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Autore: Mary_C06    26/11/2023    0 recensioni
INTRODUZIONE
~I'll be watching you~
Quando trovi la tua anima gemella, senti dentro di te una sensazione di pace e di serenità talmente intensa,da avere la sensazione di essere arrivati finalmente a casa. Ti sembra di conoscere quella persona da sempre e ti rendi conto che prima di lei non esisteva niente, solo l'attesa di trovarla. Io incontrai colui che colmò le mie sofferenze in sorrisi grazie alla sua promessa -ti dono il mio per sempre-
Genere: Romantico, Sentimentale, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Daichi Ozora, Hikaru Matsuyama/Philip Callaghan, Taro Misaki/Tom, Tsubasa Ozora/Holly
Note: AU, Missing Moments, Soulmate!AU | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
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                    You know who I am

                          21/feb/1985

                       Fujisawa ore 8:40

 

Un raggio attraverso’ le nuvole e il cielo prese vita. Ancora dormiente mi destai dal sonno. Non mi piaceva stare in auto, sentivo sempre il bisogno di non pensare di starci all’interno.

Il pianeta si muoveva sotto di me e confuso orientai lo sguardo a tutto ciò che mi circondava.

La musica scorreva leggiadra dalla radio, le note calme e “soavi” di qualche genere jazz toccarono il tettuccio vecchio e sporco, l’odore di sigaretta e caffè veniva dal guidatore, scocciato e nervoso per il traffico.

Dolorante e confuso vidi una nuova città.

Dei pezzi di strada, negozi, periferie, piccole e strette, i lampioni e scritte a neon, le file di lanterne rosse appese da palo a palo. 

Un piccolo villaggio, comune e silenzioso.

Era il centro dove il commercio nasceva, le persone interagivano e i rapporti si creavano.

Fujisawa. Città giapponese situata vicino alle coste della nazione e prefettura di Kanagawa . Non era molto famosa come Tokyo, quasi mai veniva scritta sui libri di geografia.

Per quale ragione una famiglia rinomata doveva spostarsi, cambiare luogo, in così breve tempo? 

A qualcuno dava fastidio che certe voci venissero fuori dalle porte.

Da due anni c’è un mistero che ruota attorno a noi. Vedo chiunque cibarsi della nostra immondizia, spargendo rifiuti da occhi a orecchie.

Le foto erano sulle nostre facce, sulle mie mani, su di me.

Scritte, parole.

Persone accorte con le code di bisce e scorpioni.

Per tale ragione, noi scappammo, o meglio loro scapparono dai propri errori.

Io ero la marea che rilasciava i resti.

“Oliver mettiti composto.”

Da uno spicchio di sedile, la donna, mia genitrice mi guardava freddamente.

Seria e risoluta stringeva nervosamente la borsa al petto. Gli occhiali neri sul viso e la bandana di raso floreale attorno al volto.

Mia madre era una bella donna, elegante, aggraziata. 

Metteva un rossetto rosso ad ogni uscita, come anche la sua grossa e stretta collana di perle. I suoi capelli erano cotonati e ricci avvolti in un codino basso.

Era molto simile a me, l’unica differenza erano i nostri occhi. Neri e castani. 

E seppur il nero fosse un colore freddo e neutro, provava molte più sensazioni rispetto al calore dei suoi colori.

L’amore per distruggere una persona, fino ad alienarla dalla terra, faceva davvero male? 

Se io conoscevo l’amore? 

Lo vedevo ma non lo conoscevo.

Per me era una sorta di bene e di affetto per le persone che mi stavano intorno. 

“Stavo dormendo.”

“Adesso che sei sveglio ricomponiti. Manca poco al nostro arrivo in stazione. Ci saranno molti fotografi, e i giornalisti soprattutto. Non farci fare brutta figura.”

Solite parole.

Mi picchiavano il volto senza ustionarlo.

Alla fine i miei genitori erano solo due persone che vivevano con me.

Non c’era alcun legame oltre a un documento, eppure tanto tempo fa non mi sembrava così.

“Holly! Dai forza sarà una nuova e strabiliante avventura, pensa quante conquiste potremmo fare! Ti immagini, saremo una sorta di Tom Cruise.”

“Semmai tu potresti essere un folletto di Babbo Natale.”

“Come osi! Sei solo invidioso della mia incredibile bellezza!”

“Certo…”

Quella piccola pulce fastidiosa di Daichi.

Gli sorrisi vedendo il suo broncio da moccioso capriccioso. 

I miei sorrisi erano rari, quasi nulli. 

Era più facile vedermi con il muso a terra che con i denti in mostra. 

Come vi raccontavo da piccolo mi divertivo molto con i nonni, passavo le mie giornate insieme a loro. 

L’essenza che faceva parte della mia persona era la semplicità, la voglia di sperare, di sorridere, ma esisteva una persona che conteneva tutti i miei sogni, i miei obiettivi, Roberto Sedinho. 

Era carismatico, dolce, premuroso, affettuoso. Era la figura paterna che desideravo da quando ero un poppante. 

Io e Roberto parlavamo di calcio, tutto ciò che mi piaceva, i miei pensieri, le mie idee, oppure gli raccontavo quanto avessi voluto partecipare con il Giappone ai mondiali, senza dimenticare che mi fece amare la sua terra il Brasile, dove sarei dovuto andare due anni fa. Stavo bene, molto bene, quando paparino non c’era, Roberto ricopriva perfettamente il suo ruolo, mi faceva provare il vero valore dell’affetto e della famiglia fino a che un giorno tutto improvvisamente cambiò.  

Il mio animo ferito dal tempo lentamente con le sue cure stava guarendo, ma servi’ una sola scossa per diventare uno spettro. 

Il nome Holly me lo diede lui. 

Di solito, quando lo sentivo pronunciare nel mio stomaco vi era la presenza di morsi e pugni, dritti e precisi che affondano nell’anima. 

Daichi è l’unico che può usarlo. 

Il suo cuore è buono, sincero, senza malizia e gelo, solo troppa apprensione e infantilità. E lo adoro per questo, e poi perché è mio fratello.

Ma in questo momento invece preferirei che una macchina lo prendesse sotto.

Mi stava urlando le canzoni di Madonna nell’orecchio. 

“Some boys romance

Some boys slow dance

That's all right with me

If they can't raise my interest then I

Have to let them be”

mi arrivò una mano in faccia, insieme a una vampata di sudore 

“Levati che puzzi vichingo!”

E fu così che ebbe inizio, una delle prime lotte bonarie, verso la nostra destinazione. 

Come sempre la luce del flash ricadde sulla mia figura, non avendo misericordia dei peccati inflitti da altri.

Distrarsi era un bene.

Ma poi ritornavi a vivere.

Volevo scappare.

                        

                         Ore 11:20                                                  Dopo aver aiutato le signore delle pulizie ad aggiustare le tende, o giusto quei pochi oggetti che stavano ancora dentro gli scatoloni, decisi di uscire con la palla al piede (Sia mai il contrario) e palleggiare, fra quelle villette e grandi pezzi di terra, accompagnato dalle note di Wild Horses dei Rolling Stonses. 

Notai a colpo d'occhio, durante la mia "corsetta" che le strade erano molto rovinate e a differenza della grande città, regnava la quiete, essendo che metà della cittadina era circondata dal verde.

Il sole batteva la sua immensa potenza sulle pietre bianche.

La natura intorno a me era morta, il vento soffiava e leggiadro il rumore del pallone ballava con le note della canzone.

Continuavo a correre per sfogare tutte quelle sensazioni negative,          galleggianti nel mio animo ferito, finché, non mi resi conto di aver investito qualcuno con la mia furia.

Mi voltai allarmato, per aver causato un omicidio il primo giorno di permanenza qui, ma fortunatamente quel ragazzino che urlava a squarciagola era vegeto... però...stava per annegare nel fiume!

"Aiuto! Vi prego aiutatemi!"

Lanciai il walkman a terra e corsi verso di lui per aiutarlo, ma nell’immergere i piedi nell’acqua gelida mi accorsi che questa non arrivava nemmeno alle caviglie. 

Fu così scioccante…non mi resi nemmeno conto di essermi imbambolato a fissare il tipo che schizzava acqua come un pazzo. 

“Ehy tu non guardarmi! Non vedi che sto annegando!”

I piedi scattarono verso l’alto, le mani bambinesche giocherellarono gesticolando le dita con l’intento di indicare il ginocchio arrossato.

Dalla danza strana e contorsionista il tipo dagli occhiali giganti e la faccia da rana perse l’equilibrio, cadendo come una foglia a terra e altre gocce impattarono la mia maglia.

Urlava.

Si dimenava.

Le foglie si legavano alle sue braccia e un pianto isterico decoro’ le guance.

 

La situazione non migliorò con il passare dei secondi ma andava a degenerare. Tendevo la mano e lui la scacciava.

Mi tirava le dita, gridava a squarciagola e ancora acqua venne sollevata al cielo.

Essere pazienti era un pregio? Volevo tanto saperlo, in questo momento avrei voluto uno scudo per la mia pazienza.

Questa era pronta all’eruzione, sentivo pezzi di carbone e legno che ardevano a sentire le mie mani ancora picchiate e scacciate come mosche.

Odiavo che queste venivano toccate e ancora umiliate di tagli.

Voleva il mio aiuto, ma non lo accettava.

(Calmati Oliver. Calmati)

Me lo ripetevo come un mantra di stare calmo, pertanto l’afferrai dalle ascelle lasciandolo in posizione eretta.

Era veramente basso e robusto di corporatura, aveva una frangetta ovviamente bagnata ma attaccata alla fronte e indossava una divisa scolastica a me familiare.

Basto’ un mio sguardo sullo stemma che un dito in faccia mi venne puntato.

“Ma vedi dove metti i piedi razza di sconsiderato e se mi fossi ferito gravemente! Che avresti fatto! Eh dimmelo…!”

mi scrutò dall’alto al basso e poi degluti'; come per trovare le parole giuste così da incutermi timore. 

(Patetico) 

“Sarai anche alto ma non mi fai per nulla paura, fatti sotto maleducato!”

“Non penso sia il caso, del resto non è stata mia intenzione farti cadere da una discesa quasi ripida. Mi dispiace che tu ti sia fatto male ma non è una ferita incurabile. Guarda stai in piedi.”

Quel nano da giardino non voleva sentire ragione, continuava ad urlare schizzando acqua da tutte le parti.

Le mie intenzioni, per come si stava atteggiando, volevano passare dalla diplomazia alla voglia di affogarlo tra le foglie di quel fiumiciattolo finché una lampadina non si accese nel cervello, ricordandomi, che ero una persona alquanto intelligente, non ne valeva la pena attaccare briga con un soggetto simile.

Uscii' dall'acqua con indifferenza, ed ero pronto a cercare il pallone, il walkman e scappare fino a che i polmoni non avessero preso fuoco...ma per ingiustizia della sorte arrivarono i suoi amichetti.

"Arthur cosa ti è successo?"

Uno strano tipo, avente il ciuffo ugualmente bizzarro, arrivò in suo soccorso prendendolo...in braccio e facendolo ricadere delicatamente sulla terra asciuatta. 

Il nano ancora incollerito fece la figura di chi subì una tortura atroce, tanto che i suoi occhi divennero addirittura lucidi. Questa sua scenetta da vittima rese tristi i suoi amichetti, i quali trasformarono la loro espressione preoccupata ad assassina.

"Quel ragazzo mi ha spinto nel fiume e non si è degnato nemmeno di alzare un dito per aiutarmi!”

Lo abbracciarono, lo consolarono e gli dissero che andava tutto bene, che se la vedevano loro e...bla bla bla.

Distolsi lo sguardo da quella scena pietosa cercando di rintracciare il mio povero walkman e soprattutto il pallone. 

Il primo purtroppo venne ritrovato in condizioni pessime solamente con un miracolo avrebbe potuto funzionare di nuovo, invece del caro e vecchio pallone nessuna traccia. 

Oramai troppo concentrato da quella mia ricerca, non mi accorsi neppure di essermi allontanato dal fiume; l’acqua infatti era appena percettibile l’unico suono presente in quel pezzo di verde proveniva dall’oscillazione del vento, che muoveva le foglie ancora secche dell’autunno passato, rendendo l’atmosfera seppur fresca: accogliente e rilassante. 

Ad un tratto un rumore più forte del canto del vento squarciò il cielo…erano dei calci. Questi infrasuoni andavano ad intensificarsi sempre di più, a causa del mio avvicinamento a quei cespugli. Scostai qualche ramo per evitare di ferirmi, ma probabilmente non erano le mie braccia seppur già ferite dal tempo ad essere lesionate, ma i miei occhi, che si stavano beando di uno spettacolo meraviglioso. 

La luna dei miei incubi venne mostrata nonostante le nubi cariche di pioggia.

Avanti a me danzava con la mia palla un ragazzo, probabilmente alto, con il fisico delicato; quasi femminile. Mi colpì di quell’apparizione surreale i movimenti, la leggerezza, la delicatezza, era troppo bello per essere descritto a caratteri neri su carta bianca. A proposito di bianco, la sua pelle era candida come la neve dei primi di dicembre; essa entrava a contatto con i sottili raggi solari che penetravano dalle foglie di una quercia, andando a decorare quel sorriso angelico che albeggiava sul bel viso dolce. Un angelo letteralmente. Magari era il mio protettore inviato dagli dei, insomma non poteva essere vero. Impossibile. Quell’atmosfera era troppo quieta, mi faceva sentire appagato, felice, ne avevo bisogno, la bramavo quasi quasi. Non so cosa mi stesse succedendo, ma sentivo che volevo rimanere lì, volevo parlare con quel…ragazzo? Creatura mistica? Non so nemmeno se sia reale o frutto della mia immaginazione. Il tempo si fermò come i secondi prima del fischio finale. Vuoto; sentivo solo questo. La mia attenzione verso quella figura, che sembrava danzare come il pennello sulla tela di un pittore, distruggeva  l’oblio del mio sguardo, che si spense nell’udire voci stridule e petulanti, che venivano nella mia direzione. 

La mia mente toccò la terra ferma. Ero di nuovo nell’incubo. Niente luce. Ancora.

A grandi falcate raggiunsi le voci senza disturbare quel ragazzo, in modo da poter sentire le loro richieste e possibilmente ritornare nel mio Eden e conoscere quella piacevole distrazione mattutina. La prima cosa saltava all’occhio fu la triplicazione dei ragazzi; da che erano tre divennero sei. 

Fra di loro erano presenti due ragazze, che non si preoccuparono minimamente di essere esplicitamente espressive. Il tempo di elaborare una domanda, che il quattrocchi di prima si mise nuovamente a gridare.

"Sei scappato eh! Che hai la coda di paglia? So perfettamente che volevi farmi cadere dalla bici. Mi hai rotto anche gli occhiali! Devi ricomprarmeli"

Mi mostrò nervosamente la sua lente sottile piena di graffi, elencandomi successivamente ogni singolo danno che avrei dovuto pagare. Saranno minuti che solamente urlava? Non lo so, ma la mia pazienza veniva meno con l’aggiunta delle voci dei suoi amici.

Mi stava esplodendo il cervello, volevo tappare le loro bocche una ad una. Volevo ricorrere alle maniere forti, ma malgrado l’istinto la ragione prevalse e respirando profondamente mi riconcentrai sul presente.

Loro non dovevano andare contro alla mia follia, sarei finito su un giornale il giorno dopo, e volevo dormire in pace nel mio nuovo letto.

"Senti nano, ti ho detto che non volevo farti precipitare dalla tua bicicletta. Devo stare attento quando corro, lo so caz…volevo dire stai creando un film troppo grande per i miei gusti."

Stranamente portai una mano dietro la nuca come mio solito, per l’imbarazzo improvviso che mi colpì, non tanto per loro, quanto per lo sguardo intenso che sentivo sulla mia schiena e mi tentava dal dare le spalle ai miei interlocutori, ma a fatica non lo feci, continuavo a parlare con loro, cercando di controllare quelli istinti, che stavano stranamente diventando difficili da gestire. 

Tanto la mia testa era immersa nel buio totale, non mi rendevo conto di ciò che dicevo. 

Possibile che questa presenza sulle mie costole fosse così pungente da mettermi in difficoltà? 

Le lettere finirono e le labbra si serrarono, i sei ragazzi restavano a fissarmi, studiandomi come un animale da laboratorio volevano analizzarmi: ogni movimento, respiro, la qualsiasi causa che mi avrebbe mandato in fallo. 

Sembravano i miei insegnanti.

Brividi in tutto il corpo.

Ancora.

"Tu non sei di qui.”

Scioccato, ora mi sentivo scioccato. Non me l’aspettavo questa domanda…e le successive. I ragazzi si fecero un mucchio di tesi e ipotesi, su chi fossi, da dove venissi, il mio accento se fosse di qualche prefettura giapponese o addirittura cinese…cinese? 

Questo loro linguaggio a monosillabe si fece sempre più intenso, fino a diventare un vero e proprio caos confusionario. L’attenzione era ingestibile, dare retta a tutti e sei insieme era impossibile, in quel momento se avessi dovuto giocare ai videogiochi insieme a Daichi sarebbe stato più semplice. Tutto quel rumore mi dava fastidio. Uno dei motivi per cui non voglio fare amicizia, non sopporto le persone, soprattutto quelle curiose e che mi toccano, o che mi vedono come uno strumento.

“Avete finito!”

Alzai la voce, me ne resi conto immediatamente dalle loro facce stupefatte, e il loro cambio di colore delle guance che passo’ dal rosso porpora al bianco pallido. 

“Si okay! Sono nuovo di qui, vengo da Tokyo e non sono cinese!-

Imbarazzati abbassarono lo sguardo , provando a perlustrare nelle loro cavità mentali una possibile domanda e anche il coraggio di rivolgermi la parola. 

Cinque minuti dopo…erano passati cinque dannatissimi minuti che sussurravano soltanto su chi dovesse chiedermi…non lo so non capivo…li preferivo rumorosi che sentire questi monosillabi. 

“Se volete dire qualcosa fatelo. Ho cose molto più importanti da fare.” 

Fecero tutti e sei contemporaneamente un saltello, alzando le loro teste dai fasci mentali che li opprimevano. Una ragazza con la fascietta rossa e la divisa da capo ultrà si portò una ciocca dietro i capelli, mentre muoveva nervosamente le mani

“Ci stavamo chiedendo da che scuola venissi, e come ti chiamassi.” 

Fece un timido sorriso, seguita dall’amica (okay..) anche lei probabilmente un membro di quella squadra. 

“Mi iscriverò alla San Francis e il mio nome è Oliv…”

Il mio nome non uscì mai completo, motivazione? A come spalancarono gli occhi quei tizi mi fecero paralizzare nuovamente nell’arco della giornata. Le loro bocche sarebbero cadute a breve a terra, fino a che la ragazzina di prima non si diede…degli schiaffetti sulle guance arrossate

“Aspetta non lo dire! Noi non possiamo essere amici, sai che andiamo alla Nuppy!”

Volevo risponderle a tono per l'assurdità che sputò dalle sue labbra, ma venni interrotto di nuovo, ancora, ancora e ancora…parlare con queste persone era impossibile, sembravano una mandria di cavalli impazziti. (Cambio idea, mio fratello non è un rompiscatole, loro lo sono.) 

“È un peccato, sarebbe perfetto nella nostra squadra. Ragazzi aveva un controllo pazzesco.”                                 Disse mortificato il nano del fiume, abbassando le braccia così tanto da curvare la schiena  

“Fa nulla Arthur noi con i figli di papà non ci stiamo.”

Ultima occhiatina e lasciarono il prato verde, disperdendosi dietro le case colorate.

Ritornando al punto di prima scovai una sfera di cuoio dietro dei ramoscelli. Scattai a recuperarla e feci dei palleggi, alternando i movimenti delle anche e della testa.

Mi serviva un controllo psicologico

ma ancora una presenza era dietro di me. Ancora avevo quegli occhi di prima puntati addosso.

Ancora quella rivoltante scarica di energia.

Tanta l’intensità di quella scossa che feci cadere la palla, che rotolò delicatamente verso i cespugli. 

Foglie verdi e grandi, ampie e colorate di brina; nella loro cavità scura vidi degli occhi, non so di che colore fossero ma erano intensi, scuri forse? 

Ero vicino alla contemplazione della sua iride ma fuggi’,  il ragazzino fuggi’ in mezzo agli arbusti. Senza pensarci un'istante lo seguii. 

Sentivo dentro di me che fosse la cosa giusta da fare, che dovevo conoscerlo. Sentivo di dover guardare senza filtri quella bellezza ultraterrena, ma cavolo! Era veloce. 

Più correvo più mi addentravo in una sorta di boscaglia non molto fitta, però i suoi alberi erano abbastanza grossi e rendevano difficile la visuale. Si nascose dietro questi magari troppo timido e imbarazzato gli veniva difficile mostrarsi. Sembrava uno scherzo della natura, giravo come un'idiota tra i fusti e del ragazzino neanche l'ombra. 

Era dissolto nel nulla.

Era davvero la mia mente che stava diventando pazza? 

(Mi mancava solo diventare schizofrenico.)

Le foglie si muovevano delicatamente, il sole stava diventando più debole per via delle folte chiome, la natura sembrava immobile, tutto taceva tranne per le cicale canterie e la melodia degli usignoli.

A Tokyo un posto simile non sarebbe visibile, la modernizzazione della capitale era famosa in tutto il mondo. Ragazzi, ragazze, adulti o bambini accorrevano per vedere la città dove venivano prodotti i loro anime preferiti mentre questa eterea natura veniva sempre più sottovalutata dall'uomo, troppo avido di denaro. Non sapevo se tra qualche anno sarei ritornato qui, ma chissà se al posto di questi alberi centenari avrei visto solo grattacieli. L'uomo non mi stupirebbe più di tanto, come crea, distrugge ciò che gli viene donato dalle “divinità”, anche se difficilmente credo, non facendosi scrupoli di estirpare la purezza che lo circonda. 

Camminando e pensando a godermi al meglio lo spettacolo incredibile che avevo davanti a me, misi piede in un luogo che...spiegarlo a parole è difficile... impossibile. 

Una distesa di fiori di vario colore, dalle sfumature che andavano dal giallo al blu, con odori freschi e dolci, c’era anche un salice posto sopra una sorta di collinetta arricchita da qualche schizzo di colore profumato e al centro della prateria un lago molto vasto ricco di pietre colorate. Se si potesse scegliere il proprio paradiso in cui riposare in eterno sceglierei indubbiamente questo posto, la tranquillità che lo avvolge è sovrannaturale, i profumi di freschezza arrivano da ogni direzione, l'iride cerca di catturare ,come una fotocamera, ogni singolo attimo dal più banale al più interessante, eppure la sensazione intensa che mi stava cogliendo proveniva non solo dall'incanto di fata Morgana, ma anche dal ritrovo di quella figura che stava leggendo serenamente sotto l'albero o semplicemente faceva finta di non vedermi. 

Probabilmente la seconda era la più plausibile dato che stava per scappare di nuovo via. Sembrava quasi terrorizzato.

Non volevo che andassi via di nuovo.

Volevo vederti.

Scappavi.

Ma io ti raggiunsi.

Fu la mia fine.

Riapparse la luna tra i fulmini.

Quelle luci di calore fatti di specchi vivi, e chiamati occhi si mescolarono in un’indimenticabile di emozioni e parole non dette, bensì nascoste tra ombre e luci e percepite attraverso il muscolo vitale e l’anima.

(Esistevi ancora? Erano anni che non battevi più.)

Quegli occhi che cercavo erano lì davanti a me, bellissimi nella loro particolarità, la loro iride era unica rispetto a quella degli altri giapponesi. La forma affilata ma non troppo decorava alla perfezione quei tratti dolci del viso che sembrava essere costruito con la ceramica tanto perfetto, era tutto proporzionato: dagli occhi, al naso, alle labbra che avevano lo stesso colore dei fiori di ciliegio. 

Avevo ragione era bellissimo, quel colore marrone chiaro imprimeva il suo occhio, particolare anche quest'ultimo. 

Sembrava una distesa di sabbia.

Le sue guance si dipinsero di rosso chiaro, facendo arricciare il naso, con i capelli che invece svolazzavano leggermente in base alla direzione del vento. 

Le sue mani provavano a sciogliersi dalla mia presa, non troppo ferrea per evitare di ferirlo, aveva paura di me?

“Sta tranquillo non ho intenzione di farti del male, volevo ringraziarti per avermi restituito il pallone, sarei uscito pazzo senza.”

La mia voce era irriconoscibile: dolce, sembrava un soffio di parole lontane che partivano dal cuore, la mente sembrava non collaborare come prima ma sapevo cosa stavo dicendo, il cuore invece era come impazzito, oltre che a provare emozioni, sembrava che mi stesse venendo una tachicardia, ed essa accelerò maggiormente quando lo sentii ridacchiare. 

La mia mano cadde dalla sua.

Le osservò attentamente, quella divisione di emozioni fece percorrere un brivido nel mio animo come se il freddo si fosse impossessato di me. 

Nuovamente però senza lame.

Quel sorriso compensava il taglio.           Era dolce e fu contagioso tale da riemergere le costellazioni del mio sguardo dal mare.

“Figurati, mi scuso di averlo preso, mi piace molto il calcio, quindi quando vedo un pallone non ci penso due volte a fare qualche palleggio.”

Voce più bella non l'avevo mai udita: semplice, dolce, carezzevole, fluiva nel mio udito come la più dolce delle melodie, era come se la sua voce rappresentasse la sua persona, come i suoi modi così innocenti o come i suoi sorrisi leggeri. 

“Non ti preoccupare; anzi ti capisco. Sono nella medesima condizione, se non peggio. Fosse successo a me di trovare un pallone senza nessuno nei dintorni, lo avrei preso senza esitazioni e probabilmente sarei corso così velocemente che non l'avrei restituito.”

Più chiacchieravo con lui e più mi sentivo bene, ogni cosa che fuoriusciva da quelle labbra perfette mi incantava. 

Il suo animo era così poetico, la sua risata ancora di più, mi sentivo una ragazzina con la sua prima cotta, che poi cotta…sinceramente non sapevo cosa significasse amare.

Era ipocrisia.

Inoltre basti solo pensare dove vivevo e con chi per capire la mia mancanza in materia. Ma se ci dovessi pensare, Roberto in parte aveva provato ad insegnarmi cosa si provasse ad essere innamorati di qualcuno, ma restava qualcosa di invincibile per uno come me, non penso che potrei mai trovare qualcuno che mi ami per come sono e che riesca a guarire la mia anima.

Era più facile che io distruggessi due vite che le riappacificassi.

“Ehy tutto bene ti sei fermato.”

Come i ladri che vengono colti in fragrante sbiancai, le mani mi tremarono senza un controllo del mio sistema nervoso; il solo pensare a Roberto mi stava facendo impanicare, sentivo le gocce di sudore scendere dalle tempie e il groppo in gola intensificarsi, volevo rimettere tutte queste brutte sensazioni.

Come quella volta mi sentivo morire. 

Ma la tempesta venne fermata nel mio oceano.

I miei occhi ritornarono nel loro flusso solitario e calmo.

Una mano affusolata strinse il mio braccio tonico e delle iridi chiare brillavano come il riflesso del sole nelle acque.

Le stavo osservando da poco, ma furono letali tali da scacciare ogni traccia di vento.

Quella mano discese fino al mio polso e mi portò sotto al salice, solamente la seguivo, come un marinaio seguiva la stella polare per arrivare alla terra ferma. 

Ma io non ci volevo ritornare.

D’altronde la sirena cantava.

Le prime gocce di rugiada del salice caddero sulla mia fronte e l'odore di lavanda fu l'estasi totale. 

“Sono nuovo da queste parti. Mio padre è un pittore e deve spostarsi frequentemente. Quando arrivai in questa cittadina sperduta nel nulla più totale me ne innamorai perdutamente, dei pochi luoghi che vidi questo è uno dei miei preferiti.”

Sorrise di nuovo con quella leggera curvatura e sembrava che volesse svuotare le mie ansie, senza neppure conoscere i miei demoni interiori. Lo apprezzai molto anche se lo conoscevo da nemmeno un'ora, anzi ad essere sincero sentivo di conoscerlo da un tempo immane. 

Avevo trovato un amico? Non lo so, non potrei saperlo, troppo strano dare un termine simile a una persona che conosci da poco, eppure lui non può e non deve essere mio amico, mi infastidisce solo il pensiero.

“Allora non sono l'unico nuovo da queste parti. Tu dove sei nato? Il tuo accento non è di Tokyo e nemmeno nelle prefetture vicine. Da quando ti ho visto mi sto chiedendo come un mantra, da dove tu venga. Che ne so sei una sorta di alieno?”

Si mise a ridere tanto da accasciarsi ad alcune radici esposte dell'albero. Con quelle guance rosate e la buffa risata contagio' anche me, assaporando dopo anni il gusto della felicità.

(Non so cosa mi stai facendo ma mi spaventi.) 

“No non sono un alieno. Vengo da Osaka che è distante da qui. Mentre il mio aspetto è particolare per via di mia...madre lei è di origini francesi.” Chiuse il libro e mi raccontò dai suoi occhi un qualcosa di così leggibile che alcontempo doveva essere decifrato con il tempo.

“Io vengo da Tokyo, è la prima volta che mi trasferisco in una nuova città. Sinceramente preferisco Fujisawa alla capitale. Amo viaggiare e scoprire posti nuovi, persone con culture e tradizioni diverse dalle mie, infatti appena mi sarà possibile prenderò il primo volo per il Brasile la patria del calcio e del grande Pelè.”

(E non solo.)

Sorridendo mi disse che anche a lui piacerebbe andare in Brasile, ma del suo discorso mi colpì una frase -io conosco tanti luoghi e persone nuove ma, non ho un posto nel mondo che possa sentire l'amore famigliare, ad essere sincero non so che significhi avere una famiglia vera.- 

Quello che volevo dire era anche io non so che significhi, ma non lo feci, lo ascoltai in silenzio, unico dettaglio che catturai più volte fu sempre il suo sorriso che non lasciava mai il suo viso. 

Mentre io usavo la freddezza per mascherare il dolore, lui usava una maschera allegra. 

Solo io potevo capirlo.

Quel sorriso era lo stesso che facevo ai ricevimenti, quel sorriso era la facciata per nascondersi dal mondo fino a che non ti isolavi in una stanza e rilasciavi l'amarezza della giornata. 

Faceva male; ma ancor di più quando non hai un posto fisso nel mondo in cui farlo. Quando non si ha una casa è difficile sfogarsi.

“Ah che sbadato- Si colpì con violenza una mano sulla fronte facendo apparire una forma rossastra al centro. Il mio corpo si mosse d'istinto per fermarlo ma non ci riuscì, quel che fece fu avvicinarsi maggiormente a lui, ciò lo fece arrossire e dopo sentii una cosa…il cuore mi batteva. Della tosse nervosa viaggiò nell'aria, portandoci alle vecchie postazioni in modo da affievolire la fiamma di prima. “Dicevo...non mi ero presentato. Mi chiamo Tom Becker , tu come ti chiami?- (anche il nome si sposa bene con lui) 

“Mi chiamo Oliver Hutton piacere di conoscerti.”

Gli porsi la mano che venne stretta subito, seguita successivamente da un’altra scossa su tutto l'arco della schiena, facendomi perdere nuovamente la concentrazione. 

“Questo nome mi è familiare. L'ho sentito da qualche parte ma non ricordo dove.”

Massaggiandosi il mento provo’ a ricordare dove mi avesse visto, ed era proprio concentrato dato che gli occhi si bloccarono su dei fiori, le labbra si imbronciarono e sulla fronte apparve una leggera rughetta. Le gocce continuavano a cadere dalle foglie lunghe, una di queste finì sul suo naso, facendolo scattare come una molla, era buffa quella scena, tanto ché ridacchiai per come le sue guance ripresero nuovamente colore e le iridi dorate si nascosero dall'imbarazzo. 

“Bhe sei arrivato a una conclusione?” Appoggiando il mento sulla mano mi concentro ad osservarlo, ogni suo movimento mi attira, dalle parole, alle dolci azioni che il suo corpo compie, è come una canzone, una delle tue preferite, la quale melodia non fa che rilassarti, vorresti sentirla questa canzone per ore senza fermarti mai, però sai che prima o la sinfonia delle note finirà e non potrà più andare avanti. Dovevo tornare a casa, dal pazzo fuorioso, tra poco sarebbe stato qui e non volevo creare altri problemi, mancava solo innagurare la mia nuova stanza con altri suoni fastidiosi; d'altro canto però volevo stare qui con Tommy, scherzare e divertirmi, attività che non facevo da secoli, anzi che non avevo mai fatto per così tanto. Oggi si potrebbe definire una giornata strana, ho conosciuto quei ragazzini imbizzarriti, ho visto questi posti meravigliosi e incontrato la reincarnazione della dolcezza, che in questo preciso istante si stava rotolando dalle risate per come imprecavo contro le gocce d'acqua che cadevano sulla mia testa. 

“Ti va di fare qualche tiro?”

L'ennesima imprecazione la tenni per me stesso, quando sentii tale richiesta mi alzai subito dal terreno umido e mi affrettai a prendere il pallone, non dovevo dare una risposta, se si trattava di giocare a calcio non mi tiravo di certo indietro, fare passaggi con altri ragazzi..non capitava mai, costringere mio fratello aveva delle conseguenze; come assorbirmi le sue amate canzoni di Madonna, le quali sapevo a memoria quindi nel momento in cui qualcuno mi chiedeva di fare due tiri ero e sono tutt'oggi elettrizzato, solo che quando Tommy me lo chiese dentro di me si accese una fiamma di eccitazione, non volgare però non stavo nella pelle nel sapere che avrei contribuito a creare quei movimenti fluidi e quasi sensuali. 

E così fu, il tempo, chi se lo ricorda che cos'è il tempo, tutto era come bloccato: l'aria, le nuvole,il cielo si muoveva tutto a rallentatore, la nostra era tutta alchimia, era come se avessero trovato le giuste molecole per un esperimento chimico, dalle nostre labbra non uscì nulla se non risate mentre gli unici portatori del dialogo erano gli occhi, non ci serviva sprecare il fiato si sarebbe rovinata tutta la magia. Avevo un brutto presentimento, che tutto questo prima o poi si sarebbe esaurito, che non avrei più potuto vedere quel sorriso e mi faceva solo male pensarlo. Vorrei conoscere ogni sua parte, ogni suo possibile difetto, ogni suo sbaglio.

Vorrei confidargli le mie debolezze, le mie paure.

Sentivo di fidarmi e lo capivo ogni secondo che passavo nel stare con lui. 

Questi pensieri mi facevano paura.

Odiavo tutto questo, però mi piaceva.

Non sapevo quanto passò ma ci accasciammo sul prato maditi di sudore, con l'aria fresca del pomeriggio inoltrato che ci rinfrescava dopo l'estenuante allenamento.

Risate limpide nell'aria e noi due come due pazzi ustionati che non smettevamo di parlare stavolta senza l'uso della vista ma semplicemente esprimendo ciò che avevamo dentro di noi. 

“Non sapevo fossi così bravo, ti faccio i miei complimenti. Ho visto molti ragazzi giocare bene, ma tu sei incredibile.”

si volto’ verso di me con profonda ammirazione regalando un altro dei suoi sorrisi, che più passavano le ore e più mi irritavano.

“E' da quando sono nato che ho questa chimica con il pallone. Mi viene naturale, è come se il destino avesse in serbo per me qualcosa, per farlo devo utilizzare quella sfera di cuoio. Inoltre sei bravo anche tu, sei molto agile, scattante; spero solo che non ti abbiano chiamato ragazzo dai piedi d'oro.”

“Ragazzo dai piedi d'oro?”

Vedendo il suo sguardo curioso, gli raccontai delle vecchie signore pettegole e di come mi chiamavano, non negando i bei palloni che finivano sulle lenzuola candide appena stese, e i manici della scopa sulla testa. Scoppiammo tutti e due dopo una bella recitazione di una vecchietta da parte mia 

Stavo ridendo così tanto, che fece male. “Che irrispettoso. Non si fanno queste cose alle signore anziane, non vecchie.” ridacchiammo ancora per poi alzarci e fare una passeggiata in quella immensa prateria. Scoprii tante cose che avevamo io e Tommy in comune. 

Oltre all’interesse che ci lega al mondo calcistico, gli piaceva la musica, soprattutto quella pop, fortunatamente non amava Madonna, non avrei retto un'altra carrellata di sue canzoni, però ha una sorta di venerazione per Michael Jackson. 

Gli piaceva anche il rock, la lettura dei gialli, romanzi rosa e la biologia. 

Come me non aveva mai trovato un amico e questo mi portava a confermare di quanto la sua anima fosse solitaria. Quando lo vidi per la prima volta era da solo senza nessuno nei dintorni, il fatto che giri sempre il mondo non agevolava il suo carattere molto timido e insicuro. 

Non ha fratelli, sorelle, suo padre è impegnato a disegnare, sua madre...di sua madre nemmeno un accenno come se non l'avesse mai conosciuta. 

Per quanto fossimo diversi di carattere le nostre esperienze erano simili. 

Anche sulla questione dei viaggi, tutti e due amiamo viaggiare però cerchiamo intensamente un luogo che possiamo definire casa...casa! E fu proprio il ricordo che effettivamente avevo una "casa" in cui ritornare in nemmeno cinque minuti che mi spensi come il lumino di una candela. 

“Scusami devo ritornare a casa, si sta facendo tardi (e i mostri con la notte si avvicinano)”

In quel mio ultimo sussurro, due braccia esili si strinsero al mio busto tonico e un dolce profumo di torta di mele invase le mie narici e…dannazione! Non so che cosa provo.

Comunque vada non voglio dimenticare le emozioni che stanno scorrendo dentro e fuori di me. Il mio in questo momento non è un addio a questa felicità appena nata, perché so che lo rivedrò, sento che nonostante le difficoltà il destino abbia scelto due strade per unirci. Mai in vita mia avevo provato tutto questo calore in un abbraccio, mai mi ero sentito di difendere una persona o di conoscerla dai tempi della creazione di tutto. Spero di farti essere ciò che tu sia, un semplice amico poiché queste emozioni non possono essere trascritte per un comune legame degli uomini...e soprattutto questi sorrisi nascosti fra la natura ancora dormiente non possono essere dati a nessun altro. 

 

   
 
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