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Autore: Alyssa92    03/12/2023    2 recensioni
Draco Malfoy e Ginny Weasley sono completamente diversi. Eppure, c'è qualcosa che li accomuna: l'insoddisfazione per la propria vita. E se questo fosse un pretesto per avvicinarsi l'uno all'altra?
La storia è ambientata in un alternarsi temporale tra "ieri", ovvero il sesto anno di Harry Potter ad Hogwarts e "oggi", ovvero due anni dopo. La guerra è nel pieno del suo svolgimento. Cosa succederà?
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Ginny Weasley | Coppie: Draco/Ginny
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da VI libro alternativo
Capitoli:
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Note dell'autrice: ciao a tutte/i! Non scrivevo una fanfiction da circa 10 anni, ma ultimamente la mia creatività si è fatta risentire quindi... eccomi qua!
Alcuni appunti importanti prima di iniziare la lettura.
La storia si svolge in due archi temporali:
- "IERI" ovvero il sesto libro scritto da J.K. Rowling, dove ho cercato di mantenere gli eventi uguali o comunque molto simili a ciò che è accaduto nel libro. Mi sono immaginata la storia tra Draco e Ginny come qualcosa che è accaduto in parallelo rispetto al punto di vista di Harry Potter, cercando di essere più fedele possibile ai fatti avvenuti nel sesto libro;
- "OGGI" ovvero due anni dopo al sesto libro, c'è la guerra e lo scenario è completamente inventato da me. Tuttavia, restano fedei all'originale la questione degli Horcrux e la storia di Piton (saranno importanti negli ultimi capitoli).
Detto questo... buona lettura!

I personaggi della saga di Harry Potter sono di proprietà dell’autrice JK Rowling e l’opera, di mia invenzione, è stata scritta senza scopo di lucro
 
IL POSTO GIUSTO
Capitolo 1
 
IERI
 
Ginny
 
Ginny Weasley era pronta per l'evento che era stato organizzato per quella sera stessa. Si guardò allo specchio e sbuffò sonoramente. Era l'ennesima notte che non dormiva, gli occhi erano gonfi e tristi. Il vestito color panna che stava indossando era carino - glielo avevano regalato Fred e George con i soldi guadagnati grazie alle spropositate vendite del loro negozio di scherzi - ma la sua faccia era orrenda. Non sembrava neppure lei. Tutta la luce e il fuoco che l'avevano da sempre caratterizzata, sembravano improvvisamente spariti, come se fossero stati risucchiati.
E ne sapeva anche il motivo. 
Eppure, non aveva ancora trovato il coraggio di prendere in mano la situazione. Non era da lei.
No.
Si passò una mano sul volto e si stampò un finto sorriso sulla faccia sentendo arrivare le sue compagne di stanza. 
Ma non parlò. 
Non ne aveva voglia.
Loro, invece, sembravano terribilmente eccitate dalla faccenda della cena del Lumaclub organizzata quella sera stessa, nonostante non fossero state invitate. Le guardò con la coda dell'occhio. Sentì i loro commenti eccitati, ma rimase in silenzio. 
Le sembrarono così stupide, così frivole. Fuori c'era la guerra, anche se nessuno poteva vederla. Voldemort era tornato quell'estate e nessuno sembrava capirlo. Lei aveva combattuto i Mangiamorte, aveva rischiato la vita. Sirius era morto.
Eppure, tutti si comportavano come se così non fosse. Tutti, eccetto loro. Tutti, eccetto Silente, la McGranitt e pochi altri.
E la verità era che non era solo quello a farla stare così.
Quell'estate si era avvicinata ad Harry. Si era avvicinata a lui e ora stavano insieme. Era sempre stato il suo sogno, il suo desiderio, eppure qualche volta, quando erano da soli, si ritrovava a chiedersi se fosse davvero solo quello.
Perché se era davvero solo quello, l'amore, allora era davvero deludente.
 
Draco
 
La Sala Comune di Serpeverde era quasi deserta, siccome erano ancora tutti a cena. Tutti, tranne lui. Si era alzato ben prima del dolce per poter stare finalmente in pace.
Il momento che preferisco.
Si buttò su un divanetto di pelle, intento a riflettere. Quell’anno, era tutto diverso. Aveva una prova da compiere, una missione. Non poteva deluderli. 
No. 
Sospirò, rigirandosi nella mano un boccino d’oro sgraffignato dall’ultimo allenamento. 
“Draco” miagolò Pansy Parkinson, facendolo irrigidire. “Non ti trovavo” si sedette accanto a lui, ma non si avvicinò troppo. 
“Forse perché non volevo essere trovato” replicò freddamente, senza degnarla di uno sguardo. Quanto era appiccicosa la Parkinson. Proprio non lo capiva, che voleva essere lasciato in pace? Aveva bisogno di pensare, di riflettere.
Di trovare soluzioni.
“Stasera c’è la festa del Lumaclub” disse lei, tanto per tenere viva la conversazione. Era evidente che sperava di finire in camera con lui, quella sera. 
“Non me ne frega un cazzo di quei quattro deficienti” sibilò, seccato. “Ho cose ben più importanti a cui pensare” affermò, ed era vero. Aveva altre cose. Più grandi. Più importanti. 
Pansy sospirò, ammirata. “Sarai sicuramente all’altezza, Draco” gli appoggiò entrambe le mani sul petto, iniziando ad accarezzarlo. Lui non si mosse e lei dovette interpretarlo come un incoraggiamento, perché si avvicinò un poco, scorrendo sul divanetto. “Tu non sei come loro. Sei migliore” avvicinò la bocca alla sua. Lo baciò. 
Era migliore davvero? Il caschetto di Pansy gli solleticò fastidiosamente il mento. La cosa lo irritò e si separò di scatto da lei. Pansy sembrò non farci caso. Forse ci era abituata. Forse, non si aspettava altro da lui. “Vuoi andare in un posto più tranquillo?” azzardò lei, avvicinandosi ancora impercettibilmente, ma lui la allontanò con un gesto brusco della mano. 
“Cosa non ti è chiaro?” le lanciò uno sguardo, senza soffermarsi troppo. “Voglio essere lasciato in pace”
“Il compito che ti è stato assegnato… ti sta stressando molto, non è così?” Pansy lo stava fissando intensamente. E lui si sentì soffocare. 
“Sono cazzi miei” balzò in piedi, come se si fosse scottato. Doveva uscire di lì, e subito. Non voleva perdere altro tempo. Non poteva
“Dove vai?” lo imitò. 
“Non seguirmi” le ordinò, voltandole le spalle e uscendo dalla Sala Comune. Aveva bisogno di essere lasciato in pace. 
Perché non riusciva a capirlo?
 
“Draco” una voce melliflua lo colpì alle spalle. Avrebbe voluto fare finta di niente, ma sapeva che non poteva. Non quella volta. Si girò. Il corridoio era deserto e semibuio. Piton lo guardava, il volto pallido e illuminato dalla luna. 
“Professore, che piacere” il tono era ironico. Anche Piton aveva iniziato a stargli addosso, ultimamente, e lui faticava a sopportarlo. Voleva spazio, voleva respirare. 
“Cerco di aiutarti, Draco. Permettimi di farlo” il professore lo raggiunse in pochi, brevi passi. “Non sai in che cosa ti sei cacciato. È una cosa più grande di te, questa” sibilò, avvicinando quel naso adunco e orripilante. Draco sbuffò. Lo era davvero?
“Non mi crede all’altezza, professore?” il suo tono era ironico. “Non ho bisogno di alcun aiuto” si allontanò. 
“Draco…”
“Ho detto che non ho bisogno!” sbottò, irritato. Si passò una mano tra i capelli perfetti e puntò lo sguardo negli occhi pece del professore. “La prego, mi lasci in pace” ammorbidì la voce, e l’espressione di Piton rivelò una sua resa. 
“Se cambi idea, sai dove trovarmi” gli voltò le spalle e scomparve insieme al suo mantello. 
Draco sospirò. Si chiuse in un bagno nei dintorni e guardò il proprio riflesso allo specchio. 
Era pallido, stanco. Esausto. Vuoto. 
Le occhiaie gli solcavano il volto come se fossero state disegnate. 
Avrebbe voluto urlare per la frustrazione. 
Si sentiva soffocare, aveva bisogno di aria. Strinse i denti e voltò le spalle a quel riflesso deludente di se stesso. 
Ripensò a quell’estate, a quanto fosse orgoglioso suo padre per aver ricevuto quell’incarico dal Signore Oscuro in persona. 
Ripensò all’espressione distrutta e preoccupata di sua madre, come se le avessero fatto il dispetto più grande di tutta la sua vita. 
 
Draco era steso sul letto nella sua villa. Suo padre aveva bussato, ed era entrato senza neppure aspettare risposta. Suo padre non andava mai a trovarlo. Forse c’era qualcosa.
E infatti, c’era. 
Gli aveva spiegato tutto e lo aveva guardato con un moto di orgoglio. 
“Non deludermi, Draco” gli aveva sussurrato, posandogli una mano sulla spalla. Lui era ancora sconvolto. Sapeva che quello sarebbe stato il suo destino, ma non pensava che sarebbe arrivato così in fretta. 
“E se…?” osò dire, ma non ebbe neppure il tempo di terminare quella frase, che Lucius gli aveva puntato la bacchetta contro. 
“Crucio” aveva gridato, rabbioso e gli aveva scagliato contro quella maledizione. Non era la prima volta, certo, ma non per questo fece meno male. 
“Sei un piccolo ingrato, Draco. Dopo tutto quello che abbiamo fatto per te?” Suo padre lo aveva afferrato per la collottola della maglia e aveva sputacchiato quelle parole. “Questo è solo un assaggio di ciò che farà l’Oscuro Signore a te, a tua madre, a noi!” Lo aveva scrollato un’altra volta. “Non. Puoi. Fallire!” gli aveva gridato, prima di andarsene sbattendo la porta.
Il giorno dopo lo erano venuti a prendere per rinchiuderlo ad Azkaban.
 
E lui non avrebbe fallito. Non poteva. 
Mentre ripensava a tutto ciò, si rese conto di essere solo uno schiavo. C’era stato un tempo in cui si era sentito onorato, forse, ma nelle notti come quella si sentiva tutt’altro. 
Si sentiva solo. Forse, era un vigliacco e basta. 
Dio, era tutto così maledettamente deludente. 
 
 
Ginny
La cena fu noiosa, esattamente come se l’era aspettata. Harry aveva tentato di intrattenerla, ma ad un certo punto si era sentita mancare l’ossigeno. Aveva sentito un groppo in gola, l’aria nei polmoni sembrava improvvisamente scomparsa e faticava a respirare. Era dovuta uscire dalla stanza, sentendosi soffocare. Harry si era offerto di accompagnarla, ma lei aveva rifiutato categoricamente. 
Dio, ma che diavolo le prendeva? 
Desiderava solo essere lasciata in pace e aveva un maledetto bisogno di prendere aria. 
Con lui, le sembrava sempre di non averne più. 
Si rifugiò nell’unico posto in cui, era sicura, non sarebbe arrivato nessuno: la Torre di Astronomia. 
 
Il freddo la colpì in faccia come una frustata. Si pentì di non essersi portata qualcosa di più pesante, oltre a quella stupida giacchetta che le avevano prestato le sue compagne di stanza. Da lassù il cielo era nero come la pece e le trasmise una strana calma. Socchiuse gli occhi, respirando a pieni polmoni, mentre il battito cardiaco, affaticato dopo gli innumerevoli scalini percorsi per arrivare fin lì, tornava normale. Si sentì gli occhi umidi e se li asciugò, perplessa. Non si era neppure accorta di aver pianto, presa com’era da quella strana sensazione di panico. Non aveva mai avuto un attacco di panico, ma se avesse dovuto descriverne uno, lo avrebbe descritto proprio così. Sentì la porta richiudersi alle sue spalle mentre si avvicinava alla balaustra con passo lento e regolare. 
Finalmente sola. 
Il lago nero spiccava sul prato umido, rendendo quel panorama suggestivo.
Guardò le stelle. Brillavano come piccoli diamanti. In mezzo a loro troneggiava la luna piena, che illuminava fiocamente quella torre, altrimenti buia. Si sentì insignificante rispetto a tutto il resto. Guardò la luna e pensò a Lupin. I pensieri si manifestarono nella sua mente, uno dietro l’altro, in un susseguirsi di immagini confuse. Sua madre che l’abbracciava davanti al passaggio per Hogwarts, in lacrime. Il suo timore di non rivederli vivi prima di Natale che traspariva da ogni ruga stampata sulla fronte. Suo padre che le accarezzava i capelli. I suoi fratelli. Fred e George che le strizzavano l’occhio infilandole delle Pasticche Vomitose nella tasca, di nascosto dalla madre. Un magone le prese la gola, ma lo soffocò. Era tutto così difficile. Così spaventoso. Era spaventata all’idea di poterli perdere. Ed era talmente assorta nei propri pensieri che non aveva fatto caso all’ombra nascosta dietro la colonna, distante dal parapetto in cui si trovava lei, tanto che quando sentì finalmente il rumore, sussultò, con il cuore in gola. Rapidamente afferrò la bacchetta e si girò verso la fonte di quel rumore. Vide una sagoma longilinea appoggiata alla parete con aria boriosa e allentò la presa dalla bacchetta, regolarizzando il proprio respiro.
Calma. È solo quel cretino di Malfoy
“Ah, sei tu” mormorò infatti, senza alcuna ombra di emozione nella voce. 
"Weasley..." lo sentì sibilare con tono freddo, mentre staccava la schiena dalla parete e faceva qualche passo in avanti. "Mi sembrava di aver sentito una certa puzza..." si piantò davanti a lei con aria di superiorità, le braccia incrociate al petto. Ginny lo fissò, alzando un sopracciglio con aria affatto intimidita. Era semplicemente irritata da quella spiacevole interruzione. 
"Probabilmente saranno i tuoi piedi, Malfoy" ribatté, fissandolo dritto in quegli occhi grigi e impenetrabili, senza muovere un muscolo. "Ora che hai detto la tua battuta, puoi anche andartene" gli voltò le spalle e tornò a guardare di sotto, tentando di riprendere i fili dei suoi pensieri. Ma ovviamente, lui la interruppe. Perché ovviamente irritarla era uno dei suoi passatempi preferiti.
"Divertente, perché mi sembrava di essere arrivato prima io" la raggiunse in pochi passi, così fu costretta a voltarsi di nuovo verso di lui: non si fidava a voltargli le spalle da così vicini. Non voleva facilitargli il compito di Schiantarla a sorpresa. Si fissarono con disprezzo per qualche istante. "Sparisci, Weasley" si sporse verso di lei con aria minacciosa, sibilando come un serpente.
Lei scoppiò a ridere, per nulla divertita. 
“Mi hai scambiata per il tuo cane?” gli chiese con tono tagliente. “Non so se hai notato, ma non assomiglio affatto alla Parkinson”
“No, infatti” assentì lui, con uno sguardo che trasmetteva puro disgusto. “Visti gli abiti che indossi, assomigli molto di più a un elfo domestico” ringhiò, guardandola di nuovo con quell’aria minacciosa.
Ginny fece un’altra mezza risata vuota, poi si spostò di lato, verso la ringhiera, con lo specifico intento di tornare ad ignorarlo. “Stupido riccastro viziato” borbottò, con tono abbastanza alto da farsi sentire. 
Malfoy, non ottenendo il risultato sperato, cambiò tattica. "Che c'è, San Potter ti annoia così tanto da costringerti a scappare?" la frase la colpì più di un incantesimo. Non perché fosse particolarmente offensiva - ormai, era talmente abituata alle offese di Malfoy che non la scalfiva più nulla - ma perché era terribilmente vera. “Vorresti forse liberarti di quel perdente?” Tentò di non dare a vedere quanto l’avesse colpita. Non poteva mostrarsi debole al nemico. Decise di contrattaccare con la stessa moneta e strinse il pugno per evitare di piantarglielo dritto nel naso.
"Se sei qui a tormentare me invece che essere nelle tue catacombe, evidentemente non sono l'unica a scappare" puntò gli occhi nei suoi ancora una volta. "Il tuo cagnolino Parkinson senza di te si starà strappando i capelli dalla disperazione".
Lui la guardò, schifato.
“Sei solo invidiosa” la punzecchiò, inutilmente. 
Ginny fece un’altra risata vuota. “Ma per favore” sventolò una mano all’aria come per scacciare via una mosca particolarmente fastidiosa. “Prego ogni giorno di non diventare mai come voi” 
“Giusto” confermò il Serpeverde, facendo un ghigno malefico. “Meglio aspirare ad essere dei perdenti, proprio come tuo padre”
“Mio padre non è un perdente!” ribatté, serrando la mandibola per la rabbia. Non doveva perdere il controllo così, non poteva dargliela vinta. Cercò di ricomporsi, ma lui continuò. 
“Ora capisco perché ti piace tanto Potter” si avvicinò di un passo, sovrastandola con la sua altezza. “È un perdente, proprio come lui…”
Ginny a quel punto sfoderò la bacchetta, ma Malfoy era pronto e la disarmò in un istante, afferrando la sua bacchetta al volo e facendola cadere per terra. Se le mise entrambe in tasca con aria vittoriosa, poi si spolverò il mantello, come se avesse appena vinto una battaglia molto complicata. Aveva un sorrisetto odioso stampato sulla faccia. Ginny avrebbe voluto prenderlo a morsi fino a toglierglielo dalla faccia. Si rialzò in piedi, mentre si guardavano in cagnesco per qualche istante. Si avvicinò a lui, continuando a fulminarlo con lo sguardo, poi Malfoy parlò di nuovo. “Ora che mi hai infastidito a sufficienza, sparisci, oppure…” 
“Oppure?” lo sfidò lei, guardandolo inviperita. Forse non aveva più la sua fedele bacchetta, ma non era di certo finita. "Se credi di spaventarmi, Malfoy, ti sbagli di grosso" gli diede una piccola spinta sul petto per allontanarlo dal suo spazio vitale, ma lui le afferrò i polsi con entrambe le mani per bloccarle il movimento. Le sue dita erano fredde e ghiacciate sulla sua pelle. Probabilmente, fu per quello che le venne un brivido lungo la schiena. 
Non per altro. 
Calò un attimo di silenzio. Gli occhi di Malfoy erano così grigi che assomigliavano molto al colore del cielo quando è inverno e sta per nevicare. Si stupì di quel pensiero e per un attimo si dimenticò di respirare. 
Perché aveva improvvisamente perso le parole?
E perché anche Malfoy stava in silenzio per così tanto tempo?
 
 
Draco
Da quando la Weasley era diventata così…adulta? Il suo sguardo, un tempo insignificante, ora gli trasmetteva… qualcosa
Eppure, lui di solito non sentiva mai niente. 
I suoi occhi erano così grandi e così azzurri che per un attimo si dimenticò di parlare. 
E perché la sua pelle era così bollente, nonostante fosse inverno e lei fosse praticamente nuda?
E poi, che cosa stavano dicendo? 
Improvvisamente, c’era fin troppo silenzio per due come loro.
Ma che cazzoÈ solo una stupida Weasley.
Cercò di concentrarsi e, senza sapere bene come, riuscì a riprendersi. Una forza invisibile l’attirò a lei e si chinò sul suo orecchio. Doveva ristabilire l’equilibrio che si era improvvisamente rotto. Doveva dire qualcosa.
“Non vedo l’ora di schiacciarti alla partita di Quidditch, piccola, stupida paladina della giustizia” mormorò, cercando di appellarsi a tutto l’odio che aveva da sempre provato nei suoi confronti. E nei confronti di tutta la sua banda di idioti.
E ci riuscì.
Fu in quel momento che una ventata di profumo lo investì. Era allo stesso tempo dolce e fresco.
Lasciò leggermente la presa dai polsi, perché doveva tornare in sé. 
E così vicino a lei, gli risultava difficile. 
La Weasley sembrò riscuotersi a sua volta, perché approfittò di quel momento di debolezza per scivolare via dalla sua presa. La vide allungare una mano e in un attimo si era ripresa la bacchetta e gliela stava puntando contro.
Questa volta fu il suo turno di restare disarmato e volare con il culo per terra. 
“Mai abbassare la guardia, stupido idiota, non te lo hanno insegnato al tuo corso su come diventare un Mangiamorte?” gli disse, quasi ringhiando, gettando la sua bacchetta dall’altra parte della Torre di Astronomia. Quasi gli venne da ridere per quanto facilmente lo aveva fregato. Difficilmente trovava qualcuno in grado di tenergli testa. 
Draco in un secondo fu di nuovo in piedi. Non tentò di riprendersi la bacchetta, perché in quel momento sarebbe stato inutile. 
La sua espressione orgogliosa lo innervosì. La raggiunse in un paio di falcate.
“Ma guarda guarda” la prese in giro, afferrandole il mento con le dita. “Che bambina cattiva, Weasley” la redarguì con tono strafottente. La guardò un’altra volta negli occhi e li vide sgranarsi per la sorpresa. Ma fu questione di un istante. Si divincolò. 
“Attento Malfoy” lo avvertì. “Se continui così, potrei pensare che ti piaccia toccarmi”.
Lo aveva provocato deliberatamente. Sogghignò. Se voleva giocare a quel gioco, lui era pronto. 
“Sei tu che mi ronzi intorno come un’ape” ribatté. “Magari è a te che piace essere toccata da me” a quelle parole la vide fare uno scatto indietro, come per mettere distanza tra loro.
“Preferirei tagliarmi una gamba” continuò a guardarlo, rivolgendogli di nuovo quell’espressione orgogliosa di pura sfida.
Dio, quanto avrebbe voluto cancellarle dalla faccia quella smorfia odiosa. Cercò rapidamente qualcosa da dire e alla fine trovò le parole che, era sicuro, l’avrebbero fatta infuriare da morire. 
E probabilmente, l’avrebbero fatta andare via. 
“Devo ammettere che quest’estate ti sono cresciute le tette” le guardò la scollatura senza scrupolo, facendola arrossire terribilmente. “O forse è solo il vestito?”
Nonostante il rossore, comunque, la Weasley cercò di darsi un contegno. Non distolse lo sguardo dal suo. Incredibilmente, provò un moto di ammirazione per lei. Poi, si diede del cretino. 
“Sei disgustoso” gli rispose, prima di chiudersi la giacca e coprirsi. 
Draco trattenne a stento una risata. 
Colpita, piccola Weasley
“Fai ancora commenti del genere e ti Schianto” lo minacciò, ma lui sorrise. 
“Ti vorrei ricordare che sono un Prefetto” sfoderò l’arma finale. Lei abbassò la bacchetta. 
“Dio, sei squallido” alzò gli occhi al cielo e gli voltò le spalle. “Grazie per aver rovinato il mio momento di pace”
“È un piacere darti tormento, Weasley” le rispose e forse non era poi così una bugia. Camminò lentamente fino alla propria bacchetta e l’afferrò. A quel punto, sapeva che lei non gliel’avrebbe più tolta. 
“Vorrei poter dire altrettanto” la sua schiena stava per scomparire dalla porta. Aveva già una mano sulla maniglia, quando sembrò ripensarci. Lo guardò un’ultima volta e, anche a quella distanza, vide il suo sguardo brillare, agguerrito. “A proposito, sarò io a schiacciarti alla partita, razza di idiota pomposo” concluse, prima di richiudersi la porta alle spalle senza lasciargli il tempo di ribattere. 
Draco sorrise. 
Era stato incredibilmente divertente. 
Ma non lo avrebbe mai ammesso, neanche sotto tortura. 
 
OGGI
Due anni dopo…
 
Ginny
Aprì gli occhi, ma le palpebre erano troppo pesanti per durare a lungo. 
Era debole, sfinita, distrutta. 
Sentiva ancora in bocca il sapore del sangue. Il pavimento di pietra sul quale era posata era duro, freddo e bagnato. 
Aveva i brividi.
Quanto tempo si può sopravvivere in quelle condizioni? 
Cercò di muovere un braccio, ma non ci riuscì. 
Era così pesante…
Aprì la bocca per parlare, ma era difficile fare anche quello. 
Cercò dentro di sé la forza. 
Avanti, non sei una pappamolle. Sei una Grifondoro, cazzo. 
Riuscì a trovare la forza di girarsi a pacia in alto e tenere gli occhi aperti per più di mezzo minuto. 
Era tutto buio e sfocato, ma riuscì a capire che si trovava in delle segrete. Era tutto fatto di roccia umida. Girò leggermente la testa e si accorse di essere circondata da grosse sbarre di ferro, distanti tra loro dieci centimetri. Sussultò, il cuore in gola. 
Non cercò neppure la bacchetta: sapeva che non l’avrebbe mai trovata. 
Vide una figura scura in fondo ai suoi piedi, accovacciata. Aveva un cappuccio calato sulla testa. 
Doveva essere la sua guardia. 
Voleva guardarsi intorno, ragionare, ma in quel momento era così debole. 
Chiuse di nuovo gli occhi. 
E tutto diventò buio. 




Note dell'autrice:
Grazie per aver letto! Se vi è piaciuto... commentate!
Al prossimo capitolo!
Alyssa92
 
  
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