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Autore: Neamh Moonstar    12/12/2023    2 recensioni
[SPOILERS SECONDA STAGIONE]
Le loro separazioni non erano mai per sempre. In fondo lo aveva detto anche Aziraphale stesso: "Nulla è per sempre".
Eppure la loro ultima lite era sembrata una ghigliottina: li aveva divisi così profondamente da lacerarli, così duramente da far mettere ad entrambi il punto su una relazione che pareva essere appena cominciata - o che era morta ancor prima di cominciare davvero.
Crowley si era sentito tradito, così tanto da dirsi che non sarebbe tornato dall'angelo nemmeno se gli fosse piombato davanti - in ginocchio, per giunta.
Peccato che fosse solo tutta una stupida storiella che si ripeteva per non ammettere quanto in realtà sperasse in un ritorno. Sperava in un chiarimento. Sperava in una svolta.
E adesso la svolta era arrivata così, di colpo, senza preavviso.
Dopo un anno intero da quel disperatissimo bacio.
Genere: Angst, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Aziraphale/Azraphel, Crowley, Metatron
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La notte passava sempre troppo in fretta per i suoi gusti.

Si raggomitolò nelle coperte, coprendosi la testa per evitare che la luce del mattino lo disturbasse. Iniziò a capire che qualcosa non quadrava solo nel momento in cui si accorse che il profumo delle lenzuola non era quello a cui era abituato. Di certo, nel suo appartamento non aveva mai sentito l'odore della polvere, o della carta vecchia, o del tè... Quelle erano cose che appartenevano alla libreria.

Magari se lo stava sognando - era interamente possibile, conoscendosi.

A fargli aggrottare le sopracciglia fu una realizzazione.

Aspetta un attimo, si disse. Quale luce? Piove da giorni!


Crowley aprì gli occhi di scatto e si sedette in un secondo, come se qualcuno gli avesse dato un colpo di frusta dritto dritto sulla schiena.

Fuori c'era il sole.

Il sole.

Si catapultò fuori dal letto, attorcigliandosi nelle coperte. Piombò sul pavimento con un tonfo, e si rimise in piedi in un attimo solo per scoprire che le gambe gli tremavano e la testa gli girava. Finì contro una parete di schiena e scivolò fino a terra - più confuso che effettivamente allarmato.

    «Ma che cazzo...» mormorò, notando che nemmeno la sua voce stava collaborando, roca com'era. Si sentiva intorpidito, come quella volta che si era svegliato dopo un intero secolo di dormita - la migliore della sua esistenza, d'altronde; rimasta ancora imbattuta.

Lentamente e poggiando le mani contro il muro, si alzò nuovamente e si guardò attorno. Era al piano di sopra della libreria, laddove stava l'unico letto dell'edificio - lo stesso nel quale stava dormendo fino a poco prima. Ogni cosa era al suo posto: libri, fogli sparsi, polvere... A stonare erano le coperte divelte dalle quali si era liberato e il sole che filtrava dalla finestra. Al di fuori, Londra andava avanti e indietro come sempre aveva fatto prima della pioggia.

Il rosso cercò di fare mente locale. Va bene, ricordava il tempaccio, ma che altro?

Nella sua mente riaffiorarono lontane immagini di sbronze, notti passate a piangere, ma anche passeggiate al parco e tantissime tazze di cioccolata calda.

Si ricordava di Muriel, del modo in cui scribacchiava sul suo taccuino, di quando si perdeva in mezzo alla folla e si tappava le orecchie perché odiava la confusione. Soprattutto, la ricordava spaventata e tremante, forzatamente allacciata al braccio di Metatron.

Giusto, il Metastronzo. Quel brutto bastardo aveva causato tutto, e Saraquel lo aveva aiutato - o almeno, così credeva. C'era anche lei, e aveva detto un sacco di cose.

Aveva fatto un sacco di domande.

È vero, domande.

E poi Aziraphale si era messo a piangere.

Oh, cazzo.


Ignorando lo stato in cui si trovava, Crowley barcollò verso la porta. La aprì praticamente poggiandocisi sopra, un po' come faceva quando si riempiva volutamente di bottiglie intere di alcolici.

    «Aziraphale?» Richiamò, sforzando la gola e raggiungendo faticosamente le scale a chiocciola.

A rispondergli non fu il suo angelo, ma qualcuno di molto, molto familiare.

    «Crowley?» Esclamò Muriel, comparendo alla base delle scale. Alzò lo sguardo e sorrise come spesso il rosso le aveva visto fare, con la differenza che, stavolta, aveva gli occhi ricolmi di lacrime. «Crowley!»

L'agente che piangeva? Che accidenti stava succedendo?

    Rallentando giusto per evitare di rotolare di sotto, il demone andò a cercare stabilità tra le pronte braccia dell'altra. «Che succede?» Chiese, dando voce ai suoi pensieri. Aveva la testa in pappa, ma era certo di non essere mai tornato in libreria. L'ultima volta che aveva visto l'agente, e Saraquel, e Metatron, e Aziraphale, erano fuori - all'esterno, da qualche parte.

    Muriel si prese un lungo attimo prima di rispondere. Lo fissava da capo a piedi, come se non lo vedesse da una vita, o come se avesse qualcosa di strano in faccia - Crowley non avrebbe saputo dirlo. «Sei vivo» mormorò infine, stringendo la presa sui suoi avambracci. «Io- cioè, Metatron mi ha detto di tornare in Paradiso; ma io sono tornata qui, invece. Ogni giorno. Oggi doveva essere l'ultimo, ma dopo qualche ora è comparso il sole,  come non fosse mai successo niente. Poi ho sentito dei rumori, ma lei non c'era più e-»

    Crowley le poggiò una mano sulla bocca, stralunato. «Di che stai parlando? Perché dovrei essere morto?» Esclamò. Poi alzò gli occhi al cielo. «Agente, te l'ho già spiegato. Dormire non significa-»

    «Non è quello!» Lo interruppe lei, scoprendosi il volto. «È stato Metatron: aveva il Libro.»

Il Libro?

Ecco, quello proprio non se lo ricordava. In quel momento, aveva in testa solo il volto di Aziraphale rigato di lacrime. L'angelo si stava incolpando per qualcosa, ma non avrebbe saputo dire cosa di preciso.

Era tutto così strano... Gli sembrava di star disperatamente cercando di ripescare un sogno, anche se era quasi certo di averle vissute veramente quelle cose. C'era nebbia, e l'erba era verdissima, ed era uscito da un cottage dalle pareti bianche.

    «Dov'è Aziraphale?» Chiese, sperando che Muriel lo sapesse e che glielo indicasse con un sorriso e un gesto della mano - così come aveva fatto con le vetrine decorate sotto natale.

    Ma lei abbassò la testa, affranta. «Se n'è andato. È tornato di Sopra.»


È tornato di Sopra.

A Crowley non pareva possibile. Avevano rimesso le cose a posto, ne era certo. Cavolo, si erano baciati sotto la pioggia, e quel tocco gli aveva ballato sulle labbra per tutto il tempo. Persino adesso sentiva un piacevole pizzicore là dove i baci di Aziraphale lo avevano toccato.

Qualcosa non andava, e non vedeva l'ora che Muriel tornasse dalla cucinetta per raccontargli tutto.

Nel frattempo, era andato a tuffarsi sul divano. Si sentiva strano, come se gli avessero tirato l'aura fuori dal corpo e gliel'avessero rimessa dentro dopo averla rivoltata come un calzino - e, a giudicare da ciò che aveva detto Muriel, era molto probabile che fosse così.

Lo credeva morto, il che lo aveva portato a cercare di ragionare. Non era stato semplice: la sua mente lo aveva riportato a Maggie per qualche motivo, e ai libri sparsi ovunque attorno a lui. Perché stava faticando così tanto a ricordare? Perché la testa gli faceva così maledettamente male?

    «Non si sforzi tanto» lo ammonì la piccoletta con dolcezza, mettendo un vassoio sul tavolino - proprio come ai bei vecchi tempi.

    Gli porse la tazza come se avesse paura di frantumargli le dita nel processo, cosa che portò Crowley a ricordarle che: «Sto bene, rilassati». Glielo aveva già ripetuto almeno tre volte - anche se era vero fino ad un certo punto. «Vieni qui.»

La fece accomodare sul divano accanto a lui, lasciando che premesse il fianco contro il suo. Aveva bisogno di risposte, ma mai si sarebbe sognato di tirargliele fuori tutte di colpo.

    «Si vede che non hai mai avuto motivo di essere triste» le aveva detto una volta.

Ora, invece, si vedeva che la piccoletta aveva passato davvero un momentaccio. Non era solo triste: era decisamente affranta. Tamburellava le dita contro la sua tazza e non aveva nemmeno un briciolo del sorriso che sfoggiava di solito. Metatron era capace di distruggere tutti i suoi angeli preferiti - che poi erano solo due, ma valevano come due milioni.

Ovunque fosse il capo dei Serafini, a Crowley sarebbe piaciuto dargli un bel calcio laddove non batte il sole. Ora come ora, però, doveva capirci qualcosa.


Muriel gli raccontò tutto dal momento in cui Aziraphale era ricomparso in libreria.

Alla fine, Crowley scoprì che a mancargli del tutto erano solo gli ultimi pezzi del puzzle. Quando scoprì il motivo di tale mancanza, per poco non fece cadere sul parquet ciò che rimaneva della sua cioccolata.

Capì perché continuava a fissarsi su Maggie e i libri. Semplicemente, avevano parlato con lei del Libro della Vita, e sempre lei aveva messo sia lui che Muriel al corrente del pericolo.

Certo, non si aspettava che Metatron se ne andasse bellamente in giro con un'arma di distruzione di massa nella giacca. A dirla tutta, non se l'aspettava nessuno.

Aveva minacciato la sua agente, aveva fatto già sparire Shax per far capire di cosa fosse capace, e poi aveva tranquillamente cancellato lui davanti agli occhi di Aziraphale. Ma quel che era peggio: lo aveva fatto nel momento peggiore.

La confessione del suo angelo gli bruciava adesso vivida tra i ricordi, rimbombandogli nella testa. Come avrebbe detto Gabriele, adesso sapeva esattamente dove fossero i mobili in quella stanza che era la sua mente, ma si era fissato su uno di essi in particolare.

    «Quell'idiota» sussurrò senza nemmeno un briciolo della rabbia che avrebbe dovuto provare.

La verità era che non sapeva esattamente cosa pensare. Da un lato, continuava a non fregargliene assolutamente nulla di ciò che era accaduto tra loro in Paradiso. Dall'altro, voleva sbattersi una mano in faccia.

Chissà perché non era stupito. Alla fin fine, creare un problema gigantesco solo per un leggero capriccio era la cosa più da Aziraphale che Aziraphale potesse fare. Era sempre così: voleva le crepes e per poco non si faceva tagliare la testa, voleva che gli fosse chiesto scusa e gli faceva fare un intero balletto, voleva ricambiargli un favore e metteva su un intero spettacolo di magia, voleva attenzione e faceva crollare tutte le sue più rosee aspettative... Certe cose non cambiavano mai.

Ciò che più gli dava fastidio, però, era il non aver avuto il tempo di metabolizzare il tutto e rispondere al suo angelo come si doveva. Metatron non gliene aveva dato.

    «Dobbiamo andare da lui» disse alla fine, risoluto. Aveva stretto il polso di Muriel, sperando che acconsentisse. «Devo parlargli. Deve vedere che sono qui.»

E magari gli do pure un bel ceffone, stavolta.

    «Era alquanto distrutto l'ultima volta che l'ho visto» affermò lei, liberandosi le mani solo per dargli qualche leggera pacca sulle nocche. «Non sembrava più lui. Stava quasi peggio di quando è sbucato fuori dal cerchio.»

E ciò la diceva lunga.

    «Motivo in più. Non posso perderlo di nuovo, capisci? Non dopo tutto questo casino. Non dopo che sono miracolosamente sopravvissuto.»

Nemmeno di quello gli importava. L'importante era esserci.

Per Aziraphale.


Li interruppe un leggero bussare alla porta.

    Fu Muriel ad alzarsi, intimandogli di restare dov'era. «Dev'essere qualcuno che si chiede come mai la libreria è chiusa: mi è capitato spesso negli ultimi giorni. Faccio in un attimo.»

E Crowley acconsentì, sciogliendosi sullo schienale e passandosi le dita sugli occhi scoperti. Che situazione assurda, si disse. Non volevo ignorarlo: stavo solo cercando di fare bene il mio lavoro.

    Poi udì una vocina provenire dalla porta. «Il signor Crowley è in casa?» Aveva chiesto, educata e composta.

Il demone si era sporto un po', sguardo puntato all'ingresso. Chi mai poteva volerlo? D'altronde, non aveva mai sentito quella voce in vita sua.

    «Oh, ehm, sì» aveva risposto Muriel. «Solo che non si sente molto bene. Non potrebbe ripassare più tardi?»

    «La prego, ci vorrà un attimo.»

    Con uno sbuffo, Crowley si alzò e fece qualche cauto passo verso la sua agente. «Falla entrare, ci penso io.»

Quando la piccoletta aprì la porta, il rosso rimase basito nel veder entrare una bimba dalla pelle scura, gli occhi grigi e i capelli ricci. Doveva avere sì e no sette anni.

Non aveva la più pallida idea di chi fosse.

    «Ciao!» Salutò la nuova arrivata. «Ci hai messo tre giorni anche tu, eh? Devono essere le tempistiche standard.»

Crowley alzò un sopracciglio, confuso. Muriel lo affiancò e gli rivolse una scrollata di spalle che sapeva tanto di: "Ah, non chiedere a me."

    «Scusate, avete ragione» riprese la bambina, ridacchiando. «Mi chiamo Eve. Aziraphale avrebbe dovuto accompagnarmi, ma ci sono stati dei piccoli contrattempi e sono un po' in ritardo sulla tabella di marcia.»

Aziraphale avrebbe dovuto-

    Crowley e Muriel sbarrarono gli occhi all'unisono, si scambiarono un'occhiata stralunata e, in coro, esclamarono: «Tu, cosa?!»

Eve si rimise a ridere.


Il documento riportante la riunione 1616 che Aziraphale aveva scritto di proprio pugno, recitava testualmente: I qui presenti Arcangeli, guidati dalla presenza della Voce di Dio - nonché capo dei Serafini - e dall'angelo da questi incaricato suo secondo, decretano ormai prossima la Seconda Venuta e il conseguente annientamento di qualsivoglia forma di peccato, malignità e cattiveria. La consegna verrà fatta dall'Arcangelo Supremo stesso.

Eppure, Eve se ne stava adesso ben comoda sulla poltrona dell'angelo che avrebbe dovuto "metterla al mondo", le gambe ciondolanti e una tazza di cioccolata calda tra le mani. Sembrava una qualsiasi bambina che si godeva una leccornia, peccato che non lo fosse - o meglio, lo era solo per metà. Sicuramente, non aveva intenzione di annientare Crowley; semmai, sembrava felice di vederlo tutto d'un pezzo.

Muriel si era seduta sul divano, mentre il rosso non c'era riuscito proprio. Si sentiva troppo nervoso e decisamente fuori luogo. Anche nel suo abitino, Eve sembrava un'adorabile bestiolina; mentre lui era scalzo, con i capelli scombinati e i vestiti stropicciati dal tempo che aveva passato a dormire - tre giorni, a detta della bambina.

Prima Adam, poi Eve. Che fantasia.

    «È da un po' che non ci si vede» le disse ad un certo punto, stufo del silenzio che si era creato nel momento in cui la loro improbabile ospite aveva ricevuto la sua prelibatezza stracolma di panna. «E ammetto che non avrei mai immaginato di rivederti, beh, così

    Eve inclinó la testa. «Ma se tu eri vestito da donna l'ultima volta che ti ho visto.»

    «Mozione accolta. Che ci fai qui?»

    «Ti ricambio il favore.»

    «Favore? Che favore?»

    «La chiacchierata nel deserto, ricordi?»

    Oh, eccome se la ricordava. «Diciamo che la storia dei quaranta giorni di sopravvivenza a lacrime e preghiere mi è sempre sembrata stupida.»

    «Lo so, ma che vuoi farci: era necessario.»

Sarà anche stato necessario, ma rimane stupido.

    Il rosso decise di non prolungare ulteriormente e inutilmente quel discorso. Piuttosto, decise di tirare fuori il dilemma principale. «Hai detto che Aziraphale avrebbe dovuto accompagnarti. Dov'è adesso?»

    «Volevo giusto parlartene» affermò Eve, dando un sorso alla cioccolata prima di posarla. «È stato lui a riportarti indietro - sotto mio aiuto e consiglio, ovviamente. Sai, non potevo scomodare mio Padre: già ci è rimasto male quando gli ho detto che cosa stava combinando Metatron.»

Quindi Metastronzo se la stava vedendo con Sua Maestà. Solo l'idea fece crogiolare l'aura oscura di Crowley nella contentezza.

Persino Muriel si era portata una mano alla bocca nel goffo tentativo di nascondere un sorrisino divertito. Era davvero una bellissima visione: stava tornando la solita lei.

La cosa migliore, però, era sapere che era stato proprio Aziraphale a sistemare la situazione. Il demone si chiese se fosse ancora il caso di dirgliene quattro adesso che sapeva come stavano le cose.

    «C'è solo un problema.»

Ti pareva. Quelle poche parole avevano sbriciolato le poche gioie che erano appena appena affiorate.

    «Sarebbe?» Chiese Crowley, già pregustando una batosta coi controcavoli.

    «Come ho detto, non potevo chiedere a mio Padre. Aziraphale ha fatto un lavoro egregio: praticamente, è come se ti avesse ricreato da capo. Sì è personalmente assicurato di non tralasciare nessun dettaglio, e posso assicurarti che ha ancora la stoffa del cherubino. Ci sa fare.»

Il demone aveva sempre saputo che il suo angelo, sotto il fare composto e adorabile che adorava mostrare, era una creatura sensazionale e sensazionalmente potente. Ora, però, quella convinzione si era concretizzata persino di più.

Non sapeva quanto Eve avesse messo lo zampino nel processo, ma anche solo l'idea che Aziraphale si fosse dato così tanto da fare per salvarlo gli scaldava l'inutile cuore.

Ma il "ma" vero e proprio doveva ancora arrivare.

    Difatti, la bambina riprese: «Ha deciso lui di portarti qui in libreria: diceva che è il tuo posto preferito. Io ho formalizzato il tutto e ti ho riscritto nel Libro della Vita. Il problema di cui ti parlavo è che, beh, Aziraphale non è Dio» e fin lì non ci pioveva. «Anche con il mio aiuto, non può portare a termine un'impresa simile con facilità o senza conseguenze. Avevamo tenuto in conto la cosa, ma lui era positivamente convinto di ciò che stava facendo.»

    «Conseguenze? Quali conseguenze?» Chiese Crowley, allarmato.

A qualsiasi problema si poteva trovare una soluzione. Si era stancato? Lo avrebbe fatto riposare. Si era ferito in qualche modo? Lo avrebbe curato. Qualcuno aveva avuto da ridere? Avrebbe avuto da ridire anche lui, senza dubbio.

    «Diciamo che ha dato tutto sé stesso per salvare te. Non appena ho finito di reinserirti, lui è sparito. Quando ho cercato il suo nome tra le pagine, non c'era più.»


Non c'era più.


Crowley sentì le gambe cedergli e piombò sul divano. Le mani di Muriel gli afferrarono il braccio, e poté udirla rimettersi a lacrimare.

Tutto era crollato, di nuovo. Ormai aveva perso il conto delle volte in cui ciò a cui teneva spariva o comunque rischiava di sparire dalla sua esistenza.

Aveva perso le stelle, ma se n'era fatto una ragione. Alla fine, era stato uno di quei mali venuti per non nuocere. Il suo angelo si era sentito in colpa, quando in realtà aveva contribuito a far nascere tutte le cose belle che erano avvenute in seguito.

Aziraphale stesso era ciò che aveva perso di più. Non faceva che perderlo e riprenderlo, perderlo e riprenderlo, perderlo e- stavolta non avrebbe ripreso un bel niente.

Persino i loro baci erano uno staccarsi e un riattaccarsi continuo. Non avrebbe più avuto nemmeno quelli.

Muriel gli aveva detto che Aziraphale sembrava essersi svuotato di tutto a seguito della sua cancellazione. Beh, Crowley non sentiva il vuoto: Crowley sentiva il male. Provava un dolore sordo ma martellante che lo soffocava. Non voleva vivere se il prezzo era farlo senza il suo angelo. Avrebbe preferito sparire per sempre e non tornare mai più.


    «Tieni» disse ad un certo punto Eve, avvicinandosi a lui e strappandolo per un attimo alla cacofonia di pensieri che gli vorticava in testa. «Me l'ha prestata per scrivere.»

Gli aveva poggiato una bella piuma candida sulle cosce. Crowley la prese tra le dita con una delicatezza che ben poco gli si addiceva, un po' come se fosse fatta di porcellana. 

Era immacolata e perfetta, bella come lo era stata quel giorno sotto la pioggia. Per lui, l'Eden sarebbe rimasto per sempre il loro primo, vero incontro. Quello durante il quale si erano conosciuti per ciò che sarebbero rimasti per il tempo a venire.

    «Gli ho promesso che sarebbe ricresciuta» riprese la bambina. «Pensavo ti avrebbe fatto piacere riaverla.»

Il rosso realizzò che il suo nome nel Libro era stato riscritto con quella stessa piuma. Sentì di non meritarselo quel sacrificio. Aziraphale non aveva nessun diritto di sentirsi così tanto in dovere di redimersi nei suoi confronti.

Quell'idiota.


    Sentì le braccia di Muriel cingergli le spalle, ma le scostò con delicatezza, lo sguardo perso e colmo di lacrime. «Vado di sopra» disse solo, cercando di rimettersi in piedi senza frantumarsi al suolo.

Si sentiva come una foglia al vento. Prima o poi sarebbe stato sopraffatto da tutte le emozioni che, ora come ora, stavano combattendo nel suo ipotetico stomaco.

Che senso aveva vivere senza un motivo per farlo? Era uno yang senza lo yin, un'ombra senza luce: da solo non aveva senso, o ce l'aveva solo per metà.

Rifiutò l'aiuto che l'agente stava disperatamente cercando di dargli, aggrappandosi al corrimano della scala a chiocciola.

Non salutò nemmeno Eve, tanto l'avrebbe rivista, prima o poi. Era tornata per restare, o almeno così doveva essere. Non sapeva perché il piano fosse cambiato così di colpo, ma non poteva fregargliene di meno. Tanto, come avrebbe detto Aziraphale, era una di quelle cose ineffabili. Non poteva capirla.


Rientrò in camera maledicendo il momento in cui aveva messo piede fuori dal letto. Si accasciò sfinito alla porta e si concentrò solo sulla sensazione della piuma di Aziraphale tra le dita.

Era l'unica cosa che gli rimaneva, oltre a quello stesso posto, ai libri, all'odore della polvere, della carta stampata, del tè...

Già gli mancavano quei baci. Avrebbe fatto di tutto pur di tornare davanti al camino del cottage, laddove - se lo ricordava bene - aveva affondato il volto nei suoi riccioli preferiti.

Non li avrebbe rivisti mai più.


Conscio di quella realtà, lasciò che le sue ginocchia cedessero nuovamente e rimase seduto sul parquet freddo - il calore del sole che filtrava dalla finestra parve non riuscire nemmeno a raggiungerlo.

Dopodiché lo colse un singhiozzo, poi un altro e un altro ancora. E, dopo aver fatto brevemente a botte con il dolore, decise di soccombervi e piangere.


°•°•°


    «Ci sarà pure qualcosa che può fare!» Aveva esclamato Muriel, fissando Eve con infinita supplica.

Crowley aveva praticamente scalato le scale, trascinandosi al piano di sopra. Esattamente com'era successo con Aziraphale, anche lui sembrava essersi svuotato. Se prima era parso debole e scoordinato, la notizia di ciò che era successo al suo angelo lo aveva in tutto e per tutto distrutto.

    La bambina, in tutta risposta, aveva finito la sua cioccolata e l'aveva guardata con una serietà che poco si addiceva al suo volto giovane. «Muriel, giusto? Bene. Tu credi nell'amore?» Aveva chiesto.

L'agente preferita di Crowley non aveva mai incontrato Eve ai tempi d'oro, ma aveva sentito parecchie voci sul suo conto. Si diceva che riportarla sulla scacchiera avrebbe portato l'Inferno a ridursi ad un'ammasso di demoni in poltiglia; ma, evidentemente, si trattava di fandonie. Era un caso particolare: certamente ricordava il visibilio che aveva portato la sua prima nascita e, non troppo tempo dopo, il suo schivare la morte come fosse roba da tutti i giorni. Aveva quel fare calmo ma sicuro di chi sa di saperne di più, di avere la verità in tasca. E infatti eccola lì, tranquilla come se non stesse per tornare e stravolgere di nuovo il mondo.

    «Certo che ci credo» rispose sicura.

Aveva letto abbastanza storie romantiche da sapere che gli umani ci tenevano davvero tanto a quel sentimento, così come aveva letto abbastanza gialli da sapere che erano capaci persino di uccidere per amore. Aveva visto Aziraphale e Crowley cercare di appianare le loro divergenze solo per amore. E sempre per amore, Aziraphale aveva dato tutto.

Ci credeva più che mai.

    «Tu te ne sei accorta subito, non è vero? Di quanto questi due siano incapaci da soli ma fortissimi assieme. Sei intelligente» rispose Eve, alzandosi dalla poltrona in cui si era riaccomodata. «Andrà tutto bene fintanto che continuerete a crederci. So che può sembrare una frase fatta, ma è così». Aggiunse che Aziraphale ci credeva, ed era riuscito a riportare Crowley indietro.

Se un po' di fede poteva fare quello, allora chissà che altro poteva succedere, ancora.


    Prima di andarsene, Eve rivolse a Muriel un sorriso che assomigliava in tutto e per tutto a quello di una bambina che aveva appena scoperto qualcosa di incredibile. «Tu mi piaci. Mi sono sempre piaciute le persone come te: umili, ultime, dolci e gentili. Non devi tornare in Paradiso, se non vuoi. Mi pare che tu stia molto bene qui.»

    Leggermente imbarazzata, l'agente aveva annuito. «Ho un amico di cui occuparmi.»

    «E te ne occuperai egregiamente.»

Se Eve stessa ne era convinta, allora doveva essere vero.

    «Posso chiederle solo una cosa?» Azzardò Muriel che, ripensando a Crowley, fu nuovamente colta da un dubbio.

    «Ma certo. Tutto quello che vuoi.»

    Era quasi natale, e il rosso l'aveva portata in giro per mercatini, spiegandole che il tutto era stato fatto per il "compleanno del figlio del boss". «Ma lei non è nata in primavera?»

    Eve emise una risata cristallina. «Non sai in quanti hanno provato a spiegarlo agli umani. Non vogliono sentire ragioni.»


Ispirava fiducia, quella bambina. Forse era per questo che a una buona fetta di umanità era sempre piaciuta tanto.

Sarebbe stato interessante vedere che cos'avrebbe combinato ma, soprattutto, a Muriel interessava sapere cosa intendesse veramente con ciò che le aveva detto.

Aveva una sola speranza a cui aggrapparsi e vi si sarebbe aggrappata fino alla fine. Le sarebbe bastato crederci; credere che qualcosa sarebbe successo.

Lo avrebbe fatto.

E avrebbe cercato di far si che Crowley la pensasse allo stesso modo.

   
 
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