Sei Nato Per...
Marco Antonio, sei asserragliato da Ottaviano e il suo esercito, ti hanno circondato da Occidente e da Oriente. La tempesta di sabbia sollevata dai piedi dei soldati incombe, adesso è visibile perfino da dove sei tu.
Sai che non c'è più tempo.
Devi uscire, non attendere quel minuto.
Devi lasciare uno dei punti più alti del palazzo reale, in una stanza che ha echi di baccanali, consapevole che non appena impugnerai la tua unica ragione di vita, la spada, la vita ti lascerà.
Hai passato l'ultimo anno ad allontanare l'avvenimento; hai giocato, festeggiato, ti sei ubriacato, hai amato.
Ora si combatte e si combatte per morire, perché nella terra di Roma non ci possono essere altre persone oltre Ottaviano. Lo hai capito, in fondo, anche quando Lepido è stato destituito e te ne è arrivata notizia.
E hai le truppe dimezzate e hai le navi distrutte, e hai la flotta militare che farebbe ridere il nemico quasi quanto adesso lo fa ridere il tuo nome.
Non c'è una vittoria perché quelle da prendere sono terminate, rimane solo l'amarezza. Disertano gli eserciti, gli amici non possono più definirsi tali, ma non hanno nemmeno torto, perché sai, Marco Antonio, che hanno ragione ad averti abbandonato; sai che li hai delusi troppe volte, l’emblema di questo tradimento sono i trionfi celebrati ad Alessandria, privati a Roma.
La sconfitta subita a causa dei Parti, la disfatta ad Azio, i soldati abbandonati, l'ennesimo tranello al porto nel quale sei caduto.
Lo mormoravano i Cesariani alle tue spalle, e quelle parole strappate al vento ti sono giunte sino all'orecchio. Dicevano che non eri grande, non abbastanza, il carisma per la singola battaglia è insufficiente per guidare una guerra intera. E ora quelle voci hanno ragione, lo senti forte lo spettro della mano di Cesare sulla spalla.
Per seguire la tua regina, sei passato sopra alla morale. Irretito dallo splendente raggio, sei finito col morire carbonizzato dal sole dorato di Roma.
L'hai ancora, non è vero?
Lo senti nelle narici: la puzza del catrame infuocato, delle assi incenerite, delle vele che da bianche sono diventate nere.
Non ti abbandonerà mai l’odore dell’orgoglio in fiamme.
Non lo farà alla notte, non lo farà al giorno: ci conviverai fino a che l'ultimo granello di sabbia della tua clessidra non avrà toccato il fondo.
Lo sogni, quel fallimento, e lo sognerai, e continuerai a farlo fino alla fine dei tuoi giorni.
Sei nato per inseguire il calore. Il calore della tua Roma, il calore delle cosce di una donna, il calore dell'Oriente, il calore dell'Egitto, del deserto, del tuo ultimo faraone, della tua flotta che va a fuoco.
Fino a quando non è stato il calore col frutto delle sue fatiche a seguire te: i lapilli che ti sono caduti sul mantello trasportati dal vento beffardo. Lo hai ancora quel mantello che per giorni è stato infangato sulla prua della tua nave, tra vomito, sangue, cenere e mare.
Non lo indossi più, non puoi farlo. È destinato a essere gettato via, perché non c'è più onore in quel tessuto sul quale i soldati sputerebbero volentieri.
Sei finito. E qualcuno ti chiama per invitarti ad andare.
Stringi l'elsa della spada e ti incammini verso una battaglia che non è da vincere, ma solo da fare.
Sei morto una volta attraversata quella soglia.
Note dell’Autrice
Questa storia è stata pubblicata da me prima su un’altra piattaforma, adesso qui su EFP.
Ho scritto di Marco Antonio perché la sua storia mi ha dato emozioni che sto cercando di buttare fuori.
È complicato, ma è un uomo che ha toccato l'apice e che sta vedendo quello stesso apice ridursi in niente. Da uomo più potente di Roma a soldato che cade.
Nel leggere di lui tramite il libro “Cleopatra” di Alberto Angela, ho sentito cose che ho bisogno di espellere e allontanare da me, per restituirle al personaggio.