XIII.
UN INVESTIMENTO SBAGLIATO.
Qual è la cura per un cuore spezzato? Come si può
andare avanti quando il proprio mondo sembra cadere a pezzi? Quando tutto ciò
in cui si credeva risulta essere solo un’enorme bugia? Come si può tornare alla
vita di prima, facendo semplicemente finta di nulla, quando si scopre davvero
cos’è l’amore e cosa significa essere finalmente felici?
Forse sembrerò esagerata e alquanto melodrammatica,
ma da quando ho chiuso ogni rapporto con Richard mi sembra quasi di non
riuscire a respirare. Mi sento vuota, sola e confusa. Come se avessi perso la
voglia di andare avanti, come se mi trovassi ferma ad un punto senza avere la
minima idea di quale direzione prendere adesso. Non so cosa fare, come superare
questa situazione e ritrovare la mia bussola interiore. Eppure mi sono sempre
vantata di essere una donna indipendente e capace di affrontare ogni circostanza,
però in questo caso mi sto dimostrando davvero una pappamolle. A mia discolpa
posso dire di non aver mai provato certi sentimenti e non credevo possibile che
potessero influenzare così tanto la mia esistenza, tuttavia dopo la delusione
che ho provato a causa di Richard non riesco a scrollarmi di dosso questa
sofferenza mista ad apatia che sta condizionando in pratica ogni istante delle
mie giornate. Non riesco a fare finta di niente, riprendendo a godermi la mia
quotidianità archiviando semplicemente questi mesi in un angolo sperduto della
mia mente. Non ho nemmeno quella magica pistola usata dai Men in Black – ovvero il neuralizzatore – per sparaflasharmi e
cancellarmi la memoria, dimenticando non solo i miei migliori momenti con
Richard ma soprattutto la vergogna che ho provato dopo la sua forzata
confessione. Mi sento spaesata, stupida e imbarazzata. Mi sono ridotta come la
protagonista di un’assurda commedia romantica di seconda categoria, che
dimostra in generale la sua scarsa caratterizzazione e si comporta in ogni caso
come un’idiota. Oppure in alternativa potrei assomigliare all’eroina di uno di
quei romanzetti rosa eccessivamente smielati, che passa il tempo a deprimersi e
a farsi mille ragionamenti mentali di dubbia intelligenza. In pratica sono
patetica, piagnucolante e capace soltanto di strafogarmi con le mie amate
ciambelle per reprimere il marasma di sensazioni che si arrovellano nel mio
cervello: rabbia, disperazione, tristezza, vergogna, depressione.
Perché permettiamo agli uomini di ridurci così?
Perché permettiamo alle nostre delusioni amorose di diminuire tanto
drasticamente la nostra autostima e farci sentire sbagliate? Perché dobbiamo
dare tutte noi stesse alla nostra ipotetica anima gemella di turno per poi
ricevere in cambio solamente bugie e insoddisfazioni?
Io mi sono sempre reputata una persona logica e
matura, capace di ragionare lucidamente in ogni circostanza e ponderare le
proprie azioni in base alle evenienze. Ciò nonostante adesso con gli occhi
arrossati a causa del pianto, con i capelli aggrovigliata in una massa
indistinta e con un pigiama di flanella trasformatosi ormai nella mia
personalissima armatura sembro tutt’altro che una donna forte e determinata.
Una donna sicura di sé, razionale e pragmatica. No, sono uno straccio. Mi
mancano solo i bigodini e una vaschetta di gelato in mano per completare questa
immagine poetica di me stessa, questa versione così assurda della donna che mi
sono sempre ripromessa di non diventare e puntualmente mi ritrovo ad essere
dopo l’ennesimo fallimento collezionato nella mia vita.
Sono passati esattamente tre giorni, diciotto ore e
ventisei minuti da quando sono scappata dall’appartamento di Richard. Ma
durante tutto questo tempo – tre giorni,
diciotto ore e ventisette minuti appena scoccati – non è cambiato niente:
sono ridotta sempre uno schifo, non ho ancora esaurito tutte le mie lacrime e
le mie ciocche castane sono talmente attorcigliate da assomigliare ad una
brutta balla di fieno. Ho toccato il picco, raggiungendo livelli catastrofici.
Dopo aver scoperto la sconvolgente verità su RichieRich non ho potuto fare a meno di
rinchiudermi nella mia casa, dando fondo alla mia riserva segreta di ciambelle
e isolandomi dal mondo. Ho ignorato le chiamate di mia madre e perfino quelle
di mio padre, non sono andata in pasticceria a fare rifornimento di donuts e cosa più importante ho
trascurato il lavoro. Lunedì mattina infatti ero talmente distrutta, sia nel
fisico che nell’animo, al punto da chiamare in ufficio per buttarmi malata.
Durante tutti i miei anni di carriera non mi sono mai assentata a causa di una
rottura e una brutta batosta sentimentale, eppure questa volta non ho potuto
evitare di ritagliarmi del tempo per me se stessa con l’intento di riprendere
almeno in parte il controllo delle mie emozioni. Ho mandato dunque un’e-mail ad
Holga per farle riprogrammare i miei appuntamenti e un banalissimo messaggio di
scuse a Mr Micols, tornando poi a crogiolarmi nella mia autocommiserazione.
Richard si è piantato fuori dal mio appartamento la
mattina successiva alla mia fuga dal suo mega attico, pregandomi di dargli
retta almeno per un minuto e ascoltare per intero la sua versione dei fatti. Io
invece l’ho beatamente ignorato, perché non avevo bisogno delle sue stupide
scuse o di scontate giustificazioni offertemi solo con lo scopo di rabbonirmi,
e sono rimasta seduta con una certa soddisfazione sul mio sofà fingendo di non
sentire la sua voce. Ho stretto forte un cuscino contro al petto, cercando
conforto, e mi sono obbligata di non ascoltarlo.
Nemmeno una parola, anche se avevano senso e
stavano facendo germogliare nel mio cuore il seme della speranza.
Nemmeno una frase, anche se lui era così
convincente da farmi quasi credere di stare dicendo la verità.
Allora poco dopo, in un attimo di debolezza causato
probabilmente dall’eccessiva presenza di zuccheri nel mio sangue determinata a
sua volta dalla mia scorpacciata di ciambelle consolatrici, l’ho guardato dallo
spioncino della porta. Non avevo intenzione di fidarmi di Richard e non volevo
farlo entrare nel mio appartamento, soprattutto considerato il mio stato
disastroso, ma avevo bisogno di vederlo. Avevo bisogno di capire. Poi la sua
ostinazione mi aveva alquanto colpita, anche se lavorando con lui sapevo già
che quando voleva ottenere qualcosa sapeva diventare davvero fastidioso.
Ovviamente il diretto interessato appariva impeccabile nel suo completo
elegante di alta sartoria, eppure non emanava più quell’aria di comando che mi
aveva tanto colpita durante il nostro primo incontro. Non mi dava più
l’impressione di essere carismatico, determinato e inflessibile.
Sembrava… spento. I suoi occhi infatti mancavano di
lucentezza, la sua mascella era particolarmente rigida e la sua spensieratezza
– quella che in alcuni casi lo faceva apparire uno snob antipatico, mentre in
altri un bambino intento ancora ad esplorare il mondo – si era eclissata. Il
suo aspetto era perfetto, ma era rotto. Come un bel vaso con una crepa.
Possibile che fosse davvero così sconvolto dalla nostra rottura? Possibile che
stesse davvero così male al punto da restare piantato per ore sul mio pianerottolo
ad implorarmi di ascoltarlo?
Mi stavo quasi convincendo ad aprirgli la porta,
trasportata dalla tenerezza, quando mi sono ricordata delle sue incredibili
doti di attore. Per mesi interi aveva finto di non conoscere le mie
conversazioni con RichieRich, anche
se molto spesso parlavamo proprio di lui e della sua megalomania. Per mesi
interi mi aveva preso in giro facendo finta di nulla ogni volta che ci
incontravamo e nel frattempo continuava a scrivermi messaggi usando uno stupido
pseudonimo, che a pensarci bene adesso era anche alquanto banale. E nell’ultimo
periodo, quando stavo vivendo una lotta interiore tra i sentimenti che provavo
per lui e quelli che sentivo per una persona che in realtà non esisteva
realmente, mi ha indirettamente portato perfino a farmi sentirmi in colpa.
Perché volevo entrambi, eppure mi sembrava di tradirli con il mio comportamento
all’apparenza scorretto.
Maledizione, sono arrivata al punto da chiedere a RichieRich il consenso per uscire con
Richard! Quanto avrà riso alle mie spalle, pensandomi una stupida.
Perciò alla fine ho fatto un passo indietro e mi
sono rifugiata di nuovo in me stessa, imponendomi di non lasciarmi sopraffare
dalla mia parte romantica così attaccata ad uno lieto fine. Non ci trovavamo in
un film, dove tutto si poteva risolvere con una dichiarazione strappalacrime e
super commovente. Una dichiarazione da fare magari sotto la pioggia, come in
una tipica scena tratta dai libri di Nicolas Sparks, oppure in mezzo ad una
strada affollata per imitare le più belle pellicole hollywoodiane. Tanto per
aumentare l’effetto poetico di tutta la situazione.
L’amore qui non vinceva su tutto. Non vinceva sulla
verità e sul rispetto. Questa era la vita reale, la mia vita, e non potevo farmi prendere in giro con tanta
facilità. Non potevo dimenticare la mia sofferenza e il mio imbarazzo così
velocemente, dandogli una seconda occasione per rimediare ai suoi sbagli senza
prima pensare a me stessa. Non potevo archiviare le mie emozioni in un angolo
della mia mente per ottenere un forzato “vissero
per sempre felici e contenti”, tralasciando però il suo tradimento e
facendolo passare quasi in secondo piano. Come se non fosse importante.
Per me la sincerità si trovava al primo posto in un
rapporto e lui non solo mi aveva mentito nel peggiore dei modi fingendosi un
altro uomo e conquistando nel frattempo la mia fiducia, ma mi aveva anche fatta
sentire un’idiota. Mi ha fatto vergognare delle mie azioni, delle mie parole e
dei miei sentimenti. Non potevo perdonalo, non potevo andare avanti senza
considerare la situazione nella sua interezza. Quindi mi sono arresa e l’ho
lasciato andare, tuttavia quando mi ha davvero voltato le spalle per poi scomparire
nell’ascensore del mio palazzo – dopo un’intera giornata di appostamento che mi
aveva sinceramente colpita – ho pianto come una bambina e ho singhiozzato
talmente tante volte da stabilire quasi con certezza un record mondiale.
Il mio intento era mandarlo via con un ostinato
silenzio, ma nel profondo volevo solo rifugiarmi tra le sue braccia. Perché ero
debole e in fondo… in fondo l’amavo.
In realtà questa non è la prima volta che concludo
una relazione, in effetti alle spalle ho un numero considerevole di rapporti
falliti. Ma mentre alcune rotture sono state più facili, altre lo sono state un
po’ meno. Non posso negare che in alcuni casi mi sono sentita offesa, altre
volte invece sono stata sollevata di aver messo un punto ad un rapporto che non
avrebbe portato da nessuna parte e in certe circostanze al contrario ho provato
davvero amarezza mista a fallimento nel dovermi tirare indietro dopo aver
investito una grossa parte emotiva di me stessa. Però la fine di questo rapporto
è stata davvero devastante, d’altronde con Richard era tutto diverso: mi
sentivo finalmente completa, accettata e compresa. A lui non interessavano le
mie assurde manie, la mia passione per le serie TV e la mia predilezione per i
dolci. Non prestava attenzione alle mie stranezze, al mio peso e ai miei
difetti. Mi sentivo perfetta quando mi guardava, mi sentivo protetta quando mi
difendeva dalle mie stesse insicurezze e mi sentivo amata quando faceva di
tutto per rendermi felice.
Pensavo fosse l’uomo della mia vita, ma come sempre
mi sbagliavo.
Martedì mattina la mia sveglia suona con la solita
puntualità e quando apro gli occhi mi sembra quasi che gli ultimi giorni siano
stati un incubo, in realtà quasi me lo auguro, ma appena metto piede fuori dal
letto mi rendo conto che è tutto vero: ho lasciato Richard, ho finito le mie
ciambelle e ieri sera ho consumato l’ennesima scatola di Kleenex. In effetti
decine di fazzoletti sono disseminati per la stanza e impregnati probabilmente
dalle mie lacrime, dandomi la conferma di aver trascorso un’altra notte
piangendo come una disperata. I miei occhi di conseguenza sono gonfi e secchi,
riesco difatti a percepire la loro pessima condizione, inoltre sono sicura che
appena mi vedrò allo specchio appariranno anche particolarmente arrossati. Oggi
tuttavia non posso restare ancora a casa e quindi per nasconderli dovrò usare
chili di correttore, in modo da potermi recare in ufficio senza destare domandi
e dar voce ad infiniti pettegolezzi. Come prima cosa quindi mi dirigo in bagno
per farmi una doccia, applico circa una boccetta di balsamo per districare i
nodi dei miei capelli e subito dopo mi cospargo di bagnoschiuma. Poi mi dedico
al trucco, mascherando le mie occhiaie e il mio aspetto cadaverico usando quasi
tutti i prodotti del mio beautycase, per passare alla fine a domare le mie
ciocche con la piastra. Riservo anche particolare cura al mio abbigliamento,
pescando dall’armadio un vestito verde bottiglia da abbinare ad una giacca nera
e ad un paio di stivaletti dello stesso colore. Un paio di orecchini pendenti e
diversi bracciali tintinnanti completano il look, facendomi sembrare alla moda
e sofisticata. Recupero successivamente la mia borsa, alcuni documenti e il mio
telefono – senza controllare eventuali messaggi o chiamate perse – prima di
uscire dal mio appartamento in modo da recarmi in ufficio per riprendere
finalmente in mano il controllo della mia quotidianità.
Oggi penserò solo agli affari, mi dedicherò
completamente ai miei clienti e mi aggiornerò sulle ultime novità di mercato.
Niente Richard, niente tradimento e niente WithLove
con la sua stupida politica sulla privacy che tuttavia non fa rispettare ai
finanziatori.
Quando arrivo allo studio dunque sono determinata,
decisa e sicura. Saluto i miei colleghi con assoluta tranquillità, mi fermo a
chiacchierare con le addette alla receptionist per un paio di minuti e nel
momento in cui mi trovo davanti Mr Micols gli rivolgo un sorriso talmente
abbagliante da fare invidia alla migliore attrice di Hollywood. Premio Oscar,
eccomi.
«Buongiorno, Christine» mi saluta con cautela,
rivolgendomi anche un’occhiata indagatrice. «Tutto bene?» si interessa in
seguito, mentre Mrs Bomblood origlia apertamente la nostra discussione.
La nonchalance non è proprio il suo forte.
«Certo, Peter» lo rassicuro con un tono sereno,
stringendo però con forza il manico della mia valigetta per mascherare il mio
disagio. Sono consapevole infatti che l’attenzione dell’ufficio è interamente
su di me, considerato che il mio rapporto con Mr Reyes non è certo rimasto un
segreto e tutti si stanno solo chiedendo come andrà a finire tra di noi.
All’inizio io e Rich abbiamo creato un certo scalpore tra i miei colleghi, che
adesso sono avidi di gossip e aggiornamenti. In realtà fingono di non essere interessati,
ma in fondo vale esattamente il contrario e stanno sempre attenti a captare le
novità. La mia recente assenza quindi deve averli incuriositi più del
necessario e so già che molti avranno fatto delle congetture più o meno giuste
riguardo la mia mancanza dall’ufficio, ma non voglio dare a nessuno la
soddisfazione di sapere davvero come stanno andando le cose tra me e Richard.
Non voglio vedere i loro sguardi carichi di pietà e commiserazione nel momento
in cui sapranno che ci siamo lasciati, perché immagino penseranno fosse
alquanto ovvio che questo rapporto non aveva speranze di durare. In fondo io
sono solo una promoter finanziaria, perciò è ovvio che non posso stare davvero
con una persona dal calibro di Mr Reyes. Siamo troppo diversi per trovare un
equilibrio e per quanto mi costi ammetterlo, perché di base non voglio dare
alcuna soddisfazione ai pettegoli di questa società, adesso so che c’è del vero
in questa affermazione.
Richard è abituato ad avere tutto, con ogni mezzo,
mentre io sono più diplomatica e predisposta al compromesso. Lui cammina dritto
per la sua strada, senza interessarsi degli altri e pensare ai loro sentimenti,
mentre io non mi preoccupo di fare qualche deviazione. Dovevo saperlo,
dall’alto delle capacità analitiche che mi vanto di avere, che non c’erano i
predisposti per far durare questa relazione.
So comunque che la maggior parte dei miei colleghi
è preoccupata per me e questo mi rincuora, anche se non li giustifica dal
mettere il naso nei miei affari. Mr Micols invece sembra essere l’unico ad
apparire più angosciato per i risvolti che questa storia potrebbe avere sulla
sua carriera e sulla reputazione del nostro ufficio piuttosto che sulla mia
eventuale sofferenza, per questo nelle ultime settimane ha più volte espresso
il suo dissenso e si è mostrato fin da subito sfavorevole al mio rapporto con
Richard. Tuttavia, dato che non abbiamo firmato alcun accordo riguardante un
ipotetico avvicinamento sentimentale e non c’è nessun regolamento che
stabilisce le relazioni da mantenere con i propri clienti, non mi ha potuto
imporre la sua opinione. Secondo lui dovevamo affidarci semplicemente alla
nostra morale e adesso, visto come si sono evolute le cose, mi rendo conto che
avrei dovuto davvero prestargli ascolto. Avere ancora Richard come cliente in
effetti mi inquieta e mi terrorizza, perché sono consapevole di non poterlo
evitare per sempre e allo stesso tempo rischio di complicare ancora di più la
nostra situazione.
Corro il pericolo di perdere la stima dei miei
superiori, di diventare lo zimbello di tutto lo studio e compromettere anche la
mia credibilità.
«Sono contento» afferma il mio capo, rilassandosi
visibilmente.
«È stato solo un malessere passeggero» continuo,
senza dargli ulteriori spiegazioni. «Ora sono pronta a rimettermi a lavoro»
concludo, con più determinazione di prima.
«Bene» annuisce Mr Micols, dandomi una pacca sulla
spalla per esprimermi il suo incoraggiamento e tornando poi nel suo ufficio.
Io resto un po’ interdetta dalla sua manifestazione
di affetto e aggrotto le sopracciglia con confusione, ricevendo un’occhiata
altrettanto perplessa da Mrs Bomblood. Non perdo comunque altri minuti preziosi
interrogandomi sull’inusuale comportamento di Peter e mi dirigo nel mio studio,
fermandomi prima da Holga per recuperare la lista dei miei appuntamenti
giornalieri. Ho la mattinata piena e di conseguenza non esito un istante nel
prendere posto alla mia scrivania, aprendo il mio computer e concentrandomi
finalmente sul mio lavoro.
Mi lascio distrarre dunque dai miei adorati numeri
e dalle statistiche, in modo da trovarmi del tutto preparata nel momento in cui
incontrerò il mio primo cliente.
Alle undici, dopo aver già incontrato tre dei miei
abituali assistiti, sono carica di adrenalina e caffeina. Nel mio corpo infatti
c’è in circolo una dose spropositata di caffè, mentre non ho ancora assunto
carboidrati dato che questa mattina non sono passata da Maggie e Phil per la
mia consueta ciambella al cioccolato. Accolgo quindi Mrs McQueen con una certa
irrequietezza e spero non mi parli di nuovo di torte erotiche, perché ora come
ora considerata la mia fame potrei benissimo darle il mio assenso e farle
investire una somma assurda in dolci con forme falliche.
L’ultima volta che ci siamo incontrate aveva
nettamente superato questa sua assurda idea di investire una quantità
spropositata di denaro in una pasticceria dalla dubbia morale ed era passata
invece ai cosmetici biologici, considerato che nell’ultimo periodo negli Stati
Uniti la comunità del makeup si sta concentrando sui prodotti naturali e
giustamente non testati sugli animali.
Ma sono consapevole che Mrs McQueen ama spendere
soldi, restare sempre aggiornata sugli ultimi sviluppi del mercato e cercare
novità più o meno bizzarre su cui capitalizzare qualche migliaio di dollari. È
il suo passatempo: così come io adoro guardare le serie TV mangiando ciambelle
e bevendo vino, a lei piace investire denaro in proposte assurde e spesso al
limite della decenza.
«Costumi di Halloween per animali?» chiedo alla mia
cliente durante il nostro colloquio, apparendo confusa dalla sua ennesima
iniziativa strampalata.
«Sì, costumi di Halloween per animali» ripete con
convinzione, confermandomi la sua recente idea di investimento. «Hanno aperto
un nuovo negozio in centro e le vendite stando davvero andando alla grande» mi
chiarisce, apparendo elettrizzata. «Anche io ho comprato due adorabili tutine
per la mia Stacy e perfino mio marito quando le ha viste ne è rimasto colpito»
prosegue, iniziandomi a parlare poi della sua amata gattina.
Dubito che Mr McQueen sia rimasto davvero
meravigliato dai costumi, probabilmente super costosi, acquistati dalla moglie
per la loro micetta. È più probabile che l’abbia scandalizzato il prezzo delle
tutine, piuttosto che la loro eccentrica bellezza. Tuttavia evito di commentare
e continua ad ascoltare la mia assistita con pacata rassegnazione, riflettendo
sul fatto che dovrò informarmi accuratamente su questo nuovo negozio e
stabilire se davvero può rappresentare un buon investimento. Tuttavia nel ben mezzo
della nostra appassionante discussione, proprio mentre Mrs McQueen sta per
elencarmi tutti i collari di Swarovski che ha commissionato per Stacy dopo i
suoi ultimi acquisti in modo da abbinarli correttamente ai nuovi vestiti in
tema Halloween, sento uno strano trambusto fuori dal mio ufficio. Non ho
comunque il tempo di chiamare la mia segretaria per informarmi sull’origine di
tutta quella confusione perché la porta del mio studio si spalanca, rivelando
la figura di Richard e del suo assistente.
«Mr Reyes, per favore, venga fuori!» lo prega Holga
con un tono agitato, entrando a sua volta nella stanza e provando a farlo
collaborare. «Le avevo detto che Miss Thompson era già impegnata in un altro
appuntamento» rimarca, facendogli notare la situazione e la presenza della mia
cliente.
«Ultimamente non è molto collaborante» lo
giustifica Colin, scusandosi con la mia segretaria e rivolgendomi poi
un’occhiata complice.
«Cosa sta succedendo?» intervengo allora,
irrigidendomi.
«Christine» sussurra Richard, fissandomi in modo
intenso. «Abbiamo bisogno di parlare» dice con eccessiva serietà, comportandosi
come se ogni persona presente in questa stanza dovesse sottostare semplicemente
ai suoi ordini e soddisfare ogni sua esigenza.
Si sente il padrone del mondo e per un po’ anche io
ho pensato che tutto girasse intorno a lui, che fosse il mio baricentro e una
parte fondamentale della mia vita, ma a quando pare mi sbagliavo. Richard è
presuntuoso e prepotente, non tiene conto dei sentimenti altrui e pur di
ottenere quello che vuole è disposto a tutto. Perfino a mentire, come se nulla
fosse.
«Ovviamente» concordo, tentando di frenare la mia
rabbia. «Perciò ti sei sentito in dovere di piombare qui senza alcun invito,
giusto?» continuo, rimarcando il suo pessimo comportamento per cercare di
metterlo in imbarazzo. «Non importa se stai interrompendo il mio lavoro e
spaventando la mia segretaria, no?» finisco in maniera retorica, lasciandogli
notare quindi le conseguenze delle sue azioni.
«A quanto pare questo è l’unico modo in cui posso
vederti» mi rimprovera, riferendosi alla mia mania di evitarlo e di negarmi al
momento opportuno.
«Forse è meglio che io vada» borbotta
all’improvviso la mia assistita, percependo l’atmosfera tesa che regna nel mio
ufficio e recuperando dunque la sua borsa.
«No, Mrs McQueen!» la blocco con immediatezza,
alzandomi dalla sedia per sembrare più incisiva. «Io e Mr Reyes non abbiamo
nulla da dirci, inoltre non abbiamo in programma nessun appuntamento
lavorativo» dichiaro con ostinazione, provando a rimandare ancora il mio
scontro con Richard e sentendomi in imbarazzo per questa scenetta assurda che
sta condizionando la mia professionalità.
«Non sembrerebbe» commenta allora lei con dolcezza,
scuotendo il capo.
«Invece è così» mi intestardisco, ritrovandomi ad
arrossire con un misto di vergogna e irritazione per l’inopportuna circostanza
che mi sta coinvolgendo in prima persona. Non mi sono mai sentita tanto a
disagio nella mia vita, nemmeno durante gli incontri al buio organizzati da mia
madre. Nemmeno quando ero un’adolescente sfigata e paffutella, che veniva
ignorata da tutti e presa in giro. Nemmeno quando il mio ultimo fidanzato si è
messo ad elencare tutti i miei difetti fisici, suggerendomi gli esercizi opportuni
per dimagrire e parlandomi dei vantaggi della liposuzione per eliminare un po’
di grasso.
No, ho toccato il fondo proprio adesso.
Qui, nel mio ufficio, in presenza di gente più o
meno sconosciuta che da oggi in poi quasi con certezza avrebbe associato il mio
nome a questa situazione fuori dal normale.
Avevo impiegato anni a crearmi una reputazione nel
mondo degli affari e a combattere per far capire quanto le mie competenze
fossero uguali, se non migliori, rispetto a quelle di qualsiasi altro mio
collega. Eppure in pochi secondi stavo perdendo la mia credibilità, il mio
orgoglio e potenzialmente una mia cliente. Tutto per colpa di Richard.
«Devo ammettere che mi piacerebbe assistere alla
vostra schermaglia amorosa, d’altronde sono una grande appassionata di drammi
sentimentali, ma sono particolarmente sensibile in questo periodo» prosegue Mrs
McQueen, blaterando poi sugli ultimi consigli datele della sua terapeuta e
sull’instabilità attuale dei suoi chakra emotivi. «Perciò è meglio che io vada,
spero comunque che voi due avrete un lieto fine» ci augura, uscendo
dall’ufficio in compagnia di Holga per prenotare un altro incontro.
Prima di lasciare la stanza ci lancia un’occhiata
sognante, sospira e alla fine scuote il capo. Forse considerandoci due completi
idioti, troppo orgogliosi per trovare un punto di incontro.
Colin successivamente segue le due donne senza
alcuna esitazione, lasciandomi sola con il suo capo e permettendoci così di
godere di un minimo di privacy.
Aspetto appena pochi secondi prima di parlare,
perché non voglio fare una scenata isterica e attirare ancora di più
l’attenzione su di me.
«Non puoi risolvere i nostri problemi venendo
sempre a disturbarmi nel mio ufficio» lo ammonisco, ricordandogli in maniera
sottointesa anche diversi episodi del passato. Non è la prima volta infatti che
si presenta nel mio studio all’improvviso per richiedere un confronto, perché
magari io mi sono rifiutata di vederlo o rispondere ai suoi messaggi. Da parte
mia sarò anche immatura, preferendo nascondermi tra queste quattro mura
piuttosto che dargli retta, ma non ha diritto di invadere sempre i miei spazi.
«E tu non puoi tagliarmi fuori a prescindere senza
prima darmi la possibilità di spiegarti come stanno davvero le cose» ribatte,
manifestandomi il suo fastidio.
«In questo caso non c’è niente da chiarire»
dichiaro, restando dietro la scrivania per mantenere una certa distanza tra me
e Richard. «Mi hai mentito, mi hai presa in giro e se non ti avessi scoperto
avresti mantenuto questo segreto per l’eternità!» concludo, alzando all’ultimo
il tono della voce.
«È così difficile per te accettare che io e RichieRich siamo la stessa persona?» mi
domanda allora con frustrazione, passandosi una mano tra i capelli con fare
nervoso.
«No» ammetto, spiegandogli subito dopo da cosa
deriva la mia sofferenza. «È difficile accettare che per mesi ho parlato
virtualmente con un uomo che in realtà mi conosceva e mi stava vicino ogni
giorno. Un uomo che ho iniziato a desiderare e senza saperlo si trovava a pochi
metri da me, ma non ha avuto il coraggio di dirmi nemmeno una parola a
riguardo» affermo con amarezza, trattenendo le mie lacrime. Penso alle volte in
cui ho desiderato vedere Richie, abbracciarlo e avere un contatto concreto con
lui. Perché le parole ad un certo punto non erano sufficienti, perché la nostra
distanza in alcuni casi sembrava davvero insormontabile. «È difficile venire a
patti con me stessa, perché non ho capito nulla fino a quando la verità non mi
si è parata davanti agli occhi e una volta scoperto come stavano davvero le
cose mi sono lasciata spezzare il cuore come una stupida» mormoro con genuina
sofferenza, evitando il suo sguardo.
«Christine» cerca di intervenire, però non glielo
permetto e proseguo con la mia confessione.
«È difficile realizzare che c’erano dei segnali
evidenti ed io non gli ho dato importanza, nonostante la mia mania di
analizzare tutto, perché mi fidavo di te» continuo, ragionando sui diversi
momenti che mi avevano lasciata perplessa e adesso assumono un senso.
Richard in effetti sapeva che mi piacevano i dolci,
che avevo una fissazione per il cioccolato e amavo le ciambelle. Io però non
gli avevo detto niente di tutto questo durante il periodo della nostra
reciproca conoscenza, ma al contrario lo avevo scritto a RichieRich. Per non parlare poi dei suoi discorsi strani, quando
sembrava sapere cosa pensavo e quello che volevo. Oppure la sua mania di farmi
sempre i complimenti, perché in fondo conosceva le mie insicurezze e le
sfruttava a suo favore.
«Lo so che ti ho delusa, ma…» prova a difendersi
ancora il diretto interessato, venendo tuttavia di nuovo interrotto dalla
sottoscritta.
«Mi sono sentita una stronza e una traditrice,
quando invece eri tu il bugiardo»
rimarco, lanciandogli un’occhiata carica di astio. «E ho investito tutto quello
che avevo… la mia carriera, i miei sogni, le mie speranze, il mio amore… per un
uomo che a quanto pare non ne valeva assolutamente la pena» stabilisco con
sofferenza, decretando il mio errore.
Richard resta in silenzio, colpito e forse anche un
po’ ferito dalle mie parole. Poi mi guarda, sospira con fare afflitto e fa un
passo avanti. Rassicurato dalla mia immobilità prova ad avvicinarsi un altro
po’ e alla fine quando mi raggiunge dietro la scrivania mi avvolge senza alcuna
esitazione tra le sue braccia, stringendomi con forza. Io non mi oppongo,
perché in fondo sono una debole, e mi godo il nostro contatto. Solo un attimo.
Solo un altro po’.
«Io ti amo, Christine» mi sussurra all’orecchio,
lasciandomi percepire il tremore nella sua voce. «Ti amo e ho avuto paura»
dichiara, iniziando ad accarezzarmi i capelli. «Sono un uomo ricco e potente,
ma questa volta sapevo che la mia fama e il mio denaro non sarebbero serviti a
nulla. Sapevo che se ti avessi detto che ero RichieRich ti avrei persa a prescindere dalle mie intenzioni e non
potevo permetterlo, perché in questi mesi sei diventata la persona più
importante della mia vita» ammette, riproponendo la stessa spiegazione che mi
ha dato durante il nostro primo litigio riguardante proprio questo argomento.
«Allora perché non ti sei fidato di me?» lo metto
alla prova, staccandomi leggermente dal suo corpo per poterlo guardare negli
occhi e rimarcando un punto fondamentale.
«Perché temevo di non essere abbastanza» mi
confessa, apparendo stranamente fragile. «Perché temevo che ad un certo punto
avresti scelto lui a me, anche se quel lui
ero sempre io».
«Il problema è stato proprio questo, Richard: mi
hai fatto scegliere, quando la risposta in entrambi i casi sarebbe stata la
stessa» gli faccio notare, lasciandogli capire che fin da subito ho amato tutte
le sue parti. Ho amato la sua spavalderia, la sua sicurezza, il suo lato
ironico e quello megalomane. Ho amato la sua gentilezza, la sua sensibilità e
la sua sagacia. Ho amato la sua capacità di farmi sentire speciale, bella e
unica. Ma poi mi sono ritrovata a odiare le sue menzogne, le sue strategie e la
sua falsità più di quanto ho amato tutto il resto. «Domani chiederò a Mr Micols
di rescindere il nostro contratto di collaborazione» riprendo, allontanandomi
definitivamente da lui.
«Cosa?» mi chiede con evidente panico, tentando di
riaccogliermi tra le sue braccia.
«Non voglio più essere la tua promoter finanziaria»
ammetto, considerando questa situazione troppo complicata per aggiungerci anche
un coinvolgimento lavorativo e un conseguente sovraccarico di stress derivato
proprio dal nostro rapporto professionale. Inoltre non credo di poter dare il
massimo e offrirgli la giusta assistenza, dato i nostri trascorsi. Non sarei in
grado di gestire riunioni, incontri e meeting con la consapevolezza di doverlo
trattare con riguardo. Perché lui sarebbe un mio assistito e di conseguenza
dovrei fare di tutto per esaudire le sue richieste, affiancandolo nelle
decisioni importanti e in generale vedendolo più spesso del previsto. Ma non
posso ricascare nella sua trappola, permettergli di riavvicinarsi di nuovo a me
e stare nel frattempo costantemente all’erta. Finirei per cedere e per
credergli, perché sono debole. Perché lo amo. «Posso consigliarti alcuni
colleghi davvero capaci che potrebbero sostituirmi senza alcun problema e…».
«Non voglio nessun altro, Christine» si
intestardisce Richard, apparendo anche infastidito. «Io voglio te» ribadisce,
parlando con veemenza. «Vorrò sempre te» conclude, facendomi capire che non si
sta riferendo solo alla nostra collaborazione professionale.
«Sono io che devo fare un passo indietro» confesso,
mostrandomi amareggiata. «In questo momento ho bisogno di starti lontana»
proseguo, evitando di guardarlo per non scorgere la sua espressione ferita. Non
voglio sentirmi in colpa, perché adesso ho tutte le ragioni per chiedergli – o
addirittura imporgli – di rispettare i miei spazi e i miei tempi.
«Va bene» acconsente lui con malcontento,
indietreggiando. «Farò come vuoi, Chris» ripete in modo altrettanto
insoddisfatto, passandosi una mano tra i corti capelli biondi e continuando a
retrocedere.
Mi rivolge poi un’ultima occhiata carica di
tristezza e alla fine esce silenziosamente dal mio ufficio, chiudendosi la
porta alle spalle con un leggero tonfo. Un tonfo che avverto fino al cuore e
che metaforicamente rappresenta il nostro definitivo allontanamento, allora mi
appoggio contro il bordo della scrivania e mi sostengo con le mani per evitare
di scivolare a terra. Vorrei rannicchiarmi su me stessa e lasciare sfogare
questa sofferenza, ma non posso farlo. Non qui. Non nel mio studio, con il rischio
che la mia segretaria – oppure, ancora peggio, un infuriato Mr Micols – entri
all’improvviso. Sono già abbastanza patetica ridotta in questo modo: con le
guance umide a causa delle lacrime incontrollabili che sgorgano dai miei occhi,
la pelle tremendamente pallida e il gelo che ha immobilizzato il mio corpo. Non
desidero proprio che Holga o Peter assistano a questo mio crollo emotivo,
sarebbe la mia rovina e la mia più grande vergogna. Perderei la loro stima e mi
mostrerei debole, non il solito squalo della finanza che sono abituati a
vedere.
Nonostante tutto il mio contegno di questa mattina
è evaporato con l’uscita di Richard da questo ufficio e dalla mia vita, perciò
attualmente mi ritrovo a dover gestire la distruzione di tutti i miei sogni e
delle mie speranze. Adesso mi resta soltanto la responsabilità di dover
spiegare al mio capo la mia decisione di abbondare un cliente del calibro di
Richard Reyes, per il quale all’inizio avevo tanto combattuto al punto da
passare su tutti i miei principi, e la malinconia di aver rinunciato per motivi
assolutamente giustificabili al mio uomo ideale.
Al mio grande amore.
Al mio più serio e vero investimento sentimentale,
dimostratosi però maledettamente sbagliato.
Questa volta, a prescindere dalle mie analisi
accurate, ho perso. Ma in gioco non c’era il solito denaro sterile e freddo.
No, c’era il mio cuore.