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Autore: Placebogirl_Black Stones    15/12/2023    1 recensioni
Dopo la sconfitta dell'Organizzazione, tutte le persone che sono state coinvolte nella battaglia dovranno finalmente fare i conti con i loro conflitti personali e con tutto ciò che hanno lasciato irrisolto fino ad ora. Questa sarà probabilmente la battaglia più difficile: un lungo viaggio dentro se stessi per liberarsi dai propri fantasmi e dalle proprie paure e riuscire così ad andare avanti con le loro vite. Ne usciranno vincitori o perderanno se stessi lungo la strada?
"There's a day when you realize that you're not just a survivor, you're a warrior. You're tougher than anything life throws your way."(Brooke Davis - One Tree Hill)
Pairing principale: Shuichi/Jodie
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Jodie Starling, Shinichi Kudo/Conan Edogawa, Shuichi Akai
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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- Questa storia fa parte della serie 'Tomorrow (I'm with you)'
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Capitolo 46: Riunione di famiglia
 
 
 
Appena l’aereo aveva toccato con le ruote la pista e la voce metallica aveva annunciato l’arrivo a destinazione era stato come tornare a casa, anche se la loro casa in realtà era un’altra. Era trascorso un anno dall’ultima volta che erano stati in Giappone e probabilmente molte cose le avrebbero trovate diverse: in un paese così moderno e frenetico tutto cambia da un giorno all’altro, senza nemmeno avere il tempo di accorgersene. Una cosa però era rimasta la stessa: il numero infinito di persone che transitavano all’aeroporto di Tokyo. Avevano rischiato di perdersi nella folla mentre cercavano di recuperare i propri bagagli.
Ad attenderli ci sarebbero dovuti essere il Dottor Agasa (che si era gentilmente offerto di dar loro un passaggio in auto per evitargli il taxi) e Shiho, che non vedeva l’ora di rivederla, ma individuarli in mezzo a tutta quella confusione era un’impresa. Avrebbero alloggiato alla villa dei Kudo anziché in hotel, Shinichi aveva insistito per ospitarli, probabilmente non vedeva l’ora di confrontarsi con Shuichi su qualche caso.
Si incamminarono in mezzo alla folla trascinando le valigie e dirigendosi verso l’uscita, dove con ogni probabilità il Dottore e Shiho li stavano aspettando. Una volta varcata la porta a vetri automatica, riconobbero subito il Maggiolino giallo parcheggiato poco distante e due figure che li salutavano.
Sorrise e inspirò l’aria di Tokyo, di certo non sana ma che in quel momento la riempì di gioia. Amava quel posto, in altre circostanze avrebbe anche potuto valutare di restarsene lì a vita.
Non appena raggiunsero l’auto lasciò la valigia e allargò le braccia sorridendo alla ragazza ramata, che in tutta risposta l’abbracciò forte sotto lo sguardo sorridente del suo ormai tutore.
 
- Ah, quanto mi sei mancata, tesoro!- le disse, coccolandosela un po’.
- Anche tu- le rispose.
- Sei diventata ancora più grande e bella- le prese il viso fra le mani, facendola sorridere.
 
Nel frattempo il Dottor Agasa e Shuichi si salutarono e scambiarono quattro chiacchiere mentre caricavano le valigie nel baule del Maggiolino. Poi anche lei si staccò da Shiho per salutare lo scienziato e dare modo ai due cugini di parlarsi a quattr’occhi dopo tanto tempo.
 
- Alla fine ce l’hai fatta a darti una mossa- lo punzecchiò la ragazza.
- Mi aspettavo un’accoglienza più calorosa dopo così tanto tempo- replicò lui.
- Ma sentitelo! Cosa vuoi, che lanci i coriandoli perché hai tolto di mezzo Clay?-
- Pensavo facessi il tifo per lui-
- Oh, per un po’ l’ho fatto-
- Sono contento anche io di rivederti, Principessa- le disse infine, scompigliandole i capelli con una mano e facendole assumere un’espressione imbronciata ma arrossata.
 
Quella scena le scaldò il cuore, era bello vederli andare finalmente d’accordo e vedere Shuichi aprirsi in quel modo. Sapeva che non avrebbe mai cancellato del tutto il senso di colpa che provava nei confronti di quella ragazzina per quanto era successo alla sorella, ma quell’affetto era dettato da qualcosa di molto più grande dei rimorsi. Shiho era parte della sua famiglia e per Shu la famiglia aveva un’importanza enorme. Aveva trascorso più di diciassette anni della sua vita a cercare giustizia per suo padre, per sua madre, per tutti loro.
 
- Ma Cool Guy non è venuto con voi?- chiese, notando l’assenza del ragazzo.
- No, oggi c’è scuola- rispose Shiho.
- Che peccato, pensavo che sarebbe venuto anche lui considerando che dobbiamo andare a casa sua a depositare i bagagli-
- Ci ha lasciato la chiave, tornerà nel tardo pomeriggio. Sei tornata solo per lui, dì la verità- la prese sul personale la ragazza.
- Ma no, sono tornata per rivedere tutti incluso il mio detective preferito!-
- Il suo debole per lui non scomparirà mai- commentò Shuichi.
- Almeno se dovesse tradirti sai già con chi prendertela-
- Ma cosa dite?!-
- Credo sia meglio andare, le macchine non possono sostare per molto qui dato il traffico- li interruppe il Dottor Agasa.
 
Salirono in auto e si diressero verso villa Kudo per depositare le valigie. Durante il viaggio chiacchierarono e non mancò di concedersi qualche minuto di silenzio per osservare il paesaggio dal finestrino. Le sembrava di non essersene mai andata, riconosceva i posti dove era stata e ammirava le novità. Inoltre, il pensiero che quella sera sarebbero andati a cena dalla famiglia di Shuichi e avrebbe finalmente conosciuto suo fratello la rendeva euforica. Non aveva mai avuto l’occasione di trascorrere del tempo in una famiglia numerosa, a dire il vero non aveva proprio avuto occasione di fare nulla in famiglia, perché una famiglia non l’aveva avuta. Erano sempre stati solo lei e James, pertanto l’idea di entrare finalmente a far parte di una vera famiglia la riempiva di gioia.
Arrivati alla villa scesero dall’auto e Shuichi si concesse un istante per osservare la dimora in cui aveva vissuto sotto mentite spoglie per mesi. Tutto lì era intriso di ricordi, alcuni belli, altri meno.
Con le valigie alla mano varcarono il cancello, mentre Shiho li precedeva aprendo la porta d’ingresso con la chiave.
Non appena furono dentro, Shuichi si fermò e passò i suoi occhi verdi sopra ogni centimetro quadrato della casa. Si permise anche di andare a fare un giro nella libreria, dopo essersi tolto le scarpe come di consuetudine e aver indossato le pantofole per gli ospiti che Shinichi aveva lasciato loro all’ingresso. Nonostante fosse stata, in un certo senso, una sorta di prigione in cui si era dovuto rinchiudere per non farsi trovare dai nemici, alla fine ci si doveva essere affezionato davvero a quella casa, dal modo in cui la guardava.
 
- Volete riposarvi o fate un salto a casa del Dottore per un caffè?- chiese Shiho.
- Io un caffè lo prenderei volentieri dopo il viaggio. Tu che ne dici, Shu?-
- Ne avrei preparato uno qui, quindi accetto volentieri l’invito-
 
Uscirono dalla villa ed entrarono nella casa fianco, dove li accolse abbaiando un grosso batuffolone scodinzolante.
 
- Fa’ il bravo, Mendel- lo riprese Shiho, accarezzandogli la testa.
- Ma quanto è diventato grande?- si stupì.
- Cosa ti aspettavi, di trovarlo delle stesse dimensioni di quando ce ne siamo andati?- intervenne Shuichi.
- No, ma nemmeno che diventasse il triplo in così poco tempo-
 
Il cane si avvicinò a loro ed iniziò ad annusarli per identificarli. Si chinò alla sua altezza e gli accarezzò con cautela la testa, per non spaventarlo.
 
- Ciao cucciolone!- lo salutò dolcemente.
 
In risposta Mendel scodinzolò e si lasciò coccolare senza più timore, per poi volgere il suo sguardo su Shuichi.
 
- Coraggio, digli qualcosa!- lo incitò.
 
Il suo compagno sorrise e con una mano arruffò la testa del cane come aveva fatto prima con quella di Shiho.
Dopo avergli dato un po’ di attenzioni, entrarono in casa e si lavarono le mani prima di godersi il caffè che il Dottor Agasa aveva preparato. Trascorsero un’ora buona a chiacchierare fino a quando non si avvicinò il momento in cui Shinichi sarebbe tornato da scuola. Salutarono il Dottore e Shiho, che avrebbero rivisto poche ore dopo per la cena in famiglia e tornarono a villa Kudo.
Una ventina di minuti dopo sentirono il rumore della porta che si apriva e lei si fiondò all’entrata.
 
- Sorpresa! Hello Cool Guy!- lo salutò entusiasta, facendogli prendere un colpo per come era sbucata dal nulla.
- Agente Jodie- la fissò interdetto - Siete già qui-
- A dire il vero siamo arrivati più di tre ore fa, ma tu non c’eri- si finse offesa.
- Ero a scuola- si giustificò.
- Attento, se la fai arrabbiare perdi il primato di detective preferito nella sua classifica-
 
La voce di Shuichi alle sue spalle fece spalancare gli occhi al ragazzo, che guardò quel vecchio amico e compagno di piani diabolici con l’eccitazione di un bambino davanti a un negozio di caramelle.
 
- Akai-san!-
- Ci si rivede, ragazzino-
- Oh, continuate pure come se non ci fossi!- storse il naso, sentendosi ignorata.
- Ci scusi, non era nostra intenzione- cercò di rimediare il giovane investigatore.
- D’accordo, ti perdono solo perché sei my favorite detective. Fatti abbracciare- lo strinse a sé, facendolo vergognare come di consueto.
- Continua pure come se non ci fossi- la prese in giro Shuichi, copiando le sue stesse parole di poco prima.
- Non essere geloso, ho abbastanza abbracci per entrambi-
 
Dopo aver concluso quel teatrino comico si spostarono nel salotto e restarono lì a parlare di tutto ciò che era successo in quei lunghi mesi. Shinichi le chiese se fosse andata a trovare Vermouth in prigione da dopo il processo e lei gli rispose di no, che non voleva più vedere la sua faccia nemmeno per sbaglio. Quando fu il suo turno di fare domande, chiese al ragazzo come andassero le cose con Ran, mettendolo in imbarazzo. Poi gli rifece per l’ennesima volta la stessa proposta: andare a lavorare all’FBI.
 
- La ringrazio ma devo finire gli studi- si grattò la nuca.
- Tu non hai bisogno di tutti questi studi, sei meglio di tanti altri agenti che abbiamo!- scosse una mano.
- Ti ricordo che serve una laurea per entrare all’FBI- intervenne Shuichi.
- Ma lui è un genio!-
- Già, ma le regole sono regole-
- Sei noioso!- s’imbronciò.
- Su, su, non litigate- sorrise imbarazzato il giovane detective.
- Non voglio fare il guastafeste ma dobbiamo prepararci per andare a cena- disse Shuichi, dopo aver controllato l’orologio.
- Scusaci Cool Guy, domani avremo di nuovo modo di chiacchierare-
- Non preoccupatevi, andate pure-
 
Salirono le scale fino alla camera degli ospiti dove avrebbero dormito, tolsero dalla valigia i vestiti che avrebbero indossato quella sera e a turno si fecero una doccia. Shuichi indossò il suo classico outfit, camicia nera con giacca dello stesso colore e pantaloni grigio scuro, ma si risparmiò di mettersi quel berretto in lana da cui sembrava non separarsi mai. Gli piaceva vedere finalmente liberi i suoi capelli mossi. Lei invece aveva optato per un vestito color avorio con lo scollo a V e stretto in cintura, con una giacca in tinta e scarpe nere con il tacco.
Era nervosa all’idea di ritrovarsi con tutta la famiglia riunita, di conoscere finalmente quel fratello di cui Shuichi gli aveva parlato e di ritrovarsi addosso lo sguardo indagatore di Mary. Ad essere onesti era probabilmente quest’ultima cosa a renderla più ansia del resto. Con Tsutomu era facile, ma Mary era un osso duro con cui trattare.
 
- Secondo te questo vestito va bene, Shu? Dici che è troppo?- si preoccupò, guardandosi allo specchio.
- Dobbiamo andare a una cena in famiglia, non c’è bisogno di strafare- le rispose.
- Sì ma ti piace o no?- chiese nuovamente, mostrando tutta la sua agitazione.
- Sei nervosa?- rispose lui di rimando, con quel sorrisetto beffardo che era solito fare quando qualcosa lo divertiva.
- È naturale, no?-
 
Shuichi si avvicinò e le accarezzò dolcemente la testa. Sentire il profumo quella colonia da uomo che le era ormai diventata familiare l’aiutò a calmarsi.
 
- Non preoccuparti, andrà bene. Mio fratello è un tipo molto socievole e chiacchierone, sono sicuro che andrete d’accordo-
- È tua madre quella poco socievole- ammise.
 
Shuichi si lasciò andare ad una risata, cosa che non accadeva spesso. Era perplessa da come un commento (forse nemmeno troppo gentile) su sua madre lo divertisse a tal punto.
 
- A mia madre vai a genio, tranquilla. E poi sei abituata a me, non dovrebbe essere difficile avere a che fare con lei-
- Lei è molto peggio di te, a volte fa paura-
 
Il suo uomo scoppiò in una seconda risata: era confermato che trovava esilarante il timore che la madre incuteva. Gli Akai non si potevano di certo definire persone comuni.
 
- Come devo comportarmi?- gli chiese abbracciandolo.
- Sii te stessa- rispose lui
 
Dopo aver salutato Shinichi uscirono dalla villa e si diressero a casa del Dottor Agasa, dove lui e Shiho li stavano già aspettando. Anche lo scienziato era stato invitato alla cena, in quanto ormai era a tutti gli effetti il tutore della ragazza e aveva la totale approvazione dei suoi zii. Era diventato uno di famiglia e questo non sembrava dispiacergli, nonostante non fosse la famiglia delle pubblicità dove tutti erano perfetti.
Dopo circa quindici minuti di guida raggiunsero l’appartamento dove vivevano Mary e Tsutomu insieme a Masumi, l’unico uccellino che non aveva ancora lasciato il nido. Suonarono il citofono e qualche istante dopo la porta si aprì. Si ritrovarono davanti proprio Masumi, con un sorriso grande come una casa e gli occhi che le brillavano. Guardò estasiata il fratello maggiore, per cui nutriva una profonda ammirazione.
 
- Shu-nii- disse, quasi sottovoce.
 
Di rimando, Shuichi le rispose con un sorriso. A guardarli da vicino, l’uno di fronte all’altro, si assomigliavano davvero tanto. Stessi occhi verdi, stessi capelli mossi. L’unica differenza stava nel carattere, in quello erano davvero due poli opposti. Ne ebbe la prova quando Masumi si girò a guardare lei con espressione meravigliata e poi le si gettò addosso abbracciandola forte.
La sua prima reazione fu quella di restare rigida, non si aspettava certo un’accoglienza così calorosa di primo impatto; poi ricambiò quell’abbraccio così sincero.
 
- Che carina!- disse, guardando Shuichi con gli occhi di ha appena preso in braccio un cucciolo.
- Non si può dire che le manchi l’entusiasmo- commentò Agasa.
- Masumi, non è carino farci restare fuori- la riprese Shuichi, che alle volte era troppo duro con lei.
- Invece di riprenderla prendi esempio da lei- replicò Shiho in difesa della cugina - A te ci sono voluti otto mesi per abbracciare Jodie-
- Ehi?! Voi due?! Nel caso non lo aveste notato ci sono anche io- gli fece presente, alzando la mano.
- Venite!- li invitò ad entrare Masumi, prendendo per mano sia lei che Shiho e trascinandole dentro casa senza troppi complimenti.
 
Appena entrati si trovarono di fronte alla persona che più di tutte temeva rivedere: Mary. Con il suo solito sguardo austero e le braccia incrociate, li fissò uno ad uno. Si chiese se solo lei fosse a disagio o se gli altri, essendo abituati alla sua presenza, non ci facessero più caso.
Sorprendentemente, il suo sguardo si ammorbidì alla velocità della luce e li salutò in modo cordiale, come si addice a una vera padrona di casa. Dopotutto non vedeva il suo primogenito da più di un anno, al di là di ciò che mostrava all’apparenza doveva per forza essere felice dentro di sé.
 
- Avete fatto buon viaggio?- chiese loro.
- Sì, non vedevamo l’ora di tornare- le rispose sorridendo.
- È bello rivederti, Jodie- replicò - Sono sorpresa di come tu riesca a continuare a sopportare questo mio figlio così ingestibile-
 
Si avvicinò con passo lento a Shuichi, fino a trovarsi col naso a pochi centimetri da lui. Posò le mani sui fianchi e lo fissò con aria di sfida.
 
- Bentrovata anche a te, mamma- rispose lui, col suo solito sguardo impassibile.
 
Non riuscì a trattenere una risatina davanti a quella scena così seria da assumere un aspetto comico.
Nel frattempo Masumi aveva trascinato Shiho via con sé, probabilmente per mostrarle qualcosa o per spettegolare in privato di cose tipiche delle ragazze della loro età.
Mary salutò anche il Dottor Agasa e poi li informò che Tsutomu era in cucina a preparare la cena e che Shukichi lo stava aiutando.
 
- Tsutomu sa cucinare?- si stupì.
- Molto meglio di quanto sappia farlo io- ammise Mary.
- Ecco da chi hai preso!- si rivolse a Shuichi.
- No, a me lo ha insegnato la Signora Yukiko-
- Disturbiamo se andiamo in cucina?- chiese -Vorremmo salutare anche loro. Così posso finalmente conoscere lo sposo-
- Vado a chiamarlo, così potete conoscervi senza distrazioni ai fornelli-
 
La ringraziò e la seguì con gli occhi mentre si allontanava in direzione della cucina. In quella breve attesa la sua ansia crebbe e iniziò a giocherellare intrecciando le dita fra loro. Shuichi se ne accorse e le passò una mano sulla schiena in segno di incoraggiamento.
Pochi minuti dopo un ragazzo con un paio di occhiali rotondi e i capelli un po’ scombinati apparve da dietro l’angolo. Indossava una camicia blu scuro e un gilet marroncino, con i pantaloni coordinati. Somigliava incredibilmente a Tsutomu ringiovanito.
Si fissarono a vicenda per qualche istante nel quale nessuno dei due proferì parola. Stupore e curiosità, questo riusciva a leggere nello sguardo di quell’uomo che doveva avere all’incirca la sua stessa età, e lo stesso valeva per lei. Gli fece un sorriso ma lui continuò a guardarla meravigliato, come se avesse visto apparire una divinità.
Alla fine si sbloccò, resosi conto che non poteva continuare a fare la figura del pesce lesso.
 
- Hi! My name is Shukichi, nice to meet you- si avvicinò a lei, facendo un piccolo inchino.
 
Quel gesto tipicamente nipponico accompagnato da una presentazione in un perfetto inglese la lasciò perplessa e confusa, tanto da girarsi verso Shuichi in cerca di una spiegazione logica. Perché le stava parlando in inglese? Non lo avevano avvisato che lei poteva comprendere e parlare perfettamente il giapponese?
Shukichi notò quella sua reazione e si rivolse immediatamente al fratello nella lingua locale.
 
- Niisan, per caso l’American English è diverso dal British English? O forse ho sbagliato qualcosa? Sai, il mio inglese è arrugginito dopo tutti questi anni- si grattò la nuca imbarazzato.
 
In tutta risposta, Akai fece un sorrisetto divertito e la guardò ignorando la richiesta del fratello. Voleva chiaramente che fosse lei a intervenire, lui preferiva godersi quella scenetta esilarante.
 
- Il tuo inglese è perfetto, non preoccuparti- gli parlò in giapponese - É solo che mi sono sorpresa, credevo che Shuichi ti avesse detto che comprendo e parlo la vostra lingua-
- Sul serio? Devi scusarmi! Niisan, non mi avevi avvertito!- si lamentò con il fratello maggiore, che continuò a far finta di nulla.
- Non importa, ricominciamo- gli sorrise - Sono Jodie, piacere di conoscerti e congratulazioni per il matrimonio-
- Oh, grazie mille! Piacere mio, Jodie. Ti confesso che ero davvero entusiasta all’idea di incontrarti, Shuichi-niisan non ha mai menzionato una ragazza da che ne ho memoria, perciò quando mi ha detto che sarebbe venuto al matrimonio con la sua fidanzata sono rimasto sbalordito-
- Vale lo stesso per me, conosco Shu da anni e non mi aveva mai parlato di un fratello-
- Vedo che andate già d’accordo, vi lascio alle vostre chiacchiere- intervenne il diretto interessato, dirigendosi verso la cucina.
- Shu, ma dove vai?- gli chiese.
- A salutare papà-
 
Era più che normale che non vedesse l’ora di rivedere quel genitore che per anni aveva creduto morto, qualunque altro membro della sua famiglia passava in secondo piano. Shuichi aveva davvero un’adorazione per suo padre.
 
- Fra poco arrivo anche io- lo avvertì.
 
Anche lei voleva rivedere Tsutomu, ma le sembrava scortese scappare via dalla conversazione con Shukichi. Dopotutto aveva insistito tanto per conoscerlo, era giusto che gli dedicasse del tempo.
 
- Allora, raccontami un po’ della sposa. Sarà qui anche lei stasera, immagino-
- Purtroppo no, aveva già preso un impegno con delle amiche per andare al karaoke-
- Che peccato! Ero curiosa di conoscere anche lei. Vorrà dire che mi mostrerai una sua foto- gli fece l’occhiolino, facendolo arrossire.
- Mancano ancora tre giorni al matrimonio, spero di riuscire a presentartela di persona-
- Ci conto!-
- Anche io sono curioso di sapere di te e del mio fratellone. Come vi siete conosciuti?-
- Shuichi era già agente da qualche anno quando anche io sono entrata nell’FBI. Ci hanno messo a lavorare insieme ad un caso e da lì abbiamo avuto modo di conoscerci meglio-
- Quindi anche tu sei un’agente dell’FBI?- si stupì.
- Oh yes!-
- Beh, dovevo immaginarlo. Shuichi-niisan non è il tipo da uscire la sera a far festa e non ha mai avuto molti amici, quindi era molto improbabile che ti avesse conosciuta in qualche locale o in situazioni analoghe-
- Non posso darti torto- lo assecondò.
- Vuoi raggiungerlo in cucina?- le chiese - Scusami, ti stavo trattenendo-
- Non preoccuparti, mi fa piacere conversare con te. Anzi, dopo voglio assolutamente che mi racconti di Shuichi e di quando eravate bambini. Lui non parla mai molto di sé e del suo passato-
- Non prenderla sul personale, è fatto così- la rassicurò.
- Lo so, ormai lo conosco bene. Ora vado a salutare vostro padre-
- Vengo con te, gli stavo dando una mano-
 
Mentre camminava al suo fianco verso la cucina le venne spontaneo chiedersi come fosse possibile che dalla stessa madre, paragonabile a un iceberg, fossero nati due figli così estremamente diversi fra loro. Shukichi era l’esatto opposto di Shuichi: dolce, gentile a primo impatto, chiacchierone, espansivo, sorridente. A differenza del fratello maggiore doveva aver preso da Tsutomu anziché da Mary. Di certo sarebbero andati molto d’accordo, poiché anche lei condivideva lo stesso carattere. Aveva decisamente sbagliato fratello, ma ormai era troppo tardi.
Raggiunta la cucina trovarono Shuichi che conversava col padre mentre lo aiutava a cucinare. Un delizioso profumo di qualcosa che non le sembrava di aver mai sentito stimolò le sue narici e anche il suo appetito.
Tsutomu spostò la sua attenzione dalla pentola a lei, rivolgendole un caloroso sorriso di benvenuto.
 
- Jodie, che piacere rivederti-
- Ciao Tsutomu, come stai?- ricambiò il sorriso.
- Non mi lamento- rispose.
- Sono sorpresa di vederti ai fornelli, non sapevo che fossi un cuoco provetto- si avvicinò a lui, per curiosare cosa ci fosse nei vari piatti e pentole.
- Non sono così bravo ma me la cavo-
- Te la cavi piuttosto bene da quanto vedo. Tutto ha un aspetto così delizioso- si complimentò.
- Ti ringrazio, spero che sia anche buono-
- Oh, ne sono certa-
 
Nel frattempo Shuichi aveva continuato a mescolare qualcosa e ad aggiungere poco a poco ingredienti, il tutto ascoltando la conversazione fra lei e suo padre. Shukichi si era avvicinato a lui e gli aveva detto qualcosa, per poi riprendere anche lui ad aiutare. Era un bellissimo quadretto familiare di un padre con i suoi figli maschi che potevano finalmente godere della presenza l’uno degli altri. Provò un senso di malinconia a quella vista, perché lei non avrebbe mai più potuto cucinare con suo padre o fare qualsiasi altra attività padre e figlia con lui; tuttavia era felice per Shuichi, che dopo tutti i suoi sacrifici si era meritato ogni singolo istante di quel momento.
 
- Vedo che siete tutti impegnati, quindi vi lascio ai vostri esperimenti culinari- sorrise - Avremo modo di chiacchierare con calma dopo. Ora raggiungo gli altri, magari hanno bisogno di una mano per qualcosa-
 
Si congedò da loro, lasciandogli quello spazio privato di cui avevano bisogno e raggiunse il resto della famiglia nella sala dove avrebbero cenato.
 
 
***************
 
 
Fin dal momento in cui aveva messo piede alla villa dei Kudo, era stato pervaso da quella sensazione tipica di familiarità, che solo i luoghi in cui ti sei sentito a casa possono darti. Nonostante avesse trascorso mesi chiuso lì con un’altra identità, vivendo una vita che non era la sua, aveva imparato tante cose, compreso ad essere un po’ meno glaciale. Lo Shuichi che era diventato non ci sarebbe stato senza Subaru.
Rivedere quel ragazzino con cui aveva ideato mille piani e strategie, la cui mente era addirittura superiore alla sua, gli aveva fatto davvero tanto piacere. L’idea di Jodie di convincerlo ad entrare nell’FBI in fondo non gli dispiaceva, avrebbe voluto collaborare con lui ancora una volta, ma sapeva che questo non era possibile. Il giovane Kudo era nato per essere un detective libero che risolveva i casi da sé, proprio come Sherlock Holmes. Molti anni prima aveva riso di gusto di fronte alla sua affermazione, poiché nessuno avrebbe preso sul serio un bambino di sei anni che parlava come un adulto, ma ora si era dovuto ricredere: quel bambino diventato ormai quasi un uomo ce l’aveva fatta davvero a diventare come Holmes.
Infine c’era la sua famiglia, che non rivedeva dal processo di Vermouth. Gli mancavano e avrebbe voluto trascorrere più tempo con loro, ma ormai la sua vita era in America e in Giappone sarebbe stato solo un altro detective in mezzo a tanti, troppi forse. Si accontentava di vederli solo un paio di volte all’anno, purchè fosse certo di saperli al sicuro.
Stare lì, al fianco di suo padre a conversare con lui lo rendeva felice, ripagandolo di tutto ciò che aveva dovuto sopportare per riaverlo. Lui e Jodie erano molto diversi, ma qualcosa in comune l’avevano e questa era una di quelle: vedere il proprio padre come un eroe. Tsutomu era sempre stato dedito alla sua famiglia, non aveva mai fatto mancare loro né affetto né altro e agli occhi di tutti era sempre apparso come un sole abbagliante. Era lui il collante della loro famiglia e quando era venuto a mancare, la famiglia si era sgretolata. Ma ormai quei tempi erano solo un vecchio ricordo, per fortuna.
 
- Shuichi-niisan, ma è davvero bellissima!- se ne uscì all’improvviso Shukichi, eccitato come una collegiale - E poi è simpatica, gentile…Dove l’hai trovata una così?-
- Sono stato fortunato- rispose semplicemente, senza nascondere un sorrisetto orgoglioso.
- Puoi dirlo forte, tua madre ancora non ci crede che Jodie ti abbia aspettato così tanto tempo senza stufarsi- scherzò Tsutomu.
- Aspettato? In che senso? Voglio sapere, raccontate anche a me!- si lamentò il fratello minore.
- Quanto chiasso fai, Shukichi- lo rimproverò ma senza cattiveria.
- Avanti Shuichi, non essere duro con tuo fratello, è solo felice di rivederti. Raccontagli della tua travagliata storia d’amore con Jodie-
 
Non poteva vincere contro di loro, erano uguali in fondo. Se lui era lo specchio di sua madre, Shukichi lo era di suo padre. Così raccontò in breve delle sue vicissitudini amorose con la bella americana, omettendo certi particolari che preferiva restassero privati, nonostante Shukichi ne fosse già a conoscenza. L’argomento “l’ho lasciata per intraprendere una relazione con quella che si è rivelata essere mia cugina” sarebbe rimasto sempre un tasto dolente sul quale era meglio non ritornare.
Shukichi lo ascoltò con attenzione, come un bambino quando gli viene raccontata una favola.
 
- Sul serio ti ha aspettato per sei anni??? Ma questa è roba da film!-
- Anche tu hai aspettato la tua futura moglie, no?-
- Ma non per sei anni e non con un’altra donna di mezzo!-
- Te l’ho detto, sono stato fortunato-
- È incredibile come non sia arrivato nessun altro a prendersela, avevi davvero la sorte dalla tua-
- In realtà in diversi ci hanno provato, non le sono mancate le occasioni di rifarsi una vita con qualcun altro- ammise, pensando in particolar modo a Clay.
- Beh, è più che comprensibile- intervenne Tsutomu - Insomma, è giovane e molto bella, di certo non passa inosservata-
- E dimmi, al lavoro non fanno storie sul fatto che abbiate una relazione?-
- Fortunatamente no, il nostro capo è magnanimo-
- E i vostri colleghi cosa ne pensano?-
- Qualcuno è contento, molti mi odiano-
- Perché?-
- Come ha detto papà prima, Jodie non è una che passa inosservata. Da quanto mi hanno riferito è considerata la donna più bella del nostro headquarter, quindi il fatto che l’abbia soffiata via ad altri non è stato gradito-
- Wow, che storia incredibile!- esclamò entusiasta - E adesso vivete insieme? Pensi di sposarla?-
- Quante domande, Shukichi. Vacci piano- smorzò il suo entusiasmo sul nascere.
- Dagli tempo, tuo fratello è come vostra madre. Quando le ho chiesto di sposarmi ci ha pensato tre giorni prima di darmi una risposta-
- Uffa, ma io voglio sapere!-
- Per la convivenza ci stiamo organizzando, per il matrimonio è un po’ presto parlarne, non credi? Ora basta domande- chiuse il discorso.
- Anche perché qui è tutto pronto, quindi possiamo metterci a tavola- disse Tsutomu, osservando soddisfatto il suo operato.
 
Portarono un po’ alla volta ciò che avevano preparato nella sala da pranzo e, preso posto a tavola, diedero inizio alla cena. Non mancarono battute, frecciatine, risate, domande scomode: il classico pacchetto che si era soliti trovare ad una cena in una famiglia numerosa.
Jodie si era ambientata alla perfezione (ma d’altronde non poteva che essere così, data la natura del suo carattere) e questo lo rese felice: da quel momento in poi anche lei sarebbe stata a tutti gli effetti parte della sua famiglia. Dopo tutte le sofferenze che le aveva causato, voleva ripagare il debito nei suoi confronti dandole ciò che lei, sfortunatamente, non avrebbe più avuto occasione di avere. Mary e Tsutomu non potevano sostituire i suoi veri genitori e di certo non potevano competere con James, tuttavia voleva che facesse affidamento su di loro in qualsiasi momento, se ne avesse avuto bisogno.
Tutto era finalmente tornato alla normalità, ogni tassello era al suo posto. Da quel momento in poi le cose sarebbero andate per il meglio.
 
 
 
 
ANGOLO DELL’AUTORE
Spero vi sia piaciuto l’incontro tra Shukichi e Jodie, ho pensato a qualcosa di un po’ comico conoscendo entrambi.
Ci vediamo al prossimo capitolo!
   
 
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