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Autore: Mary_C06    25/11/2023    1 recensioni
INTRODUZIONE
~I'll be watching you~
Quando trovi la tua anima gemella, senti dentro di te una sensazione di pace e di serenità talmente intensa,da avere la sensazione di essere arrivati finalmente a casa. Ti sembra di conoscere quella persona da sempre e ti rendi conto che prima di lei non esisteva niente, solo l'attesa di trovarla. Io incontrai colui che colmò le mie sofferenze in sorrisi grazie alla sua promessa -ti dono il mio per sempre-
Genere: Romantico, Sentimentale, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Daichi Ozora, Hikaru Matsuyama/Philip Callaghan, Taro Misaki/Tom, Tsubasa Ozora/Holly
Note: AU, Missing Moments, Soulmate!AU | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
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       ~Couldn't drame away~

                              Tokyo 

                       20/feb./1985

 

Tra le pareti usurate, la lieve nebbia, la brina sui vetri di una macchina, sfrecciante e lucida.

Iniziò tutto.

Questa è la storia, la mia storia.

Chi son io?

Ho tanti nomi e tante facce.

L’uomo mi ricorda e mi teme.

Viaggiare e volare.

Sognare.

In occhi neri e intrisi nel mistero, io narratore del mio veleno mostrerò la chiave del mio mondo.

Talento. 

Perfezione.

Queste son le parole che mi vengono sempre dette e denominate.

Le odio.

Questo verbo nella mia vita si leverà nell’aria e nei pensieri divenendo uno dei miei pregi.

Ma poi, si parla mai del vero talento?

Quella capacità unica e rara, risiedente in pochi e coltivata da molti.

La mia passione, scritta a caratteri come talento e’ la corsa, il calcio.

Sin dalla tenera età amavo correre, sfrecciare per le strade, bruciare i piedi sull’asfalto cocente e nero. I polmoni bruciavano evaporando l’ aria, e mi inebriavo dell’energia che emanavano. 

All’età di quattro anni per il mio compleanno, il nonno mi regalò un pallone, e seppur fosse un regalo strano divenne presto il mio migliore amico dalle tante avventure.

Anche se la mia infanzia non è mai stata felice erano solo ragnatele e polvere di un mondo già rotto e vecchio dal principio.

Nella mia concezione da bambino non mi sembrava così, Il mio mondo era bello e pieno di prerogative e obbiettivi, tra questi il pallone.

Correvo per campi e città, tra vie e strade, tra lampioni e parchi, ero veloce e scaltro. 

Il mio sorriso era una figura nota, un personaggio, una persona che viveva una vita propria. 

Sorridere era dimenticare per me.

Perché parlo così malinconicamente?

Sappiate che, chi vi sta aprendo il suo piccolo mondo di desideri, e’ un fantasma vagante per le strade, ogni mio pezzo di puzzle se vorrò sarà cantato, ma finché non avrò la voce quel che mostrerò saranno le prove della musica distrutta.

Forse il nome lo posso confidare.

Mi chiamo Oliver Hutton, ho tredici anni, una famiglia all’apparenza fantastica. Vado bene nella mia scuola privata e non sono una persona normale come tutti dicono e sostengono.

La mia famiglia è una delle più importanti nell’isola giapponese.

Siamo quattro membri, io, mio fratello, mia madre e mio padre.

Apparteniamo a  una delle più importanti a Tokyo e in metà Occidente a causa del lavoro di “mio padre”, ed è considerata come sto narrando la famiglia felice. 

Mia madre fa di professione l’avvocato e all’apparenza sembra una moglie splendida, gentile, che accoglie il marito con affetto. Io e mio fratello Daichi siamo classificati come due figli: belli, intelligenti, bravi nello sport e nelle materie scientifiche; sempre sorridenti e solidali. 

Mio padre invece è per tutti un marito, un padre, una guida, “sempre” amorevole, umile e generoso, proprietario di diverse aziende commerciali sparse in tutto il mondo. 

Per immagine siamo la classica famigliola delle copertine e delle serie televisive domenicali, o delle pubblicità sulla colazione.

Siamo felici, abbiamo tutto: soldi, fama, importanza. Che cosa dovrebbe mancare a me per essere malinconico?

Perché mai dovrei soffrire?

Il mondo di carta e parole comunicava tante notizie, oscurandosi ad un mondo che nemmeno poteva immaginarsi. 

Fotografare, immortalare ogni secondo.

Dal sorriso più sottile al più vecchio e stanco.

Le persone avvolte nella luce del denaro, della notizia, e dal desiderio di apparire sulla prima pagina dei magazine annuali. Ognuno di loro scriveva e parlava di ciò che all’apparenza veniva mostrato.

I sorrisi, l’unione di persone che si amavano.

Quel che i loro occhi e le loro orecchie, non vedranno e ne’ udiranno mai e’ il vortice di catrame cosparso nei loro e nei miei ricordi.

Loro non sapevano che mio “padre" mi torturava come una marionetta.

Quando si rivolgeva a quelle stupide telecamere indossava sempre un sorriso tirato.

Era così difficile scorgervi in quei baffi dritti e perfetti un uomo sadico senza ritegno? 

I capi di commercio pendevano dalle sue labbra, lo seguivano come un esempio, i loro figli lo stimavano.

Io lo conobbi a differenza loro per l’animale irascibile che era. 

Questa famiglia, che di nome e parole non ne ha nemmeno l’essenza, fu costruita anni e anni fa, tra carta e penna, tra strette di mano e decisione degli avi.

Un pilastro al centro del mondo.

Grattacielo il termine idoneo.

Struttura impotente che attirava l’attenzione dei viandanti.

Futurista, originale.

Esisteva qualcosa di più grandioso se non osservare il mondo al di sotto dei tuoi piedi?

L’uomo avido evidentemente ci schiacciava con l’odio e la rabbia che provava.

Non so per quale ragione colui che sulle carte risultasse essere mio padre, fosse così cosparso d’odio, ogni volta da piccolo ci davo una ragione, una comprensione fino a che la sua cantilena aspra galleggiò nel mio mare, trasformando il mio giorno nella notte eterna.

Anni, secoli, momenti o solo pezzi di memoria, passati e rimarcati.

Tra le pareti di una stanza colorata, 

negli occhi innocenti e innocui di me stesso, la mia infanzia venne estratta e spremuta con rabbia e collera.

Ne cadde ogni più piccolo frammento fino a che essa non divenne aria.

Sapete come sono i bambini?

Di solito dolci, che cercano attenzione. La loro realtà è veramente rara e diversa dal monotono luogo grigio degli adulti.

Essere bambino può essere considerato un mio desiderio.

Perché non sono stato bambino? 

Io un tempo ero bambino.

Ma a sei anni conobbi il mondo dei grandi.

A sei anni capii che ciò che credevo amore, era un’illusione.

A sei anni vidi ciò che per anni non capivo.

A sei anni toccai la morte nel più orrido dei baci.

Un morso più che bacio.

Era il 12 marzo del 1973.

L’aria cambiava

i fiori stavano per sbocciare, la primavera era pronta al risveglio e la natura riconquistò ogni suo più effimero colore.

Giocavo a pallone nel piccolo giardino del nonno, con lui che piantava dei fiori di strane forme e colori. 

La mia mente era ancora per quel piccolo momento impegnata a sognare ad occhi aperti sul mio futuro.

Si immaginava un me adulto, con una famiglia, ed ero anche il campione del mondo e soprattutto una persona sorridente…pensandoci mi sento perso e divorato in altre parti di me stesso ricordando il mio vecchio volto. Dimenticare era difficile, infatti quel giorno lo ricordavo a rallentatore. 

Ogni minuto, secondo.

Il sole che piano calava dalle montagne e Daichi con la nonna che preparavano la cena.

Era tutto tranquillo.

Il periodo scolastico sarebbe terminato a breve e non vedevo l’ora di godermi le vacanze al mare. Da quella consapevolezza di libertà e vecchia spensieratezza giocavo dribblando il pallone impolverato e tanto usurato tra i sassi, fino a che non rotolò via dal mio piede schizzando dolcemente sulla strada.

Quel giorno avevo paura, tanto che chiamai il nonno per accompagnarmi sulle strisce, tanto che strinsi la sua mano cospargendola di gocce bagnate, tanto che guardai in continuazione la strada deserta. 

Eppure continuavo a sentire qualcosa, ma non cedetti all’impeto del sesto senso.

A piccoli passi tremanti ero davanti al mio migliore amico, il pallone, unica cosa e forma vivente che mi faceva sfogare. 

Sulle strisce, noi due, uniti e tinti dal bianco e dal nero.

Era una questioni di secondi, ed improvvisamente una corda venne spezzata nel silenzio, distruggendo lo spazio tempo, alienandomi dal mondo dei vivi.

Una vettura nera uscì da una stradina con lo stesso impeto di un toro in una corrida. 

Era pericolosa, rumorosa.

Il suono non mi piaceva, accelerava di secondo dopo secondo.

Il mondo attorno a me si volatilizzò sempre di più rendendomi parte di un veleno. 

Quelle ruote, quei finestrini neri e poi…toccai il terreno, senza riconoscere il viso del guidatore.

Per la prima volta sentii la sensazione di perdere, perdere e perdermi in me stesso osservando il pallone rotto, distrutto e io avvolto nelle braccia senza calore dei nonni, non sentivo nulla, ero traumatizzato e…e spaventato, il mio sogno fu ucciso rudemente sotto una ruota.

Era un segno?

Quel che dell’amaro giorno ricordavo sempre più vividamente, fu la possessione del male.

Giocavo con dei piccoli personaggi in plastica, essendo che il mio amico era rotto e sgonfio. 

Stavo da solo nella mia stanza, ignaro.

Nuovamente il tempo si immobilizzò ed i battiti iniziarono ad accelerare disperati.

La porta venne sbattuta, si ruppe, si distrusse, la mia stanza venne violata come il mio corpo e la mia anima pura.

Al veleno delle mani che si ramificavano sul muro mi ritrassi e l’occhio di chi voleva solo vivere fu ucciso, colpo dopo colpo. 

L’uomo, mio padre, mi strinse il collo.

Era una scena orribile e confusa, ma più di tutte una scena dolorosa.

Le dita rudi, forti, pesanti e strette toccavano il collo. 

Faceva male, faceva tanto male. 

La faccia diventava rossa, i piedi si agitavano e quelle dita si stringevano ad ogni soffio di saliva sputato per vivere.

Le labbra urlarono e si sfogarono.

Quelle labbra mi odiavano.

Quelle labbra mi volevano fuori.

Quelle labbra mi scaraventarono a terra.

Il corpo doleva, la gola era arrossata e i battiti del non più sentito cuore battevano piano.

Stessa lentezza che sento tutt’ora.

In quella stanza arrivo’ solo la donna che raffigurava mia madre, la quale sentendo le parole rigide e crudeli perse la sua calma.

Erano quegli anni in cui ero presente nella sua vita.

Mi stava aiutando. 

I due adulti si colpirono. I loro corpi erano impegnati nella nella logorante lotta del rimorso.

Per un matrimonio sbagliato.

Per un matrimonio privo di amore.

Mentre le figure appassivano sotto l’ossessione, il mio sguardo ricadde sul più piccolo del disastro chiamato famiglia.

Mio fratello, che lontano da me, dietro alla porta mi guardava terrorizzato.

Quel giorno mi sentii in colpa.

Fra quelle mura persi i miei colori giovani,

chiudendo i giochi e i sogni nel cassetto.

Era finito…ogni cosa.

Mi alzai solo. 

Camminai solo.

Ma adesso scappavo via.

Con lo sguardo proiettato al presente e un finestrino fatto di gocce vidi quel piccolo pezzo di me stesso.

Che ne sarà di me…chi nel cuore altrui vedrò?

Per ora sentivo solo la testa pesante e incosciente, cosparso di lividi del passato cedetti al sonno provando a sognare.

Ma morì ancora nell’incubo.

 

 

 

 

 

 

   
 
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