d'acqua tutto d'un fiato. 
«Presto arriveranno a controllare anche qui. Non può restare a lungo» dichiarò mesto, posando il bicchiere sul tavolo, rigirandoselo tra le dita.
«Io non lo faccio andare di nuovo da tuo fratello se non torna a mangiare come si deve!» esclamò Blanca, sciacquando le ultime vettovaglie nel lavabo. Ismaele le rivolse un'occhiata storta.
«Come speri di convincerlo a nutrirsi se non vuole?» chiese l'uomo, piuttosto seccato. 
Blanca lo fissò dura, portandosi le mani bagnate all'altezza dei fianchi.
«Qui c'è Agnese. Si sentirà al sicuro con lei vicino» dichiarò placida, tornando alle sue faccende come se nulla fosse. Ismaele stralunò gli occhi, sospirando.
«Quando avrà recuperato le forze poi potrà andare dove vuole… Ma in quelle condizioni non lo mando da nessuna parte!».
Ismaele sapeva che sua moglie sapeva essere molto testarda e caparbia quando voleva, peggio di lui a volte.
«Tu lo sapevi?» chiese poi, lasciando ogni dubbio al caso. 
Blanca si fermò, fissando il marito interdetta.
«Sapevo cosa?» chiese, sedendosi al tavolo, di fianco al marito.
«Di Agnese e von Kusserl».
Blanca aggrottò maggiormente la fronte, continuando a non cogliere a cosa il marito stesse alludendo. 
«Non ti seguo» replicò infatti.
Ismaele inspirò profondamente.
«Non dirmi che ero l'unico a non sapere niente di ciò che accadeva in casa mia, Blanca!».
Ismaele non alzò la voce, ma Blanca sussultò ugualmente, incrociando le dita sul tavolo, in evidente difficoltà.
«Tua nipote è una brava ragazza» rispose poi la donna, mantenendosi ferma nella propria convinzione.
Ismaele la fissò accigliato.
«Non lo metto in dubbio» dichiarò con durezza.
«Romeo ha nominato un figlio…»
«Romeo non sa quello che dice!»
«Blanca!».
La moglie lo fissò stranita. Poche volte in vita sua Ismaele si era permesso di alzare la voce, battendo per giunta la mano sul tavolo a quel modo.
Tuttavia cercò di restare calma, di non lasciarsi trasportare dalla rabbia del marito.
«Ne so quanto te, Ismaele!» mentì Blanca, alzandosi dal tavolo e dando le spalle al marito. Quest'ultimo la vide portarsi una mano sulla bocca, preoccupata.
Decise che per quella sera sarebbe anche potuto bastare… erano accadute troppe cose tutte insieme, litigare anche fra loro non sarebbe stato l'ideale.
«Va bene, lasciamo stare» dichiarò infatti, alzandosi anche lui di rimando dal tavolo.
«Domani andrò da Giovanni e gli chiederò di sbrigarsi con i documenti… se Schlütz arriva a noi, siamo perduti».
Detto ciò, superò la moglie, andando dritto verso le scale. Blanca rimase a sospirare in cucina, rattristata.
Non aveva mai davvero sospettato che tra Agnese e Gabriel sarebbe potuto esserci qualcosa, ma quando Agnese, a causa di un malore, non era più riuscita a nasconderle la verità, la sua prima reazione era stata di sdegno e rabbia. Aveva accusato la nipote di essere stata una donnaccia, pentendosene subito dopo. Erano state parole dettate dalla paura e dalla rabbia, Blanca aveva immaginato Ismaele afferrare la nipote per i capelli e costringerla a farsi dire cosa fosse accaduto. Il suo istinto materno aveva ugualmente prevalso, e aveva promesso ad Agnese che avrebbe taciuto a riguardo, cominciando però a nutrire del forte risentimento nei confronti del tenente von Kusserl. 
Blanca non aveva mai nascosto nulla ad Ismaele, ma in quel frangente si era sentita costretta a tacere, a nascondere tutto, anche ad Anna, verso cui Agnese si era tanto raccomandata.
Non riusciva a capire per quale motivo Agnese si ostinasse a tenere la sorella minore all'oscuro di tutta quella vicenda, ma da un lato aveva compreso che era il solo modo che Agnese aveva per proteggerla da un mondo che aveva perso umanità e ragione. 
Blanca giunse le mani e invocò una preghiera rivolta alla Vergine.
Pregò per suo marito, per suo cognato, per le sue nipoti, per Maxime, e per sé stessa.
Sperò che tutta quell'indulgenza, prima o poi, non le si sarebbe ritorta contro.
   
 
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