VIII.
LE TECNICHE DI
CORTEGGIAMENTO DI UN MILIARDARIO.
Dring. Dring. Dring.
Gli squilli del mio cellulare interrompono la calma che regna nel mio
ufficio, distogliendo per una frazione di secondo la mia attenzione dallo
schermo del computer e dai documenti che sto finendo di analizzare. Ad ogni
modo, prima ancora di lanciare un’occhiata demoralizzata allo schermo del mio
telefono, mi ritrovo a sospirare con fare scoraggiato. Il motivo? È alquanto
semplice. In effetti, grazie alla suoneria personalizzata che ho impostato nei
giorni passati, sono già a conoscenza dell’identità del mio – purtroppo non
tanto ipotetico e misterioso – disturbatore. Si tratta semplicemente di Mr
Reyes, che mi starà contattando per qualche altra assurda e stupida richiesta
da esaudire. Manco fossi il suo personale genio della lampada o in alternativa
la sua entusiasta fata madrina, pronta a scuotere la sua bacchetta e a
comparire di fronte a lui al minimo accenno di bisogno. Richard d’altronde
ricopre perfettamente il ruolo di principessa, visto che sembra incapace di
fare qualsiasi cosa senza un aiuto. Ad ogni modo è facile intuire come ormai,
dopo circa tre settimane passate ad assecondare i suoi inutili capricci, io non
sia più tanto ansiosa di rispondergli. Al contrario, temo il momento in cui il
cellulare suonerà di nuovo. Dunque tutta l’esaltazione che ho provato dopo la
firma del nostro contratto, nonché al pensiero di poter sfruttare questa nostra
collaborazione per imparare qualcosa da lui, è svanita come neve sciolta al
sole. In realtà Mr Reyes nell’ultimo
periodo si sta comportando in maniera molto strana e davvero poco
professionale, proponendomi giri assurdi per valutare diverse proposte e non
concludendo alla fine nessun affare. Quando l’ho conosciuto, considerando anche
la sua nomina, credevo fosse un tipo serio e diligente. Un tipo tosto,
intelligente e bravo nel suo lavoro. Insomma, un mago degli investimenti.
Invece ultimamente sembra quasi un bambino che ha saccheggiato un negozio di
caramelle: davvero ingestibile, eccessivamente euforico e un po’ pazzo. Per
questo non ho intenzione di rispondergli e dargli retta, ma al contrario
continuerò ad evitarlo. Forse vorrà propormi un’altra gita in barca, oppure
un’altra visita in qualche cantina vinicola di Manhattan o ancora un’ennesima
degustazione di dolci super golosi e ipercalorici. In ogni caso oggi non ho
proprio voglia di assecondarlo, perché è venerdì pomeriggio e tra poche ore
inizierà ufficialmente il mio fine settimana. Il mio tanto atteso week-end, che
trascorrerò strafogandomi di ciambelle al cioccolato e guardando serie TV
strappalacrime. Starò seduta sul divano in compagnia della mia fedele scatola
di donuts e di una bella vaschetta di
gelato alla vaniglia, tenendo nel frattempo a portata di mano una confezione di
fazzolettini e il telecomando. Insomma, la mia parola d’ordine per questi due
giorni sarà pura pigrizia. Niente lavoro, niente capricci di Mr Reyes e niente
passeggiate senza senso per New York.
Dring. Dring. Dring.
Ignoro quindi con rinnovata convinzione il suono insistente del mio
telefonino e continuo a farlo vibrare, riprendendo oltretutto a leggere gli
ultimi dati statistici riguardanti le azioni di un’azienda specializzata nel
campo delle telecomunicazioni che ultimamente ha catturato il mio interesse.
Tuttavia, proprio nel momento in cui sto per ricominciare ad esaminare i vari
documenti che ho raccolto appena questa mattina dopo una riunione con Mr Micols
e gli altri direttori dei vari uffici finanziari, un lieve bussare alla porta
mi distrae dal mio studio minuzioso. Sbuffo di conseguenza con fare poco
signorile, visto che di questo passo non riuscirò a concludere la mia analisi
entro la fine della giornata, e dirigo il mio sguardo verso l’ingresso del mio
ufficio. Come sempre l’uscio è già aperto, dato che odio segregarmi in questa
stanza e non sapere cosa accade fuori, perciò noto subito la figura della mia
segretaria ferma sulla soglia. Al momento sembra abbastanza pallida e
sconvolta, allora mi metto sull’attenti e cerco di capire cosa possa averla
spaventata in questo modo.
La mia assistente d'altronde non è una tipa facilmente condizionabile,
perciò sono abbastanza preoccupata e cerco di indagare con discrezione per non
intimorirla maggiormente.
«Holga, tutto bene?» le domando dunque, usando un tono dolce e
remissivo.
«Miss Thompson, potrebbe cortesemente rispondere al cellulare?» mi
chiede lei invece con voce tremante, inducendomi ad aggrottare le sopracciglia
per la confusione. Possibile che la mia segretaria sia in combutta con Richard?
È tutta una tattica per farmi sottostare ai suoi capricci e per avere il
controllo su di me anche a distanza? Mi sembra davvero assurdo e allora scuoto
la testa con energia, smettendo di lasciarmi condizionare dalle mie paranoie e
da questi ragionamenti assurdi.
«Scusami, non volevo disturbarti» affermo, allungandomi verso il
telefono e chiudendo la chiamata da parte di Mr Reyes. È inutile specificare
che dopo qualche secondo il cellulare riprende a suonare, facendo sobbalzare la
mia assistente e lasciando accrescere la mia esasperazione. Imposto dunque il
silenzioso, sperando così di arginare momentaneamente il problema, e torno ad
osservare Holga. Adesso ha ripreso un po’ di colore sulle guance e non sembra
più tanto atterrita, però mi sta fissando in maniera strana. Quasi…
compassionevole.
«In realtà non disturba, Miss Thompson, ma devo ammettere che è a dir
poco inquietante camminare per il corridoio e sentire all’improvviso la colonna
sonora dell’Esorcista sparata a tutto volume» mi confessa, indicando il mio
cellulare e spiegandomi la ragione del suo terrore.
«Oh» sussurro quindi con stupore, arrossendo furiosamente e capendo
l’origine del suo strano comportamento. Sì, la suoneria che ho impostato per
Richard è la colonna sonora di un film horror. Ora comprendete il mio livello
di disperazione? La situazione mi sta sfuggendo di mano e sta andando davvero
troppo oltre. Non ci sono più limiti e sto per impazzire, però non posso
semplicemente ignorare Mr Reyes e fare finta che non esiste. È pur sempre un
mio assistito. Abbiamo firmato un contratto di collaborazione e sono vincolata,
non mi è permesso rinunciare a tutto con tanta facilità e senza pensare alle
conseguenze delle mie azioni. Tanto per iniziare Peter finirebbe probabilmente
con il licenziarmi e se questo non dovesse accadere risulterei comunque poco affidabile,
nonché non capace di gestire un milionario. «Mi dispiace» ripeto, riportando la
mia attenzione sul presente e rinnovandole dunque le mie scuse.
«Non importa» minimizza la mia segretaria, sospirando con tranquillità e
apparendo anche più controllata. «Adesso che so come stanno le cose sono più
serena» dichiara, confermando la mia impressione. «Anzi, è meglio che lo dica
anche alle altre» aggiunge subito dopo, trattenendo una risata divertita.
«Sempre se lei è d’accordo» si corregge, aspettando un mio cenno di assenso e
parlandomi con la sua solita formalità. «Sa, Jessica era pronta a chiamare la
polizia e Mrs Bomblood stava
cercando con disperazione il suo rosario mentre blaterava frasi senza senso» mi
spiega in seguito, lasciandomi comprendere il panico che ho fatto
inconsapevolmente scoppiare in tutto l’ufficio a causa della mia splendida idea
di utilizzare la canzone dell’Esorcista per abbinarla alle telefonate di Mr
Reyes. Mi ritrovo allora a ridere in modo forzato per alleggerire l’atmosfera,
coinvolgendo nella mia esternazione impregnata di genuino imbarazzo anche la
povera Holga.
«Puoi dire a Mrs Bomblood che fortunatamente non è
ancora giunta la sua ora, quindi non è necessario che si metta a pregare in
latino in mezzo alla reception» dichiaro, scuotendo il capo con aria desolata e
pensando alla povera Annabeth in preda ad un principio di infarto. «E, per
favore, non fare arrivare gli agenti» proseguo con fare altrettanto sconsolato,
impallidendo all’idea di veder entrare in ufficio un paio di uomini in uniforme
e armati fino ai denti alla ricerca di un pericolo inesistente. Finirei per
diventare lo zimbello della Cooper&Parker
Investiment Companies, nonché il pettegolezzo più succulento di tutta la
stazione di polizia e del centro operativo del 911. «Sarebbe davvero
spiacevole» aggiungo, pensando appunto alla brutta figura che farei con il mio
capo e gli altri colleghi. In effetti al momento ho già abbastanza problemi e
l’ultima cosa di cui ho bisogno è quella di inimicare ulteriormente Mr Micols,
nonché la sua combriccola di leccapiedi.
«Certo, Miss Thompson» si affretta a concordare la
mia assistente, rivolgendomi un’ultima occhiata indulgente prima di lasciare il
mio studio e tornare al suo lavoro.
Appena resto sola appoggio la fronte contro la
scrivania con fare arrendevole e reprimo in aggiunta un urlo di frustrazione,
perché questa situazione mi sta davvero facendo impazzire e mi sta cambiando.
Io non sono mai stata una fifona, a parte da bambino quando praticamente avevo
paura perfino della mia ombra e temevo che i miei giocattoli potessero animarsi
come in Toy Story. Ad ogni modo non
mi sono mai tirata indietro e non ho mai causato alcun problema a lavoro,
eppure adesso mi sono ridotta a far squillare il mio cellulare in eterno – con
una suoneria che in effetti è tutt’altro che rassicurante – pur di non
rispondere ed affrontare il problema. Un problema che in pratica sarebbe
facilmente risolvibile, perché dovrei soltanto avere il coraggio di premere il
pulsante verde per accettare la telefonata e rimproverare questo miliardario
megalomane. Invece esito, mi nascondo dietro assurde musichette e provo a
tenermi occupata per sorvolare su tutta questa assurda faccenda. Ma adesso
basta, devo smetterla di temere così tanto Mr Reyes. Non può licenziarmi e se
anche dovesse avanzare una proposta del genere a causa di una mia ipotetica
scenata ben venga, mi libererei della sua asfissiante presenza e delle sue
insensate richieste in meno tempo del previsto. Allora rianimata da un impeto
di spavalderia mi accingo a recuperare il mio telefonino, che sta ancora
vibrando, e mi decido a confrontarmi con Richard.
«P-pronto» mi ritrovo però a balbettare, mandando
in fumo la mia strepitosa rivincita.
«Buon pomeriggio,
Christine» afferma lui con
assoluta calma, facendomi tuttavia irritare. «Stavo per perdere le speranze di poterti sentire» mi riferisce,
riferendosi non tanto velatamente alla mia lentezza nel rispondergli.
«Sto lavorando, Mr Reyes» mi giustifico,
trattenendo la mia voglia di gridargli contro e manifestargli tutta la mia
insoddisfazione. «Cosa posso fare per lei?» gli domando in seguito, provando a
mostrarmi remissiva e preparando in realtà il mio imminente attacco.
«Intanto smettila di
essere così formale» mi ammonisce,
sbuffando. «Mi fai sentire come uno di
quei vecchi signori che fumano la pipa mentre parlano di affari, indossano
quegli accappatoi rossi in stile Hugh Hefner e magari hanno anche problemi con
la prostata» mi ripete per l’ennesima volta, rimproverandomi per il mio
tono e offrendomi un’immagine quasi poetica del suo futuro. Intanto nomina il
fondatore di Playboy, elogiandolo come icona di stile per gli over
ottanta.
«Non era mia intenzione» ammetto, trattenendo una
risata divertita.
«Ad ogni modo
tieniti pronta per le otto, passo a prenderti a casa» mi mette al corrente subito dopo con tranquillità,
senza tener conto dei miei impegni e dei miei desideri. «Andiamo ad una mostra d’arte» continua, spiegandomi le sue
intenzioni.
«Cosa?» borbotto con disapprovazione, pensando alla
sua mancanza di considerazione nei miei confronti e al suo modo scontato di
comandarmi. Va bene che sono una sua dipendente, ma questo non lo autorizza a
trattarmi come la sua schiavetta personale. Io ho una vita. Certo, i miei piani
per la serata attualmente consistono nel guardarmi le ultime puntate di The Vampire Diaries e ingozzarmi con
cibo spazzatura. Però questo lui non lo sa e quindi potrebbe benissimo credere
che io abbia degli impegni seri, magari perfino un appuntamento romantico,
tuttavia sembra non importargliene. Vuole impormi i suoi programmi,
disinteressandosi al contempo dei miei propositi.
«Una mostra d’arte» mi ripete Richard, confermando le mie riflessioni
e trattandomi poi come una stupida. «Sai,
dove solitamente vengono esposti i quadri di un pittore più o meno emergente
per far aumentare la sua fama» sintetizza, chiarendomi il concetto.
«So cos’è una mostra d’arte» mugugno, sentendomi
alquanto offesa per la sua scarsa stima delle mie conoscenze. Non farò parte
dei suoi stessi circoli, ma sono molta informata sulle abitudini dei miliardari
e dei ricchi in generale. Alcuni miei clienti sono appassionati di pittura e
scultura, tanto che spesso mi ritrovo a dover stare attenta alle loro spese e
ai loro investimenti artistici. Se devo essere sincera la maggior parte dei
miei assistiti in realtà non ci capisce niente di arte e spesso mi chiedono
consigli su questo settore solo per seguire la moda, sentirsi importanti e
considerarsi dei veri intenditori. Sta di fatto che non saprebbero distinguere
un quadro originale da un’imitazione, così come non sarebbero in grado di
riconoscere nemmeno i vari stili di pittura. Loro sono i clienti peggiori e i
più difficili da gestire, perché sarebbero in grado di comprare perfino la
spazzatura se qualcuno riuscisse a convincerli di trovarsi di fronte ad un
qualcosa di straordinario. Un riccone ignorante è l’incubo di ogni promoter
finanziario. Un po’ come Mrs McQueen, che voleva investire migliaia di dollari
sulle torte erotiche. Certa gente spende davvero somme assurde per aggiudicarsi
pezzi originali creati da autori più o meno famosi, quindi il mio compito è
quello di contenere i miei assistiti e valutare con loro i lavori veramente
significativi. Quelli incomparabili, particolari e originali. Il mio obiettivo
in pratica è capire quali opere tra dieci anni quadruplicheranno il loro
valore, verranno considerate uniche nel loro genere e saranno ricercate da
collezionisti altrettanto ossessionati. Perciò, anche se non sono mai andata ad
una mostra, ho già una certa familiarità con l’arte. Mi sono documentata
abbastanza sull’argomento, in modo da poter sempre offrire ai miei clienti un
parere oggettivo e professionale.
«Bene» si complimenta lui, rallegrandosi più del
necessario per la mia affermazione. «Allora
non ci sono problemi, ci divertiremo di sicuro» prosegue, apparendo di
nuovo esaltato. «Ci vediamo dopo,
Christine» mi saluta quindi velocemente, senza darmi neanche il tempo di
ribattere e contraddirlo.
«Aspetta!» provo infatti ad oppormi, però Mr Reyes
chiude in fretta la chiamata e in questa maniera mi impedisce di controbattere.
«Maledizione» mi ritrovo a sussurrare, fissando lo schermo del mio cellulare
con fare un po’ sbigottito e gettandolo subito dopo sulla scrivania con un
gesto stizzito.
Purtroppo, per l’ennesima volta, non mi resta altro
che obbedirgli. È così che mi ritrovo alle sette di sera nella mia camera da
letto, precisamente davanti allo specchio collocato vicino all’armadio, alla
ricerca di un look che possa apparire sofisticato e allo stesso tempo modesto.
Non voglio esagerare, rischiando di sembrare una meringa a causa di un vestito
troppo vaporoso o un salsicciotto schiacciato in un panino per colpa di un
abito esageratamente aderente, però non voglio nemmeno apparire sciatta e
trasandata. In sintesi desidero semplicemente fare bella figura accanto a
Richard, in modo da non farlo sfigurare. Tuttavia è innegabile che il mio seno
prosperoso e i miei fianchi abbondanti non possono essere nascosti, a meno che
io non decida di utilizzare un lenzuolo matrimoniale oppure in alternativa il
tendone di una mongolfiera per coprirmi. Perciò, invece di vergognarmi o
considerarli un problema, decido di metterli in mostra e considerarli i miei
punti di forza. È per questo che alla fine opto per un tubino nero, che fascia
perfettamente le mie curve, abbinato a delle scarpe dorate con un tacco al
limite della legalità e degli accessori altrettanto vistosi: orecchini con
pendenti in Swarovski, una lunga collana di perle e braccialetti tintinnanti.
Decido poi di tenere i capelli legati in un comodo chignon alto, lasciando
libero di conseguenza il mio collo da cigno e mettendo anche in evidenza il mio
viso, per poi concludere la mia preparazione con un trucco naturale. Solo le
labbra sono ricoperte di gloss, in modo da farle apparire più carnose e lucide.
Alle otto meno venti quindi sono già pronta per uscire, determinando un vero
record di puntualità per l’universo femminile, ma è ancora troppo presto per il
mio incontro con Richard e mentre aspetto non ho niente con cui distrarmi. I
miei pensieri perciò volano, soffermandosi sul mio stomaco che brontola ormai
da un paio di minuti. In effetti appena sono arrivata a casa mi sono subita
fatta un bagno e poi ho svuotato il mio armadio, ammucchiando tutti i miei
vestiti eleganti sul letto per dare inizio alla mia selezione, dunque non mi
sono concessa neppure uno spuntino e adesso sto letteralmente morendo di fame.
Al momento mi accontenterei perfino di un’insalata scondita, tuttavia se non
voglio rovinare il mio duro lavoro e rovinare il mio aspetto devo contenermi.
Ma in cucina, all’interno della seconda anta del mobiletto posizionato in alto,
c’è una scatola ancora miracolosamente intatta di ciambelle. Sono quelle alla
vaniglia, rivestite di glassa alla fragola e praline ripiene di cioccolato
bianco. Le ho comprate giusto ieri sera dopo aver lasciato l’ufficio, ma alla
fine non le ho mangiate perché sono stata costretta ad ascoltare per tutta la
notte via telefono le lamentele di mia madre e in seguito alla conclusione
della nostra chiacchierata – o per meglio dire, in seguito alla conclusione del
suo monologo – mi sono direttamente messa a letto con lo scopo di addormentarmi
il prima possibile in modo da anestetizzare la sofferenza provocatami dai suoi
soliti insulti. Ieri ci è andata giù pesante, visto che aveva appena ricevuto
la notizia che Philippa si era ufficialmente fidanzata. Pippa è la figlia di
una delle sue più care amiche, nonché vecchie compagne di scuola con cui è
sempre stata in competizione. Io non l’ho mai conosciuta, ma so che è una
ragazza molto dolce e bella. Lavora come assistente di un dentista e ha tre
anni, come pure tre taglie, meno di me. A quanto pare è riuscita a conquistare
il Dottor Eriksen, generando in sua madre un orgoglio non indifferente e
provocando alla mia una crisi isterica in piena regola. Samantha ha trascorso
dunque quaranta minuti a farmi sentire in colpa per le mie mancanze,
concentrandosi soprattutto sui miei difetti fisici, e per la mia incapacità di
tenermi stretto un uomo. O anche una donna, per lei non farebbe differenza.
Basta che io sia sposata, sistemata e in attesa di un figlio. Dopo, come se
tutto questo già di per sé non fosse bastato per deprimermi, mi ha rimproverata
con eccessiva veemenza per averle fatto fare una figura tanto meschina con la
sua carissima amica. Come se trovarsi un marito fosse una gara e non un normale
momento da vivere con tranquillità. Ad ogni modo è stato talmente estenuante
darle retta e ascoltare le sue recriminazioni che alla fine, nonostante mi sia
costato un certo sforzo, ho evitato di mangiare i miei donuts per rifugiarmi con immediatezza sotto le coperte. Mi sono
augurata poi di dimenticare in maniera altrettanto veloce l’ultima ora della
mia esistenza, chiudendo gli occhi e concentrandomi su un mio irrealizzabile
viaggio ai confini del mondo. Là, in un posto sperduto. Dove non esistono madri
insensibili, capi nevrotici e miliardari megalomani. Adesso però che sono
consapevole della presenza in casa delle mie adorate ciambelle non posso fare a
meno di fantasticare sul loro gusto, la loro consistenza e il loro profumo. È un’ossessione,
quasi una malattia. Però non posso farci niente, sono troppo debole per
resistere. Allora entro in cucina, recupero la confezione e afferro un donut. Lancio successivamente
un’occhiata all’orologio, notando che mancano circa dieci minuti all’arrivo di
Mr Reyes, e animata da una rinnovata convinzione mi decido ad addentare il mio
dolce. Addio lucidalabbra, benvenuti orgasmo alla vaniglia e dita unte di
glassa rosa. Altro che uomini e matrimonio, preferisco di gran lunga il cibo.
Lui non tradisce, non è mai assente e mi regala una gioia infinita.
Vengo distratta dai miei pensieri quando sento il
suono del campanello, che oltre ad anticiparmi la comparsa di Richard mi
provoca anche un sussulto. Osservo quindi quello che resta della mia ciambella
con rammarico e dopo aver valutato le mie uniche due opzioni, in effetti adesso
le mie alternative si racchiudono essenzialmente nella scelta di finire il mio donut oppure andare ad aprire al mio
ospite, mi decido ad agire. In realtà non voglio rinunciare di nuovo al mio
dolce, considerato che l’unica volta che l’ho messo al secondo posto ho causato
indirettamente la sua dipartita, allora mi incammino verso la porta mentre
continuo a mangiarlo e apro l’uscio proprio nell’attimo in cui mi ritrovo a
gustarmi il mio ultimo boccone. Mi porto di conseguenza i polpastrelli alle
labbra, leccando la glassa zuccherata che è rimasta sulle mie dita, e in
seguito alzo lo sguardo verso Mr Reyes. Lo trovo intento a fissarmi in modo
quasi… vorace. Avrà fame anche lui? Peccato, non gli offrirò mai le mie
preziose ciambelle. Sono sacre e non ho intenzione di sprecare la mia scorta
per lui, che con assoluta sicurezza non mostrerà nemmeno la giusta gratitudine
per il mio immenso sacrificio e molto probabilmente non apprezzerà nemmeno i
miei innocenti donuts.
«Buonasera, Richard» lo saluto con cortesia,
ricomponendomi e controllando che non ci siano macchie sospette sul mio
vestito. Mi scrollo di dosso alcune briciole, tornando poi ad osservare il mio
cliente. Il diretto interessato ha scelto per la serata un completo elegante di
colore grigio, abbinato ad una camicia bianca e ad una cravatta scura. I suoi
capelli biondi sono tirati indietro con un po’ di gel, tanto per dargli un
aspetto ordinato ma al contempo sbarazzino. Come sempre è impeccabile, attraente
e davvero abbagliante. Mi sembra di poter restare accecata soltanto
guardandolo, sebbene sappia sia solo un’impressione. Mr Reyes non è il sole,
anche se scommetto di essere l’unica a pensarlo.
«Buonasera, Christine» mi saluta comunque
quest’ultimo dopo essersi schiarito la voce, apparendo alquanto turbato. «Sei…
sei meravigliosa» continua, squadrandomi da capo a piedi. Non sembra mi stia
prendendo in giro, ma al contrario appare tremendamente serio e sicuro. Allora
arrossisco con forza, imbarazzandomi. Perché non mi sono mai considerata una
vera bellezza, però le sue parole mi stanno quasi convincendo del contrario.
Quasi.
«Grazie» sussurro di conseguenza con un certo
tentennamento, lanciandogli un’occhiata cauta. «Io comunque sono pronta, devo
solo prendere la giacca e la borsa» lo informo, cambiando argomento e rompendo
questa strana atmosfera che si è creata tra di noi.
«Ti aspetto» mi informa, facendomi cenno di andare.
Torno allora in cucina per lavarmi le mani e dopo
recupero le mie cose, raggiungendolo in fretta all’ingresso. Chiudo la porta a
chiave e in seguito lo seguo in ascensore, ignorando i ripetuti sguardi che
lancia al mio seno. Dovrei sentirmi infastidita e a disagio a causa delle sue
occhiate abbastanza palesi, invece devo ammettere che sono lusingata dalle sue
attenzioni. Non sono lascive, non mi danno l’impressione di essere considerata
un oggetto e non mi provocano vergogna. Al contrario mi sento eccitata, felice
e soddisfatta. Come non succedeva da tempo. Poi dopo le parole di mia madre e
le mie ultime delusioni è davvero incoraggiante catturare l’interesse di un
uomo al pari di Mr Reyes, così affascinante e carismatico. Un uomo quasi
intoccabile per una comune mortale come me. Un uomo che di certo ha goduto
della compagnia di donne meravigliose.
«Hai mangiato?» mi chiede il mio accompagnatore una
volta che abbiamo preso posto sui sedili posteriori della sua auto, porgendomi
intanto un bicchiere di champagne.
«Diciamo di sì» lo metto al corrente, accogliendo
il suo gesto con gratitudine.
«Quella ciambella era forse la tua cena?» si
accerta quindi successivamente, intuendo la verità.
«La migliore in assoluto» dichiaro, difendendo i
miei poveri donuts.
«Ma non era al cioccolato» mi corregge, lasciandomi alquanto
meravigliata. Come fa a conoscere la mia fissazione per il cioccolato? Certo,
non ne ho mai fatto un mistero e ogni volta che ci siamo trovati a consumare un
pasto insieme ho scelto sempre un dolce al cacao. Però non pensavo se ne fosse
accorto e avesse addirittura studiato le mie abitudini. Forse Richard è davvero
un osservatore più attento di quanto potessi mai immaginare, anche se non
dovrei restare tanto sorpresa visto il suo immenso patrimonio e la fortuna che
si è creato con le sue sole forze.
«Posso accontentarmi» ribatto, riprendendomi dal mio momento di stupore.
«Ma chi si accontenta gode solo a metà» mi avverte, parlandomi con un
tono tra il serio e il divertito.
«Questa da dove l’hai copiata?» lo prendo in giro, trattenendo a stento una
risata. «Da una cartolina del Walmart?»
proseguo, nominando la famosa catena di negozi.
«Spiritosa» si complimenta con fare bonario, arcuando le labbra
nell’accenno un sorriso.
«È una delle mie tante qualità» mi vanto, lasciando aumentare la sua
ilarità. «Ad ogni modo, parliamo di cose serie, sai come si chiama l’artista
che esporrà questa sera?» mi interesso, cercando di raccogliere alcune
informazioni sulla mostra d’arte a cui stiamo per partecipare.
«Victor Volkov» mi mette al corrente, nominando il pittore emergente.
«Suo padre è russo e sua madre americana» mi spiega, chiarendomi le sue
origini. «I suoi genitori hanno divorziato quando lui aveva appena dieci anni,
quindi Victor e sua madre si sono trasferiti qui negli Stati Uniti per
avvicinarsi alla famiglia materna» continua, sintetizzando un po’ la sua storia
personale.
«Ma per caso stai parlando di quel
Victor Volkov?» mi accerto, strabuzzando gli occhi. «Il prodigio dell’arte?
Il bambino che veniva chiamato il piccolo Mozart della pittura?» dichiaro,
riferendomi ad un articolo uscito qualche anno fa sulla prima pagina del New York Times in cui alcuni critici
elogiavano proprio questo giovane artista. Adesso, in base ai miei calcoli, il
caro Victor dovrebbe essere un adolescente turbolento e brufoloso. Tuttavia,
nonostante la sua giovane età, guadagna quattro volte il mio stipendio mensile
e oltretutto le sue opere sono quotate milioni di dollari. Capite? Milioni. Di. Dollari. Questo ragazzino
di appena quindici anni in pratica possiede un patrimonio pari, se non
addirittura superiore, a quello del mio insopportabile compagno di viaggio. Ad
ogni modo la sua sproporzionata ricchezza non dovrebbe sorprendermi così tanto,
visto che Victor è stato ospitato dalle gallerie più prestigiose e ricercato
dai musei più famosi. Inoltre ha organizzato diverse mostre private che gli
hanno fruttato fior fiori di quattrini, permettendogli di accrescere la sua
fama e ricevere offerte importanti dalle più importanti scuole d’arte europee.
Si è recato perfino in Inghilterra per dedicare un’esposizione alla Regina
Elisabetta II, riscuotendo i complimenti dalla stessa sovrana e ottenendo
addirittura alcune commissioni dalla casa reale.
Victor non è solo un prodigio. No, lui è anche uno degli artisti più
importanti del ventunesimo secolo. Un artista che verrà nominato nei libri di
storia, che verrà studiato nelle aule universitarie e ricordato per l’eternità.
Il suo stile di pittura influenzerà le prossime generazioni, che lo prenderanno
come esempio e si ispireranno a lui per creare le loro opere. Per tutti sarà
ricordato con il mitico Vitya, come
ama firmarsi.
«Esattamente» ammette Mr Reyes, confermando i miei dubbi e mandandomi in
iperventilazione.
«Quindi non stiamo andando ad una semplice mostra per nuovi talenti,
vero?» gli domando in maniera retorica e con fare accusatorio, lanciandogli in
aggiunta un’occhiataccia.
«No» borbotta lui, riprendendo a bere il suo champagne per evitare di
guardarmi.
«Allora dove mi stai portando di preciso, Richard?» lo interpello,
irrigidendomi. Perché in base alle sue parole alquanto criptiche credo di aver
capito come stanno davvero le cose e questi nuovi sviluppi non mi piacciono per
niente, dato che sono un’imbranata cronica e una donna per nulla abituata
all’alta società. Con i ricconi ci lavoro, ma non ci socializzo. Non vado ai
loro party esclusivi, non li frequento al di fuori del lavoro e cerco di
mantenere le distanze. Non perché non siano simpatici, se devo essere sincera
quei pochi che ho conosciuto – a parte Mr Reyes, che rientra in una categoria
particolare – mi sono risultati abbastanza tollerabili, ma semplicemente non ho
niente in comune con loro. A parte un indiscusso interesse per i soldi, gli
investimenti di mercato ed i profitti bancari.
«Ad un evento di beneficenza» minimizza il diretto interessato,
scrollando le spalle con apparente nonchalance e rifiutandosi di ammettere la
verità.
«Mi stai trascinando ad un galà!» lo correggo, arrabbiandomi e
rischiando di versarmi addosso il contenuto del mio bicchiere. «Per di più
vestita in questo modo!» continuo con enfasi, indicando il mio abito modesto.
Mi sentivo così carina appena siamo usciti di casa e invece adesso sono a
disagio, perché quando mi troverò in mezzo a tutte le signore benestanti che
questa sera parteciperanno all’evento sembrerò scialba e insignificante.
Perderò il confronto. Sarò la solita Christine, quella cicciottella e sfigata.
La stessa Christine del liceo, che non è andata al ballo di fine anno perché
essenzialmente temeva il giudizio degli altri e sapeva che avrebbe perso già in
partenza qualsiasi paragone. Quella che non è andata al ballo di fine anno
perché con quel vestito vaporoso sembrava una meringa e odiava doversi sorbire
per tutta la nottata le risatine maligne delle compagne, insieme ai loro
commenti perfidi e alle loro occhiate sprezzanti. Quella che non è andata al
ballo di fine anno perché in realtà, a parte tutti questi motivi sui quali si
poteva comunque sorvolare anche se con una certa difficoltà, non era stata
invitata. Sì, perché nessuno voleva essere associato alla grassottella nerd e
venire etichettato automaticamente come un perdente.
«Cosa c’è di sbagliato nel tuo vestito?» mi domanda il mio
accompagnatore, lasciando vagare di nuovo il suo sguardo lungo la mia figura.
«Io ti trovo elegante e molto sexy» ammette, indicando le mie curve e in
generale il mio corpo avvolto dal tessuto scuro.
«Non prendermi in giro» mormoro, arrossendo fino alla punta dei capelli
e sentendo il mio cuore accelerare i battiti. Sembra estremamente serio e non
posso fare a meno di emozionarmi, perché in fondo non mi sono mai sentita bella
e gli uomini che ho frequentato non me l’hanno mai detto con tanta convinzione.
Sì, io mi reputo graziosa e adesso mi sono accettata per quella che sono. Una
donna in carne, con curve che non passano inosservate e rotondità non
indifferenti. In realtà quando mi metto in tiro mi trovo anche attraente e mi
piace il mio corpo, anche quei punti morbidi che prima detestavo. Quelli che al
liceo consideravo imperfezioni. Però ricevere complimenti del genere da parte
di Richard, che è stato fotografato accanto ad alcune delle donne più affascinanti
del mondo, è davvero gratificante. È… emozionante.
«Chris, in questo momento sono assolutamente sincero» ribadisce lui,
fissandomi con intensità e parlandomi con confidenza. «Per me sei una donna
bellissima e sono onorato di essere il tuo accompagnatore questa sera»
confessa, facendomi emozionare. «Perciò non devi sentirti inferiore o
inadeguata, perché non lo sei e non ti permetterò nemmeno per un attimo di
credere il contrario» conclude con un tono severo, rimproverandomi e scuotendo
il capo con disapprovazione.
«G-grazie» balbetto dunque subito dopo, distogliendo lo sguardo e
diventando scarlatta.
«È solo la verità» conferma, appoggiando la mano sul mio ginocchio nudo
per rassicurarmi e facendomi tuttavia rabbrividire. Perché, mai come adesso,
sono consapevole della sua presenza al mio fianco. Della sua presenza come
uomo. E questo mi spaventa, perché Richard non può iniziare a piacermi. Non
posso provare attrazione nei suoi confronti, non posso desiderare di trovarmi
nuda nel suo letto e non posso nemmeno sognare di divorarlo come uno dei miei
donuts. No, in questo modo complicherei soltanto la nostra relazione e
attualmente non posso davvero permettermelo. Perché metterei a rischio il mio
lavoro e la mia stabilità, per non parlare poi del mio rapporto con RichieRich. Mi sembrerebbe quasi di
tradirlo e di mancargli di rispetto se dovesse succedere qualcosa con Mr Reyes,
anche se probabilmente mi sto creando problemi inutili. Non credo infatti che
il mio cliente possa provare quel tipo di interesse per me, sarebbe veramente
assurdo. Irreale. Strano. «Ma ora andiamo, siamo arrivati» mi informa,
risvegliandomi dai miei pensieri e indicando intanto il panorama immobile fuori
dal finestrino. In effetti ci siamo appena fermati e non posso fare a meno di
fissare in maniera spaurita l’enorme scalinata del Metropolitan Museum of Art, che è stata abbellita per l’occasione
con un lungo tappeto blu. Alcune transenne delineano il percorso per
raggiungere l’ingresso del Met Museum
e servono anche a contenere la folla – composta soprattutto da fotografi e
paparazzi – che occupa l’area, rendendo l’ambiente più caotico. All’improvviso l’agitazione prende il
sopravvento sui miei sentimenti e appena mi rendo davvero conto dell’enormità
della situazione in cui mi ritrovo credo quasi di potere svenire, tuttavia non
ho il tempo di sentirmi male o vomitare sulle preziose scarpe di Mr Reyes
perché il suo autista senza alcun preavviso viene ad aprirci lo sportello per
permetterci di scendere dalla vettura. Mi ritrovo costretta così a dover
riprendere velocemente il controllo delle mie emozioni, ignorando dunque il mio
smarrimento unito al mio senso di disagio, in modo da evitate brutte figure e
circostanze imbarazzanti. Vengo catapultata quindi in maniera del tutto
inaspettata e frettolosa in mezzo alla mischia, ma anni e anni di pratica
gestendo i malumori di Mr Micols mi hanno preparata proprio per questo istante.
Allora resto un attimo immobile, poi sorrido con gentilezza e indosso una maschera
di impassibilità. Se devo essere sincera dentro di me sto tremando come una
bambina durante la sua prima visita dal dentista e devo ammettere di provare
anche la stessa agghiacciante paura, perché non ho idea di cosa aspettarmi e
quello che mi circonda mi spaventa. Certo, in questo caso non mi trovo davanti
un tavolino con strani arnesi di tortura e di fronte a me non c’è un uomo in
camice pronto a trapanarmi i molari mentre mi sorride con finto fare
incoraggiante. Tuttavia venire accecata da migliaia di flash ed essere
costantemente studiata dall’occhio virtuale di una macchina fotografica mi
trasmette il medesimo terrore, in fondo non mi sono mai ritrovata in una
situazione del genere. Questo non è il mio ambiente, la mia quotidianità. Però
la presenza di Mr Reyes mi rassicura. In effetti con lui accanto non sono
intimidita o terrorizzata, ma al contrario grazie alla sua mano dolcemente
appoggiata sulla mia vita mi sento protetta e a mio agio.
Ad ogni modo, nel momento esatto in cui io e Richard mettiamo piede sul
marciapiede, tutti i giornalisti concentrano il loro interesse su di noi.
Nonostante tutto il mio accompagnatore sembra perfettamente a suo agio e saluta
i vari reporter con gentilezza, evitando comunque di rispondere alle loro
domande quasi incomprensibili. Le loro voci infatti si sovrappongono e creano
un caos non indifferente, impedendoci di capire con esattezza quello che
vogliono chiederci. Mr Reyes perciò non perde tempo cercando di interpretare le
loro richieste e piuttosto mi accompagna gentilmente verso l’ingresso del
museo, dove ci attendono due bodyguard – muniti di auricolari e vestiti con
degli eleganti completi neri – pronti a scortarci fino al salone principale
dell’evento. Qui veniamo accolti da una signora davvero affascinante, che ha un
sorriso affettuoso stampato sulle labbra e un aspetto vagamente familiare. È
alta, ha un fisico minuto ed è magra come un grissino. Inoltre ha i capelli
biondi, anche se alcune ciocche hanno delle sfumature più scure, e gli occhi
grigi. Per la serata ha scelto un sofisticato abito blu notte, impreziosito da
strass argentati che decorano soprattutto la gonna e maniche velate.
«Ciao, tesoro, finalmente sei arrivato» saluta la donna, rivolgendosi a
Richard e stringendolo subito dopo in un abbraccio amorevole.
«Ciao, mamma» risponde allora il diretto interessato, dando una risposta
ai miei dubbi e facendomi successivamente irrigidire. Perché, santissima
divinità delle ciambelle, ho appena incontrato sua madre! La mitica Mrs Reyes:
un’imprenditrice di successo, una party planner innovativa, la paladina della
beneficenza e la fondatrice di diverse organizzazioni no-profit. Altro che
moglie trofeo, altro che stereotipata riccona viziata e permalosa. Come quelle
che si vedono nei film, disposte a tutto pur di mantenere la propria posizione.
Lei è un vero esempio da seguire. Una donna, madre e lavoratrice esemplare. Ha
iniziato dal nulla e poi si è costruita un vero impero, come ha fatto suo
figlio. Senza aiuti, senza raccomandazioni e senza spinte. Nonostante il suo
matrimonio prestigioso, la fama di suo marito e l’agiatezza della sua famiglia.
Ha scalato le vette del successo solo grazie al duro lavoro, alla perseveranza
e all’impegno. «Questa è Miss Thompson, la mia nuova collaboratrice» mi
presenta il suo primogenito, permettendomi in questo modo di farmi risvegliare
dalla mia contemplazione.
«È un onore fare la sua conoscenza» ammetto, sentendomi quasi intimidita
nel momento in cui le stringo la mano. D'altronde Emily Reyes è una leggenda,
perciò trovarmela davanti è uno shock. Vorrei farle mille domande, tuttavia
devo contenermi. Non voglio apparire come una sempliciotta isterica ed
esaltata, piuttosto spero di poterla impressionare grazie alla mia intelligenza
e alle mie competenze.
«È un piacere anche per me» replica, parlandomi con dolcezza e lanciando
successivamente una strana occhiata al figlio. «Richie di solito non porta mai
le sue assistenti a questo genere di eventi, ma immagino che oggi abbia fatto
un’eccezione per l’enorme stima che prova nei confronti delle sue capacità»
prosegue, usando un tono alquanto malizioso. Di conseguenza mi ritrovo
inevitabilmente ad arrossire, pensando che Mrs Reyes abbia appena frainteso il
mio rapporto con suo figlio. Sono così imbarazzata da non notare neppure il
soprannome che ha usato Emily per rivolgersi a Richard, anche se una parte
della mia mente mi sta imponendo di prestare attenzione proprio a questo
scambio di battute. Perché è importante. Eppure lo ignoro, concentrandomi su
altro.
«Christine è un’ottima promoter finanziaria e nell’ultimo mese i suoi
consigli mi sono stati molto utili» si complimenta il mio cliente, spiegando la
nostra relazione puramente professionale. «Quindi questa sera l’ho invitata
soprattutto per esporle alcune mie idee riguardo i prossimi investimenti
artistici che ho intenzione di portare a termine» chiarisce, giustificando la
mia presenza al suo fianco.
«Certo» lo asseconda sua madre, ridacchiando con divertimento. «Allora è
meglio che io vada, non voglio assolutamente distrarvi dai vostri impegni»
continua, congedandosi senza ulteriori indugi e andando ad accogliere gli altri
ospiti.
«Devi scusarla, mia madre è una romanticona» dichiara Mr Reyes,
apparendo abbastanza a disagio. Si passa una mano tra i capelli biondi e cerca
in tutti i modi di non guardarmi, anche se dopo pochi secondi fallisce
miseramente e io mi ritrovo ad ammirare le sue guance un po’ arrossate.
«Non preoccuparti» lo rassicuro, trattenendo un sorriso ed
intenerendomi. «Mia mamma non è poi tanto diversa» ammetto con sincerità,
provando a rassicurarlo. Samantha però non è mai stata tanto delicata nelle sue
manifestazioni di sentimentalismo e non ha mai espresso le sue congetture con
lo stesso tatto usato da Emily, anzi quando cerca di impersonare Cupido diventa
davvero imbarazzante.
«Mi dispiace se le sue supposizioni ti hanno infastidita o messa a
disagio» continua Richard, giocando con il nodo della sua cravatta e
allentandolo leggermente.
«Ho sopportato di peggio» minimizzo, scrollando le spalle con
noncuranza.
Ascoltare le critiche di Samantha e tollerare i suoi assurdi tentativi
di accoppiarmi con il primo uomo disponibile è sicuramente più sgradevole di
essere scambiata per la nuova fiamma di un tipo come Mr Reyes, perciò mi sento
tutt’altro che offesa.
«Andiamo, adesso, voglio presentarti alcune persone» continua il mio
interlocutore, appoggiando di nuovo la sua mano sulla mia vita e guidandomi
verso il fondo della sala.
Per l’ora successiva Richard mi fa conoscere tantissima gente, che
ovviamente appartiene tutta all’élite di New York. È così che vengo introdotta
al sindaco, a diversi imprenditori di Manhattan, ad artisti di fama mondiale e
perfino ad alcune celebrità americane. Con mia grande sorpresa non mi ritrovo
mai a corto di argomenti e per fortuna non mi lascio nemmeno sopraffare da
imbarazzanti balbettii, ma anzi mi sento straordinariamente socievole e per la
prima volta non mi dispiace trovarmi al centro dell’attenzione. Sono sicura di
me, stranamente soddisfatta e compiaciuta.
Alla fine, dopo innumerevoli chiacchiere con diversi personaggi
illustri, mi fermo in un angolo della stanza con un bicchiere di champagne in
mano. Sto riprendendo un attimo fiato, mentre Richard sta intrattenendo una
discussione con i suoi genitori. Emily ed Edward sono una coppia ben assortita.
Lei è dolce, gentile e delicata. Lui è simpatico, energico ed eccentrico. Mr
Reyes è un architetto, specializzato soprattutto nel design di spazi verdi. Ultimamente sta lavorando ad un progetto che
comprende l’utilizzo di una zona di Central Park, quindi sta collaborando con
gli uffici comunali newyorkesi e con il vicesindaco. Edward è un uomo molto
affascinante: ha i capelli di un indefinibile color castano chiaro, leggermente
spruzzati di grigio ai lati, nonché dei meravigliosi occhi azzurri. Inoltre ha
un fisico sottile, magro e slanciato. Questa sera indossa uno smoking elegante,
ma il suo look è reso particolare da uno stravagante papillon scuro con i pois
rossi.
«Ti stai divertendo?» mi domanda Richard, raggiungendomi e fermandosi al
mio fianco. Si appoggia contro la parete e sorseggia il suo drink, osservando
con scarsa partecipazione il resto del salone e lanciandomi subito dopo
un’occhiata distratta.
«Moltissimo» ammetto, sorridendogli con genuina felicità. «Però non
abbiamo ancora parlato di affari» gli faccio notare, ripensando alla nostra
serata e alla sua iniziale proposta di affiancarlo semplicemente per adempiere
il mio ruolo di promoter finanziario. Tuttavia abbiamo incontrato diversi
pittori e molti collezionisti mentre ammiravamo le opere di Victor, che mi
hanno lasciata davvero senza fiato considerato l’utilizzo audace dei colori
unito alle pennellate decise predilette dallo stesso Volkov, eppure Mr Reyes
non ha intavolato nessuna discussione con loro riguardante eventuali
investimenti artistici. Si è solo limitato a commenti banali e complimenti
generici, senza entrare mai nel dettaglio.
«Non volevo rovinare il nostro appuntamento discutendo di statistiche e
valori di mercato» mi confessa, rivolgendomi finalmente la sua piena attenzione
e osservandomi con eccessività serietà.
«Ma questo non è un appuntamento» gli ricordo, contraddicendolo e
ritrovandomi poi ad arrossire a causa dell’imbarazzo. «È un incontro di lavoro,
no?» continuo in seguito, specificando la natura della nostra uscita e cercando
la sua conferma. Lo ha detto perfino a sua madre, quindi perché adesso si sta
contraddicendo?
«Vuoi la verità, Christine?» sussurra allora Richard, allungando una
mano e accarezzandomi teneramente una guancia. «Non ho mai avuto l’intenzione
di portarti qui con me per discutere di investimenti e percentuali di guadagno,
ma ti ho trascinata a questo party per ottenere una possibilità: tu mi piaci e
voglio di più» dichiara poi con sicurezza, mettendomi al corrente dei suoi
pensieri. I suoi occhi sono limpidi e profondi, ma sono le sue parole ad
impressionarmi e a lasciarmi senza fiato. Perché sembrano spaventosamente
vere.
«C-cosa?» balbetto, indietreggiando di un passo e fissandolo in maniera
sbigottita. Insomma, non può dire sul serio. Non può bloccarmi in un angolo,
guardandomi in questo modo e toccarmi con tanta dolcezza. No, non è possibile.
Non posso credergli. «Tu… hai bevuto troppo» affermo dopo un piccolo
tentennamento, considerando la sua assurda frase soltanto un effetto
collaterale dell’alcol che ha consumato da quando abbiamo messo piede nel
museo. Anche se questo è solo il suo secondo bicchiere di champagne.
«Non sono ubriaco» mi fa notare infatti, aggrottando le sopracciglia con
disapprovazione. «Ti trovo davvero una donna eccezionale e in queste settimane,
mentre mi accompagnavi in giro per New York, ho cercato in tutti i modi di
fartelo capire. Di avvicinarti a me».
«Allora mi stavi corteggiando?» gli chiedo con un tono incredulo,
pensando ai nostri giri in città e ai segnali che lui reputa di avermi inviato.
Sì, mi ha toccata più spesso del solito – sempre in modo rispettoso e la
maggior parte delle volte con apparentemente casualità – così come mi ha
rivolto molti complimenti. Ma queste semplici interazioni possono considerarsi
dimostrazioni romantiche? Possono considerarsi messaggi chiari e
infraintendibili? No, perché io mica l’avevo capito che stava provando a conquistarmi.
Ho passato giornate intere cercando di dare una spiegazione al suo strano
comportamento nei miei confronti, ma non può spuntarsene adesso con una
dichiarazione del genere. La mia stabilità mentale è già abbastanza compromessa
senza che lui offra il suo contributo, tra l’altro non richiesto.
«Sì, anche se a quanto pare con scarsi risultati» risponde Richard con
schiettezza, apparendo deciso e per nulla turbato dalla mia reazione.
Sembra impassibile, mentre per me questa situazione sembra quasi
irreale. Mi sta forse prendendo in giro? Oppure mi sta mettendo alla prova,
valutando la mia serietà professionale e il mio grado di realismo? No, perché
non potrei sopportarlo. Non questo.
Maledizione, sono così confusa! Adesso avrei soltanto bisogno di andare
via, mettere una certa distanza tra di noi e schiarirmi le idee. Sono
consapevole che è impossibile ignorare le sue parole, ma ora non ho la forza di
affrontarlo. Devo dare la precedenza al nostro rapporto lavorativo, devo
pensare a Mr Micols e poi… e poi a RichieRich.
«Non lo avevo capito, d'altronde non sei stato poi così chiaro» lo
rimprovero, trattenendomi dal lanciargli perfino un’occhiata indispettita. «Ma,
nonostante tutto, io… non posso» sussurro, scuotendo il capo e sentendo il
panico sopraffarmi. Non posso accettare
questa situazione, non posso starti accanto, non posso soffermarmi su pensieri
irrealizzabili. Rifletto, senza esternare ad alta voce le mie
emozioni.
«Chris» prova a bloccarmi lui, notando la mia confusione e intuendo la
mia voglia di scappare.
«No, Richard» lo imploro, sentendo il controllo abbandonarmi e
percependo le lacrime inumidire i miei occhi. «Per favore» continuo,
porgendogli il mio bicchiere e incamminandomi subito dopo verso l’ingresso del
museo. O meglio, correndo verso l’entrata del Met. Recupero frettolosamente le
mie cose ed esco da una delle porte laterali, in modo da non dover affrontare
di nuovo i fotografi e i giornalisti. Per fortuna i bodyguard non mi fermano e
anzi con molta discrezione, probabilmente perché notano il mio sguardo
sconvolto unito ai miei occhi lucidi, mi aiutano ad uscire incolume
dall’edificio. Riesco a fermare un taxi dopo un paio di minuti, in apparenza
interminabili, e nel frattempo penso a Mr Reyes. L’ho lasciato da solo, in
mezzo ad un salone affollato, con il mio flûte di champagne in mano e nessuna
risposta sensata da dare alla sua dichiarazione. L’ho semplicemente ignorato,
come se niente fosse. Anche se il mio cuore batteva all’impazzata, anche se
volevo soltanto rifugiarmi tra le sue braccia. Anche se, per una frazione di
secondo, volevo soltanto offrirgli il mio cuore in cambio del suo. Così, quando
salgo sul taxi e mi lascio alle spalle la mia unica possibilità di stare con
Richard, inizio a piangere. Non in maniera elegante o con qualche singhiozzo
appena trattenuto, ma copiosamente. Come una bambina. Rovino il mio trucco,
faccio spaventare l’autista e in pratica combino un vero pasticcio. Tuttavia,
incurante di tutto, continuo a piangere. Per tutto quello che desidero, ma in
fondo non potrò mai avere. Sebbene si trovi solo a pochi passi da me.