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Autore: Mirella__    29/09/2023    10 recensioni
Raccolta di 3 Shot su Cleopatra e Marco Antonio.
La prima riguarda: Un momento rubato alla storia, immaginato tra le sabbie del deserto con Marco Antonio e Cleopatra. Ottaviano incombe su di loro come una minaccia costante, ma i due festeggiano la vita fino all'ultimo granello che la loro clessidra gli concede. Vediamo l'ultimo dei vizi senza la totale certezza di una disfatta definitiva.
La seconda riguarda un momento di Marco Antonio dopo la battaglia di Azio.
La terza riguarda la morte di Marco Antonio.
La Shot "Che la sabbia beva l'ultimo sorso di rosso" è arrivata Terza al Contest “Le quattro stagioni si raccontano” indetto da elli2998 e Inchiostro_nel_Sangue sul forum di EFP”
Questo testo partecipa agli "Oscar della Penna 2023", del quale ha avuto una nomination in "Migliore Fotografia".
Genere: Angst, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Antichità, Antichità greco/romana
Capitoli:
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N.D.A.:
 

La storia ha come protagonisti principali Marco Antonio e Cleopatra ed è ambientata a poche settimane prima dell’ultima battaglia che decreterà Ottaviano vittorioso dopo le guerre civili che hanno investito Roma dalla morte di Cesare.
Ho ritagliato questa finestra temporale senza attenermi a qualcosa di effettivamente accaduto e documentato, ma piuttosto concentrandomi a mantenere la cornice storica e limitandomi a inventare un aneddoto durante un periodo di pausa. Non ho la pretesa di riportare fatti o avvenimenti storici nella loro precisione, ma piuttosto di riprenderli per darvi una visione prettamente artistica e fantasiosa, quindi vi prego di perdonare le mie licenze poetiche.
Il perdono, però, non implica l’assenza di critica, tutt’altro! Correggete ogni errore che trovate, storico e non, così che io possa imparare e migliorare. Questa storia è candidata agli Oscar della Penna 2024 sul forum "Ferisce la penna".

 

“Questo testo partecipa al ContestLe quattro stagioni si raccontano” indetto da elli2998 e Inchiostro_nel_Sangue sul forum di EFP”.

 

Contenuto del pacchetto Estate:
- Genere: storico.
- Condizione meteorologica: cielo notturno limpido e stellato.
- Oggetto: sabbia.
- Frase: C'è qualcosa di magico nell'incrociare i nostri sguardi sotto il cielo stellato.

 

 

Che la sabbia beva l'ultimo sorso di rosso


 

Quali sono i colori di Cleopatra?

Potrebbe essere l’oro più caldo, torrido, nel quale è nata. L’Egitto è la patria della ricchezza, del grano e delle messi, delle spezie, del commercio. È la patria del mistero, delle civiltà sparite tra le sue stesse dune. È la patria dei Deserti, è la patria degli Dèi.

Quali Dèi? Quelli Greci o quegli Egiziani? Lei che è discendente di Tolomeo, ma legata alle sabbie del suo mondo, ha scelto entrambi. Prega Iside grazie ai fiori di loto per soggiogare gli uomini con il destino, ma si veste di Afrodite per irretirli.

E poi il blu del mare. Ha una flotta pachidermica, le sue navi sono ricamate d’oro da prua a poppa, lungo la chiglia, le vele sono tinte di porpora. Ha i migliori carpentieri, i marinai più esperti; il Faro, il più grande del suo Tempo, grazie al quale da Alessandria il mondo parte e ad Alessandria il mondo torna. Alessandria fa battere il cuore molto più di Roma e degli uomini di Roma cattura l’interesse e le smanie.

Oppure è il nero? Il kajal che le copre gli occhi per proteggerli dal sole e che dona loro quella forma ferina che tanto l’aiuta nel gioco della seduzione di cui la fanno portavoce?
 

C’è qualcosa di magico nell’incrociare i nostri sguardi sotto il cielo stellato

Ah.

Ci sarebbe anche un’altra domanda da farle. Se magari non sia il verde dei colli di Roma, il suo colore. Una città che incombe su di lei, nei suoi sogni e incubi, sui suoi figli. Un mostro più grande persino del suo Regno. Intanto ne ha uno, dei figli di Roma, al fianco, che guarda all’orizzonte con un assai dolce rammarico. Smielato, indubbiamente smielato, sino all’eccesso. Eppure è l’eccesso che Cleopatra ama, nel quale è cresciuta, col quale ha conquistato e col quale, suo malgrado, è stata conquistata. Quindi si lascia scappare un sorriso sardonico che fa intendere il suo sottostare a uno dei capricci di Marco Antonio, ora che sono tanto rari.

È affascinante il modo in cui attorno alle sue labbra si formino pieghe di una donna che sta raggiungendo il culmine della sua bellezza, l’ultimo fascino prima di divenire qualcos’altro. Non un’anziana signora, questo lei lo sa. Non è nata per vedere i suoi nipoti e nelle viscere della sua anima ne è sempre stata certa a tal punto da averlo cullato quel dolore e inglobato fino a farlo sparire. Non è nata nemmeno per vedere i suoi figli sposarsi, con questo invece ci ha dovuto scendere a patti. Lotta per mandare Cesarione in India, lontano da Roma, lontano dal nemico. Lotta per tenere gli altri tre figli sul trono d’Alessandria, ma sente che Ottaviano, dall’altra parte delle sponde mediterranee, è lì per romperle le mani e impedirle di chiudere i pugni ancora.

È l’ultimo mese, quella che si sta godendo con Marco Antonio, e ne è tragicamente consapevole. Amano gli ultimi debolissimi stralci di una pace che non vedranno più. Cleopatra combatte nella disperazione, come sta facendo anche il generale al suo fianco, che è giunto alla vecchiaia; sono fiaccole che lentamente si spengono, rese vigorose solo dai loro stoppini fin troppo vicini.

E sono passati i minuti dalla domanda di Antonio, ma Cleopatra non è mai stata avvezza a rispondere immediatamente, quando non è necessario. Perciò si prende il suo tempo, lasciandolo appeso in un gioco al quale entrambi sono abituati. Poi si volta e il suo viso riverbera in modo perlaceo il bagliore delle stelle: sembra benedetta da Helios in persona, o da Serapide? Ed è musica, il modo in cui parla. La sua voce è dolce, incantevole, un’arma.

“Tu sei il mio Dioniso e io sono la tua Afrodite. Non sono le costellazioni che brillano luminose a rendere magico l’incontro dei nostri sguardi, siamo noi”

Marco Antonio si lascia cadere all’indietro ed è con un tonfo che la sua schiena si poggia alla duna di sabbia. È vestito di una sottile ed elegante tunica di un bianco opaco, intervallato negli orli da sottili filamenti d’oro che ben si sposano con la carnagione ambrata. E pensare che ha sempre preferito l’armatura per camminare tra le strade di Roma, adesso la sente come un’onta, non riesce più ad indossarla da quando ha battuto in ritirata con la Regina ad Azio. Non ha più i riccioli virili con cui Cleopatra lo ha conosciuto, si stanno spogliando d’ogni traccia di castano, cedendo il posto al grigio. È un uomo maturo, sul suo volto i segni delle battaglie hanno inciso, scavando i bei lineamenti, erodendoli con cattiveria. Marco Antonio è stato un bell’uomo, sì, ma la vita gli ha dato troppe sconfitte e, piegato, ne sta pagando ogni conseguenza.

L’ultima battaglia che ha combattuto è diventata il suo incubo. Però l’ombra del politico che è stato, del grand’uomo che ha dominato Roma e il suo Oriente non lo ha abbandonato del tutto, né la verve in grado di renderlo acuto abbastanza da rispondere al Serpente del Nilo, come amano chiamarla nella Repubblica ormai destinata alla distruzione. Adesso è il suo turno di rispondere al sorriso, sostenendo lo sguardo della Regina in un gioco che tra loro non ha mai smesso di venire meno e che forse, a quel punto, è divenuta l’unica cosa che li tiene in vita, l’ultima ricchezza, della quale - hanno la certezza - non saranno mai derubati.

Fugge dagli occhi della sposa, li volge al cielo limpido, sgombro di ogni nuvola come solo lì può essere e si sente un punto così piccolo e insignificante quando si perde tra il bagliore ora di una stella, ora di un’altra... Della sabbia che si incunea tra i boccoli non ne fa peso, così come non fa peso di quella che si mette sotto le unghie. È molto più sottile la sabbia del deserto rispetto a quella dei campi di battaglia in cui è stato, più insidiosa.

“Mio Faraone,” calca le parole di proposito, il Generale, suscitando in Cleopatra dolcezza in petto. “Riuscite a essere romantica, una buona volta? Senza creare un battibecco. Vi prego di afferrare le parole d’amore, che vanno prese e lasciate per quello che sono”

Cleopatra si è mano mano incupita, non per ciò che Marco Antonio ha detto, ma perché nell’osservarlo si è resa conto di quanto quell’uomo appartenga all’Oriente, di quanto Roma in lui abbia vividamente attecchito per poi appassire inesorabilmente, di come le scelte che ha fatto lo abbiano portato da lei. Il Faraone gioca con la sabbia, la fa scorrere tra le dita, adagiandosi anche lei sulla duna e disegnando ghirigori attorno alla sua figura. Quante volte lo ha fatto da bambina? Il tappeto su cui stendersi è adagiato in un angolo, inutile.

Un vento caldo viene da sud, ma è dolce, carezzevole e lenisce il gelo notturno dai quali gli amanti sono riparati grazie a un fuocherello innocuo, che scricchiola e scoppietta, rassicurante. Si sono allontanati da Alessandria alla ricerca di un’oasi di pace, ma non possono stare via a lungo, devono rientrare, riorganizzare i soldati e le legioni, occuparsi dell’ultima resistenza. Marco Antonio è fuggito con lei nel buio, di nascosto per non farsi vedere dalla gente, entrambi troppo importanti per mostrarsi in pubblico.

“Se mai una volta in vita mia io ti ho fatto l’onore di lasciarti proferire parole, è stato per darti l’illusione di avere la forza di dire cose in grado di adularmi”

E con queste ultime parole, Cleopatra è fiera, convinta di aver vinto. Marco Antonio, nell’impeto del desiderio, la afferra per la vita e la sormonta senza il minimo sforzo, al che, Cleopatra, guardandolo dal basso, si scioglie in una risata genuina che lo contagia. Ridono entrambi, ridono tanto, ridono fin troppo, tanto che le costole iniziano a dolere. L’ultima scintilla.

E poi qualcosa cambia nell’aria, il sussurro degli dèi. Un gruppo di uomini si sta avvicinando loro, i volti incappucciati, armi alla mano. Nel temere un attacco nemico, Cleopatra e Marco Antonio si alzano e vengono da subito circondati dalle loro guardie, efficienti come sempre nella loro protezione. Sono sette uomini, quelli venuti all’attacco, contro quattro. Una delle guardie reali passa un gladio a Marco Antonio che lo prende e si fa avanti, come il generale che è.

“Rivelatevi”

E quegli uomini, venuti da chissà dove, guardano ai loro avversari, nei loro occhi scintilla la follia che Ottaviano ha incuneato nelle loro menti con pazienza e astuzia. Gli Alessandrini sanno che stanno per essere rasi al suolo e non vogliono vedere i loro campi ancora invasi, la loro situazione peggiorare ancora e ancora. I sicari attendono nell’ombra e pensano che portare la testa della regina al romano sia un modo per rabbonire Ottaviano. E si sbagliano. Perché nessuno sa come funziona Roma, se non i romani stessi e da folli senza speranza quali sono, questi uomini alzano i pugnali arrugginiti, le spade dal filo eroso, e battono su scudi che sembrano del cuoio più debole.

Il ferro affonda, la lama si bagna di rosso, urla di terrore, preghiere a dèi antichi, e alla fine le dune che si impregnano di vita, una vita che ha lasciato i corpi degli assalitori, tranne che per una. Marco Antonio arretra, la tunica tagliata, ora il carminio gli copre il bianco di cui è vestito. Uno dei disperati, l’ultimo in vita, si alza, ancora claudicante, leva la lama verso di lui che non si fa atterrire o difendere dal resto delle guardie. Affronta l’uomo come avrebbe fatto un qualsiasi gladiatore in arena, uno schiavo venuto dai borghi più bassi di Roma, armato di nient’altro che del pilum più danneggiato. Lo esalta il fatto che un solo errore possa farlo precipitare verso il nero assoluto.

La lama dell’avversario fischia a un centimetro della sua gola, ma lo manca e lo fa di molto, tanto che Marco Antonio si infervora nel constatare la differenza d’età col suo assalitore; è giovane e questo significa che è davvero cieco alla ragione: non ha tecnica, dell’arte della spada non sa nulla. Marco Antonio invece è nato col gladio in mano, non ha perso lo smalto, ritrova l’animo del condottiero, si fa avanti e per un attimo sul volto del suo assalitore vede tratti molto più familiari, tanto da farlo diventare nero d’ira.

Sul viso del ragazzo si sovrappone quello di un Ottaviano appena diciottenne, capace di strappargli via le terre, la gloria, il nome, le legioni, tutto! Ogni fottuta singola ricchezza, maledetto figlio di una cagna! Un ragazzino col volto delicato di una donna al quale deve inchinarsi. No, no, no. No! E nell’impeto della furia Marco Antonio lo disarma, quel ragazzo, con un montante che gli fa volare la daga sopra la quale il Generale sputa: l’elsa è istoriata di metalli preziosi, qualcosa di così costoso che nessun uomo del ceto più basso avrebbe potuto avere, l’unica di valore tra tutte le altre armi.

“Non ucciderlo!”

Ordina una voce, ma Marco Antonio non capisce più niente. Guarda solo al nemico giurato, inconsapevole che la follia dell’altro sia entrata anche dentro di lui, il tocco di Bacco che fa ballare due cadaveri per lui, illudendoli di vita eterna. Non c’è un interrogatorio, non c’è niente, soltanto il rumore sordo di un filo che affonda lungo la gola e l’ultimo fiato di chi abbandona la vita. Cleopatra non è irritata dall’ordine inascoltato, ha visto abbastanza battaglie da sapere com’è quando si innesca l’istinto di vita e di morte. E sa quello che ha visto Marco Antonio.

“Seppellite tutti” dice lei, negli occhi scuri il dolore più puro, che parte dal petto e arriva sino alla gola: perché ha riconosciuto quel ragazzo, figlio di Alessandria, figlio di una delle levatrici che ha messo al mondo i suoi, di figli. Nasconde il proprio volto al mondo con una mano, le scende una lacrima. Ha perso, nonostante gli eserciti non si siano ancora incontrati. Il popolo che tanto l’ha amata perché è stata la prima, tra i Tolomei, a parlare la loro lingua, la prima a conoscere perfettamente i loro dèi, a vestirsi alla loro maniera, a celebrare i loro liti… ora la odia e la vuole morta. Tornano ad Alessandria, lasciano il deserto, questo è stato l’ultimo loro giorno di libertà.

  
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