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Autore: rosy03    26/11/2023    2 recensioni
• || Storia Interattiva || Iscrizioni Chiuse || •
Tutto è determinato da forze sulle quali non abbiamo alcun controllo. Vale per l’insetto come per gli astri. Esseri umani, vegetali o polvere cosmica, tutti danziamo al ritmo di una musica misteriosa, suonata in lontananza da un pifferaio invisibile.
È questo il destino? Come vostro Umile Narratore non posso rispondere a una tale domanda.
Finora non ho mai visto nessuno abbandonare la pista, non ho mai incontrato qualcuno che fosse stato in grado di cambiare disco. Il destino è davvero già scritto?
Se sapeste la verità, penso proprio che mi odiereste.
Ma nonostante questo sono qui: a raccontarvi di questa mitica impresa. Sono qui a parlarvi di come la Bestia dagli Occhi di Luna ululerà, di come questo porterà il caos nel continente di Ishgar, di come seguirà un’infinita notte, di come le stelle smetteranno di brillare, di come la luna scurirà il suo colore... e magari anche di come sorgerà una nuova aurora. Chissà.
Il vostro Umile Narratore.
J.C.
|| • «Ho perso tutto. Ho perso la mia umanità, il mio tempo, la mia famiglia. Lei è l'unica cosa buona che mi sia rimasta...»
Genere: Azione, Commedia, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Altri
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ancient Aurora'
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CAPITOLO 14. …tra la speranza e la disperazione
 



 
 
 
«Tu... non sei una maga, vero?»
Killian schivò a fatica l’ennesimo affondo sbilanciandosi all’indietro e finendo con le spalle contro un albero. La sua abilità di annullamento non sarebbe servita a niente in quel caso.
Intanto, lo scienziato si era rialzato – circondato dai compagni di Nancy che già gongolavano all’idea di infilzarlo. Killian gli lanciò un’occhiata per poi concentrarsi su di lei. «Non parli molto. Che ne dici di una chiacchierata? Così, per passare un po’ il tempo.»
Era riuscito a distogliere l’attenzione del nemico su di lui per dargli il tempo necessario a riattivare la sua magia – sperava soltanto che quella strategia funzionasse fino in fondo!
La bionda scattò e lui fece appena in tempo a spostarsi e ad evitare di ritrovarsi un buco all’altezza del cuore. Ci è mancato poco...! «Lasciatelo dire, fai schifo negli scontri fisici.»
«Già, lo so.»
«Eppure, non sembri preoccupato. Cos’è? Hai qualche asso nella manica?»
Si limitò a un’innocente alzatina di spalle. «Chi lo sa.»
Nancy era cresciuta in mezzo a gente poco raccomandabile, era stata allenata da suo padre affinché sapesse sempre come difendersi e come farsi rispettare. Aveva vissuto con diffidenza e serietà. E persino quel giorno, davanti a quel mingherlino, c’era una vocina a ricordarle che no, non avrebbe dovuto fidarsi di un tipo del genere.
In realtà, entrambi avevano un’aria strana.
Nonostante fosse in evidente svantaggio continuava a sorridere e a scherzare come niente. Lanciava occhiate al suo compagno che, intanto, si stava difendendo dagli attacchi degli aggressori nonostante non fosse più accompagnato da alcun animale fatto di luci bluastre. E fu in quel momento che capì.
Le scappò un sorrisetto. «Non riuscirete a battermi. Il tuo amico a stento si regge in piedi dopo la ferito che gli ho inferto alla spalla e tu, ormai, sei già un cadavere che cammina... non puoi nulla.»
Killian sgranò gli occhi e per la prima volta un velo di preoccupazione attraversò i suoi occhi. Reha faticava a tenere gli occhi aperti a causa dello squarcio e stava perdendo molto sangue. In condizioni normali si sarebbe preoccupato come prima cosa di tamponare la ferita ma occupato com’era a non farsi ammazzare da quella sottospecie di cacciatori che la donna si era portata dietro... Cazzo.
«E in questo caso, perché prolungargli una tale sofferenza? Non sei d’accordo?» E ghignò, Nancy, perché con una rapidità e una forza spaventose, scagliò la lancia in direzione dello scienziato.
«Reha! Scansati!»
Ok, si disse lo scienziato, forse avrei fatto meglio ad allenare anche il fisico oltre che il cervello. Ma prima che l’arma gli trapassasse il cranio... – signori e signore – scivolò. Sentì l’asta della lancia sfiorargli appena la testa e per un attimo vide tutto nero. Il cuore si fermò e già s’immaginava varcare le soglie del mondo dei morti… ma l’impatto col terreno bastò a farlo rinsavire e a fargli capire che , era ancora vivo – e per mera fortuna!
Killian scoppiò a ridere. «Che culo, amico!»
«Già.» Rantolò l’altro, sbuffando di dolore – la spalla faceva un male cane! «È in momenti come questi che ho il serio dubbio che qualcuno, lassù, esista davvero.» Ma anche no, si disse subito dopo.
Killian ridacchiò, rivolgendosi a Nancy. «Ora sei disarmata.»
Lei lo guardò con un certo scetticismo negli occhi. Era ovvio che la cosa non la preoccupasse minimamente. «E quindi credi di poter fare qualcosa?»
Per rendere ben più incisive le sue parole, Nancy si lanciò all’attacco come un animale. Killian schivò, schivò e schivò ma ben presto dovette fare i conti con la stanchezza. Parò un pugno con l’avambraccio ma sentì distintamente l’impatto sulle sue ossa e per un attimo credette di essersele rotte.
Arretrò ma lo fece male, si sbilanciò all’indietro e un calcio in faccia lo fece volare di qualche metro. Nancy fece per proseguire ma una serie di scoppi provenienti da dietro le sue spalle la distrassero. Si voltò in tempo per vedere i suoi sottoposti a terra e del fumo denso impregnare l’aria.
Rehagan si era alzato e stava armeggiando con una boccetta di vetro. Cosa sta tramando? Nancy volle fermarlo – qualsiasi cosa avesse in mente, era sicura che in qualche modo le avrebbe dato noie. Per questo, si mosse. Più veloce. Più attenta a eventuali contrattacchi.
Si protrasse in avanti; il suo obiettivo e afferrargli la testa e sbatterla al suolo ma quando fu abbastanza vicina da farlo, lo scienziato alzò il viso e notò che aveva calato sul naso quegli strani occhiali che portava sulla testa.
Non riuscì a notare la sua espressione per via delle lenti scure ma Nancy capì di essere caduta in trappola nel momento in cui lui aprì bocca. «Dì “CHEESE”!» E un forte, fortissimo flash partì dal congegno che Rehagan aveva lanciato.
Nancy grugnì di fastidio e per la sorpresa si preoccupò soltanto di chiudere gli occhi e rimanere immobile, conscia che da solo e senza un’arma – il mingherlino – non sarebbe riuscito nemmeno a spostarla di un millimetro. Certo, non poteva immaginare che quell’espediente serviva a guadagnare quei due secondi che gli servivano per togliere gli occhialetti e richiamare il suo lupo grigio, Arya.
Ancora con la vista appannata, la bionda cercò di difendersi come meglio poteva, utilizzando tutti gli altri sensi, ma se c’era una cosa di cui andava fiero Rehagan, era l’agilità e la ferocia dello Spirito Guida. L’animale, infatti, si scagliò su di lei con una violenza inaudita e le azzannò la spalla.
Nancy si morse la lingua per non urlare e il sapore amaro del sangue le invase il cervello. Fu allora che l’istinto di sopravvivenza le diede la forza di fare l’impensabile: con entrambe le mani e ignorando l’atroce dolore, Nancy afferrò le fauci di Arya e costrinse lo Spirito Guida ad allentare il suo morso.
Capendo ciò, lo scienziato annullò la sua magia e il lupo scomparve lasciando dietro di sé una scia di piccole luci azzurrine.
«Che cosa diamine-?»
Ma Reha non voleva perdere altro tempo. Unì nuovamente le mani come in una preghiera e parlò in un sussurro: «Guidami, Dedus.» E davanti a lui si creò l’immagine bluastra di un ariete dal vello ricco e dalle possenti corna piegate fino ad arricciarsi. Sotto l’indicazione dello scienziato, l’animale caricò a testa bassa e Nancy – impacciata per via della vista compromessa – incassò in pieno il colpo.
Stranamente, fu come scontrarsi con un treno in corsa. Se fossero state le corna di un toro o di uno stambecco l’avrebbero infilzata da parte a parte.
Per questo, per il sangue che non smetteva di uscire copioso dal morso alla spalla e per lo scontro duro con il terreno... Nancy svenne. E Rehagan crollò in ginocchio, incredulo.
«Sono vivo... e l’ho pure sconfitta...»
Killian, a terra poco distante, aprì un occhio. Poi l’altro. E, infine, si rimise in piedi. «Wow, sei stato davvero bravo, Reha!»
L’altro lo guardò, ancora più allibito. «Stavi fingendo di essere svenuto?»
Si morse una guancia, Killian, mentre sollevava le sopracciglia e dirottava convenientemente la discussione su altro. «Cos’era quella luce di prima?»
Rehagan sembrò dimenticare la stanchezza e il tremore di essere stato a un passo dalla morte fino a quel momento. Dedus scomparve e lo scienziato cominciò a parlare e a straparlare di acqua di mare fatta bollire, cloruro di magnesio, corrente elettrica e magnesio che, alla fine, aveva messo all’interno di una lampadina di vetro.
E, naturalmente, Killian aveva smesso di ascoltarlo alla seconda parola incomprensibile pronunciata da quel matto. «E gli altri? Come li hai messi ko?»
Quello fece un’alzatina di spalle. «Ho solo gettato ai loro piedi la composizione messa a punto sulla nave di Hydra. Questa è evaporata, l’hanno respirata e, a quanto pare, nessuno di loro regge molto l’alcol.» Spiegò, divertito. «Ho fatto scoppiare dei petardi, li hanno scambiati per dei cannoni e sono svenuti dalla paura.»
Fu inevitabile: scoppiarono a ridere.
E quando Eve uscì trafelata, a tratti spaventata per il casino che aveva sentito, si bloccò. «Grazie a quale miracolo siete ancora tutti e due vivi?»
«Il miracolo chiamato “magnesio”!»
Da lontano, affacciata a una finestra, Nimue li indicò con la furia negli occhi. «Voi due imbecilli!» Ed entrambi sobbalzarono. «Venite a farvi medicare!»
Rehagan corrucciò la fronte, visibilmente scosso. «Che le è successo?»
Fu Eve a sospirare. «Non saprei. Dev’essersi emozionata per la nascita dalla piccola Eden.»
E Killian, che la sapeva lunga, sghignazzò. «Vi avevo avvertiti. Nim sembra apatica ma quando ha tante emozioni forti da esprimere, diventa esilarante!»

 
 
§
 

 
Naevin si concesse di prendere un bel respiro e drizzò la schiena, ignorando il bruciore.
Il naso gli doleva terribilmente e nonostante avesse provato a tamponare alla meno peggio la ferita sulla fronte, dovette comunque ricorrere alla sua camicia per pulire la palpebra imbrattata – cosa che gli consentì, tra le altre cose, di aprire l’occhio per bene. Ci aveva messo più del previsto ma era riuscito a battere Dominik.
Restava una sola cosa da fare: liberare l’ingresso della miniera.
Aveva cominciato a spostare i massi più piccoli, per poi passare a quelli grossi quanto la metà di lui. Fu solo quando si ritrovò in evidente difficoltà che udì dei passi alle sue spalle. Temendo si trattasse di un nemico, mollò la presa e si girò pronto a dar battaglia. Ciò che vide lo sorprese non poco.
Erano gli uomini che erano stati rapiti e che avevano consentito a Dominik di mescolarsi tra loro. Tenevano gli occhi bassi, la testa incassata nelle spalle e un colorito pallido, dovuto forse ai terribili giorni trascorsi come carne da macello. «So che probabilmente non conta a molto ma... noi ti ringraziamo, Lakad.»
Naevin fece per parlare ma qualcun altro prese la parola: «Abbiamo permesso a Dominik di tendervi un’imboscata e di questo ci vergogniamo molto, ma vedi-»
«Temevamo che se la sarebbero presa con le nostre famiglie.» Spiegò una terza voce. «È a causa di queste minacce che non abbiamo potuto ribellarci! Noi non volevamo, ma quel tizio ha...»
E bastarono queste parole, l’immaginare di ritrovarsi nella loro stessa situazione, a fargli andare il sangue alla testa. Il solo pensiero era sufficiente a spingerlo a prendere la testa di Dominik e sbatterla ripetutamente contro la sua tanto amata terra... ma no, era più importante far uscire Hydra e Lily da quella stramaledetta miniera piena di insetti succhiasangue.
«Non ve ne faccio una colpa. Anzi, sono felice che stiate bene e che la situazione si sia risolta.» E ringraziò che si fossero messi al riparo, nascosti e lontani dal campo di battaglia, mentre lui escogitava un piano per mettere ko quel mago e ribaltare la situazione. «Ma adesso ho bisogno di una mano. I miei compagni di viaggio sono rimasti chiusi lì dentro.»
«Ma certo! Ti aiutiamo noi!»
Dopotutto erano tutti uomini piuttosto grossi e muscolosi – spostare qualche masso non sarebbe stato tanto difficile. E anche se fino ad allora avevano lavorato senza sosta agli ordini di Dominik e in pessime condizioni, erano ben felici di poter aiutare chi li aveva, a sua volta, aiutati.
Fu quando riuscirono a creare uno spiraglio che Naevin percepì un tremolio. «Che succede?»
Proveniva da dentro le gallerie. Cosa diavolo stanno combinando quei due?
«Spero che non crolli tutto... sarebbe un peccato!» Asserì una voce.
Semplicemente, Naevin rabbrividì. In mezzo a loro – esattamente alle sue spalle – c’era una ragazza. Era bassa ma dal viso e dalle forme era chiaro si trovasse davanti a una donna di non meno di vent’anni. I capelli turchesi e tendenti al verde petrolio erano legati in un’alta coda laterale, a eccezione della frangia e di alcune ciocche che le incorniciavano il viso pallido e affilato. Indossava un paio di occhiali dalla montatura tonda – erano davvero molto grandi, quasi quanto la sua faccia.
«E tu chi diavolo sei?» Domandò, conscio che la propria coscienza lo stava intimando di allontanarsi da lei il prima possibile. Quando è arrivata? Cosa vuole? È un’alleata del tizio che ho steso?
Lei ridacchiò – la voce acuta. «Mi chiamo Roweena e sono di Goblin Thief
Di solito, tutti quelli che incontrava finivano per tenersi alla larga da lei. Un po’ per l’aspetto e un po’ per via del suo carattere. Indossava un’ampia gonna stropicciata sui bordi e un maglioncino largo, pieno di toppe; ai piedi i suoi amatissimo stivaletti dalle punte sporche di fango e ghiaia. Dai vestiti e dal modo di camminare – penzolante, quasi – si capiva che non fosse una persona cui piaceva curare il proprio aspetto e il proprio portamento.
Inoltre, le occhiaie mostravano quanto poco dormisse.
Roweena era fatta così: strana, a tratti raccapricciante. «Ma a pensarci bene... forse la Spada non è qui. Quindi... pazienza!» Ogni frase era spezzata in due, come se a un certo punto la voglia di parlare si affievolisse e poi tornasse senza alcun motivo.
«Perché sei qui? Vuoi riprenderti il tuo compagno?» Naevin sapeva di stare rischiando grosso. I campanelli d’allarme c’erano tutti: quella ragazza aveva qualcosa di strano. Per questo si era allontanato di qualche passo e si era messo in guardia.
Lei, di contro, teneva placidamente le braccia incrociate dietro la schiena e dondolava sui suoi vecchi stivaletti. «Chi? Dominik? Mh... dovrei, sì. Ma Kiel lo farà fuori… quindi, boh! Aspetterò Hoon... lui sa sempre cosa fare!»
«Sta arrivando qualcun altro?»
Stranamente, sembrava in vena di chiacchiere. «Sì... credo.» E per la prima volta da quando era arrivata, Roweena lo guardò dritto negli occhi; tanto intensamente che al Lakad girò la testa. In un attimo si era sentito spaurito, indifeso come un cucciolo di coniglio davanti a una belva feroce – perché quegli occhi color ambra non stavano fissando lui ma qualcosa di più profondo. Fortunatamente quella sensazione durò solo un attimo, perché poi udì chiaramente qualcuno di familiare chiamarlo a gran voce in lontananza.
Non si era nemmeno accorto che il tremolio era cessato. E quando girò gli occhi vide con sua grande sorpresa Lily che gli correva incontro sbracciando come una forsennata. «Lo abbiamo trovato! Abel è qui! È vivo!» Il Lakad vide Hydra, poco dietro di lei, mentre trasportava un uomo sulle spalle.
Ne fu felice. E sollevato. Ma la bella sensazione durò davvero poco – Roweena aveva cominciato a saltellare sul posto, a esultare e a battere le mani come una ragazzina. Naevin strinse forte la presa sul suo bo e fece per concentrare l’attenzione su di lei.
Ma Roweena era già scomparsa e stava correndo incontro agli altri due.
«State attenti!» Gridò, e Lily capì subito che qualcosa non andava. Vide quella strana persona avvicinarsi a lei a braccia spalancate – come fosse pronta ad abbracciarla – ma la corvina corrucciò la fronte e le piantò la suola del suo sandalo in faccia.
Roweena cadde di schiena con un tonfo e un gemito. Quando si mise nuovamente in piedi si curò di sistemarsi gli occhiali e null’altro, ignorando la polvere sui vestiti e il sangue che usciva dal naso. Allora, inclinò la testa. «Perché... l’hai fatto?»
«Perché detesto gli abbracci di chi non conosco!» Esclamò Lily, pestando il piede a terra. Hydra, che l’aveva raggiunta, lanciò un’occhiata alla nuova arrivata con disinteresse – come se non stesse trasportando un uomo grosso quanto lui.
«Ma io non volevo... abbracciarti.»
«E allora cosa?»
«Mh... boh!»
Ma è matta o soltanto stupida?!
Naevin li raggiunse velocemente evitando però di avvicinarsi alla giovane donna. L’aura di pericolo sembrava essersi dissolta ma lui non riusciva a fidarsi completamente – era come se qualcosa l’avesse distratta dall’attaccarlo. Perché sì, prima dell’arrivo dei suoi compagni, era certo l’avrebbe fatto.
Mentre ora, sembrava semplicemente un idiota che non si era accorta di star sanguinando dal naso.
«Sta arrivando un altro nemico.» Avvertì il Lakad.
Roweena alzò lo sguardo e il suo sorriso si fece raggiante. «Sì, eccolo... Hoon!» Riprese a saltellare sul posto. «Hoon! Hey!»
Anche Lily e gli altri diedero un’occhiata in alto: c’era davvero qualcuno!
Persino Hydra si rabbuiò. Fino a che non l’ho visto non ho minimamente avvertito la sua presenza...!
E mentre Roweena saltellava e si sbracciava per salutarlo, felice come una bambina, Hoon si limitò a un tenue e cordiale sorriso, affacciandosi da quello che era a tutti gli effetti un tappeto tessuto con fili bordeaux e nappe d’oro. Un tappeto che solcava i cieli, come quello citato in una famosa fiaba per bambini. «Sì, Weena, ti ho vista.»
Come sarebbe a dire “ti ho vista”? Si chiese Lily, interdetta. Infatti, Hoon indossava una grossa fascia nera sugli occhi che, a guardarla, sembrava davvero molto spessa. Come fa a vederci? Ma non per questo si lasciò intimidire. «Chi sei?! E cosa vuoi?!»
Lui, dinanzi a tale ostilità, si mostrò quasi sorpreso. «Sono venuto a prendere Weena, perché?»
«Hoon! Devo mica farli fuori?» Domandò innocentemente, facendo scattare i tre maghi a qualche metro da lei.
Il ragazzo dai capelli bianchi scosse la testa, non smettendo per un attimo di mostrarsi tranquillo e per nulla intenzionato ad attaccar briga. «Non ce n’è bisogno. Avranno già un bel po’ da fare d’ora in poi...»
Allora, Roweena mostrò il pollice alto. «Ok!»
Naevin non capiva ma non fece in tempo a dire nulla perché fu Lily a manifestare i dubbi di tutti: «Da quale cazzo di parte state, voi due?!»
Al contrario di Roweena, Hoon era davvero una persona gentile. E calma. E disposta a dare spiegazioni soddisfacenti... ma non era quello il caso, purtroppo. Per cui si limitò a incrociare le braccia, sporgendosi appena un po’ di più e continuando a sorridere, lasciando che il vento gli scompigliasse i candidi capelli. «Siamo entrambi maghi di Goblin Thief, vi basti sapere questo. Ma non mi piace combattere e odio la violenza, per cui vi darò un consiglio.»
Roweena decise di fare un piccolo ma sostanziale – a suo parere – intervento: «A Hoon non piacciono nemmeno le cipolle!»
«Tenetevi lontani da Exca.»
Lily storse le labbra, irritata. «Non sarai di certo tu a dirmi cosa devo o non devo fare!»
Di tutta risposta, Hoon ridacchiò divertito. «Mi aspettavo una risposta del genere da te.»
In che senso da me?
«Weena, su, andiamo!» Detto ciò, la ragazza lo raggiunse con un balzo silenzioso. «Un’ultima cosa... vi conviene sbrigarvi se volete trovarla ancora viva
Il tappeto si allontanò velocemente e senza far rumore, così com’era arrivato. Se solo avesse potuto, Lily si sarebbe lanciata nell’ennesimo combattimento ma, purtroppo, aveva ricominciato a sentire un dolore sempre più ingestibile e pungente all’altezza del costato, laddove – a causa di una stupida distrazione – una falena vampiro l’aveva morsa.
Era salva grazie a Hydra – non l’avrebbe mai ammesso, mai, neanche sotto tortura – che proprio in quel momento aveva abbattuto la roccia, permettendo così alla luce di entrare e di far scappare quegli odiosi insetti succhiasangue.
«Di chi stava parlando?» Domandò Naevin, a quel punto.
Hydra sospirò, stanco e irritato da essere circondato da schifosissima terra – lui era nato per stare vicino all’acqua, dannazione! – spostando istintivamente lo sguardo su un punto più in alto.
Fu allora che cominciò a sentire la preoccupazione montare, per cui si rivolse al Lakad. «Hai avuto notizie degli altri?»
Al responso negativo, il marinaio si sentì letteralmente mancare. Con poca, pochissima, grazia e con tanta, tantissima, urgenza, mollò a terra un Abel ancora svenuto – prontamente recuperato da Naevin – e cominciò a correre verso il punto in cui avevano lasciato Nypha e Diana.
Aveva un brutto presentimento. Un bruttissimo presentimento. E il fatto che persino Lily si era messa a correre dietro di lui analizzando l’aria tutta intorno significava soltanto una cosa: aveva avvertito un odore tremendo. L’odore del sangue.

 
 
§
 

 
Hydra era furioso.
Era diventato inavvicinabile da quando aveva trovato la cacciatrice di taglie con due fottuttissimi coltellini a inchiodarla al tronco di un fottuttissimo albero. A stento aveva permesso a Nimue di visitarla, a dire la verità. Rehagan stava aiutando restando fuori casa – fasciato come una mummia e dolorante come mai prima di allora – e si era infinitamente lamentato della cosa ma al marinaio era bastato guardarlo con quel suo unico occhio visibile per fargli tremare le viscere e convincerlo a rimanere dov’era – aveva già troppe ferite, non voleva rischiare di morire per mano di quello che doveva essere un alleato.
Anche Lily era furiosa. Quando entrava in quella stanza non sentiva più profumo di ortensie che l’accompagnava, ma un odore acido che la costringeva a tapparsi il naso. Secondo le ricerche dello scienziato, il veleno era lo stesso usato su Tabitha, lo stesso stramaledetto veleno e per di più mischiato ad altre sostanze: alcune le aveva inalate, altre erano penetrate dai tagli.
Ma a Hydra non importava nulla di tutto ciò. Voleva che Nypha aprisse gli occhi e che riprendesse colore. Voleva sentirla dire «Sto bene» e assicurarsi che fosse vero. E voleva riempire di botte quella che aveva osato fare una cosa del genere – l’avrebbe mandata a morire in fondo al mare trascinata dal suo kraken d’acqua dopo averle rotto tutte le ossa, una per una. Lentamente.
Avevano sistemato Nypha nella stanza degli ospiti al piano terra mentre Abel e Ysami si godevano la loro piccola bolla di felicità. Killian si era scusato per aver occupato la loro casa ma entrambi si erano dimostrati disponibili a ospitarli finché la ragazza non fosse guarita del tutto.
Il marinaio era rimasto seduto dall’altro lato della porta d’ingresso con le spalle al muro, dando le spalle alla finestra.
Nimue, intanto, si era mossa ignorando del tutto la sua presenza e, intanto, le aveva ricucito le ferite. Dopodiché si era messa a pestare delle piante con il suo mortaio, in attesa che lo scienziato venisse a capo di una soluzione. Di norma, trovare l’antidoto a un qualsiasi tipo di veleno era sempre stato relativamente facile per lei. Quella volta era diverso.
Quella volta il veleno utilizzato non era stato fabbricato normalmente ma era il prodotto di una magia – e per di più, chiunque l’avesse creato era stato molto abile a farlo. Grazie al sangue prelavato a Tabitha avevano fatto dei considerevoli passi avanti ma c’era qualcosa che ancora mancava, l’ultimo pezzo del puzzle. E senza quello, Nypha poteva seriamente... morire.
E mentre Nimue si apprestava a tamponare la situazione come meglio poteva, nello spiazzale dove suo fratello e Rehagan avevano “combattuto”, Lily camminava avanti e indietro imprecando sottovoce. «Dove diavolo è finita quella
Eve sollevò le spalle, scuotendo la testa. «Se non lo sai tu che sei un segugio...»
«Non è il momento di scherzare.» La rimbeccò Naevin, serio. Nimue aveva curato anche lui e un grosso cerotto gli copriva il naso gonfio per botta ricevuta. «Fortuna che l’abbiamo trovata in tempo.»
Già. Meno male, pensò la corvina.
Fu in quel momento che Killian tornò dalla sua “passeggiata”. Era uscito per cercare nelle vicinanze la giovane Dragon Slayer ma senza alcun risultato. Quando lo videro camminare in direzione della porta, fu lo scienziato a domandargli: «Sei sicuro di voler entrare? C’è il cane da guardia lì dentro.»
Killian sorrise ma non disse nulla. Attraversò il soggiorno e quando varcò la soglia della stanza, Hydra cominciò a fissarlo.
La dottoressa, capendo l’antifona, raccolse tutto il suo occorrente prima di levare le tende e lasciarli soli.
«Non farà la fine di Tabitha.» Non morirà. «Nimue e Reha stanno già lavorando a un antidoto.»
«Per cominciare, non avresti dovuto lasciarla con quella lì
L’altro non disse nulla e si limitò a ricambiare lo sguardo.
Non sarebbe dovuta andare così... pensò. Possibile che mi sia sbagliato tanto?
«Se si dovesse trasformare in una fata-»
«Non succederà.» Disse, sicuro di sé. «O meglio, se dovesse accadere non sarà colpa del veleno. Non c’entra niente.»
Hydra sollevò un sopracciglio. «Adesso sì che mi sento meglio.»
Poi, tutta la rabbia e la frustrazione scomparvero nello stesso istante. Nel momento in cui udì un suono flebile, un mormorio indefinito. Nypha schiuse le labbra e il marinaio si alzò come una molla per poterla guardare negli occhi, quegli stessi occhi color smeraldo che faticava ad aprire. «Hydra...?»
Contrariamente a come se l’era immaginato, il risveglio fu quasi sereno. Non sentiva dolore. Per la verità, non sentiva niente – come se il suo corpo si fosse addormentato ma la sua mente fosse ben sveglia. Si sentiva anestetizzata.
Vide l’oceano in tempesta nell’occhio di Hydra scoperto dalla benda e tentò di sorridergli in modo da rassicurarlo. Quello che ne uscì fu una smorfia indefinita. «È andato... tutto… bene?»
Non fu lui a rispondere alla domanda ma Killian, rimasto a dondolare sui suoi stessi piedi a debita distanza dai due. «Abel è tornato sano e salvo.»
Entrambi la videro emettere un flebile sospiro. Poi, d’un tratto, la sua espressione mutò. «E Diana?»
«Cosa centra?» Si affrettò a chiedere il marinaio, allibito. A dirla tutta, una piccola parte di lui aveva pensato che in qualche modo e per chissà quale assurdo motivo, fosse stata lei.
Il pensiero che fosse stata Diana a farle del male – o, comunque, ad aiutare Emilia, la tizia del veleno – c’era stato. E allora si era sentito imbottito di una rabbia mai provata prima.
Nypha sbatté le palpebre un paio di volte, riprendendo fiato. «Mi è sembrata... preoccupata.»
«Aveva avvertito la presenza di un nemico?»
Scosse la testa, lei. O, per lo meno, ci provò. «Non proprio. Ha sentito qualcosa... qualcosa che... l’ha spaventata.»
Fu allora che Killian si avvicinò di un passo. «Ti ha detto qualcos’altro?»
Nypha mosse le labbra ma non disse nulla. Sembrò pensarci, sembrò tornare con la mente a quel momento – quando l’aveva vista correre via. «Cercatela. Ho paura che... si sia messa nei guai.»
Il mago dell’Aurora annuì e silenziosamente tolse il disturbo, lasciandoli soli.
«È colpa sua se ti hanno attaccata e ferita.» Disse, inviperito.
«In realtà, sono io ad essere... una schiappa nel combattimento ravvicinato.»
Ma Hydra non volle cogliere la leggera ilarità nella sua voce. Anzi, preferì indurire lo sguardo a mo’ di rimprovero. «Non puoi essere sempre così gentile con tutti. Prima o poi ci rimetterai la pelle. E niente assicura che questo momento non sia questo!»
Nypha sospirò lentamente. Mosse poco le dita, lontano dal suo intento originale. Voleva stringere la sua mano, voleva tranquillizzarlo. In qualche modo, vederlo così in pena per lei doleva di più di un paio di coltelli piantati nei palmi delle mani.
«Mi dispiace.» Mugugnò. «N-Non sono stata in grado di cavarmela da sola... a volte penso che... che-»
La bloccò sul nascere. «Se stai per dire una stronzata, evita.»
«Mi dispiace.»
«Non devi. Pensa a riposare. Io non mi muovo di qui.»
E fu lui a stringerle la mano.



 
§
 

 
Durante la sua “passeggiata”, Killian aveva incontrato una sua vecchia conoscenza.


 
Quasi gli venne un colpo non appena lo vide ma da fuori non sembrò affatto sorpreso. Tra tutti i posti possibili, non si aspettava di trovarlo lì, a Damocles, in un regno che stava attraversando una situazione a dir poco disperata.
«Quindi ti chiami Hoon, eh?»
L’altro sorrise placidamente. «A quanto pare sì.»
«Sei sorpreso di vederm- cioè, di incontrarmi?» Domandò, sghignazzando. Killian era sempre stato il tipo di persona che non badava ai formalismi, specie quando dall’altra parte c’erano persone con cui vantava una certa confidenza.
Infatti, Hoon sembrò quasi stupito. «Da quando fai attenzione alle parole che usi?» Ridacchiò, sinceramente divertito, mentre spostava la benda che gli copriva gli occhi più giù, fino ad appoggiarlo attorno al collo a mo’ di sciarpa. I suoi occhi erano vitrei. Vuoti. Ciechi. «E sì, sono abbastanza sorpreso. Non capita tutti i giorni di trovarsi davanti un fantasma in carne e ossa.»
Non era una predica o una frecciatina. Killian sapeva bene che lui era troppo gentile, troppo anche solo per lasciarsi scappare una minuscola presa in giro che poteva far scoppiare un’accesa discussione.
«Perché sei qui?»
Hoon alzò le spalle e inclinò la testa. «Perché dovrei dirtelo? Per ogni informazione che hai saresti capace di farci passare le pene dell’inferno!»
«Quindi non sei da solo. Chi c’è con te?»
«Nessuno che tu possa riconoscere, purtroppo. Ho lasciato perdere, come sai. Ho chiuso. Ora faccio altro.»
Killian annuì, pensieroso. «Emilia è qui a Damocles. Se c’è lei, anche Betty
«Sì, c’è anche Macbeth.» Asserì calmo. «Ora che te l’ho confermato che intenzioni hai?»
Il mago dell’Aurora mostrò un sorriso sghembo, come se l’altro potesse vederlo. «Perché dovrei dirtelo? Per ogni informazione che hai saresti capace di farci passare le pene dell’inferno!»
«Sai bene che non lo farei mai.» Lo rimbeccò, pur mantenendo un tono di voce amichevole. «Non sono stronzo come te, Killian.» A tali parole seguì una lunga pausa fatta di parole silenziose. Poi, aggiunse: «Ti ho visto prima. Hai lasciato perdere anche tu, quindi?»
«Praticamente.» Alzò le spalle, come a voler sminuire la situazione. Sminuire un cazzo, pensò. «Dimmi soltanto una cosa. Proverai a ucciderla?»
Hoon si fece stranito. «Perché dovrei farlo?»
«Oh, andiamo. Avrai anche chiuso ma non penso tu ti sia dimenticato di Maze e di chi sia stato a ucciderla. L’amavi così tanto.»
«Mh... sei ancora lo stesso stronzo, vedo.» Asserì, tenendo un tono di voce flebile, quasi dispiaciuto di essere stato costretto a constatare ciò. «Comunque, non mi importa. Non è stata lei, dopotutto. È stata quella famiglia di mostri. Che poi... mostri non è nemmeno il modo giusto per definirli, no?»
Killian sospirò. «Scoprirò il motivo della tua presenza qui.»
«È una minaccia?»
«Macché! Affatto!» Esclamò, muovendo la mano davanti al viso come a voler liquidare ciò che aveva appena detto. «Non ho motivo di avercela con te!»
Hoon annuì e in un meccanico e delicato gesto issò la fascia spostandola sugli occhi. «Vedi di non farti ammazzare.»
Killian rise. «Non ti preoccupare. Non accadrà di nuovo.»

 
 
§
 

 
Gliel’aveva chiesto Killian perché diceva di avere un brutto presentimento.
E Eve aveva deciso di seguirla per evitare che le due si scannassero – sempre su suggerimento del mago dell’Aurora che, come sempre, ne sapeva una più del diavolo. Una persona vivace come lei sarebbe stata capace di dissuadere Lily dal gettarsi al collo della ragazzina.
«Tu sei troppo ottimista.» Gli aveva detto.
Killian si era messo a ridere e poi le aveva liquidate per poter discutere con Rehagan di una questione importante. Il veleno somministrato a Nypha? Probabilmente.
Lily che, tra le altre cose, si comportava in modo strano da quando era uscita dalla stanza in cui riposava Nypha. Sembrava tesa. Come se si stesse aspettando qualcosa di terribile da un momento all’altro. Forse, ragionò Eve, ha paura che possa diventare una Fata.
Ad ogni modo, tempo una ventina di minuti e le due si erano inoltrate nella foresta con lo scopo di andare a cercare Diana. La corvina aveva ben impresso in testa il suo odore e una volta raggiunto il punto in cui avevano trovato la cacciatrice di taglie, non era stato complicato individuarne la scia.
Lily camminava avanti e in religioso silenzio. Eve no. Eve parlava a manetta e a un certo punto rischiò persino di prendersi un pugno sul naso.
«Secondo te perché se n’è andata?» Domandò la rossa, a un certo punto.
L’altra sbuffò «E io che ne so! Ma Nypha dice che potrebbe aver bisogno di aiuto.»
«Killian pensa lo stesso.»
«Già, per questo ci ha detto di cercarla. Ma a me non importa. Non appena la trovo le cambio i connotati!» Ringhiò, inviperita.
Eve, d’altro canto e in maniera del tutto naturale, ridacchiò. «Ti sei affezionata in fretta, eh!»
«A quella lì?! Non sia mai!»
«No, a Nypha.» Spiegò. «Non che sia difficile. Insomma, è una tipa apposto. È gentile. Ed è divertente prenderla in giro!»
Era fatta così, la maga di Bosco. E persino Lily si lasciò sfuggire un sorriso appena abbozzato. Fu più forte di lei, non riuscì a impedire alle parole di scivolarle fuori la bocca: «Mi ricorda una persona.»
Ma dinanzi alla curiosità di Eve, la corvina si affrettò a tapparsi la bocca e a proseguire.
«Eddai! È un’innocente conversazione... puoi dirmelo. Certo, è innocente a meno che tu non intenda qualche tua vecchia fiamma.»
Allora, Lily arricciò il naso, schifata a morte. «Ma che dici?! Non la immaginerei mai in quel modo! È mia madre!»
Oh. «Tua madre assomiglia a Nypha?»
«Più o meno.» Disse, scrollando le spalle. Non voleva darlo a vedere, ma parlare di loro faceva male.
Fortuna o sfortuna volle, però, che proprio in quel momento percepì l’odore di Diana farsi più amaro e pungente. Anche Eve si accorse del repentino cambio di atmosfera e ne chiese il motivo. «C’è odore di sangue.»
«Ricordati che lei combatte con il sangue.» Provò a dire la rossa, storcendo la bocca.
Lily annuì ma aumentò comunque il passo. Imboccò un piccolo sentiero e si arrampicò su alcune radici particolarmente grosse per poi raggiungere un albero cavo al cui interno era rannicchiata una piccola figura. Eve fece capolino oltre la sua spalla. «Trovata.»
Diana era semi svenuta e anche se il sangue aveva smesso di uscire dalle ferite, la mente era ancora annebbiata a causa del forte colpo subito. La rossa la tirò fuori da lì e ne controllò le condizioni.
«Che siete venute a fare?» Borbottò sottovoce.
Ma Eve ignorò tale domanda e osservò la pelle bruciacchiata in alcuni punti. «A quanto pare quei due avevano ragione. Cos’è successo?»
La più giovane sbuffò e strinse gli occhi, dolorante. «Sono scampata a un’esplosione.»
«Perché hai lasciato Nypha da sola?» Domandò Lily. Mentre la maga di Bosco si era mossa per aiutare l’altra, lei era rimasta immobile e la fissava freddamente. «È stata attaccata dalla stessa persona che ha avvelenato Tabitha. Mi auguro che tu abbia una spiegazione!»
«Dovevo controllare una cosa.» Sbottò, infastidita.
«E questa cosa era così importante?!»
Eve non disse niente, attese che le due risolvessero a voce. Lily non avrebbe mai cominciato una lotta consapevole delle condizioni dell’altra: era ancora intontita e a stento riusciva a guardarle in faccia.
Diana inspirò ed espirò profondamente prima di rispondere. «
La corvina strinse i pugni. «È chiaro che la tua priorità non è aiutarci. Perché hai accettato questo lavoro, allora?»
Infastidita da tutte quelle domande, Diana si alzò ignorando i muscoli indolenziti e la testa che continuava a girarle, decidendo di incamminarsi e tirando una spallata alla maggiore che si era inginocchiata per accertarsi che le ferite non fossero gravi.
Lily non resse più. «Quale diamine è il tuo problema?!»
Due, a dire il vero. Diana aveva due problemi. Uno di questi prendeva il nome di Dyaspro. Il secondo era che non riusciva a fidarsi – tutti i maghi con cui stava lavorando nascondevano intenzioni del tutto diverse dallo scopo della missione, l’aveva sentito.
E per quanto si fosse immedesimata in Eve e nella sua ricerca, per lei la situazione era diversa. Kyla era donna adulta e vaccinata che aveva scelto di partire. Lucas no; non aveva potuto scegliere.
Era la ragione per cui Diana non era riuscita a imporre ai suoi piedi – e a se stessa – di restare lì, accanto a Nypha, perché aveva sentito qualcuno fare il nome di Dyaspro e sapere lui e Lucas, il suo fratellino, così vicini l’aveva fatta andare nel panico.
Perché lei doveva trovarlo prima. Lei doveva muoversi, doveva farlo prima di lui.
Se non ci fosse riuscita, per Lucas sarebbe stata la fine...
«Avanti!.» Intanto, la voce di Orias risuonò nella mente di Lily come un’esortazione. «L’ho capito. È uno di quei momenti in cui voi ragazzine vi confidate i vostri più oscuri passati. Limiterò le battute al minimo sindacale per dare più enfasi alle vostre storielle strappalacrime...lo giuro.»
In realtà aveva capito, il maniaco, che Diana non avrebbe parlato. Non avrebbe parlato e lui la conosceva bene quella sensazione: sapeva come ci si sentiva a non potersi fidare di niente e di nessuno. Ma questo lo omise per preservare la sua sanità mentale – altrimenti Lily avrebbe cominciato a guardarlo strano.
«Allora? Vuoi parlare? Giuro che ti spacco la faccia se rimani in silenzio!»
«Che cosa. Vuoi. Che ti dica?!» Sibilò l’altra. La gola bruciava, la pelle tirava e il cuore pompava a una velocità indicibile, tanto che lo sentiva rimbombare in testa. «Non sono affari tuoi. Non sono affari vostri. Non è-!»
«E secondo te, è normale lasciare Nypha da sola?! È stata avvelenata! E tu non c’eri!»
Eve fece un passo avanti, come a volersi frapporre tra le due, ma non servì. Non servì perché fu Lily stessa ad arretrare. Sbiancò e immerse le mani tra i capelli mentre ciondolava da una parte all’altra come in preda alla confusione più totale. «Cosa cazzo ti è preso?!» Sbraitò poi, più incazzata di prima.
Il suo linguaggio del corpo diceva altro. Era incazzata con Diana. Era incazzata e spaventata... da se stessa? «Anche io ho i miei problemi ma non mi metto certo a tradire così i miei amici!»
Diana la guardò quasi schifata. «Noi saremmo amici? E in base a cosa, esattamente?»
«Se tu non te ne stessi sempre da sola capiresti!»
«Non conosci né me e né la mia situazione! Fammi un favore e taci!»
Lily quasi si strappò delle ciocche di capelli dal nervoso. «Come cazzo fai a essere così... così stronza?! Hydra ti ammazzerà e io non ti aiuterò, sappilo! Perché ha ragione!»
«Oddio, questo giorno va segnato sul calendario!»
«Nessuno ti ha mai chiesto di aiutarmi!»
Ok, ora basta. Eve fece un passo in avanti e si frappose – questa volta davvero – tra loro. «Dateci un taglio! Sembrate due ragazzine isteriche, porca miseria!»
Lily tremò e decise di concentrarsi su altro, sui respiri. Sì. Forse è meglio. Uno. Due. Tre. «Cinque. Otto. Quattordici. Ma ti senti?» ‘Fanculo, tu!
«Urlare non vi farà sentire meglio! E nemmeno picchiarvi, se l’aveste anche solo lontanamente immaginato...!» Continuò a dire Eve, spaventata a morte all’idea di una loro reazione violenta. Poteva davvero evitare che si saltassero addosso? Lei?
Perché cazzo non l’ha chiesto a Niv?! Lui sì che ci sarebbe riuscito!
«Quindi…» Sentenziò. «Facciamo un bel respiro profondo e proviamo a calmarci. Tutte e due. Intesi?»
 

 
§
 


Alla fine, si erano accampate lì vicino. A causa del mal di testa, Diana non riusciva a camminare dritta e sentiva ancora il forte rumore dell’esplosione fischiarle nelle orecchie.
Eve aveva raccolto delle pere in giro, mentre Lily aveva acchiappato una lepre. Il dolce scoppiettare del fuoco faceva da sfondo ai suoni della notte, allo stridio delle civette e al sibilare del vento. A nessun altro suono. Erano rimaste in silenzio per ore – Eve stava per dare di matto, davvero. Poi, avevano “parlato”.
Un po’. Meno di un po’. Lily aveva passato la coscia di lepre a Diana limitandosi a fissarla come il peggior male esistente ma senza ringhiarle contro. Un ottimo progresso, pensò Eve. E poi, avevano parlato davvero. Certo, erano volati degli insulti e qualche frecciatina ma erano riuscite a mettere insieme due frasi di senso compiuto senza minacciarsi a vicenda di morte lenta e dolorosa e, soprattutto, senza strillare. Un ottimo, ottimissimo progresso, pensò Eve.
A un certo punto, Lily aveva sganciato una bomba. Una di quelle che fanno sobbalzare e che hanno la capacità di appesantire qualsiasi atmosfera. Aveva gonfiato le guance, decisa a fermare un certo balbettio nella voce, e aveva detto: «Sto cercando di liberare mio padre.» Eve si era appoggiata al tronco di un albero rimanendo in silenzio, mentre Diana aveva smesso di intagliare il legno. «È stato... diciamo che è agli arresti domiciliari. È come se non potesse uscire di casa
Nessuno aveva detto più niente.
Una volta finito di mangiare, Diana sospirò chiudendo gli occhi. Sembrava essere ancora intenzionata a non proferir parola, ma – stranamente – lo fece. «Credi che Kyla sia ancora viva?»
La rossa alzò lo sguardo dal suo taccuino, non potendo credere alle sue orecchie. Le aveva rivolto la parola! E non sembrava né arrabbiata, né infastidita nel farlo. «Sì.» Rispose. «È sempre stata una persona forte e intelligente. Sono sicura che se la starà cavando alla grande.»
«Cosa faresti se scoprissi che non ce l’ha fatta?» Seguì a chiedere.
Lily continuò a mangiare alcune noci che si era portata dietro e, intanto, ascoltava quella bizzarra conversazione. Eve non disse niente, all’inizio. Si limitò a fissare i bordi delle pagine del suo taccuino e le dita sporche di carboncino. «Ne sarei distrutta. Mi sentirei in colpa per non averla accompagnata. E-» Si fermò, prendendosi un attimo per ingoiare il magone formatosi in gola. «E sarei arrabbiata, molto arrabbiata con lei.»
«Perché da morta non potrebbe spiegarti il motivo per cui ti ha abbandonata, giusto?» Messa dinanzi alle dure – ma veritiere – parole di Diana, l’altra annuì. Dopodiché, la più giovane volse gli occhi sulla corvina. «E tu?»
«Io?» Diana annuì. «Io sono sicura che papà stia bene. Niente e nessuno può ucciderlo. Paradossalmente, là dov’è rinchiuso non ha nemici, solo alleati.»
«E se non dovessi riuscire a liberarlo? Se non dovessi rivederlo mai più?»
Lily sbuffò rumorosamente. «Perché diamine fai queste domande? Che ne so!»
«Pronto? Sa. Sa. Prova. Mi senti, piccola samurai?» Diana corrucciò la fronte e arricciò il naso. La voce di Orias, che normalmente alle sue orecchie arrivava in una strana lingua incomprensibile, questa volta suonava chiara e diretta. «Io lo so cosa farebbe Lilì. Impazzirebbe. D’altronde lei è la cocca di papà.»
«Ma perché devi sempre rompere le palle?!» Sbottò la corvina.
Eve richiuse il taccuino proprio in quel momento. «Ehi, ehi. Io non ho il super potere di Diana, non sento niente. Che dice lo squilibrato?»
«Dice che è la cocca di papà.» La Dragon Slayer indicò Lily con un leggero movimento del mento. Si beccò un’occhiataccia che ignorò volutamente, tornando subito seria. «Anch’io sto cercando una persona: Lucas, mio fratello minore.»
La rossa incrociò le gambe e si sistemò meglio contro il tronco d’albero. «È qui a Damocles?»
«Non ne sono sicura.»
Lily storse la bocca. «In che senso?»
«Nel senso che non so dove sia di preciso. Io... riuscivo a sentirlo prima. Sentivo la sua voce quando mi addormentavo... eravamo connessi. Ma poi tutto è diventato ovattato, in concomitanza del casino che è successo qui.»
Oh, wow. È la frase più lunga che io abbia mai sentito uscire dalla sua bocca, pensò Eve. Al che, Diana le lanciò un’occhiata come per dire “E ti sembra il momento di notare una cosa del genere?”.
«Fammi capire, è per questo che sei qui?» E ancora, Diana annuì. «E perché-»
«Perché avevo sentito pronunciare il nome- il nome di-» Scosse la testa, arricciando il naso. E di nuovo – le fiamme, il fumo, il sangue, il silenzio... «Dyaspro
L’espressione di Eve mutò quasi subito: si fece stranita e schifata al tempo stesso. «Aspetta... credo di conoscerlo.»
«E sarebbe?» Domandò Lily, oltremodo incuriosita dalla faccenda.
Ma Diana scattò sul posto e nei suoi occhi aleggiava sempre di più una paura indescrivibile. «Come fai a conoscerlo? L’hai visto di recente? Dove?!»
Eve si sbrigò a mettere le mani avanti. «Ehi, calma! L’ho visto una volta sola e parecchi anni fa ma non ricordo granché. Cercava delle informazioni... ma non ricordo qual- ah, certo. I Fonì
Il cuore di Diana mancò un battito.
«Ne sembrava ossessionato. Così tanto che il Ma- ehm, che... che è stato allontanato dalla città. Già.» Il Master s’è incazzato per i suoi modi e l’ha cacciato, tanto che quasi ci rimettevamo tutti la pellaccia! E a proposito... «Tu sei una di loro? Il tuo nome è Diana Fonì, giusto? Non dirmi che cercava te...»
Lei annuì impercettibilmente, abbassando gli occhi sul fuoco scoppiettante davanti a lei.
Successivamente, fu Lily a prendere parola: «E che vuole?»
«Due cose. Vendetta. E la Magia della Comprensione Sensoriale
«Cosa potrebbe farci con la tua magia oltre che farsi venire un mal di testa allucinante?»
Diana le lanciò un’occhiata scettica. Era ovvio che Lily non si aspettava davvero che la sua abilità facesse solo quello. Voleva farla parlare. Voleva stuzzicarla, spronarla.
E Diana decise di assecondarla, questa volta. Non seppe perché. E, forse, nemmeno in futuro avrebbe potuto spiegarselo... ma lo fece. Si aprì quel tanto da permettere loro di capire la sua situazione. Per una volta, voleva avvicinarsi a qualcuno. Voleva fidarsi. Una piccola, piccolissima parte di lei non voleva più lottare da sola. «È un’abilità innata che, come avrete capito, mi permette di percepire anche il più flebile dei rumori. Lo stesso vale per i pensieri delle persone attorno a me. La Magia della Comprensione Sensoriale mi fa percepire l’energia psichica, la vita che alberga in ogni essere vivente.» Fece una pausa. «Se volessi, potrei persino... connettermi con loro. Potrei comprendere le emozioni, vedere i loro ricordi. Potrei arrivare addirittura a deviare il flusso psichico di una persona.»
Eve assottigliò le labbra prima di chiedere: «E cioè?»
Diana non osò guardarla negli occhi. Era già doloroso percepire i suoi pensieri straniati da quello che stava dicendo. «Potrei controllarla. Potrei spingerla ad agire diversamente da come farebbe.»
«Perché parli al condizionale? Puoi farlo o potresti farlo?» Lily, invece, aveva gli occhi fissi su di lei. Indecifrabili. Eppure, i suoi pensieri erano tanto limpidi da far paura.
«Ora come ora non ne sarei fisicamente in grado. Costerebbe uno sforzo immane. E poi... non lo farei mai. Perché è questo che Dyaspro vuole fare con questa magia.» Spiegò, sdegnata. «Non mi abbasserò mai e poi mai al suo livello.»
«Anche tuo fratello possiede questa magia? È per questo che lo stai cercando così disperatamente?»
«La Magia della Comprensione Sensoriale ci unisce. Come ho già detto, prima eravamo connessi tramite i nostri sogni e riuscivo a sentire la sua voce. Ora non più.»
Lily annuì. Non voleva sapere altro. Semmai Diana avesse voluto dirle di più, non si sarebbe tirata indietro. Per il momento poteva bastare. E giurò a se stessa che mai – mai – avrebbe permesso che un’altra famiglia, per quanto composta da sole due persone, venisse inesorabilmente distrutta.
Certo, era ancora arrabbiata con lei e avrebbe voluto tirarle un pugno sul naso.
Non c’erano scusanti e non ce ne sarebbero state nemmeno davanti a Hydra cui non fregava un cazzo di conoscere le sue ragioni. Era incazzato. Molto. Moltissimo.
«Dicevo sul serio quando ho detto che non ti avrei aiutata.» Sentenziò Lily, duramente.
 
 
 
§
 
 
 
Diana aveva sette anni quando lei e suo fratello divennero orfani.
E dopo due anni trascorsi in orfanotrofio, Lucas era stato adottato e portato via a sua insaputa – la direttrice aveva orchestrato tutto affinché non sorgessero intoppi durante l’affidamento. Naturalmente, lei non aveva preso affatto bene la cosa.
Diana era molto legata a suo fratello – si era presa cura di lui quando i loro genitori erano rimasti uccisi.
Ora, le era stato portato via. Non sapeva dove fosse finito: i suoi nuovi “genitori” erano spesso costretti a cambiare città per lavoro... di conseguenza, non era stato semplice nemmeno capire se sarebbero rimasti in zona. Anche Diana venne adottata, tempo dopo.
E no, non aveva preso affatto bene nemmeno questa. Non riusciva proprio a concepire il fatto di essere diventata loro figlia. Per Diana era impossibile.
I suoi genitori erano morti; quei due, Giovanni e Monica, erano soltanto degli estranei. A causa loro si era allontanata ancora di più da Lucas, era finita al villaggio di Levante. A causa loro aveva dovuto cambiare cognome in Valentine.
Li odiava. Odiava vivere in un villaggio di mercanti e odiava Monica. Non faceva che rimproverarla. Non faceva che andarle contro. Diana voleva ritrovare Lucas. Voleva stare con lui. Perché non lo capivano? Perché Monica cercava di distoglierla da quel suo desiderio? Nemmeno Giovanni, che era il più mansueto ed empatico dei due, riusciva a capirla?
Lei non li considerava i suoi genitori. Non poteva. Non ci riusciva. Eppure, qualche volta, avrebbe voluto. Avrebbe voluto urlare a gran voce «Papà!» quando di notte veniva svegliata dagli incubi. Avrebbe voluto voler bene e apprezzare quei piccoli momenti di felicità che Monica era solita regalarle. Come quando le permetteva di mangiare due o tre quadrati di cioccolato. Il suo preferito.
O come quando cercava di passare più tempo con lei, sforzandosi di non comprare il suo affetto con regali costosi ma con l’amore di una madre. No. Diana era stata davvero un egoista.
Non aveva saputo accogliere i coniugi Valentine nel suo cuore e non aveva saputo dire loro quanto li avesse amati, nonostante tutto. Avrei dovuto ringraziarli. Ma quando se n’era resa conto era ormai troppo tardi. Erano morti anche loro. Era rimasta sola. Di nuovo.
Prima i suoi genitori biologici. Poi suo fratello. Poi Monica e Giovanni.
Pare proprio che sia il mio destino...
 
 
 
[Inizio Flashback]
 
 

Il villaggio era avvolto nel silenzio e nelle fiamme e Diana si sentì mancare la terra sotto i piedi. Le gambe si mossero da sole e passo dopo passo, ansimo dopo ansimo, si ritrovò davanti la casa che l’aveva accolta come membro della famiglia.
Le fiamme dallo strano colore arcobaleno avanzavano voraci e lei fu invasa da una strana paura. Sgusciò dentro evitando che le lingue di fuoco la sfiorassero anche solo per sbaglio. L’aria era densa, pregna di fumo e gli occhi lacrimavano a causa delle esalazioni e del terrore. Udiva un fischiettio in lontananza, una canzoncina lugubre e quasi tossica che la costrinse per un attimo a tapparsi le orecchie e sperando di riuscire a sostituire quel suono con la voce allegra di Giovanni, con il tono duro di Monica – lo stesso con la quale era solita rimbeccarla.
Non servì nemmeno che varcasse la soglia del loro studio: erano riversi nel mezzo del corridoio, l’uno sopra l’altra. E Diana registrò il sangue, il silenzio e tutto le fu chiaro.
«No- No.» Balbettò, incolore. Non può essere. Non di nuovo. «No, no. No. No. -o.»
Perché continuo a perdere tutti quelli che amo? Perché?!
Cadde in ginocchio e scoppiò inesorabilmente a piangere, tossendo per il fumo e singhiozzando di dolore. E avrebbe continuato per minuti interi, avrebbe continuato fino a farsi mangiare dalle fiamme ma quel fischiettio si era fatto più vicino e Diana tremò di paura nell’accorgersene. Era stato lui. La sua era l’unica voce; una voce acuta e gracchiante. Era lui il responsabile di quel massacro!
E- E sta cercando me?! Pensò, sentendo il sangue gelare.
Si rialzò a fatica, si avvicinò ai corpi ormai esangui di Monica e Giovanni e, immersa nella paura più nera, si infilò sotto di loro, tremante come una foglia. Udì i passi farsi sempre più vicini, nascose i piedi e le mani sotto quelle più grandi di Giovanni mentre i capelli s’impregnavano del sangue di Monica, denso sul pavimento.
Diana ingoiò un singhiozzo e strizzò gli occhi, premendo la fronte contro il legno sporco e dall’odore nauseante. E poi eccolo, l’uomo che aveva causato quell’insensata carneficina: lo sentì fischiettare in piedi, a pochi passi da lei, lamentandosi del fumo che gli impediva di tenere gli occhi ben aperti.
Lo sentì. Sentì i suoi più torbidi pensieri, ciò cui aspirava. E Diana si sentì morire dentro.
No. Non gli avrebbe permesso di mettere le mani sulla magia della sua famiglia. Non gli avrebbe permesso di fare niente. L’avrebbe ucciso. Prima o poi l’avrebbe ucciso e vendicato la morte di Monica e di Giovanni. Sarebbe sopravvissuta, si sarebbe ricongiunta con suo fratello e poi l’avrebbe ucciso.
Sì. Farò così. E, piena fino all’orlo di odio e disperazione, Diana sgusciò via dal suo nascondiglio. Uscì. E salutò quella che era stata la sua prima e vera famiglia.
Un posto che, in fin dei conti e senza che mai se ne fosse accorta, avrebbe potuto chiamare casa.
 
 
 
[Fine Flashback]
 
 









 





 







 
 



Questa volta ci ho messo proprio poco, eh? ^^

Salve a tutti! Scusate se sarò breve ma c’ho sonno. È quasi l’una di notte e non sono più abituata a questi orari. Dunque.

Rehagan e Killian riescono incredibilmente a uscirne vivi. Wow. Nypha si è svegliata. Dai, almeno una gioia. Hydra è incazzatissimo. E c’hai ragione pure tu – Lily confirmed. Diana ci racconta un po’ di cosucce interessanti. Eeeee… Killian, ma cosa mi combini?! Oh, e non scordiamoci che... Hydra è incazzatissimo.

Secondo voi ci scapperà il morto? Ah, boh.

HOON ► https://pm1.narvii.com/6177/cb4303c2c3bf7f8c89e7a02b544da3a24cf37a46_hq.jpg

ROWEENA ► https://static.wikia.nocookie.net/881d3025-2747-48a7-959b-ec139ef98052

Curiosità n.25 ► Già. Betty sta per Macbeth, protagonista dell’opera di Shakespeare, “Macbeth”.


A ‘sto giro nessuna doppia curiosità. Abbiamo un piccolissimo spoiler!

 

 
Aperta la porta, tutto si aspettava tranne che trovarsi un Royal perfettamente in salute. «Ehilà!» Esclamò a tutta voce.
Se era sorpreso, Alastor non lo diede a vedere. «Come mai non sei morto?»


 


Non è abbastanza, eh? Ooook.
 



Alastor si recò in ospedale controvoglia.
Innanzitutto, non aveva mai avuto un sano rapporto paziente-medico con nessuno di loro – tutti, i più anziani e i praticanti, l’avevano infine mandato al diavolo a causa delle sue manie infondate e della sua testaccia dura che lo obbligava a stare sempre solo, chiuso in uno scantinato.
E poi, semplicemente, odiava andarci. Odiava avere nel naso l’odore del disinfettante. Odiava essere circondato da persone che indossavano costantemente un camice bianco, lucente, tanto da accecare i suoi poveri occhi.
Alastor si recò in ospedale e come prima cosa, andò a cercare Wiles. Per trovarlo, bastava trovare la stanza assegnata alla loro compagna di gilda che dal giorno dell’attacco non aveva ancora aperto gli occhi. «Novità?» Domandò, stanco.
«È già un miracolo che sia viva, dicono. Che si svegli pure è improbabile.»
«Mh.» Lui non era mai stato uno di molte parole, vero. Ma sapeva quanto Wiles ci tenesse a quella ragazzina. L’aveva vista crescere, le aveva dato un tetto sulla testa perché mandarla a vivere con quei due stralunati di Killian e Lily non poteva essere considerata una valida opzione e Royal gliel’aveva mollata conscio di quanto fosse bravo a trattare con i bambini.
Wiles era diventato uno zio, un cugino, un fratello maggiore.
«Se penso che quello stronzo è riuscito a scappare mi sale il sangue alla testa...» Sibilò.
«Royal?»
«Nella sua stanza. Lo dimettono stasera.» Alastor alzò un sopracciglio; al che il biondo si affrettò a spiegare: «Il caporeparto vuole che se ne vada oggi stesso.» Leggesi: lo sta cacciando.
Il bibliotecario non aggiunse altro. Osservò con occhi stanchi la figura di Ella distesa su quel letto e attorniata da una serie di macchine; aveva il viso pallido e scavato, i capelli spenti... sembrava morta.
 



 


Come se i traumi non fossero già abbastanza, eh?

DOMANDA (che forse quest’anno ci scappa anche il regalino a tema natalizio ^^): il vostro OC cosa pensa del Natale? L’ha mai festeggiato? Almeno sa che cos’è?

 
Alla prossima!
 
Rosy
  
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