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Autore: Alicanto_R    30/12/2023    0 recensioni
[Shinjiro/Kotone || 2nd person pov || Ambientata durante il tifone/ prima della cena preparata da Shinjiro || cap 2/2]
"Ichi-go Ichi-e: Il termine è spesso tradotto come “solo in questo momento”, “mai più” o “l’opportunità di tutta la vita”. Nel contesto della cerimonia del te, ichi-go ichi-e rammenta ai partecipanti che ogni incontro per la cerimonia del te è unico. Sebbene il rituale possa essere ripetuto, questo momento è un unico incontro da essere vissuto intensamente, esso non si ripeterà mai più; esso è la tua intera vita, ora."
I.
[Sayonara]
Il temporale provocato dal tifone si abbatte sul dormitorio e Shinjiro aspetta con ansia il ritorno di Kotone.
II.
[Hajimemashite]
Kotone è a letto con la febbre ed inappetente. Forse Shinjiro può farle tornare l'appetito.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: S.E.E.S., Shinjiro Aragaki
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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hajimemashite


L’orologio batte le dieci di sera quando Kotone entra in cucina.

Col silenzio che cala nel dormitorio dopo una certa ora n una serata normale avresti potuto sentirne i passi, ma fuori il temporale è ancora al suo picco, l’acqua quasi annega anche i tuoi pensieri. E’ per questo che ti fai sorprendere lì, schiena alla porta, capo chino su una delle riviste di cucina a cui ti sei recentemente abbonato, e quando lei inevitabilmente ti chiama con quel suo “Senpai?”, scatti come una molla, così disabituato come sei a vivere sotto lo stesso tetto con altri.

Ti affretti a coprire con l’avambraccio la rivista, ma lei è più veloce di te; sporgendosi dalla tua spalla dice “Oh! E’ per la cena che vuoi fare?”. La sua voce è bassa e rauca e distrutta dal raffreddore più brutto della storia.

Tu fai il finto duro. Metti sù l’espressione più neutra che riesci a fare, con una alzata di spalle ti fai scivolare addosso la correttezza della sua insinuazione. “Nha, non ho mai confermato nulla”.

Kotone vede attraverso la tua facciata come fosse di vetro; la delicatezza per nasconderlo non la ha, quindi insiste indossando quel suo sorriso di sempre che tu hai imparato a conoscere un giorno e non ti è più uscito dalla mente. Lo riesci a visualizzare nel retro della tua testa anche se stai continuando a darle le spalle come il testardo che sei.

“Forse dovresti provare con qualche piatto europeo. Mitsuru mi dà l’impressione di una persona a cui piace la cucina francese”.

“Cosa, solo perché è ricca?”

“No! E’ perché è la più raffinata!”. Kotone prova a ridere ma la gola non glielo permette: dalle sue labbra escono tre colpi di tosse così forti che quando al quarto la risata finalmente attecchisce è poco più che un rantolo.

E’ un suono così brutto da sentire che la preoccupazione sopita ti si riaccende in petto con una vampata violenta. Ti giri verso di lei per necessità, perché all’improvviso hai il bisogno di controllare che Kotone non stia così male come quella tosse ti lascia intendere.

Quell’istinto è così forte da farti dimenticare che lei ti si sta sporgendo da sopra una spalla e quando finisci di girarti non c’è niente che ti prepara al suo volto così vicino al tuo. Gli occhi di Kotone sono rossi e gonfi, lucidi di febbre, e risaltano in modo preoccupante su una faccia tutta arrossata dagli spasmi della tosse. Le sue labbra sono terribilmente secche, screpolate.

“…a Mitsuru piacerebbe qualcosa di casalingo, non raffinato” dici senza senso, il tuo cervello in panne sul confine tra preoccupazione lancinante ed imbarazzo. Eppure non ti muovi. E neanche lei si muove.

Lo sguardo fuori focus di Kotone si accende all’improvviso di vita. “Ma io volevo approfittarne per assaggiare qualche zuppa francese” dice, la voce piegata all’insù come se ti avesse giocato uno scherzo. Poi accade questo: lei allunga una mano e con il dito indice sottile e gelido ti tocca la guancia. “Senpai, se mi stai così vicino rischi di prenderti la febbre anche tu”

E allora dentro di te accade questo: ogni atomo del tuo essere si concentra su quel minuscolo punto di incontro, la lieve pressione che spinge delicatamente sulla tua guancia, e sebbene quel centro di contatto sia freddo come il ghiaccio tu senti la pelle andare a fuoco. E’ così fredda, pensi, cosa ci sta facendo fuori dal letto? Dovrebbe star dormendo via la febbre in un letto caldo invece di blaterare su zuppe francesi. Ah, questa sera non ha mangiato. E’ vero. E’ da ieri che non esce dalla sua stanza. Starà morendo di fame.

“Guarda che sei te che mi hai tossito addosso”. Ritorni in te tutto d’un colpo ma ormai la facciata è crollata in mille pezzi e ora la preoccupazione tinge parole che dovrebbero essere di fastidio. Non le sposti la mano con la tua perché hai paura di scottarti ancora di più, quindi ti limiti ad alzarti e a dirigerti verso i fornelli. Ogni tuo passo è uno sforzo calcolato per nascondere l’improvvisa tensione che ti infiamma i nervi.

“Non ho gli ingredienti per una zuppa francese, ti va bene una di miso?”

Non aspetti una sua risposta. Stai già aprendo frigo e dispensa per recuperare tutto quello che ti serve, maledicendo le cattive abitudini alimentari del resto del gruppo ad ogni ramen instantaneo che trovi. E sono tanti. Troppi.

E’ mentre stai il daikon a rondelle che la voce di Kotone si fa sentire di nuovo. “Mi va bene ogni cosa se la prepari tu, senpai”.

Il coltello quasi ti sfugge di mano. “Tsk, non dire certe cose” dici sottovoce e riprendi a lavorare silenziosamente dopo aver aggiustato la presa sul coltello. La domesticità di questa situazione ti fa quasi ridere. Tu in cucina a preparare una zuppa per una ragazza che non riesci a toglierti dai pensieri come se il tuo tempo non sia già agli spiccioli.

Ogni istante che passi in questa bolla è pericoloso, lo sai bene, ma non riesci più a scoppiarla. Tu vuoi questo: una cucina e delle persone per cui cucinare. Hai sempre voluto questo anche ai tempi dell’orfanotrofio. Anche quando eravate solo te, Mitsuru ed Akihiko contro il mondo. Persi ed arrabbiati. Il SEES è cambiato quando tu non guardavi: è diventato qualcosa di pericolosamente vicino ad una famiglia. E la colpevole di tutto questo è lì seduta a tavola che sfoglia la tua rivista e che ti fa preoccupare ogni volta che tossisce. Forse anche tu sei cambiato mentre non guardavi.

“E’ pronta la zuppa”

Un profumo invitante riempe la cucina. Anche Kotone deve riuscire a sentirlo nonostante il raffreddore perché appena le metti la ciotola davanti lei arriccia il naso proprio come vedi sempre fare a Koromaru. Il sorriso ti esce prima che tu possa fermarlo. Ah, pazienza, ti dici e non lo nascondi.

“E’ davvero tutta per me?”

“Certo. Non ti vedo mangiare da ieri sera, devi mettere qualcosa sotto ai denti o non guarirai mai. Come nostra leader devi prenderti cura di te stessa”.

Di nuovo quello sguardo di lei capace di attraversare ogni tua pretesa senza vergogna. Ma ora le pretese non ci stanno: la lasci arrivare nel punto più tenero di te con la precisione di una lama. La tua leader non è niente se non affilata come la naginata che usa nel Tartarus.

“Non volevo farti preoccupare per me”. 

No, ovvio che no. Tu e lei siete uguali in questo, vi riconoscete. La vostra attenzione è un canale ad una via sola che va da voi agli altri, tutto il resto è ignorato. Tu lo fai perché sai di non avere più tempo: che senso avrebbe investire il proprio respiro per tenere accesa una candela che ha già consumato lo stoppino fino millimetro? 

Ma perché lei lo fa, tu non ne hai idea. Sai così poco di lei. Pensi: vorrei avere il tempo di conoscerla meglio. Provi a far scivolare via quel pensiero come la pioggia sul vetro ma ti rimane incastrato all’altezza tra gola e petto, e quando parli impregna le tue parole di un dolceamaro che le appesantisce sulla tua lingua. “Ormai sono di nuovo in squadra, come faccio a non preoccuparmi di te?”. 

“E’ che non è niente” dice, piatta, ma i suoi occhi la tradiscono comunque. Disagio. Distacco. Apatia. E’ un’apertura così fugace che cogli solo perché non riesci a distogliere la tua attenzione da lei e ti lascia con una voglia allo stomaco di vederla ancora. Che serata sentimentale per entrambi, questa.

Ti siedi vicino a lei, ignori il modo in cui le sue spalle hanno un sussulto ma quel movimento viene comunque bruciato per sempre nel retro della tua nuca, e di nuovo le spingi davanti la ciotola di zuppa.

“Se si fredda perde effetto”. 

L’incantesimo viene spezzato. Lo sguardo di lei torna ad essere presente e lucido dalla febbre. E’ meglio così, che tutto scorra senza conseguenze. Sfiorarsi fa già male, se ti tuffassi più a fondo finiresti annegato in un desiderio irrealizzabile. Te lo ricorda il freddo perpetuo della tua pelle, lo scalciare furioso di Castor ai confini  della tua anima.

“Ah, è buonissima!”

Lo stupore di Kotone dopo il primo cucchiaio di zuppa è sia orgoglio che sollievo. 

“Stavo pensando di prepararla anche per la cena. A Fuuka e a Junpei farebbe bene mangiare qualcosa salutare, una volta tanto. Alcune volte sono peggio di Akihiko.”

Che buffa la facilità con cui ti viene parlare di certe cose con Kotone, proprio ora. Non ti risulta difficile neanche quando lei ti scocca un sorriso furbo dei suoi. La sua precisione negli attacchi continua ad essere mortale.

“Se proprio ti sei deciso a fare la cena, allora io vorrei-“

“Una zuppa francese”

“No!” e ride, tu quasi la segui a ruota “Voglio assaggiare uno dei tuoi piatti preferiti”.

Memorie fluiscono davanti a te, odori e sapori di una vita passata creduta lontana eppure pronta ad essere riscoperta con una chiarezza impossibile. Ti rivedi al tavolo lungo ed affollato dell’orfanotrofio, schiacciato ai lati da Miki ed Akihiko, entrambi stanno ridendo mentre tu difendi il tuo piatto dai loro attacchi. E’ la giornata dei colpi bassi, quella, l’unica tollerata da tutti perché è una delle rare occasioni in cui a tavola spariscono i pasti salutari e ferrei della mensa per fare spazio alle gioie di ogni bambino. Puoi sentire ancora il sapore del tuoi trofeo sulla lingua.

“Karaage”. E’ da così tanto che non lo mangi, non sei neanche più sicuro di saperlo cucinare bene. I due anni passati per strada ti hanno tolto più che l’abitudine a vivere assieme ad altri. “E’ da anni che non lo preparo. Non ne ho mai avuto l’occasione”.

“Karaage? Non è un piatto molto salutare, senpai” risponde Kotone con una mezza canzonatura nella voce. Tu la lasci fare perché questa sera le hai già aperto il petto e mostrato il cuore ed inoltre forse un po’ ti piace tutta quella libertà che lei si prende nei tuoi confronti. 

“Era uno dei piatti che all’orfanotrofio ci davano solo una volta al mese, perché il fritto non fa bene ai bambini. Forse mi è rimasta l’idea che va cucinato solo in occasioni speciali”.

Kotone si limita ad annuire e a prendere un altra cucchiaiata dalla zuppa. Probabilmente è solo una tua impressione, però la sua pelle sembra aver perso un po’ il pallore febbricitante di prima.
Rimanete in silenzio per un po’. Fuori la pioggia accenna di smettere a tratti per poi riprendere a cadere con più forza. Quanto durerà questo tifone? E’ passato solo un giorno ma tu sei già stanco del battere continuo sui vetri. Ti rende le notti insonni ancora più insopportabili. 

“Senpai?” ti chiama Kotone. 

Ti giri verso di lei, la testa poggiata sul palmo della mano. Ti senti stranamente assonnato, è una sensazione nuova per te, un abbassamento della guardia così naturale che te ne inizi ad accorgere solo ora che hai le palpebre pesanti ed il respiro lento.

“Mh?”

“Piacere ti conoscerti” ti dice, rapida, senza esitazioni “Mangiare quello che mi hai preparato mi ha fatto venire voglia di dirtelo”.

Il principio del sonno ti ovatta il colpo, ma non il dolore. Che cosa crudele da dirti. E che cosa crudele quel calore che ti si sta srotolando in petto. Faresti meglio ad alzarti ed andartene via. Faresti meglio a conservare questo livido nascosto tra le costole come un avvertimento e risparmiarti una ferita peggiore. Ma hai iniziato a volere, anche se non lo sai.

“E’ un piacere anche per me” le rispondi e ti arrendi.

   
 
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