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Autore: Flying_lotus95    01/12/2023    1 recensioni
Torino, 1944.
L'omicidio di un ufficiale tedesco, un uomo in fuga, una donna che cercherà di proteggerlo. Amore e odio, segreti e bugie, guerra e pace, sia dentro che fuori.
[𝘘𝘶𝘦𝘴𝘵𝘢 𝘴𝘵𝘰𝘳𝘪𝘢 𝘱𝘢𝘳𝘵𝘦𝘤𝘪𝘱𝘢 𝘢𝘭 𝘞𝘳𝘪𝘵𝘰𝘣𝘦𝘳 2023 𝘥𝘪 𝘍𝘢𝘯𝘸𝘳𝘪𝘵𝘦𝘳.𝘪𝘵]
Genere: Drammatico, Guerra, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Prompt: Delicato
 

Capitolo 7
Petalo (delicato) 

 

«Hai lo strabismo di Venere». 
Agnese glielo aveva detto un giorno qualunque, trovatisi faccia a faccia a causa del posto angusto in cui si erano nascosti da suo zio Ismaele, sceso in cantina con Romeo per prendere una damigiana di vino.
«Was?!»
Maxime era rimasto interdetto un po' per quella frase buttata lì dal nulla, e un po' per la troppa vicinanza fisica creatasi tra lui ed Agnese. Si sentiva in evidente imbarazzo.
«il tuo sguardo non è simmetrico. La tua pupilla sinistra vira leggermente verso sinistra» aveva continuato lei, appoggiata di schiena al muro, attenta a non muovere le ginocchia e a non spostare le mani dal petto del tedesco. Il cuore gli batteva talmente forte nel petto, che Agnese aveva temuto gli stesse saltando qualche coronaria.
«Ed è una cosa brutta?» chiese Maxime, con occhi sbarrati. Si sentiva emozionato ed inspiegabilmente felice, ma allo stesso tempo provava una forte agitazione, la stessa di quando da bambino si svegliava nel cuore della notte e scopriva di aver bagnato il letto di urina.
Agnese soffocò una risata, portandosi una mano sulle labbra.
«Assolutamente no, non è niente di grave» spiegò la ragazza, divertita dall'espressione confusa e smarrita che aveva messo su Maxime. 
«È un difetto estetico, ma ti dona» continuò, rassicurandolo. Gli prese una spalla e gliela massaggiò con tenerezza. Quel contatto così inaspettato aveva fatto nascere nel giovane tedesco diverse sensazioni, tutte diverse e dissonanti tra loro. 
Un sorriso mite gli era spuntato sulle labbra screpolate e sottili, ricambiando debolmente quello di Agnese, decisamente più coraggioso del suo.
 
Quella era stata la prima volta che Maxime aveva provato l'impulso di baciarla, sfiorarle appena le labbra per scoprire di che sapore fossero, se di dolce e pizzicante cannella o di fresca e profumata fragola.
Probabilmente di entrambe le fragranze, così mischiate tra loro da non riuscire a distinguere l'una dall'altra. 
 
Più Maxime immaginava la forma e la consistenza di quelle labbra sulle proprie, immaginandosele di conseguenza che scivolassero lungo la pelle, le dita, il basso, più un fuoco caldo gli bruciava le viscere, le gambe, la gola…
 
Con la scusa di aver sentito un rumore molesto, prese Agnese e l'abbracciò forte a sé, con un trasporto che neanche verso sua madre aveva mai avuto. 
Agnese sulle prime era rimasta immobile, indecisa se ricambiare quell'abbraccio o meno. Aveva fatto giusto in tempo a sfiorare con le dita la sua nuca accaldata, ad avvertire la consistenza morbida dei suoi capelli biondi sotto le dita, che Romeo era spuntato alle loro spalle, sgranando gli occhi.
Agnese lo aveva fissato alzando le sopracciglia, e con un verso sibilato tra i denti, aveva cercato di fargli capire di non dire niente ad Ismaele. 
Confuso e sconcertato, Romeo aveva eseguito ciò che la ragazza gli aveva cercato di comunicare, senza però andare in panico come al suo solito. Non aveva avvertito pericolo o minaccia come quando era invece in presenza del tenente von Kusserl. Romeo aveva percepito vibrazioni differenti da quella situazione, positive.
Una volta che la cantina fu di nuovo libera - Romeo era riuscito a mandare fuori Ismaele con una scusa arguta - i due erano usciti dal nascondiglio improvvisato, facendo bene attenzione a dove mettessero i piedi per non inciampare.
«Se vuoi qualcosa, la prossima volta vieni a chiederla in cucina come fanno i tuoi compagni» lo aveva rimproverato poi Agnese, per rompere l'impasse che si era creata dopo che si erano fissati a lungo, senza dire una parola. 
Dopodiché aveva smesso di stringergli le mani, non le aveva lasciate un secondo da quando erano usciti dal retro, e si avviò verso l'uscita con una certa fretta.
Maxime si limitò a seguirla con lo sguardo, spostandolo poi successivamente sulle proprie mani. Se le era portate lentamente al naso, aspirando il profumo che Agnese vi aveva lasciato sopra.
Boccioli profumati di betulla e giada gli spuntarono nelle narici. Un profumo delicato, come il tocco della sua pelle e il suono della sua voce. 
Talmente delicato da assomigliare ad una carezza…
 
Maxime aveva riaperto gli occhi, interrompendo quel ricordo che aveva ripreso vita nella sua mente come un carosello, ed una lacrima gli scese lungo la tempia, rigirandosi su di un fianco e stringendosi le braccia e le ginocchia al petto. E nel chiudere nuovamente le palpebre, un nuovo sogno si fece largo, riportandolo indietro, alla sua infanzia, alla sua Germania prima che la scure nazista la tranciasse in pieno…
 

 
▪︎◇▪︎
 

La vita di Maxime in Germania non era mai stata semplice, ma non per questo era stata triste.
Sua madre, Edina, lo aveva cresciuto da sola. Lo aveva messo al mondo intorno ai vent'anni, e di suo padre non ne aveva mai saputo niente. 
Né nel bene, né nel male.
Semplicemente, un padre Maxime non lo aveva mai avuto, né ne aveva sentito la mancanza o il bisogno in tutto quel tempo.
Edina cantava nei locali bene di Stoccarda, era una cantante piuttosto brava e famosa. Maxime si era trovato a guardarla di nascosto tante volte, dietro le tende del palcoscenico, mentre in lui cresceva la voglia di accompagnarla al pianoforte, violoncello o qualsiasi altro strumento utile per seguire al meglio le sue esibizioni.
Aveva un rapporto bellissimo con sua madre, complice, sincero.
Edina aveva fatto di tutto per permettere a suo figlio di vivere bene, studiare, nonostante la disastrosa situazione economica in cui la Germania era sprofondata dopo la Prima Guerra Mondiale.
Per una donna nubile e con un figlio a carico, qualsiasi porta le veniva sbarrata a prescindere, e avere un carattere remissivo e docile era di per sé una condanna a morte. La sua fortuna, e allo stesso tempo condanna, era stata l'essere figlia di una famiglia molto influente, vicina alle conoscenze del Führer. Questo in parte aveva permesso alla donna di poter avere un'entrata economica sicura, a discapito comunque delle maldicenze nate intorno alla sua condizione.
Edina aveva riposto tutta la poca forza che aveva in suo figlio, sua unica ragione di vita. 
Maxime l'aveva sempre paragonata ad un petalo delicato, leggiadro ma inspiegabilmente resistente alle raffiche di vento e agli scossoni duri della vita. 
O almeno, questo era il punto di vista di un figlio verso l'unica figura genitoriale che possedeva.
Maxime era cresciuto circondato dalla musica, era stata come una seconda madre per lui, una sorta di Heimat a cui sentiva irrimediabilmente di appartenere, in tutte le sue sfaccettature.
Aveva accompagnato i suoi passi fin dalla più tenera età, fino a condurlo davanti alla porta del conservatorio, che Maxime aveva varcato senza alcuna esitazione, come benedetto da quella vocazione che Edina gli aveva trasmesso con ogni carezza e premura.
Col pianoforte era stato subito amore a prima vista, il sax il secondo, seguito dal contrabbasso e il clarinetto. Maxime era stato così affamato di arte e di bellezza che qualsiasi cosa apprendesse, la riproduceva poi con entusiasmo e ardore.
La bellezza e la vitalità di quegli anni, però, vennero spazzati via con l'avvento del potere nazionalsocialista.
Maxime vide il suo mondo cambiare poco a poco, ma drasticamente.
La musica che tanto aveva amato suonare, ascoltare e ballare era diventata improvvisamente minaccia, strumento da accantonare per non deviare le menti ad abbracciare culture che non fossero neanche lontanamente compatibili a quella ariana. 
Libertà, amore, sogni: dall'ascesa del Führer al potere tutto doveva passare sotto la censura del partito. 
La cosiddetta "musica dei neri", lo swing, il blues e il jazz, fu bandita da qualsiasi locale, assieme alle opere d'arte e ai libri che secondo il regime avrebbero indottrinato negativamente la gioventù, che doveva essere votata alla grandezza della Nazione, e non a tali frivolezze e ad esaltare civiltà considerate “inferiori”.
Maxime aveva assistito a quel lento sfacelo in silenzio, senza avere alcun mezzo per opporsi.
Nemmeno quando suo zio lo aveva iscritto alla Hitlerjugend senza il suo consenso, un uomo che Maxime detestava con tutto il suo cuore.
Edina era sempre stata messa in cattiva luce dal fratello più grande, umiliata per le sue scelte personali e di vita, dandole spesso della poco di buono, della svampita, degenerata…
Le umiliazioni erano state così invadenti e costanti, da minare a tal punto la psiche già fragile di quella povera donna.
Maxime non avrebbe mai dimenticato il giorno che avrebbe cambiato per sempre la primavera dei suoi quindici anni.
Era il 1940. Maxime avrebbe ricordato quel giorno nefasto come un sogno sbiadito, annacquato, privo di colore e rumori. Ma ugualmente assordante e opprimente.
Il bacio che sua madre gli aveva lasciato come sempre sulla guancia prima di andare in conservatorio, la chiamata a lezione, la corsa disperata a casa, l'acqua rosata della vasca che cadeva a cascate oltre i bordi, il tentativo di Maxime di afferrare il corpo nudo ormai senza vita di Edina, incurante di sporcarsi di sangue la camicia e i calzoni, le lacrime e le urla…
E la lettera che Edina gli aveva scritto prima di immergersi in quel bagno di morte.
 
Maxime, amore mio.
Sei l'unica cosa giusta che ho fatto nella mia disgraziata vita.
Ogni mio canto, ogni mio gesto, era votato a te, solo a te.
Non pensare neanche per un secondo che tu sia stato un peso per me.
Sii sempre dalla parte giusta. Ti lascio in un mondo di lupi, ma con la consapevolezza di averti trasmesso la forza e il cuore di un leone. 
Sarò sempre con te, bambino mio.
Perdonami, se potrai.
 
Mamma
 
Dopo quel tragico evento, Maxime era stato preso in casa da suo zio, ma fu peggio del ritrovarsi improvvisamente in un carcere spoglio e umido.
Tutto l'amore a cui era stato abituato, le chiacchiere, le risate, gli abbracci, vennero sostituiti dall'indifferenza, le offese, le umiliazioni.
Non vi era giorno in cui suo zio materno, sua moglie o coloro che avrebbe dovuto riconoscere come suoi cugini, non lo etichettassero come un figlio di nessuno, un povero idiota che trascorreva in solitudine la maggior parte delle sue giornate, ritrovandosi addosso una divisa che repelleva con tutto sé stesso, la quale, una volta tolta, gli ridava per poco la facoltà - o l'illusione - di poter respirare nuovamente. 
Fu un anno di sacrifici, angosce, pianti silenti e maschere sempre più dure da scalfire. 
Finché non giunse la chiamata alle armi, nel 1942, e per quanto controverso potesse risultare, per Maxime quella fu una benedizione.
Lasciare quella casa e quell'ambiente lo aveva considerato un miracolo di per sé.
 
Quando lesse la destinazione, per poco non gli sfuggì un sorriso: avrebbe dovuto recarsi in Piemonte, in Italia.
Maxime aveva accettato quel destino con una strana serenità, come se non stesse aspettando altro da sempre. 
 
Lì, nella terra dove fioriscono i limoni, come decantava il sommo Goethe, non aveva fatto i conti con l'imprevedibilità del caso.
 

 
▪︎♤•

 
Quando quel mattino si risvegliò nel retro della cantina, Maxime ci mise un po' per realizzare di non trovarsi più al capanno, sperso tra le montagne.
Uno strano senso di vuoto gli compresse il petto e il cuore. 
Aveva sognato Agnese, e poi la Germania, Edina…
Erano stati sogni dolci amari, nostalgici, eppure, una volta sveglio, tutte quelle sensazioni positive che aveva provato erano svanite seguendo il sonno in un angolo recondito del cuore.
Nel sentire poi la porta aprirsi, si tirò su di scatto, sperando inconsciamente che Agnese avrebbe varcato presto quella porta. 
Guardò infatti la maniglia della porta scattare, aumentando esponenzialmente le sue aspettative.
Il suo entusiasmo diminuì di poco nel ritrovarsi invece Anna, con un vassoio in mano, pieno di cibo e una piccola caraffa di latte.
Doveva essere stata sicuramente opera di Blanca. Aveva preso a cuore la sua nutrizione, e pur di togliersi il cibo di bocca, gli avrebbe fatto venire appetito, prendendolo direttamente per la gola.
«Guten Morgen» fece la fanciulla, un po' in difficoltà. Maxime si apprestò ad alzarsi per prenderle il vassoio dalle mani, e poggiarlo su di una sedia vicina. Anna glielo lasciò fare, sfregandosi le mani tra loro.
«Come sono contenta di rivederti, Max!» esclamò Anna in tedesco, facendolo sentire subito a suo agio.
Maxime le rivolse un sorriso sentito, riconoscente. Adorava quella ragazzina, la sua presenza sapeva sempre metterlo di buon umore e in pace con il mondo.
Pensò fugacemente a Romeo, e a quanto dovesse ritenersi fortunato di provare qualcosa per quell'angelo delicato.
«Sono contento anch'io, Anna. Mi sei mancata molto» dichiarò Maxime in tedesco, impacciato ma sollevato. Anna non ci pensò due volte ad avvicinarsi per abbracciarlo.
Ma Maxime sentì il dovere di non farsi toccare da lei. Anche se ormai non vi era più rimasta alcuna traccia, quel tanfo di sangue lo percepiva ancora forte e chiaro nell'aria. Ed essendo stata Anna molto legata a Gabriel, non gli avrebbe permesso di abbracciare a cuor leggero il suo assassino. 
«Ehm… nein» tentò dunque Maxime, mettendogli le mani sulle spalle.
Anna lo fissò interdetta, scuotendo lievemente la testa.
«Io… non faccio un bagno da settimane» si giustificò, prorompendo in una risata nervosa. Ma Anna colse molto più di quanto il giovane soldato gli volesse dire in quel momento. Gli poggiò delicatamente una mano sulla guancia.
«Non so cosa sia successo in questi giorni, Agnese e Romeo non hanno voluto dirmi niente… pensano sempre che sia troppo piccola per capire certe cose» spiegò, con sguardo basso, misurando le parole. Maxime aspettò il continuo in religioso silenzio. 
«So solo che Gabriel è morto, e non faccio che piangere da allora. Gli volevo bene, era come un fratello maggiore per me ed Agnese…».
Maxime si morse un labbro a quelle parole. 
Anna era l'unica persona che ormai trovava ancora un briciolo di umanità in quel mostro, lo vedeva ancora con gli occhi dell'infanzia, e lo stesso Gabriel in sua presenza si era trattenuto spesso, soprattutto sotto intercessione di Agnese. 
Se solo Anna avesse visto anche quell'altro lato, quel lato per cui si era fatto tristemente conoscere e disprezzare da tutti…
«Anche se negli ultimi tempi, aveva iniziato a farmi un po' paura» continuò Anna, giocherellando con le dita tra loro.
«Forse era a causa della divisa che indossava, o del ruolo che ricopriva… probabilmente si era fatto dei nemici. A volte penso sia stato stesso lo zio Alfredo ad ordinarne l'esecuzione» Anna parlava pacato, senza tradire nessuna emozione. Non ce l'aveva con nessuno, era solo particolarmente amareggiata per tutto quel sangue versato, per quella situazione intorno che non voleva cessare di divulgare male e morte attorno a sé. 
Era spaventata, tanto. 
Maxime avrebbe voluto abbracciarla e farla sedere sulle sue gambe, come un padre avrebbe fatto con la propria figlia.
Ma non ne aveva alcun diritto, non dopo avergli strappato brutalmente una persona per lei tanto importante. In quella storia il ruolo del carnefice era spettato a lui. Era stato lui a decidere per la vita o la morte di qualcun altro. 
Si limitò soltanto a scostarle una ciocca biondiccia dalla fronte, con la punta delle dita che tremavano. Il solo toccarla lo rendeva inquieto, indegno di tale gesto.
«Tuo zio non c'entra». Nell'affermarlo, Maxime provò uno strano tepore che gli avvolse lo stomaco. 
Si sentiva stranamente calmo rispetto a pochi minuti prima.
Si portò le mani in tasca, e fece un bel respiro. Serrò gli occhi con forza.
«Sono stato io».
Maxime si aspettò uno schiaffo, un urlo, pugni sul petto, il contenuto della caraffa riverso addosso. Ma non giunse nulla di tutto questo. 
Quando riaprì gli occhi, Anna fissò ovunque, fuorché lui. Le lacrime pronte a scendere.
Le aveva spezzato il cuore, era palese.
«Sono un assassino, Anna. Non mi aspetto il tuo perdono, né quello di tua sorella, ma credimi se ti dico che se tornassi indietro, non lo rifarei. Non avrei voluto farlo».
Avrebbe voluto dirgli altro, ma Agnese non avrebbe voluto che la memoria di Gabriel venisse infangata alle orecchie di Anna. 
«Es tut mir leid» riuscì solo a chiosare, abbassando nuovamente il capo, colpevole.
Anna deglutì a quella confessione, portandosi le mani chiuse a pugno all'altezza delle labbra. Qualche lacrima le solcò il viso, e Maxime non riuscì a fissarla oltre. 
«Mi sento a disagio» confessò inaspettatamente Anna, asciugandosi velocemente le guance. Maxime corrucciò la fronte nel sentirle dire tale affermazione.
«Ho pianto tanto per lui in questi giorni, ho sentito come un vuoto inspiegabile al petto… eppure… eppure sentivo qualcosa… Sentivo che, per lui, era diventato l'unico destino possibile. Non so se mi sono spiegata».
Anna si abbracciò accarezzando gli avambracci coperti a metà dal vestito rosa antico, mordendosi il labbro inferiore con foga.
«Sebbene ci tenessi molto a lui, in realtà in questi giorni ho pensato che, chiunque fosse stato, gli avesse fatto un piacere ad ammazzarlo. Come se non si aspettasse più alcuna redenzione, alcuna via di fuga».
Come se qualcuno gli avesse solo di poco tolto un mattoncino minuscolo dal sacco che da giorni gli opprimeva il respiro, Maxime avvertì un leggerissimo sollievo nell'animo. 
Non era stato epurato dal gesto che aveva compiuto, ma le parole di Anna lo avevano fatto sentire di nuovo umano, di nuovo degno di misericordia. 
«Sai» continuò ancora Anna, occhi brillanti di lacrime ferme alle ciglia «Non sono così ingenua. Sapevo che i rapporti tra lui ed Agnese si erano deteriorati, soprattutto…» e si fermò, perché il magone le stava salendo in gola, «soprattutto dopo che l'aveva costretta a togliere di mezzo il bambino che aspettava da lui. Avevo sentito parlare te e Romeo a riguardo qualche giorno dopo, e non volevo credere che Gabriel… che Gabriel fosse arrivato a farle questo». Anna era un fiume di lacrime, a Maxime parve che non avesse visto l'ora di buttare fuori quelle parole, di sfogarsi con qualcuno delle cose che le covavano dentro chissà da quanto tempo.
«Io non ce l'ho con te, Maxime, sia chiaro. Sono arrabbiata, stanca di tutto questo sangue, di questa prepotenza… Ma non ti odio. Non riesco ad odiarti. Non riesco a provare odio verso nessuno. Agnese ha ragione a reputarmi una stupida, per questo mi tiene all'oscuro di tutto, perché non ho carattere e piango facilmente come una bambina per tutto e tutti! Sono inutile!».
Maxime si sentì in dovere, a quel punto, di prenderle le mani e stringergliele forte, combattendo contro la nausea del contatto fisico che in quei giorni non era riuscito a debellare.
Le sembrò di riavere davanti per un momento sua madre, quelle parole sarebbero potute uscire dalla sua bocca senza alcun problema.
«Non sei inutile, Anna» cominciò Maxime, cercando di mostrarsi quanto più incoraggiante possibile.
«Agnese e Blanca si sentirebbero perse senza di te. Sei il loro raggio di sole, la dimostrazione che in questo mondo un briciolo di umanità e compassione ancora esiste. Se sono così forti e non si abbattono, lo devono a te. Sei la luce di questa casa, Anna, e tutti nel vederti potrebbero affermarlo senza alcun dubbio».
Chissà se il tenente quella luce in te l'aveva anche solo intravista…
Maxime non osò tramutare quel pensiero in parole. Non se ne sentiva degno.
Se solo avesse avuto modo di dire le stesse cose a sua madre anni prima, probabilmente non si sarebbe sentita così sola da terminare i suoi giorni in una vasca piena d'acqua e i polsi lacerati con un tagliacarte.
Sii sempre dalla parte giusta.
Ironico che quelle parole di una potenza disarmante fossero state scritte da Edina poco prima di compiere quel gesto fatale.
«Confesso che dopo quello che ho fatto, avrei voluto farla finita… sentivo di non meritare più la vita, le gioie…»
L'amore. 
Neanche questo lo esternò.
«Non meritavo speranza, soprattutto. Ma tu…» e le strinse le mani con più forza «tu mi hai concesso un po' di respiro da tutto questo marasma che mi ha travolto. Sei speciale, piccolina, non dimenticarlo mai!».
Anche Maxime non riuscì più a trattenere le lacrime, continuando a stringere forte le mani della fanciulla. 
Sul volto di Anna esplose un sorriso leggiadro, bagnato di lacrime agrodolci.
Maxime le baciò le mani con trasporto, poggiandovi sopra poi la propria fronte, inchinandosi davanti a lei, scosso dai singhiozzi. 
«Maxime, non fare così, non ce n'è alcun bisogno…» fece Anna, anche lei in preda ai singhiozzi.
Non sentiva di meritare la riverenza che quel ragazzo, più grande di lei di un anno, le stava rivolgendo.
S'inchinò così a sua volta, liberando delicatamente le mani da quelle di Maxime.
Si avvicinò piano al giovane e con dolcezza tentò di abbracciarlo, poggiando la guancia sulla sua spalla.
«Danke, Maxime. Grazie per le tue parole» mormorò tra le lacrime. 
Maxime poggiò la guancia sui suoi capelli, erano morbidi e lucenti, profumavano di mandarino.
«Grazie a te, Anna. Grazie di avermi ascoltato».
L'abbraccio che ne conseguì fu talmente naturale che non sorprese nessuno dei due.
 
Ti lascio in un mondo di lupi, ma con la consapevolezza di averti trasmesso la forza e il cuore di un leone.
 
E per un solo istante, Edina prese il posto di Anna tra le braccia di Maxime.
 
Sarò sempre con te, bambino mio.
Perdonami, se potrai.
 
Ti perdono, mamma.
«Ich vergebe dich».
Anna non commentò ciò che aveva udito. Lasciò che Maxime si sfogasse, che parlasse con i suoi demoni con calma, senza fretta. 
Lei sarebbe stata lì a sorreggerlo, con delicatezza. 

 
 
   
 
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