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Autore: Mary_C06    26/12/2023    0 recensioni
INTRODUZIONE
~I'll be watching you~
Quando trovi la tua anima gemella, senti dentro di te una sensazione di pace e di serenità talmente intensa,da avere la sensazione di essere arrivati finalmente a casa. Ti sembra di conoscere quella persona da sempre e ti rendi conto che prima di lei non esisteva niente, solo l'attesa di trovarla. Io incontrai colui che colmò le mie sofferenze in sorrisi grazie alla sua promessa -ti dono il mio per sempre-
Genere: Romantico, Sentimentale, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Daichi Ozora, Hikaru Matsuyama/Philip Callaghan, Taro Misaki/Tom, Tsubasa Ozora/Holly
Note: AU, Missing Moments, Soulmate!AU | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
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     ~There's no place for us~

                             Fujisawa 

                       20/marzo/1985

“Per quale ragione non vuoi venire con noi. Dai Holly! Ci saremo io e Bruce. Sai quante ragazze ci saranno. Vieni non fare l’asociale!”

“Ho detto no.”

A quel ballo non ci sarei andato, odiavo le feste.

Sì sì ditelo dai! Oliver ma dimmi una cosa che non odi!

Mi dispiace ci sono nato con le schegge sotto i piedi.

Quella della scuola alla fine, non era minimamente paragonabile alle mie “feste”. 

Erano pubbliche, comuni, rumorose. 

Dei luoghi semplici, dove le persone normali si ritrovavano per ballare e divertirsi. 

Che avevano di diverso le mie? 

Vi dico solo che sono perfette per farvi cadere le palle a terra.

Pensate che divertimento e’ stare insieme a tante persone che parlano venti lingue diverse dalla tua. Con i bambini francesi che mi lanciavano occhiatacce e io che tiravo i loro capelli.

Incantevole.

Alle mie feste, non vi era divertimento ma solo rumore. Uomini e donne adulte coinvolte nel mondo marcio del denaro, circondati da alcol e risate false e nervose.

Oggetti in diamanti e in oro. Capelli volanti e altri pieni di gel, sigari e tacchi luccicanti.

Musica classica e balli al centro della sala.

Banchetti che avrebbero potuto risolvere la fame nel mondo in due secondi. 

Non c’erano molti bambini, solo metri di giudizio e tu dovevi far fare bella figura ai tuoi genitori, oppure le prendevi.

Sono quelle occasioni dove da piccolo cercavo di farmi guardare da papino. Mi mettevo in mostra, recitavo l’inno giapponese oppure delle poesie senza un vero significato in tedesco e inglese. Sorridevo nelle foto e provavo a fare il sapiente. Finiva sempre male ogni serata, però il mio impregno c’era.

Forse era troppo, ma del resto chi se ne accorgeva per lo meno era fiero di me.

“Ti scongiuro. Non devi per forza avere un’accompagnatrice.”

“Daichi vacci tu.”

“Sei sempre il solito. Cerco di venirti incontro e capirti ma non ti fai proprio aiutare.”

La porta venne sbattuta, il legno cigolò lentamente e un rumore stridulo pervase gli infissi della stanza.

La luce del corridoio si vedeva dal foro della porta e una piccola luce arancione colorava il parquet. Le tende si levarono verso il centro della stanza tanto l’intensità del rumore. 

Ancora ancorato al letto sentivo la musica. La testa affondata nel cuscino blu scuro, e guardavo il tetto. 

Cercavo di sognare le stelle senza dormire. 

“Lo so.”

Non mi volevo far aiutare, noi non volevamo. Anche gente innocua ci veniva incontro, ci tendeva la mano. Nulla, si ritornava al punto di partenza.

Domani ci sarebbe stata la partita, mi sentivo pronto, tanto allenamento, tanto sforzo. La squadra si era impegnata, il loro livello era mediocre, però contavano tutti solo e unicamente su di me.

Non mi sento né un eroe e né un cattivo.

Stavo giocando per realizzare…il mio sogno? No i sogni non esistono, sono infantili, volevo solo raggiungere il mio obiettivo, volare via da questa terra e raggiungere il Brasile. 

La cassetta si concluse e un respiro uscì dal mio petto.

Di musica non se ne sentì più, bensì botti. Alzai lo sguardo e dalla finestra, sempre chiusa dalle tende un piccolo spiraglio fece uscire una luce di tanti colori. Erano fuochi di artificio…quanto tempo che non ne vedevo. 

Apri’ l’oscurità e un cielo pieno di colori si dipinse nel mio nero. Era nostalgico quel flusso di sfumature. 

A lui piacevano molto i fuochi d’artificio, mi raccontava sempre delle feste che si facevano a San Paolo, delle parate, i piatti tipici. La sentivo come casa mia, ma di mia aveva solo un ricordo.

Sorrisi pensando a lui e la sua bizzarra allegria e il bicchiere di spumante che si riempiva a capodanno, come la musica a tutto volume dei Beatles, le voci ad alta frequenza e tante stelle filanti sul pavimento. 

Lui mi faceva felice con una piccola festa in una stanza.

Mi mancava.

Ma io mancavo a lui?

Adesso che ci penso una volta mi porto’ con la sua macchina a vedere un film in bianco e nero. Era orribile quel film, però quel che piaceva a me era stare lontano da quel luogo, soprattutto se avevo dei pop corn al caramello, hot dog conditi nel peggiore dei modi e la sua risata contagiosa.

Mi mancava sempre di più. 

“Dove sei…perché io non trovo più un mio posto senza la mia casa.”

Già, mi sentivo proprio come un profugo.

Un nomade confuso, chiuso in un piccolo luogo rimembrante momenti passati.

Guardai a terra e vidi mio fratello allegro che saltellava sul marciapiede in pietre. Raggiunse Bruce e insieme si stavano dirigendo alla festa. 

Speravo che si divertissero.

Chissà se qualcuno resterà a casa come me…

vidi ancora i fuochi d’artificio.

“Caro Oliver sta sera non ti deprimerai. Non sta sera.”

Corsi a prendere la felpa e scesi a tutta velocità. 

Sarebbe stato furtivo entrare in casa sua o andarlo a trovare adesso, ma avevo bisogno della mia signora. 

Si avete capito bene, avevo bisogno di lei.

Non riesco a stare più un dannato giorno senza…sono fuso.

Facevo volare il vento sulla mia faccia, non calcolandolo, e le stelle le vedevo davanti a me. In quella via tra gli alberi sembravano così vicine. Luminose e grandi. 

Molte più belle che nella mia immaginazione.

Da lontano si vedevano le luci della scuola e un baccano così fastidioso che nemmeno la quiete degli alberi o il loro profumo mi distraeva.

E loro volevano che andassi lì? Ma per favore.

La festa simile ad un bordello interruppe la sua catastrofe, nel momento in cui imboccai la via illuminata da lucine gialle a palo a palo. La casa bianca in fondo e il mio dito toccò il campanello.

Qualche minuto di attesa e da quello spiraglio apparve una regina in pigiama.

“Siete liber-“

Mi venne chiusa la porta in faccia. 

Forse non era il momento più idoneo, l’avevo colto in pigiama…molto spiritoso e con i capelli legati. 

Quanti minuti passarono? Venti? Mezz’ora? Un’ora addirittura, probabilmente un secolo, fino che la porta non venne aperta nuovamente.

Lentamente uscì da lì, aggraziata e fine come non mai mi fece subito tornare in pista il mio buon umore impolverato.

“Ti sembra normale venire qui all’improvviso! Potevo cambiarmi, insomma…ciao…come stai?”

“Male e tu?”

“Scioccato…sai ho scoperto di avere un talento.”

“Quale tra i tanti?”

“Pensa riesco a cambiarmi, farmi lo sciampo e creare un abbigliamento consono in breve tempo.”

Orgogliosa la regina si vantava mentre chiudeva la porta. I suoi capelli chiari e mossi si muovevano ad ogni movimento. Avevano un cappello di lana sopra. Sembrava un bignè per come fosse coperta, da guanti a sciarpe a scarpette bianche come la neve.

“Veramente è passato più di qualche minuto.”

“Non pensavo di trovare un principino viziato dietro la mia porta.”

“Principino viziato? Non ero il ragazzo meraviglia?”

“Non mi piace più.”

“Mi sento offeso.”

“Davvero?”

Sì volto’ preoccupato verso di me. Adorabile. Se pensare che nessuno mi chiese scusa, per situazioni e azioni gravi a me inflitte in tenera età, lui si preoccupava per cose effimere.

Senza valore, un calore nel petto si accese lo stesso. Aveva un senso? Non lo sapevo, era strano provare tutte queste sensazioni. 

“No scherzavo…non si deve preoccupare per me sono indistruttibile.”

“Mi preoccupo lo stesso, anche chi non ha tagli si fa male con la carta.”

“Allora penso che io sia andato incontro a una fabbrica intera.”

Nascosi le mani fasciate nelle tasche della felpa e dopo quella frase calò il silenzio. Niente imbarazzo, niente ansia, solo tranquillità. Camminammo tra le vie e le strade, osservando e conoscendo.

Avevo bisogno del permesso per uscire? No, tanto non mi cercava nessuno.

“Dove stiamo andando?”

Costruì un mio specchio invece di creare un’ulteriore crepa al centro. Ammaliato da quel viso mi persi dentro. Avvolto nella sabbia mi resi conto di tanti piccoli particolari: il neo sotto pelle, in basso all’occhio destro, le guance quasi piene e un altro neo minuscolo sullo zigomo e sulla punta del naso. Sembravano una costellazione. Aveva delle piccole e minuscole lentiggini, veramente difficili da vedere fra il naso e le guance, le ciglia chiare e lunghe che si poggiavano dolcemente sugli zigomi. I suoi occhi a vederli erano davvero incredibili, in mezzo a quel marrone chiaro come la sabbia c’erano dei piccoli puntini più scuri. La frangetta che cadeva sulla fronte per via del cappello…sembravo un maledetto maniaco.

Ma ero incantato, forse troppo che arrossì.

Sposto’ le iridi su altri negozi e provai, tentai di mettere le suole sul pianeta terra.

Era difficile. 

Sui giornali scrivevano molte volte di quanto fossi abile in ogni sport o attività che mettessi mano, eppure avevo serie problematiche a non pensare al suo viso.

Era pieno di difetti, insomma i giapponesi avevano una pelle perfetta, uguale a tutte le altre, ecco perché nascevano i tabù sul perché fossimo tutti uguali. 

Ed ecco uno dei tanti motivi, per cui io fossi tanto ricercato da tante persone di vario genere. Avevo una forma e una struttura fisica ben diversa da tutti loro, non so per quale ragione ma in qualsiasi posto venivo riconosciuto.

La mia regina era unica, davvero poetica, quei suoi difetti erano arte. Aveva una bellezza occidentale con poche caratteristiche orientali. La forma degli occhi era l’unica cosa che lo differenziava dagli europei. Sottili, quasi simili a una sirena, ma certe volte si ingrandivano per la curiosità…come in questo momento.

“Scusa…ecco ti porto al drive-in.”

“Esistono qui? Non sono un luogo tipico americano?”

“Si hai ragione, ma il Giappone si sta avvicinando molto alla cultura americana quindi…volevo portarti con me a vedere un film.”

“Pensavo che saresti andato alla festa…”

“Odio le feste.”

“Le vostre feste non sono molto grandi? Un mio…conoscente più che amico viene dal vostro “mondo” e mi ha sempre parlato bene dei ricevimenti.”

“Si il cibo non è male, nemmeno lo spumante, ma sono le persone che rovinano l’ambiente.”

“Le persone rovinano tante cose…basta solo trovare il lato positivo, non trovi?”

Sorrisi a quell’ingenuità, che tanto non si celava.

“Mia regina e’ difficile trovarla quando non esiste.”

“Capisco…”

La luna nacque nella notte brillando la terra e la vidi per davvero, invece di spaventarmi nei miei incubi. Il vento dolce e quieto soffiava per le strade, e le mie mani continuavano a nascondersi nel vedere dei nuvoloni neri, che nascondevano il satellite argentato. Non ero nel letto…non ero in quell’ambiente, percepivo troppe sensazioni umane per essere sonnambulo.

Ma non ebbi paura o rammarico, guardavo lo sguardo incantato, come il mio nel vederlo al mio fianco.

Un vortice di pensieri più che di foglie volo’ intorno a me e spinto via raggiunsi il luogo a me noto. 

C’erano molte macchine davanti allo schermo, coppiette smielate impegnate a divorarsi la faccia e sentii disgusto.

Odio l’amore.

Che gran paradosso, amare e odiare. 

Io solo veneravo, mi prostravo misero e umile agli occhi della persona che aveva il mio rispetto.

Nulla di più, nulla di meno.

Chiamatelo come volete, ma non è amore.

Non so nemmeno cos’è.

Trovo una concezione per spiegare dei sentimenti che sento e conosco, non sensazioni immaginarie e troppo complesse.

“Non sapevo ti piacessero i film in bianco e nero. Mi sorprendi. Ti facevo più quel genere di persona che amava i film di sparatoria.”

Risi e mi persi nei battiti della macchina toracica. Si ampliarono nelle orecchie suonando strane forme dentro di me.

“Genere molto ricercato, però questo è nostalgico.”

“Nostalgico?”

“Esattamente. Mi porta molti ricordi. Lei ha un genere preferito?”

Mi seguii passo dopo passo e in quella folla di gente tesi la mano per afferrare la sua. Sentivo tutti quei tagli che si attaccavano al tessuto. Quelle mani erano affusolate e sottili, con delle dita lunghe e rosate. Bianche, dolci, facevano un bell’effetto tra le macerie di pelle che avevo.

Non volevo staccarla.

Non ancora.

“Mhhhfilmromantici.”

“Cosa!”

Si nascose nella sciarpa non mostrandosi a me, e il rossore sulle guance mi stava già divertendo.

Che aveva detto?

“I film…romantici.”

E’ pur sempre una regina smielata.

“Perfetto, allora quello che vedremo sta sera ti piacerà.”

“Piacciono anche a te i film romantici?!”

“No, mi fanno schifo. Questo è solo nostalgico.”

“Giusto nostalgico.”

 

Qualche ora dopo su una collina distante dalle macchine avevamo una splendida visuale dello schermo. Due pacchi giganti di pop corn al caramello e bibite gassate. Volevo fare schifo, sfogarmi con qualcosa che mi rese felice.

Lui non era con me, vero. 

Ero sempre stato realistico sui miei sentimenti, però rivedere quelle scene era così nostalgico e confortante che mi sentii piccolo, ma senza il mio eroe.

Le immagini in bianco e nero cambiavano. Scene riviste tanti anni fa. Primi sguardi, primi baci, prime strette di mano. Da piccolo mi annoiava, adesso lo analizzavo. 

Vorrei che tu fossi qui per aiutarmi. 

Cosa me ne facevo degli altri se non avevo te. Non eri mio padre, lo sapevo diamine! Ma se solo il mondo sapesse quanto fossi legato a te, capirebbero che significa affetto.

Mi manchi come la vista ad un ceco. 

Un qualcosa di tanto bello e che vorresti con tutto il cuore, ma che più il tempo passava; più vivevi con la consapevolezza che non tornerà indietro nulla. 

Però la mancanza restava…ma faceva male.

In lontananza si accesero nuovamente i fuochi, erano immensi e grandi. Si espandevano per tutto il cielo, ero sempre più piccolo sotto quelle stelle scoppiettanti.

Ero Holly?

Ero Oliver?

Ero me stesso?

Ancora la stessa domanda di sempre…chi ero io? 

Tu mi conoscevi quando ero ancora sano, anche senza alcuna identità.

Il film uscì dalla mia visuale. Quei colori rossi, azzurri, gialli e viola indebolirono ogni mia barriera.

Ero umano sotto l’immensità del cielo, e io mi perdevo in esso.

Cosa mi consigliavi di fare?

_non ti fai proprio aiutare_

“Tanto…tempo fa nacque un bambino. Il 29 luglio del 1971, non si seppe dove: se in ospedale o in un altro luogo, ma era piccolo e innocente. Crebbe e inizio’ a sperimentare il mondo, gli piaceva correre, conoscere nuove città ed era molto legato…al mondo del calcio, in particolare a Roberto Sedino. Il bambino lo conobbe e fu contento ed euforico della sua presenza nella sua vita…perché? In casa sua stava sempre solo…difficilmente veniva calcolato, pensava che i suoi genitori fossero troppo occupati per badare a lui, eppure nel suo cuore, che a quel tempo batteva tanto, credeva nel loro bene. Ma solo quando conobbe il suo eroe brasiliano capii che gli abbracci e i sorrisi finti erano di poco valore. 

Quel bambino si chiamava Holly…e fu lui a chiamarlo così. Aveva una sua identità con quel nome. Si sentiva speciale anche in mezzo a dei bastardi che lo pugnalavano in continuazione. Con quel nome si sentiva forte nonostante gli abusi e le sigarette sulle braccia. Con quel nome non smetteva di credere e sperare. 

Improvvisamente tutto svanì, Roberto andò via…dopo una promessa di portare quel bambino stupido e credulone con se. 

E in quelle vetrate morì, già Holly morì e nacque Oliver. Quel nome che tanto gli dava fastidio, per la prima volta non lo sentii ridicolo. In quelle vetrate divenne un mostro. Perché? Da quel momento fu da solo. Non come prima, ma si sentii solo per scelta e per destino. Gli abusi continuarono, e lui si lasciò andare, andare a tutto il suo dolore. Si distrusse le mani, si odiò completamente, soprattutto il suo vecchio se che continuava a vedere in uno specchio. 

Aveva paura del passato Oliver.

Holly chiedeva aiuto per salvarsi, ma lui non voleva.

Continuava a distruggersi.

Al di fuori di quello che vedono gli altri, la bellezza e’ una facciata diabolica e spregevole. Chi potrebbe mai aiutare un ragazzo fortunato? Non lo fece nessuno e anche se lo farà qualcuno lui starà in mezzo al suo filo, sempre lacerato dal passato.”

Ero vuoto.

Un  fuoco d’artificio giallo illumino’ il cielo e una mano afferrò forte la mia.

La strinse tanto da guarirla.

Non osai girarmi. Avevo paura di vedervi la pena dentro.

Le dita si stringevano ancora e nel film venne proiettato il famoso bacio.

Chissà che sensazione si aveva?

Ma cosa ne potevo capire io…

“Sai tu mi ricordi un quadro astratto. Non ha un suo perché. E’ pieno di colori, di forme geometriche sparse, ma nella sua particolarità presenta un suo senso. Ogni quadro astratto ha un suo significato e in quel nulla che si può comprendere l’anima altrui. Sbagliato non sarà mai perché l’arte non ha un senso, l’arte è solo poesia, e tu nella tua essenza sei incredibile.”

Ora ti guardavo, il giallo si intingeva dal cielo e il tuo sorriso mi stringeva in un morso doloroso e appagante.

Perché non mi insultavi? 

La mia storia non era anormale?

Le mie personalità bizzarre, tutto quello che mi circondava.

Cosa vedevi in me che io non vedevo?

“Non andare mai via…”

Uscirono dal cuore, e questo batte’ forte, come una batteria.

Cosa dicevano i tuoi occhi in quella distesa di sabbia infinita? Si muovevano intorno a me e mi guardavano strani. Dovevo crederti? 

Eravamo così vicini da sentire il tuo profumo. Essere troppo grandi per sapere, ma troppo immaturi per capire.

I gesti parlavano ma la testa viaggiava lontano.

Quello che doveva essere un momento triste e malinconico divenne uno sfogo. 

Agli altri non mossi passo per parlare, quando a te bastavano i miei occhi per capirmi. 

Cosa vedevi in me?

Era un mantra nella mia mente.

Il cielo cambiò rumore e ancora tuoni e fulmini all’orizzonte, la luna si oscurò, familiare a me quel quadro si presentò.

Stava per piovere, realmente.

“Mi sa che ci conviene andare via.”

“Già.”

 

Stavamo correndo via in mezzo alla strada con la mia felpa a coprirci la testa e la pioggia ci cadeva addosso.

Ridendo come dei pazzi il grigio divenne luce e la notte fu il tramonto.

Sotto i lampioni giocavamo, come bambini.

Tu ridevi e io ti seguivo. Le mani che si cercavano e si univano. Stringevo i tuoi fianchi per farti stare vicino a me e tu appoggiato alla mia spalla.

La mia maglia si appiccicò al petto mentre le tue scarpe bianche si inzupparono.

La stoffa si legò nell’acqua e sorridendo ti accompagnai a casa.

Affannati e stanchi ti veneravo nello stesso modo che faceva un lettore in una libreria antica.

Suonavi il mio petto che si muoveva velocemente, ancora ridente. I polmoni infuocati da tutta quella foga e la tua fronte vicina alla mia.

Quella vita stretta, semplice, attorno alle mie braccia.

Ancora persi nei nostri specchi.

“Non la smette proprio di piovere.”

“Secondo me è un segno la pioggia.”

“Un segno romantico? Perché io penso sia solo il tempo che è sballato.”

“No -rise facendo arricciare il naso. Qualcosa di fastidioso, tanto da sentirmi dei cazzotti nello stomaco- ma certe cose non succedono per caso. Forse questa pioggia voleva farci conoscere di più.”

“Perché quando ti chiesi di non andare via, non risposi?”

“Io non ho mai detto per sempre a nessun luogo. Sono destinato ad abbandonare ogni cosa. Ma non per scelta mia e…per quanto mi addolora, addio non vorrei mai dirtelo. Perché…perché io…ci tengo a te.”

Mi guardavi in un modo che solo nei libri si leggeva. Avevo tanta paura di questo momento, paura che adesso difficilmente sentivo sulla pelle. 

“Io non lo so quello che provo.”

Le mie mani sporche accarezzarono la tua guancia bianca e le tue labbra si aprirono leggermente, con la stessa melodia di una canzone curativa.

Essa divenne più cadenzata a sol tatto delle dita sulle mie nocche graffiate.

Un tuono trasformò la notte in giorno e si specchiarono come mare nei tuoi riflessi.

“E’ qualcosa di positivo?”

“Penso di sì…quello che senti tu e’ positivo?”

“Potrebbe durare per sempre.”

“Ma sarà destinato a finire.”

“A meno che non possa ricominciare.”

“Semmai tu dovessi andare via, prima o poi, spero che il mio ricordo ti rimanga per sempre.”

Sorrise e improvvisamente qualcosa di anomalo successe in quella notte.

Un bruciore fresco sulla guancia toccò ogni fibra celebrale.

Quelle labbra rosse si poggiarono sulla guancia.

Erano morbide e i loro occhi, padroni del loro canto si espansero in me.

“Già sei un mio per sempre.”

Staccandosi entro’ in casa e venerandolo mi prostravo umano alla sua visione.

Quanto eri perfetto.

Quel sole mi illuminava la notte, e se il mondo facesse casino tu parlavi con me.

“Buonanotte…ragazzo meraviglia. Sarò allo stadio a tifare per te.”

“Notte mia regina. Non la deluderò.”

“Lo so, io mi fido di te.”

“Per sempre?”

“Per sempre.”

Sorridendo strinsi il tuo mignolo attorno al mio. Un filo rosso sembrava avvolgerlo.

Non vedevo l’ora di vincere questa sfida.

E l’avrei fatto pur di mantenere viva quella fiducia.

Per sempre

 

Fine prima parte

 

   
 
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