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Autore: OrnyWinchester    29/12/2023    3 recensioni
Pochi giorni prima di Natale, Dean viene rapito da alcuni esseri magici davanti agli occhi increduli di Sam. Nel frattempo, a Camelot, subiscono la stessa sorte re Artù e i Cavalieri della Tavola Rotonda. Toccherà a Sam e Merlino andarli a salvare, in un’avventura al limite dell’incredibile in una terra sconosciuta.
La storia è ispirata alle serie tv "Merlin" e "Supernatural" e si colloca tra gli episodi 4.7 e 4.8 di Merlin e dopo la stagione 15 di Supernatural.
Il titolo è un riferimento all’episodio 3.8 di Supernatural “A Very Supernatural Christmas”.
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: I Cavalieri della Tavola Rotonda, Merlino, Principe Artù
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Quarta stagione
Capitoli:
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Le porte di Avalon

«Grazie per essere venuto così presto, Bobby!» disse Sam, mentre con l’altro scendeva di corsa le scale del bunker.
«Ho fatto il prima possibile. Non ero lontano da qui.» affermò l’uomo, seguendolo a distanza di pochi passi.
Più Sam lo osservava, più non riusciva a capacitarsi di quanto le fattezze e perfino il carattere dell’anziano cacciatore fossero in tutto e per tutto identici al Bobby Singer che i fratelli Winchester conoscevano e consideravano da sempre come un padre. Anche se davanti a lui c’era il Bobby dell’Altra Dimensione, un universo alternativo in cui Sam e Dean non esistevano.
«Stavi dando la caccia a qualcosa?»
«Do sempre la caccia a qualcosa, Sam!» replicò questo in tono un po’ burbero. «Sono ormai troppo vecchio per cambiare abitudini.»
Sul grande tavolo sul lato sinistro della sala erano aperti alcuni spessi libri, vecchi e consumati, e il notebook di Sam si trovava a navigare su un sito di mitologia.
«Allora, cos’è successo a tuo fratello? Racconta!» lo invitò Bobby, mettendosi a sedere.
«La verità è che non lo so, Bobby. E’ sparito, inghiottito da una luce! E’ questa l’unica cosa che ho visto!» spiegò questo, allarmato.
«Una luce, tipo quella degli alieni? Abbiamo a che fare con l’Area 51?»
«Non credo si trattasse di alieni!» constatò il più giovane dei Winchester. «Loro non rilasciano questa!»
A quel punto, tirò fuori da una tasca un sacchetto di stoffa rossa con la faccia di Babbo Natale impressa sopra, poi versò con cautela il suo contenuto sul tavolo, proprio davanti al viso esterrefatto di Bobby. Una pioggia di tanti minuscoli granelli di polvere dorata discese come un fiume sulla superficie liscia.
«Cosa sono? I glitter con cui stavate decorando questo posto?!» ironizzò l’uomo, guardandosi attorno, quasi infastidito da tutti quegli addobbi.
«No, Bobby.» scosse la testa Sam. «Questo è tutto quello che è rimasto dopo che quella luce ha prima sollevato da terra Dean e poi lo ha risucchiato chissà dove!»
«Non ci giurerei, ma sembra polvere fatata a prima vista!» disse Bobby, più serio. «Tu hai scoperto altro?»
«Sono arrivato più o meno alle tue stesse conclusioni. Anche se qualcosa non torna!»
«A che ti riferisci, ragazzo?»
«Al fatto che le fate non vanno in giro a rapire la gente così, come se niente fosse. Anni fa, durante una caccia, Dean è stato rapito dalle fate e, poi, rilasciato all’improvviso. Ma in quel caso stavamo indagando sul luogo di alcune sparizioni e avevamo pestato i piedi a colui che si è rivelato essere l’artefice di tutto. Adesso che motivo ci sarebbe?» osservò Sam.
«Ne avrà fatta arrabbiare qualcuna! Sai com’è Dean, no?»
«Sono settimane che non ci muoviamo da Lebanon e, poi, come avrebbero fatto delle fate ad entrare nel bunker?! Sai che è a prova di esseri soprannaturali! Invece, Dean è stato rapito qui dentro, proprio davanti ai miei occhi! Io credevo che potesse trattarsi di una pooka, che è un’abile mutaforma, ma…»
«E’ magia!» esclamò Bobby, convinto, passandosi i granelli dorati tra le mani. «E a giudicare dal colore di questa polvere fatata, si tratta di una magia che non tutte le fate sono in grado di usare.»
«Vuoi dire che è stata una fata di… di rango superiore a rapire Dean?» chiese Sam, deglutendo a fatica.
«Una Regina, per la precisione!» annuì Bobby. «Solo i loro poteri sono in grado di agire a così grande distanza. Mi sono già imbattuto in questo genere di eventi nell’Altra Dimensione e non credo che qui le cose siano così diverse.»
«E come faccio a salvare mio fratello? Non ho idea di dove possa trovarsi adesso.»
«Dove vengono portati tutti coloro che affermano di essere stati rapiti dalle fate?»
«Oh, andiamo, Bobby! E’ solo una diceria! Non ci sono prove che sia vero!» protestò Sam, agitato.
«Se hai altri posti da vagliare per cercare Dean prima che quelle fate gli strappino le budella, fai pure, Sam!» convenne l’anziano cacciatore, mettendosi a sfogliare le pagine di uno dei libri che Sam stava consultando.
«No, non li ho!»
Bobby smise di girare le pagine, non appena si trovò di fronte ad una raffigurazione di una specie di isola magica che sorgeva al centro di un immenso lago cristallino. Tamburellò le dita sulla pagina in questione, quasi divertito, e sorrise.
«Allora?»
Sam sbuffò e distolse lo sguardo dall’immagine.
«Allora penso proprio che dovrò recarmi ad Avalon per salvare Dean!»
 
***
 
«Prendi questo libro, Merlino!» suggerì Gaius, mettendogli di fianco un tomo dalla copertina olivastra, mentre il mago stava sfogliando una serie di testi voluminosi. «Di sicuro tratta l’argomento meglio degli altri che hai visionato finora.»
«Grazie, Gaius!» replicò il giovane, prendendo tra le mani il libro a cui si riferiva il medico di corte. «Sapevo che c’era qualcosa di strano nel racconto di Artù!» esclamò, allarmato. «Se solo avessi avuto il tempo di…»
«Merlino, non colpevolizzarti!» provò a rincuorarlo Gaius, posandogli una mano sulla spalla. «Non avresti potuto fare niente per aiutare Artù o i suoi cavalieri. E’ successo tutto talmente in fretta! E prima non avevi idea di cosa cercare!»
«Già, ma ora non è che la situazione sia molto migliorata… Sappiamo per certo che il loro rapimento, se così vogliamo chiamarlo, è opera delle fate perché questa polvere dorata è inequivocabile. Ma di quali fate stiamo parlando?!»
«Quel testo descrive in modo accurato tutte quelle conosciute, o almeno credo.» ipotizzò l’anziano medico. «La sua redazione risale a diversi anni fa e non so se nel frattempo ci siano state delle evoluzioni.»
«Me lo farò andare bene lo stesso, Gaius.» annuì il mago, sicuro.
Merlino lesse diverse pagine, restando in rigoroso silenzio fino a quando non si soffermò su una sezione di quello scritto. Essa faceva riferimento al potere che hanno alcune fate di rapire gli esseri umani per condurli al loro cospetto e…
«Ucciderli?!» esclamò, sconvolto, alzandosi in piedi. «Non può essere!»
«Merlino, che succede?» chiese Gaius, in apprensione.
Il mago si lasciò ricadere sulla sedia di legno e si portò le mani alla testa prima di rispondere.
«La faccenda è più complicata del previsto, Gaius.» sospirò, turbato. «Secondo il libro che mi avete dato, Artù e i cavalieri sono stati rapiti dalle fate per… per nutrirsene!»
«Sei sicuro, Merlino? Non ho mai sentito dire che le fate mangino gli esseri umani!»
«Scusate, mi sono espresso male. E’ che sono molto preoccupato!» si giustificò. «Non volevo dire che se ne cibano, ma che si nutrono della loro essenza, della loro anima, mentre li uccidono tra atroci sofferenze.»
«Sì, invece, questo è decisamente possibile.» affermò Gaius, mesto. «Del resto, ne avevamo avuto prova già con quel tizio, quel… Aulfric, se non ricordo male.»
«Sì, infatti. Ma quell’uomo era stato bandito da Avalon e, anche se aveva ancora i suoi poteri, poteva considerarsi alla stregua di un qualunque mago. Ricordo che lui e sua figlia condussero Artù fino alle sponde del lago, affinché si consegnasse spontaneamente agli Sidhe che vivevano sull’isola. Nessuno dei due fu, però, in grado di rapirlo.» rammentò il mago. «Tra l’altro, Gaius, credevo che l’unica popolazione fatata che abitasse l’isola al centro del lago fosse proprio quella degli Sidhe. Invece, da quello che leggo in questo libro, ce ne sono a decine.»
«Naturalmente. Gli Sidhe sono solo le fate più numerose di questa popolazione magica. Ma ne esistono tante e quasi tutte dimorano sull’isola in mezzo al lago di Avalon.» confermò l’anziano.
«Sono stato in quel luogo tante volte, ma non mi è mai capitato di vederne. A parte quando ho eliminato proprio Aulfric e Sophia, ovviamente. Anche se è pur vero che sono sempre rimasto sulle sue rive.»
«E’ normale che tu non le abbia viste, perché sanno come nascondersi all’occhio umano. E anche a quello di un grande mago come te. Molte delle specie di cui stiamo parlando hanno il potere di rendersi invisibili. Le capacità delle fate non sono da sottovalutare, soprattutto in virtù della loro grande varietà.»
Merlino riprese tra le mani il libro dalle pagine di pergamena ingiallita e continuò a seguire con lo sguardo il testo, muovendo ritmicamente la testa da una parte all’altra.
«Qui c’è scritto che solo una Regina delle fate è in grado di richiamare qualcuno a sé mediante la polvere fatata. E questo perché le fate comuni non possono disporre della polvere a loro piacimento.» ricapitolò, cercando di dissipare la confusione che la questione gli aveva causato. «Quindi, la scena che è accaduta davanti ai miei occhi è stata opera di una Regina delle fate.»
«Già. E di sicuro Artù e i cavalieri saranno stati condotti sull’isola. Non ti resta che andare ad Avalon, se vuoi sperare di salvarli.»
Merlino si alzò di scatto dalla sedia e, mentre si incamminava verso la sua stanza da letto, aggiunse:
«E devo anche fare in fretta! A quest’ora la Regina delle fate potrebbe essere sul punto di banchettare con le loro anime!»
 
Clunk! Tingle! Clang!
Una serie di rumori indistinti provenne dalla stanza di Merlino con il mago evidentemente intento a cercare qualcosa.
Quando riapparve sulla soglia e scese rapidamente gli scalini che lo separavano dal tavolo a cui era seduto Gaius, aveva in mano un bastone di legno con un grande cristallo blu all’estremità e un paio di cinghie di pelle marrone per trasportarlo. L’asta, liscia e levigata, presentava una serie di incisioni legate alla magia nell’antica lingua Ogham.
«Sarà meglio che porti questo con me. Mi è stato utile in passato!»
Era lo stesso bastone appartenuto a Sophia, la figlia di Aulfric, con cui Merlino aveva già eliminato il folletto Grunhilda e diversi Sidhe, tra cui quello che possedeva la principessa Elena di Gawant. Sicuramente era una risorsa importante per affrontare le insidie di Avalon e il mago sapeva bene che poteva contare sullo sconfinato potere che esso racchiudeva, in grado perfino di “tenere la vita e la morte nelle proprie mani” (“abas ocus bithe duthected bithlane”), come recitava il bastone gemello appartenuto ad Aulfric e andato distrutto.
«Merlino, fai attenzione! So quanto è grande la tua magia, ma quel posto è pieno di pericoli anche per uno con i tuoi poteri. Le fate sono note per gli inganni e i tranelli che ordiscono ai danni di chiunque si frapponga tra esse e i propri scopi, non dimenticarlo!» lo avvisò Gaius, con il volto contratto e irrigidito e una certa preoccupazione che scaturiva dal suo sguardo corrucciato.
«Non temete, Gaius! Farò attenzione! Anche se sapete meglio di me che salvare il re e i cavalieri rientra nei miei compiti, nel mio destino. Non posso agire altrimenti! Anche a costo della mia stessa vita.» rispose il giovane mago, a sua volta cupo, ma convinto.
Poi, si mise la sacca di pelle in spalla e con il bastone magico ben stretto nella mano sinistra fece un cenno di saluto al medico di corte, chiudendosi la porta dell’alloggio alle spalle, diretto alla volta di Avalon.
 
***
 
Nel cuore del lago di Avalon si trova un'isola magica. Non si sa molto di quest'isola, ma si narra che sia un luogo di magia e mistero. Sembra che nessuno sia mai riuscito a raggiungerla, ma molte storie e leggende si sono succedute nei secoli. Alcuni sostengono che si tratti di un paradiso perduto, altri che celi solo incubi e terrore. Nessuno sa davvero cosa si nasconda sull'isola, ma chiunque abbia avuto anche solo la fortuna di vederla da lontano ne è rimasto affascinato.
Essa, in realtà, è circondata da una foresta incantata e da una barriera magica che la protegge dal mondo esterno. Al centro si trova un grande castello di pietra nera, disabitato e occultato all’occhio umano da una fitta e rigogliosa vegetazione. Tutto quello che si riesce a scorgere in lontananza è unicamente la sua torre più alta, un giorno destinata ad essere la dimora della fata più potente mai giunta ad Avalon, che popolerà la magione di tante creature magiche e fatate. Fino a quando essa non reclamerà il suo posto, esseri come fate, elfi, gnomi, ninfe, folletti e, perfino, qualche unicorno vivono liberi in tutta l’isola.
Mentre una nebbia leggera e luminescente di solito la avvolge e le dona un’aura mistica, la barriera magica impedisce agli esseri umani di entrare.
Tranne quando questi vengono invocati da una Regina delle fate…
 
Dean Winchester sollevò la testa di scatto, non appena riprese conoscenza. Lo sguardo era ancora annebbiato e quello che lo circondava appariva sfocato. L’ultima cosa che ricordava era una luce molto intensa che si irradiava tutt'intorno a lui, sollevandolo da terra e facendolo fluttuare in aria. Senza padroneggiare più i movimenti delle braccia e delle gambe, era come se avesse galleggiato in un mare di energia luminosa. Poi, il suo corpo era diventato leggero come una piuma. E si era sentito come se stesse sognando.
«Ma che diavolo…» imprecò, facendo per alzarsi.
Solo allora si accorse di essere legato braccia, mani e piedi da robuste corde e di non riuscire ad assumere altra posizione che quella seduta, in cui già si trovava. Provò a liberarsi, ma ogni tentativo fu vano. Così, non essendoci molto altro che potesse fare, si guardò intorno per capire dove fosse finito perché di certo c’era che il panorama intorno a lui non aveva niente a che vedere con il bunker degli Uomini di Lettere di Lebanon.
Si trovava in una radura verde e lussureggiante vicino ad una foresta immensa con le chiome degli alberi che rilucevano al sole e somigliavano a tanti smeraldi. Il colore era ovunque intenso e brillante. Era nei fiori che sembrano sbocciare dappertutto; era nei frutti maturi e deliziosi che pendevano dai rami; era nell'acqua cristallina di un ruscello che scorreva poco distante; era perfino nella pietra scura con cui era stato costruito un castello appena visibile in lontananza. In quel paesaggio incantevole dove i flutti di una cascata scendevano da una piccola collina come se fossero lacrime di gioia e le voci melodiche e dolci delle creature che lo abitavano popolavano l’aria fresca e frizzante, Dean si sentiva al tempo stesso estasiato da quel posto misterioso e inquieto per i pericoli che esso poteva celare. Non era un caso, infatti, se chi lo aveva rapito, lo aveva condotto lì.
Perso nella bellezza ipnotica di quel luogo suggestivo, poi, non si era reso conto di non essere il solo a trovarsi in quella situazione di prigionia forzata. Poco distante da lui, infatti, giacevano svenuti, anch’essi con le corde attorno a spalle, mani e piedi, altri cinque uomini, avvolti in mantelli rosso cremisi. Uomini che non riusciva a vedere bene per via del loro stato, ma che aveva comunque riconosciuto da alcuni tratti fisici. Erano re Artù e quattro dei suoi fidati cavalieri della Tavola Rotonda, che Dean aveva avuto modo di conoscere e frequentare quando lui e suo fratello Sam erano finiti a Camelot durante uno strano viaggio nel tempo.
Si fermò a fissarli, incredulo e sbigottito, perché non immaginava che li avrebbe mai rivisti. Invece, ora erano proprio lì, nemmeno troppo lontani da lui, nella sua stessa condizione di prigionieri di chissà quale folle essere!
All’improvviso, Artù si risvegliò lentamente, assonnato e confuso, con la testa che gli ciondolava sul petto. Tentò di sollevarla per capire dove fosse e provò a muovere le braccia, ma si accorse che qualcosa lo teneva bloccato. Guardò verso il basso e vide che i suoi polsi erano legati. Provò a muoversi, ma i suoi movimenti furono limitati dalle corde che lo tenevano stretto. Non sapeva dove si trovava e non ricordava nulla di ciò che era successo. Solo allora udì una voce vagamente familiare che si rivolgeva al suo indirizzo. Voltò la testa verso destra e notò un uomo, anch’egli legato al pari suo e dei suoi quattro cavalieri. Gli sembrò di riconoscerlo, quando questo disse ad alta voce:
«E’ un piacere rivedervi, sire. Anche se avrei sperato che accadesse in circostanze più piacevoli!»
 
«Come siete finiti qui, tutti voi?» domandò Dean ad Artù e ai cavalieri, dopo che anche questi avevano subito il suo stesso brusco risveglio.
«Credo che sia stato a causa della magia!» iniziò il sovrano di Camelot. «Ci stavamo esercitando nel cortile, come di consueto, quando una luce brillante ha iniziato a fluire verso di noi, come un fiume in piena, inarrestabile e irresistibile. Poi, ci ha imprigionati nella sua stretta, troppo potente per riuscire a liberarci, e ci ha sollevati in aria come fuscelli. A quel punto, la spirale di luce che ci aveva intrappolato è scomparsa e noi con lei, immagino. Perché da quel momento non ho altri ricordi.»
«Era come se stessimo volando, anche senza il bisogno di ali.» aggiunse sir Leon, ancora più meravigliato del re.
«I miei capelli andavano dappertutto nell’aria e non riuscivo a vedere più di tanto. Una bella seccatura!» constatò sir Galvano, mentre sir Parsifal sogghignò.
«Sicuro, Galvano!» esclamò sir Elyan, sarcastico. «Sono i tuoi capelli in disordine il problema più grande della giornata! Il fatto di essere legati senza sapere dove ci troviamo e perché è un dettaglio trascurabile a confronto.»
Tutti sorrisero a quell’affermazione, Dean compreso.
«Anche a me è successa più o meno la stessa cosa e, proprio come voi, non riesco a capirne il motivo. Senza contare questo posto. Guardatelo! Non ho idea di dove possiamo essere!» spiegò il cacciatore, infastidito dalla situazione di incertezza.
«E’ evidente che la magia ci ha trasportato in un luogo che nessun essere umano potrebbe mai immaginare. Non ho mai visto niente del genere! Questo dimostra quanto può essere pericolosa la stregoneria!» affermò Artù, serio, nonostante l’armonia di quel luogo non riuscisse ad incutergli alcun timore.
«Anche Sam si trova qui?» domandò Elyan a Dean.
«No, non credo almeno. Quando la luce mi ha preso eravamo insieme a casa nostra, ma non mi è sembrato che desse la caccia anche a lui. Era solo me che voleva!» rammentò il maggiore dei Winchester, sebbene i suoi ricordi in merito fossero alquanto confusi.
«Se vogliamo toglierci dai guai, la prima cosa da fare è andarcene di qui. Avremo tempo dopo di farci tutte le domande del caso.» disse Galvano, strattonando con forza le corde che lo tenevano legato.
«Non credere che non ci abbia già provato! Ma anche queste funi devono essere magiche perché non si muovono di un millimetro e io inizio ad averne abbastanza di tutta questa situazione!» mugugnò Dean, sempre più irritato. «Dobbiamo trovare un modo per liberarci e alla svelta!»
«Non avere tanta fretta, umano arrogante!» minacciò una voce femminile di cui nessuno riusciva ancora a vedere il volto.
Una specie di ronzio seguì quelle parole fino a quando una scia luminosa non si fermò davanti ai prigionieri e da essa, come per incanto, si materializzò una bellissima donna dalla pelle diafana e luminosa, di un color pesca chiaro. Aveva lunghi capelli d’oro, sottili come la seta, e grandi occhi verdi, brillanti come smeraldi. Indossava una veste color lavanda che sembrava fluttuare nell'aria e aveva una corona di fiori intrecciati tra i capelli. Le sue ali, verdi e splendenti, l’avevano condotta lì grazie ad un volo leggero e silenzioso ed era circondata da un alone di luce quasi mistica.
«Si può sapere chi diavolo sei tu?» sbottò Dean, all’improvviso.
La sua collera fece sussultare anche re Artù e i suoi cavalieri, che per un istante sembravano come rapiti dall’incredibile bellezza della fata e dal suo sorriso incantevole.
«Come osi rivolgerti a me con questo tono?» tuonò la creatura.
«Fanculo le buone maniere! Sei tu che ci hai rapiti e condotti qui, no? Dicci cosa vuoi!» continuò Dean.
«Sono re Artù di Camelot e questi sono i miei uomini. Nel mio regno la magia è bandita, ma non ho mai fatto niente che potesse offendere la tua gente. Che ragione hai di tenerci imprigionati alla tua mercé?» chiese, allora, il sovrano, adirato, provando a scuotere ancora una volta le corde con le spalle, come se quel gesto rimarcasse la situazione di cattività in cui erano.
«Ah, piantatela!» rispose la fata in tono freddo e distaccato. «Le vostre chiacchiere mi faranno venire il mal di testa!» «So perfettamente chi siete e vi rivelerò il motivo per cui vi ho condotti qui, sull’isola di Avalon, al mio cospetto, solo quando lo riterrò opportuno!»
Prima che qualcuno potesse replicare, nell’aria si avvertì nuovamente lo stesso suono che aveva annunciato l’arrivo della fata, solo che questa volta era più lieve e sommesso. Pochi attimi dopo una seconda creatura fece la sua comparsa di fianco alla prima e le rivolse un inchino sentito. Aveva la pelle d’ebano e i capelli mossi color verde menta. Indossava un vestito corto della stessa tonalità dei capelli, decorato con alcune pietre preziose.
«Mia signora Clíona, vi domando perdono per il ritardo. Questi patetici umani hanno forse osato importunarvi?» chiese in tono servile verso l’altra fata.
«Non preoccuparti, Aingil, non mi importa un bel niente di loro. Una volta raggiunto il mio scopo, nessuno ne avrà più memoria.» rispose la sovrana, glaciale.
Allora Aingil si voltò a scrutarli tutti.
«Manca ancora qualcuno!» esclamò.
«Arriverà, non temere!» le fece cenno Clíona.
Aingil aveva uno sguardo strano, risentito, e i suoi occhi verdi e brillanti si posarono su Dean.
«Bentrovato Dean!» gli disse, irriverente. «Come mai Castiel non è ancora corso a salvarti?!» «Oh, già, non può! Non più!»
L’accenno di quella fata a Castiel e alla sua morte fece trasalire Dean, che sulle prime non riusciva a spiegarsi come una creatura magica di Avalon potesse conoscere lui o l’angelo. Forse voleva dire che avevano avuto già a che fare con lei in passato. Poteva essere successo la volta in cui era stato rapito dalle fate per alcune ore, ma non ne aveva conservato alcun ricordo e Castiel non ne era mai nemmeno stato a conoscenza. A quel punto, non sapeva cosa pensare. Qualcosa nel modo in cui questa lo fissava, però, gli lasciava credere che ci fosse molto di più che uno scontro passato.
«Mi conosci?» le chiese semplicemente.
«Avremo tempo per i convenevoli quando anche Sam sarà qui insieme a noi!» si limitò a dire Aingil, lanciando un’occhiata complice a Clíona, che rivolse al cacciatore un sorriso maligno.
Dean, Artù e i cavalieri le guardarono costernati, incapaci di comprendere chi fossero e cosa volessero da loro, mentre queste lasciarono la scena allo stesso modo in cui l’avevano presa.
   
 
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