Libri > Good Omens
Segui la storia  |       
Autore: Neamh Moonstar    10/12/2023    2 recensioni
[SPOILERS SECONDA STAGIONE]
Le loro separazioni non erano mai per sempre. In fondo lo aveva detto anche Aziraphale stesso: "Nulla è per sempre".
Eppure la loro ultima lite era sembrata una ghigliottina: li aveva divisi così profondamente da lacerarli, così duramente da far mettere ad entrambi il punto su una relazione che pareva essere appena cominciata - o che era morta ancor prima di cominciare davvero.
Crowley si era sentito tradito, così tanto da dirsi che non sarebbe tornato dall'angelo nemmeno se gli fosse piombato davanti - in ginocchio, per giunta.
Peccato che fosse solo tutta una stupida storiella che si ripeteva per non ammettere quanto in realtà sperasse in un ritorno. Sperava in un chiarimento. Sperava in una svolta.
E adesso la svolta era arrivata così, di colpo, senza preavviso.
Dopo un anno intero da quel disperatissimo bacio.
Genere: Angst, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Aziraphale/Azraphel, Crowley, Metatron
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Aziraphale l'aveva incontrata di persona una sola volta in tutta la sua esistenza. Dopodiché l'avrebbe solamente sentita, nient'altro che un echeggiante voce proveniente da chissà quale punto del cielo.

Allora però l'aveva vista, bella in modo indescrivibile, mentre discuteva proprio con Metatron.


Erano tempi difficili: la Ribellione era alle porte, e i nomi di coloro che sarebbero stati condannati - a quale fine ancora non si sapeva - venivano sussurrati in ogni angolo di Paradiso. Quell'angolo in particolare non sarebbe dovuto essere appannaggio di tutti, ma l'allora cherubino aveva deciso di fare uno strappo alla regola.

La motivazione era semplice: tra tutti i nomi, ce n'era uno che non meritava di essere pronunciato; non in mezzo a quelli di coloro che, presto o tardi, si sarebbero opposti.

Non avrebbe saputo dire da dove aveva tirato fuori il coraggio di presentarsi proprio d'innanzi a Dio, ma vero era che aveva provato tante sensazioni ed emozioni strane da quando aveva incontrato lui.

Sì, lui: l'angelo con i capelli rossi e la fissa delle nebulose. C'era qualcosa che non andava in quello lì - in senso assolutamente positivo. Era diverso; diverso nel senso che stare accanto a lui era come osservare una pioggia di stelle cadenti: mozzafiato ed emozionante. Aziraphale non avrebbe saputo spiegarlo altrimenti.

    Era organizzato, di solito. Pensava sempre a cosa dire, di solito. Quella volta arrivò alle spalle di Dio e, semplicemente, interruppe il dialogo che stava avendo con il Suo secondo con un timido: «Ehm, Salve» che non sapeva dove sarebbe andato a parare.

Metatron gli aveva tirato un'occhiataccia. Stava persino per dirgliene quattro - forse anche otto - ma venne fermato dalla cordiale voce di Dio.

    «Ciao, Aziraphale» aveva salutato Lei con un sorriso dolce e sincero. «A cosa devo la visita?»

    L'angelo prese a torturarsi le dita come spesso avrebbe fatto da quel giorno in poi. «Ecco, vedete, riguarda i Ribelli» balbettò, dovendo riprendere l'ultima parola a causa di un tremolio non indifferente della voce.

    «Ne stavamo giusto parlando» rispose Dio, indicando il suo sempre più serio secondo con la testa.

    «Lo so. Per questo vorrei approfittare della situazione per, beh- per avvisarvi che c'è stato un errore.»

Quelle parole parvero piombare sui tre come macigni. Per due secondi - che ad Aziraphale parvero duemila - il silenzio più tombale la fece da padrone.

    Fu Metatron a rispondere, ora decisamente arrabbiato. «Stai osando insinuare che Dio ha commesso un errore?» Rimproverò.

    «No! Non è così semplice.»

    Con un sospiro, Lei alzò una mano e li invitò al silenzio. «Luce mia» disse al Suo cherubino, «cosa stai cercando di dire?»

    «Che c'è un nome di troppo nella vostra lista. Il nome di qualcuno che non si merita di essere punito.»

    «E come fai a dirlo?» Rimbeccò il capo dei Serafini, puntando sul suo sottoposto uno sguardo torvo.

A quel punto, Aziraphale abbassò gli occhi. Gli pizzicavano le guance, ma non poteva farsi vedere sull'orlo del pianto. Non ora.

    «È vero che ha iniziato a fare domande pericolose, ma è solo perché il dubbio gliel'ho messo in testa io» confessò. «Non avrei dovuto dirgli niente: era la regola. Dovrei essere punito io, non lui.»

Anche perché...

No, non era il caso di peggiorare la situazione. Già stava facendo fatica a contenere le emozioni quando doveva mostrarsi deciso.

    «Luce mia...» riprese Dio, il tono intriso di dispiacere e comprensione. «Temo di non poterci fare nulla. Ormai, ognuno di loro ha preso questa decisione.»

    «Sì, ma gli ho rivelato piani che non avrebbe dovuto sapere!»

Dovrà pur contare qualcosa. Dovrà pur esserci una conseguenza.

    «Tu gli hai solo detto la verità. Una verità che, prima o poi, avrebbe dovuto conoscere. Se non vuole accettarla, la colpa non è di certo tua.»

Non c'era bisogno di contesto, né di soggetto. L'Altissima sapeva sempre tutto di tutti, perciò - come Metatron aveva giustamente sottolineato - non poteva sbagliare.

Eppure, ad Aziraphale tutta quella situazione pareva sbagliata. Tutta. Dall'inizio alla fine.

Era tutta colpa sua.

Era lui l'errore.


Non avrebbe saputo dire perché gli fosse tornato in mente adesso, così di colpo. Eppure, il ricordo aveva iniziato a riaffiorare da qualche parte tra le domande di Saraquel, le espressioni di Muriel, le parole di Metatron e le mani di Crowley sulle sue braccia.

Non avrebbe dovuto ricordarselo: era la procedura. E invece eccola lì, chiara come il sole: la verità.

    «Non è stato involontario» ripeté in un sussurro. Esattamente com'era successo davanti a Dio, anche in quel momento aveva gli occhi ricolmi di lacrime che stava disperatamente cercando di non versare.

Non l'avrebbe scampata facendo la vittima quella volta, anche perché era in tutto e per tutto il carnefice.

Così, ricacciò indietro il magone e fissò le quattro paia di occhi che lo stavano guardando, soffermandosi sulle sue pozze dorate preferite - ora intrise di terrore e confusione.

Non erano sempre state così. Una volta erano di un bel color nocciola, o forse erano di una sfumatura più simile al cacao. Era difficile da dire sotto le luci cangianti della nebulosa.

Si fece scappare un sorriso.

    «Eri la cosa più bella dell'universo. L'ho pensato da subito, anche se non lo sapevo.»

Forse non aveva granché senso, ma in fondo, ai tempi si era sentito così: pieno di cose a cui non sapeva dare una spiegazione. Non avrebbe saputo dirlo meglio.

    «Davanti a noi stavano succedendo cose incredibili, ma io non facevo altro che tornare a guardare te. Avevi un sorriso mozzafiato...»

Eri così felice.

Per un solo secondo, la voce gli morì in gola. Quello era il confine, il passo decisivo. Si costrinse a tirarla fuori, perché doveva almeno per una volta fare la cosa giusta.

    «Amavi così tanto ciò a cui avevi lavorato da avere occhi solo per il cielo, e le stelle, e il tuo pezzo di universo. Tanto da- beh, tanto da non curarti di me.»

Era una cosa così stupida provare gelosia nei confronti della volta celeste, eppure lui c'era riuscito. Tutto quello che voleva era un pezzo di quello sguardo luminoso, una briciola di quel sorriso, uno solo dei complimenti che erano stati rivolti a quell'angolo di infinito.

    «E così ho fatto l'unica cosa che, sapevo, avrebbe attirato la tua attenzione. Ti ho svelato che fine avrebbe fatto il tuo lavoro.»

Aveva colpito dritto al cuore. Aveva preso quello che agli occhi dell'allora angelo era una meraviglia e l'aveva accartocciata, stroncando quella gioia sul nascere. Aveva ridotto l'universo ad una carta da parati - per citare. Aveva bellamente preso tutti quei colori, e quelle scie luminose, e quelle stelle, e aveva praticamente detto: certo, è bellissimo, ma non lo vedrà mai nessuno. Anzi, prima o poi sparirà.

Perché nulla è per sempre.

    «In teoria, non avrei dovuto» aggiunse. «Erano le regole. Dicendoti tutto, ho anche anticipato i tempi.»

Presto o tardi lo avrebbero saputo tutti. Il piano che comprendeva la creazione della Terra sarebbe passato dai cori più alti a quelli più bassi del Paradiso. Il tutto sarebbe dovuto accadere gradualmente.

    «Eri la cosa più bella dell'universo» ripeté, «e sei finito in rovina solo perché io volevo che mi prestassi attenzione.»


Nessuno avrebbe dovuto farsi domande.

Questo perché nessuno avrebbe dovuto avere dubbi.

E questo perché tutto era stato predisposto.

E lui, l'allora cherubino, aveva fatto crollare tutto solo perché l'essere di cui si era innamorato era talmente perso nel suo lavoro da non essersi nemmeno presentato.

Qualsiasi cosa, sin dai primi istanti - in realtà, sin da ancor prima che esistesse l'idea di istante - si era rotta per colpa sua.


Era stata tutta colpa sua.


Tirare fuori quelle parole fu liberatorio in modo quasi esagerato. Difatti, si sentì improvvisamente vuoto, come se oltre al peso del rimorso se ne fosse andato praticamente tutto il resto.

Sentì le mani di Crowley staccarsi dalle sue braccia, ma fu come se stesse accadendo a qualcun altro; come se la sua mente e il suo corpo fossero su piani diversi della realtà.

Tornò a guardare il suo demone, ma non riuscì a capire se fosse deluso, triste o confuso... Non era mai stato bravo a leggerlo - forse perché non meritava nemmeno la capacità di farlo.

Lasciò che il pianto gli offuscasse la vista, così da rendere il tutto meno visibile e più sopportabile.

    Percepì Metatron dire una cosa simile a: «Esattamente come avevo detto. Non può funzionare.»

E aveva ragione. Aveva pienamente ragione.


Attraverso il velo di lacrime, Aziraphale intravide il capo dei Serafini usare il braccio libero per tirare qualcosa fuori dalla giacca.

Sembrava un libro - forse lo era.

Muriel parve spaventata da quel gesto. Aveva iniziato a divincolarsi e, per la prima volta da quand'era arrivata, aveva esclamato qualcosa.

Persino Saraquel stava parlando. Crowley, invece, pareva immobile quanto lui. Chissà se anche il suo demone stava provando quella strana sensazione di svuotamento. Chissà se anche per lui il mondo si era ridotto a nient'altro che una cacofonia di rimbombi.


Il libro si aprì. Ora Metatron aveva in mano una penna: una di quelle vecchie, da intingere nell'inchiostro. Aziraphale la riconobbe subito, nonostante la confusione sorda che aveva in testa: era la sua, quella che teneva sulla scrivania.

Era una piuma nera e lucida. Gliel'aveva data Crowley secoli orsono - scherzando e dicendo che tanto ne aveva altre. L'aveva gelosamente custodita fintanto che non aveva aperto la libreria; dopodiché le aveva dato un nuovo scopo.

Adesso, il suo superiore la stava usando per tracciare quella che sembrava una linea in mezzo alle pagine.

Forse, la cosa avrebbe dovuto allarmarlo così come stava allarmando Muriel. Ma la visione non gli causò che un'ondata di pura apatia.

Non provava né ansia né paura. Più rimaneva zitto in mezzo a quell'aria cosparsa di umidità e silenzio, più il timore veniva sopraffatto e soffocato dalla sensazione di niente che aveva iniziato a mangiarselo subito a termine della sua confessione.


Chiuse gli occhi e le lacrime gli rigarono le guance.


Quando li riaprì, aveva ricominciato a piovere.

Laria fredda gli pizzicava la faccia, colpendo ancor più sonoramente laddove il pianto gliela stava lavando.

Ora che aveva la vista sgombra, Aziraphale notò che la piccoletta - in che modo non avrebbe saputo dire - si era staccata dalla morsa del suo superiore, allontanandosene. Ora se ne stava immobile tre metri più in là con le lacrime agli occhi e le mani sulla bocca.

Saraquel si stava passando due dita sugli occhi. Scoccò giusto un'occhiata a Metatron, il quale richiuse il suo libro con un tonfo e se lo ricacciò in tasca - smaterializzando la penna chissà dove.

Tra di loro, proprio nel punto dove stava Crowley, non c'era più nulla: solo uno spiazzo d'erba verdissima e bagnata.

Era scomparso come neve al sole, senza un suono né un lamento. In un attimo fu come se non fosse mai esistito.

Ed è tutta colpa tua.


    «Bene, problema risolto. Finalmente, aggiungerei» annunciò il capo dei Serafini con soddisfazione. «Possiamo tornare ai nostri affari. Tu» ordinò, voltandosi verso Muriel, «torna alla tua scrivania. Tra un po' ne avrai anche troppe di scartoffie di cui occuparti. Vedi di non deludermi, stavolta.»

Lei non rispose nemmeno: era troppo occupata a fissare il prato per farlo.

    A Metatron parve non importare. «In quanto a te, Aziraphale: sarà bene che tu vada a prenderla.»

Il neo arcangelo sapeva benissimo di chi stava parlando. Era scritto nero su bianco in un foglio metafisico: La consegna verrà fatta dall'Arcangelo Supremo stesso. Il suo compito era stato deciso durante la riunione 1616, perciò non gli restava che portarlo a termine.

Tanto, non c'era nient'altro che potesse fare. Non c'era nient'altro che importasse. Poteva solo annuire e fare quello che qualsiasi angelo freddo e ligio al dovere avrebbe fatto: seguire gli ordini e fare la cosa giusta, una volta tanto.

    Soddisfatto, il capo dei Serafini indicò la sua seconda. «Saraquel ti accompagnerà fino al Piano di Sopra. Dopodiché si unirà a me per finire i preparativi.»


Così, Aziraphale affiancò l'aiutante di Metatron. Si era mosso come se fosse stato il vento a spingerlo, più che la sua volontà effettiva.

Si asciugò le guance con compostezza, come se le lacrime non fossero state che un semplice contrattempo. Lasciò che le braccia gli ricadessero sui fianchi, deboli come il battito del suo inutile cuore.

Era la sua condanna, quella. La sua punizione. Era giusto che andasse così.

    «Aziraphale?» Lo richiamò una vocina rotta e tremante.

Si voltò per incontrare il volto disperato di Muriel. Anche lei era rimasta sola, si rese conto. Era ingiusto, in effetti: lei era sempre stata la versione migliore di lui. Era più dolce, più genuina, più angelica in tutto e per tutto. E a Crowley piaceva: aveva imparato a volerle bene.

Ora sarebbe tornata da dov'era venuta e la libreria sarebbe rimasta vuota.

Ed è tutta colpa tua.

Non le disse niente. Scostò semplicemente lo sguardo verso il vuoto e scoccò le dita.

    «Aziraphale!»

Ma ormai se n'era già andato.


La luce dell'ascensore era accecante, il suo interno fin troppo lucido.

Aziraphale riuscì a darsi un'occhiata grazie al riflesso che gli rimandarono le porte. Non sembrava neanche più lui: il vuoto sembrava averlo scavato fuori oltre che dentro. Aveva i capelli fin troppo in ordine, il papillon fin troppo dritto e le mani fin troppo immobili.

    Accanto a lui, Saraquel aveva le braccia incrociate e la fronte leggermente aggrottata. «Amava davvero quello che faceva» disse ad un certo punto, rompendo il leggero ronzio che stava accompagnando la loro ascesa. «Era quello che metteva tutti di buon umore. O meglio: con me lo faceva benissimo. Era capace di parlare per ore ed ore dei suoi progetti, dei suoi appunti, dei suoi piani, delle sue stelle...» Le scappò una mezza risata affettuosa. «Gli si accendeva una luce negli occhi tutte le volte. Mi è mancata quando se n'è andato: anche per questo ho volontariamente accettato di essere abbassata di grado. Lassù non c'era più niente e nessuno che mi motivasse a restare - ed era anche l'unico modo di evitare la procedura nel caso Metatron avesse pensato di attuarla». Fece una pausa. Aziraphale non si voltò nemmeno a guardarla: lasciò semplicemente che il suo sguardo passasse da un riflesso all'altro. «Ho rivisto quella luce nel momento esatto in cui è balzato per proteggerti. Avrà perso la sua nebulosa, ma ha trovato te. Non ci capisco niente di amore, ma di una cosa sono certa: Metatron ha torto marcio.»


Le porte si aprirono.

    Aziraphale uscì grazie alla stessa inerzia di poco prima. Alle sue spalle echeggiò un: «Mi dispiace che le cose siano andate in questo modo. Non potevo sapere che Metatron avesse messo le mani sul Libro della Vita.»

L'ascensore si richiuse e iniziò la discesa, lasciandolo solo in una stanza troppo bianca, troppo luminosa e troppo pulita. L'odore di cieli tersi e nuvole gli diede alla testa.

Avanzò lentamente, lasciando che il rimbombo dei suoi passi gli riempisse il vuoto che aveva in testa.

    Era così fuori dalla realtà che, quando qualcuno di molto particolare comparve sulla sua strada, non si stupì nemmeno. Semplicemente si fermò, composto come un soldatino, e accennò un sorriso. «Salve» disse solo.

Davanti a lui c'era una bambina dalla pelle scura. I capelli ricci e corvini le erano stati intrecciati ad arte sulla nuca, salvo poi sciogliersi vaporosi fino alle spalle. Indossava un semplice vestitino bianco decorato sui bordi da un leggero filo dorato. Aveva gli occhi grigi e curiosi di una giovane umana, anche se umana lo era solo per metà.

    «Tu sei quello che dovrebbe accompagnarmi?» Chiese questa, inclinando la testa.

Aziraphale annuì.

    «Oh» esclamò lei. Poi aggrottò la fronte. «Aspetta, io ti ho già visto.»

    Aziraphale annuì nuovamente. «È stato molto tempo fa.»

    La bambina venne colta da un moto di realizzazione che la fece sorridere. «Ma certo! Mi ricordo di te. Caspita, quella è stata proprio una giornataccia» esclamò. Poi rabbrividì: «Mi fa ancora male tutto se ci penso. Mi spiace che anche tu abbia dovuto assistere a quello spettacolo raccapricciante. I Romani sapevano come torturare la gente, poco ma sicuro.»

Il modo in cui aveva messo le mani sui fianchi la fece sembrare improvvisamente più grande. Sembrava quasi che si stesse abituando alle sue nuove sembianze - e magari era proprio così.

    Aziraphale fece spallucce. «Alla fine è andata bene, però.»

    «Che cos'ha detto per farli arrabbiare tanto?»

    «'Amatevi l'un l'altro'.»

Scosse la testa. Non era il momento.

    «Sì, diciamo di sì. Di certo, la notizia ha fatto scalpore. Ne parlano ancora?»

    «Oh, sì. Ogni giorno, o comunque, almeno una volta l'anno.»

    «Pensa tu» rise lei. «In effetti, ora che ci penso: tu eri quello incaricato di stare sulla Terra. Hai un nome particolare...» schioccò spesso le dita, cercando di ricordare. «A- Azi- qualcosa?»

    «Aziraphale.»

    «Giusto! Scusami, è che voi angeli siete davvero davvero tanti» ammise. Poi allungò una mano: «Io sono Eve.»

Ma certo: prima Adam, poi lei. Aveva perfettamente senso.

Aziraphale ricambiò la stretta. Persino quel contatto gli parve incorporeo, come se non fosse più capace di provare nemmeno il tatto oltre alle emozioni.

    «Sai cos'altro mi è venuto in mente?» Riprese Eve. «Non eri solo l'ultima volta che ci siamo visti. Ho conosciuto il demone che era con te. So che non dovrei dire queste cose, ma era davvero un tipo simpatico.»

Giusto. Crowley, che d'altronde aveva deciso proprio quel giorno di volersi chiamare così, glielo aveva accennato.

    «Erano stati quaranta lunghissimi e noiosissimi giorni» raccontò lei. «Non so se hai mai fatto una passeggiata nel deserto, ma posso assicurarti che stare senz'acqua sotto al sole non è il massimo. Solo che, sai, non puoi pretendere di insegnare il sacrificio alle persone senza farlo a tua volta». Fece spallucce. «Fortunatamente, alla fine è arrivato lui. Abbiamo chiacchierato un po', mi ha fatto vedere il mondo... è stato divertente. Ha alleggerito la situazione. Non dirlo a nessuno, ma gli devo un favore.»

    Nemmeno quella storia riuscì a smuovere l'animo di Aziraphale: si sentiva come se stessero parlando di un amico immaginario. Si sforzò solo di mantenere il fare affabile. «Non lo dirò a nessuno» promise. «Allora, vogliamo andare?» Chiese poi, sapendo che da quel momento in poi lo avrebbe aspettato l'ignoto. Non sapeva cosa sarebbe successo, né dove sarebbe andato. Poteva solo portare a termine il lavoro e lasciarsi trascinare dagli eventi.

Almeno, ora che non esiste più, non è più in pericolo.

    Ma Eve non si mosse. Ridusse gli occhi ad una fessura e lo studiò da cima a fondo con lo sguardo quasi incolore che si ritrovava. «Perchè sei così triste?» Chiese.

    «Non sono triste.»

Non era una bugia. Aziraphale non era triste; semplicemente, era niente. Solo e più niente.

    «Vero, è persino peggio: i principati brillano, questo me lo ricordo. Tu sei alquanto spento.»

Brillano. Come le stelle.

    «Non sono più un principato. Da un po'.»

    Eve sbatté gli occhi un paio di volte. «In che senso?»

Fu allora che la coltre di apatia nell'animo del biondo decise di schiudersi appena, lasciando che sbucasse una punta di confusione.

    «Metatron non ti ha detto niente?»

    «Perchè, a te che cos'ha detto?»

La confusione si fece improvvisamente palpabile e ben piantata sui volti di entrambi.

    «Beh, ehm...» balbettò Aziraphale, ritrovandosi, come non fosse mai accaduto niente, le dita indaffarate a stringersi l'un l'altra. «Secondo ciò che abbiamo detto durante la nostra ultima riunione: la Seconda Venuta porterà con sé il conseguente annientamento di qualsivoglia forma di peccato, malignità e cattiveria» recitò. «Sono un arcangelo da un anno, ormai, e sono qui per accompagnarti, proprio come hai detto prima.»

    Dopo essersi presa un attimo per ragionare, Eve sospirò e alzò gli occhi al cielo. «Ancora con questa storia?» Esclamò, facendo rimbombare la sua vocina tra le eteree mura del Paradiso. «Ecco perché nessuno è venuto a consultarmi: credevate di sapere già tutto.»

Aveva incrociato le braccia, iniziando a battere la punta della sua scarpetta di vernice sul pavimento immacolato. Quella sì che era una reazione inaspettata, tanto da aver fatto tornare Aziraphale con i piedi per terra.

Non aveva più la più pallida idea di cosa stesse succedendo.

    «Io credevo che Metatron avesse parlato con Dio e-»

    «Mio Padre e Metatron non parlano da un sacco di tempo» lo interruppe Eve. «E la storia dell'annientare il Male se la sono inventata gli umani. Mi spieghi come lo gestisco il Giudizio Universale senza l'Inferno?»

Aziraphale non seppe come rispondere. Effettivamente, era una contraddizione bella e buona.

    «Ma dico, nessuno di voi si fa domande? Caspita, qualcuno che fa domande ci vuole, o va a finire così.»

Quell'affermazione gli causò un tonfo al cuore. Nessuno avrebbe dovuto farsi domande; difatti, nessuno aveva mai pensato di chiedere ad Eve quali fossero davvero i suoi piani.

    «D'altronde» riprese lei, «non posso eliminare il male senza eliminare l'umanità: sono due cose strettamente collegate, così come il bene e l'umanità. E io l'umanità la vorrei aiutare per evitare che finisca in buona parte dentro ad un buco puzzolente.»

    «Ma- ma Metatron ha disposto tutto» spiegò Aziraphale, cercando di dare un senso a tutta quella situazione - più a se stesso che altro. «Ha persino preso il Libro della Vita. Ero convinto che lo avesse con sé apposta per- beh- pensavo che avesse un permesso» balbettò. Eve lo guardò come se avesse qualcosa di stupido scritto in fronte. «Non- non ha un permesso?»

    «Il Libro della Vita?!»

Aziraphale lo prese come un: "No."

    «Nessuno dovrebbe appropriarsene» affermò Eve. «Quello è praticamente un catalogo. Dovrebbe servire a tenere tutte le forme di vita in un unico posto, sai, per registrarle. È fatto per essere scritto di volta in volta, e nessuna delle voci al suo interno dovrebbe essere cancellata». Poi incrociò le braccia. «Non dirmi che ha cancellato qualcuno.»

Il neo arcangelo sentì un groppo in gola. Se prima la sua mente risultava più vuota della stanza in cui si trovavano, adesso gli si era improvvisamente riempita di tutto: domande, confusione, rimorso, nostalgia e solitudine.

D'un tratto, sentì il peso di ciò che era accaduto. Le lacrime non si soffermarono nemmeno, stavolta: scesero semplicemente, copiose e pesanti. I led sulle loro teste parvero sfarfallare, ma magari era solo un'impressione.

    Per un attimo gli parve di perdere l'equilibrio da quanto gli tremavano le gambe. «È tutta colpa mia» disse, stavolta a voce alta. Ebbe come l'impressione che tutto l'universo lo avesse sentito.

    I passetti di Eve lo raggiunsero. La intravide mentre si inginocchiava davanti a lui - perché sì, era piombato con le ginocchia al suolo e nemmeno se n'era accorto. «Ho bisogno che mi racconti cos'è successo» gli disse, seria ma gentile al contempo. «Non posso certo iniziare il mio piano di aiuto alla Terra se già dall'inizio ci sono più cose che non vanno, no?»


Così fecero.

Eve aveva fatto comparire due poltrone comode e morbide che davano su un'enorme finestra che Aziraphale, perso com'era, non aveva nemmeno notato.

Visto che erano molto in alto, al di fuori non si estendevano le più grandi città della Terra, bensì la volta celeste così come l'angelo l'aveva vista quel fatidico giorno. Ora come ora, però, quelle stelle e quei colori parevano senza vita. In lontananza gli parve di vedere Alpha Centauri, e un dolore gli attanagliò l'aura.

A Eve raccontò tutto, intanto che lei faceva dondolare le gambe, pensosa. Non disse una parola per tutto il tempo che ad Aziraphale servì per dirle dell'angelo dai capelli rossi di cui si era innamorato, lo stesso che aveva fatto Cadere. Le disse persino del bacio, dei secoli che aveva passato a combattere tra quello che riteneva giusto e quello che gli altri ritenevano giusto. Tirò fuori tutto quello che gli venne in mente, lasciando che la sua voce si rompesse e prendendosi gli attimi di cui aveva bisogno.

Disse a voce alta che l'amore della sua esistenza non esisteva più. Formulare quelle parole fu quasi peggio del ricordare l'offuscata mano di Metatron che cancellava Crowley dal Libro con una facilità disarmante.

Era tutta colpa sua.

Anche questo ripeté, perché era l'unica e l'ultima convinzione che gli rimaneva.

A discorso ultimato, Eve non parlò - non subito. Schioccò le dita, e tra le mani si ritrovò proprio lui: il Libro della Vita. Ad Aziraphale fece strano scoprire quanto rovinato, smunto e del tutto simile a quelli della sua libreria sembrasse. Ma soprattutto, si chiese se Metatron si sarebbe accorto del fatto che gli era sparito dalla tasca.

    Sfogliandolo, la bambina fece scorrere il dito lungo le righe confuse che riempivano le pagine. Emise un mesto: "mh", prima di sospirare. «Hai una penna?»

    «Ehm, non ho idea di dove Metatron abbia messo la mia.»

    «Ti ha pure preso la penna?!»

Ad Aziraphale scappò un sorriso - il primo sorriso sincero dopo chissà quanto, dato che ormai lo scorrere del tempo non aveva più senso, né logica.

    «Beh, prestami una piuma, allora.»

E lui obbedì, perché era pur sempre la figlia di Dio quella che aveva davanti. Aprì le ali con delicatezza, affinché non risultassero fastidiose contro lo schienale della poltrona.

    Lasciò che fosse Eve stessa a scegliere una delle sue piume candide. Ne staccò una con premura, assicurandogli che sarebbe ricresciuta nel giro di poco. «Sai» disse poi, «se sei riuscito a ricordarti tutte quelle cose nonostante la procedura, significa che sei davvero forte. Si vede che sei stato un cherubino. Certe cose non puoi cancellarle.»

    Aziraphale annuì a mo' di ringraziamento, incapace di capire cosa dire e come dirlo. «Che succederà adesso?» Chiese, invece.

    «Beh, te l'ho detto: devo un favore al tuo, chiamiamolo, amico. C'è solo un problema» disse lei, tornando a fissare le pagine del Libro. Doveva esserci un bel buco, lì; uno spazio bianco che solo lei vedeva. «Riscrivere il suo nome non è sufficiente. Una volta che hai cancellato qualcuno, è difficile riportarlo indietro esattamente com'era. Penso potrebbe farlo solo mio Padre o, in alternativa... Beh, potresti farlo tu.»

    Il neo arcangelo sbarrò gli occhi. «Io?»

    «Beh, sì. Nessuno conosce Crowley meglio di te.»

Aziraphale si mise a guardare il cielo al di fuori, valutando quelle parole. Non era sicuro di conoscerlo così tanto: in fondo, non riusciva mai veramente a leggerlo come Crowley stesso leggeva lui. Il suo demone era sempre stato un libro aperto, ma scritto in parte in una lingua che lui non comprendeva - o che non voleva comprendere.

Eppure, Eve gli stava proponendo un modo di farlo tornare. Per niente al mondo si sarebbe lasciato scappare quell'opportunità. Non dopo tutto il male che aveva causato.

    «Tu credi nella redenzione?» Chiese infatti lei, che tanto bambina non sembrava quando metteva su quel tono.

    Aziraphale annuì. «Certo che sì.»

    «Nel perdono?»

    «Più di qualsiasi altra cosa.»

    «E nell'amore?»

    «Ovviamente.»

    Allora, Eve fece un sorrisetto furbo. «Nella resurrezione?»

    Aziraphale si fece scappare una risata leggera. «Penso di doverci credere, sì.»

    «E allora devi farmi un paio di favori. Il primo: smetterla di perdonare gli altri a caso e iniziare a perdonare un po' te stesso. Il secondo, seguire attentamente quello che ti dirò di fare.»

E lui acconsentì, annuendo energicamente e pronto a prendere nota di tutto. Pronto a fare qualsiasi cosa gli sarebbe stata richiesta.

    «Ah, e per la cronaca» riprese Eve, «sarò anche solo un terzo di mio Padre, ma persino io so che non sbaglia mai. Perciò, quando dice che prima o poi Crowley avrebbe comunque scoperto tutto, significa che è così. Probabilmente sarebbe Caduto comunque, e probabilmente si sarebbe arrabbiato con te per non avergli detto nulla prima. Inoltre, volevi la sua attenzione perché ti sei, come direbbero gli umani, preso una bella cotta.»

    «Non mi pare una cosa molto positiva...»

    «Aziraphale, sei stato il primo. Il primo ad innamorarsi, intendo. Hai idea di cosa significhi?»

A dirla tutta, Aziraphale non riusciva a cogliere quel punto. Certo, l'amore era una bella cosa e tutto il resto, ma aveva comunque portato ad esiti non del tutto positivi - almeno nel suo caso. D'altronde, lui non aveva idea di come ci si amasse davvero. Tutto quello che aveva tra le mani erano le osservazioni che aveva fatto guardando gli umani, Jane Austen, un bacio finito in tragedia e una seconda occasione finita ancora peggio.

    La risata armoniosa e infantile di Eve distese le rughe di dubbio sulla sua fronte. «Caspiterina, tu ami come gli umani: senza capirci niente. Sicuro di essere un angelo?»

    «Fin troppo sicuro» mormorò lui, il tono mesto. Di certo, alle volte ragionava esattamente come tutti gli altri angeli. A dirla tutta, era anche perché non aveva mai conosciuto altro modo di pensare.

    «Beh, dovresti allontanarti un po' dal Paradiso, allora. Penso ti stia un po' stretto.»

E gli stava stretto davvero. Avrebbe potuto compararlo ad una maglietta della taglia sbagliata dalla quale, però, non riusciva a separarsi. Gli umani l'avrebbero chiamata una "zona di comfort".

    «Immagino tu abbia ragione.»

    «Certo che ce l'ho: sono un terzo di mio Padre.»

Risero assieme, stavolta, riscaldando un po' l'atmosfera fredda che emanavano quelle pareti tutte uguali.

    «E quindi tu?» Chiese poi Aziraphale. «Cosa farai?»

    «Oh, non preoccuparti di me: ho già tutto programmato. Ho persino in mente una bellissima entrata in scena.»

    Le sorrise. «Non vedo l'ora di vederla, allora.»

    Lei gongolò per un attimo, poi scelse una pagina apparentemente a caso del Libro, tenendo in mano la piuma di Aziraphale. «Sarà meglio che ci sbrighiamo, allora; anche perché alla lista si è aggiunta una bella chiacchierata con Metatron e compagnia. Sei pronto?»


Il neo arcangelo diede un'ultima occhiata all'universo.

Alpha Centauri era un sistema stellare triplo situato nella costellazione australe del Centauro. Era la stella più luminosa della costellazione, nonché terza stella più brillante del cielo notturno a occhio nudo. In particolare, Proxima Centauri, delle tre stelle che componevano il sistema, era dopo il Sole la stella più vicina alla Terra.

Le iniziali del nome di quel sistema erano anche le loro iniziali.

Era costituito da una coppia di stelle di sequenza principale di luminosità simile, una nana gialla e una nana arancione molto vicine fra loro che, e a occhio nudo o con un piccolo binocolo, sembravano essere un'unica stella.*

Capiva perfettamente perché a Crowley piacesse tanto.

La prima cosa che avrebbe fatto semmai lo avesse rivisto, sarebbe stata portarlo lassù. Come aveva sempre voluto.


    «Mai stato così pronto» disse quindi.

L'ignoto non gli faceva più paura. Qualsiasi cosa fosse successa, l'avrebbe fatta con piacere. L'avrebbe fatta per amore.

Ma soprattutto, l'avrebbe fatta per perdonarsi.






* Grazie Wikipedia, ma soprattutto grazie a chiunque abbia inserito il riferimento a Good Omens nella sezione: "Nella cultura" della entry dedicata ad Alpha Centauri.

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Good Omens / Vai alla pagina dell'autore: Neamh Moonstar