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Autore: Parmandil    30/12/2023    1 recensioni
Tra tutti gli avventurieri della Destiny, nessuno quanto Irvik brama di tornare a casa, dove lo attendono i figli. Ma anche se tornasse oggi stesso, chi gli restituirebbe gli anni perduti? Chi mai potrebbe evitare che la sua famiglia si disgreghi e i figli lo guardino come un estraneo?
Giunto da oltre lo spazio-tempo, un essere trascendente gli offre proprio questo. Riporterà Irvik nel passato, al momento delle sue scelte cruciali, permettendogli d’agire altrimenti, nella speranza d’evitare la rovina familiare. Quale mortale potrebbe mai rifiutare quest’opportunità? Scopo dell’esperimento è appurare se esista il libero arbitrio, e tutto dipenda dalle nostre scelte, o se viceversa siamo schiavi di un Fato ineluttabile.
Accettato il patto, l’Ingegnere Capo scatena inavvertitamente una serie d’eventi che potrebbero condannare la Destiny, e non solo quella. Riuscirà il povero sauro a salvare sia la sua famiglia che l’astronave? E come sfuggirà poi allo sdegno dell’entità che gli aveva concesso tanto? Volontà e necessità si scontrano come non mai, mentre Irvik apprende che per aggiustare qualcosa, bisogna scombinarne un’altra.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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-Capitolo 3: Il dono di pace
 
   «Groan... promemoria per il futuro... mai più accordarsi con entità extra-dimensionali...» mugugnò Irvik, massaggiandosi le tempie. Ancora una volta si accorse d’essere steso sul freddo pavimento. Si stropicciò gli occhi, si guardò attorno... e riconobbe d’essere nel suo alloggio sulla Destiny. Per un attimo si chiese se non avesse sognato tutto. I viaggi nel tempo, le realtà alternative coi loro mille problemi... potevano essere tutta una fantasia? Poi vide il Cubo di Rubik, a terra accanto a lui, e malgrado il suo aspetto normalissimo sentì che era tutto vero.
   «Argh!» gemette il Voth, tirandosi in piedi di scatto. Si guardò attorno, temendo di vedere Nagilum che lo spiava, e magari gli proponeva altri esperimenti. Ma il viso senza corpo dell’entità non era in vista. Con mani tremanti, Irvik raccolse il Cubo e lo posò sul tavolino, stando attento a non scombinarlo. «Computer, fornire data e ora» ordinò con voce roca.
   «Data Stellare 2614.38, ore 7:47» rispose il processore.
   «Una sola notte» rimuginò l’Ingegnere Capo. Era passata una sola notte da quando Nagilum gli aveva parlato, proponendogli i suoi maledetti esperimenti. Eppure lui aveva trascorso almeno due giorni nei presenti alternativi. Se serviva qualche altra prova del potere dell’entità, eccola servita. E adesso, che sarebbe accaduto? Nagilum non aveva promesso di liberare la Destiny... al contrario, aveva detto di volersi procurare altri dati. Non era finita, purtroppo...
   Uno sguardo al finestrone dell’alloggio confermò che la Destiny si trovava ancora nell’anomalia di Nagilum. Non c’erano stelle in vista, solo quell’inquietante foschia bluastra. Fatta una rapidissima colazione, Irvik si precipitò in plancia. Non ebbe nemmeno bisogno di vestirsi, dato che indossava ancora gli abiti della sera prima.
   «Ah, sei qui!» lo accolse il Capitano. «Stavo per chiamarti. Ehi, che faccia... che ti è successo? Notte insonne?» chiese, notando l’aria stralunata del Voth.
   «Oh, è... una storia lunga. Troppo lunga per parlarne» borbottò Irvik. Non gli andava d’ammettere che si era accordato con Nagilum per abbandonarli tutti. «Perché mi voleva, Capitano? Come vanno le cose col nostro ospite?» chiese, alludendo alla nebbia sullo schermo.
   «Di male in peggio» disse Rivera, corrucciato. «Quel mascherone ci tiene imprigionati nel suo campo giochi. Nelle ultime ore ha cominciato a fare strani esperimenti sull’equipaggio».
   «Che genere d’esperimenti?» s’inquietò Irvik.
   «Di tutto. Ad alcuni ha chiesto di fare dei test probabilistici. Altri si sono trovati a vagare in ambienti sottosopra, come quelli che abbiamo visto sull’Empirical, forse per verificare la probabilità che ritrovassero la via d’uscita. Il povero Lum è ancora disperso sul ponte 8. Altri sembrano essere stati in qualche modo scansionati a livello cerebrale» spiegò il Capitano.
   «Oh, no... ha ancora la fissa del libero arbitrio» comprese l’Ingegnere Capo.
   «Così sembra. A te ha fatto niente?» chiese Rivera.
   «In un certo senso... ehm, abbiamo parlato di scelte e di destino» rispose eufemisticamente il Voth. «Mi ha dato la sensazione d’essere pressoché onnipotente. Dobbiamo stare molto attenti, Capitano» raccomandò.
   «Come se non ci pensassi! Ma non posso lasciare che questa nave diventi il suo giocattolo, e noi le sue pedine» brontolò l’Umano. «Quindi devi continuare a studiarlo, e a studiare... contromisure. Ricordi, parlavi di un campo gravitonico che potrebbe essere disturbato...».
   «Uhm, questo potrebbe condurci alla catastrofe» mormorò Irvik. «Se ci libereremo, non sarà grazie alla forza bruta».
   In quel momento Naskeel indietreggiò dalla sua postazione tattica. Sull’oloschermo infatti le scansioni dell’anomalia erano scomparse, rimpiazzate dall’immagine di tre carte coperte. Allora il volto di Nagilum comparve sullo schermo principale e la sua voce rimbombò nella plancia: «Tholiano, tu sei diverso dagli altri. La tua fisiologia unica merita un’analisi approfondita. Per cominciare, scegli una di queste tre carte».
   «Negativo» rispose Naskeel. «Rifiuto di partecipare a questi esperimenti. Il tuo infantile tentativo di comprendere le leggi di probabilità non approderà a nessun risultato significativo. La tua ricerca è viziata in partenza. L’unica condotta logica consiste nel liberarci e lasciarci proseguire per la nostra rotta».
   Un attimo di silenzio, poi Nagilum parlò in tono irritato. «Non ho chiesto il tuo parere, solo la tua collaborazione. Scegli una carta, avanti».
   «Fa’ come dice, o finirà male!» sussurrò Irvik, angosciato.
   «Negativo» ripeté Naskeel. «Non sono tenuto a sottostare alla tua volontà. Nessuno di noi è tenuto a farlo. Io non parteciperò ad alcuna prova, e non dovreste farlo neanche voi» disse, rivolgendosi ai colleghi e in particolare al Capitano.
   «Resistenza passiva, eh? Proprio adesso dovevi diventare Gandhi?» disse Rivera a mezza voce, incerto sull’efficacia di quell’approccio.
   «Questa è la tua risposta definitiva?» chiese Nagilum, ancora concentrato sul Tholiano.
   «Affermativo. Considerala la dimostrazione che l’arbitrio esiste, almeno da parte nostra, poiché scegliamo di disobbedirti» rispose Naskeel.
   «Siete liberi di scegliere la disobbedienza, ma non dalle conseguenze di questa scelta» ribatté Nagilum, facendosi minaccioso. «La mia ricerca è giunta a un punto critico e non può essere interrotta. Non posso consentirvi di rifiutare i test, e certamente non posso lasciar andare la vostra nave. A questo punto, ritengo che sia necessaria una dimostrazione».
   Il campo di forza che avvolgeva Naskeel, proteggendo la sua fisiologia tholiana dalla temperatura troppo bassa, sfrigolò e si spense. Subito il suo esoscheletro cristallino si scurì, mentre il calore ne sfuggiva. Il Tholiano emise uno stridio lacerante, in gran parte ultrasonico. Le crepe comparvero sull’esoscheletro, ramificandosi a vista d’occhio. Gli restavano pochi secondi.
   «Fermo, così lo uccidi!» gridò il Capitano all’indirizzo di Nagilum.
   «È quella l’idea» rispose l’entità, impassibile. «Sarà un esempio per tutti voi».
   «Avevi promesso che non avresti ucciso nessuno!» ringhiò l’Umano, maledicendo quel volto senza corpo, che non offriva alcun bersaglio contro cui sparare.
   «Avevo detto che le mie intenzioni non sono ostili, e lo confermo» rispose Nagilum. «Ma la vostra opposizione, dettata dall’ignoranza, richiede dei correttivi. Poiché non date ascolto alla logica, non mi resta che usare metodi a voi comprensibili. Ucciderò coloro che rifiutano di collaborare; spetta a voi decidere se saranno pochi o molti».
   Lo stridio di Naskeel divenne assordante, mentre le crepe si allargavano e si estendevano a tutto il corpo. Prima che chiunque potesse intervenire, il Tholiano si frantumò in una miriade di schegge irregolari, quasi esplodendo dall’interno. Gli avventurieri dovettero coprirsi gli occhi o girarsi per non esserne graffiati. Quando tornarono a vedere, dell’Ufficiale Tattico non restava che un mucchietto di detriti sfrigolanti, che puzzavano di zolfo.
   «Spero che la lezione sia sufficiente» disse Nagilum. Dopo di che si rivolse a un altro ufficiale tattico, un Nausicaano di nome Ruuvan. «Nausicaano, se ho compreso la vostra catena di comando, adesso sei tu il capo della Sicurezza. Ti spiace recarti alla postazione tattica e scegliere una delle carte?» chiese con calma.
   Ruuvan fissò il Capitano con aria allarmata. Questi non poté far altro che annuire, con un sospiro rassegnato. Il nuovo capo della Sicurezza andò alla postazione, dove fu costretto a eseguire gli insulsi test di Nagilum. Il volto incorporeo campeggiava ancora sullo schermo, per dargli istruzioni e osservare i risultati.
   «Di là» ordinò Rivera agli ufficiali superiori, accennando alla sala tattica. Urgeva un consiglio di guerra.
 
   «Irvik» disse il Capitano, quando furono tutti seduti attorno al tavolo.
   «Sì?» mormorò l’interessato, facendosi piccino.
   «Avevi detto che Nagilum è come un bambino, mosso dalla curiosità. Ebbene, adesso è un bambino che uccide. Come lo fermiamo?».
   «Io... non so se possa essere fermato» confessò l’Ingegnere Capo. «È talmente ossessionato dalla sua ricerca che non vuol sentire ragioni. E purtroppo è così potente che non abbiamo strumenti di pressione su di lui.».
   «A meno di voler ripetere il bluff di Picard, e attivare l’autodistruzione» commentò Shati.
   «Non credo che funzionerebbe ancora» avvertì il Voth. «La sua capacità di manipolare il mondo fisico sembra migliorata, quindi potrebbe fermare l’autodistruzione. O peggio ancora, potrebbe lasciare che ci autodistruggiamo, e poi andare in cerca d’altre astronavi – o persino interi mondi – da prendere in ostaggio».
   «Uhm, non voglio sguinzagliare un’entità del genere» rimuginò il Capitano. «In un modo o nell’altro, dobbiamo farla finita noi. Continua a studiare quel campo di gravitoni, cerca di capire se è davvero la sua mente. E poi... trova un modo per destabilizzarlo» ordinò.
   «Se mi scopre...» mormorò Irvik. Si guardò nervosamente attorno, aspettandosi di veder comparire il volto di Nagilum su qualunque schermo o superficie riflettente.
   «Per quanto sia potente, non credo che sia perennemente dappertutto» disse Rivera. «Al momento è concentrato su questi bislacchi test, quindi lasciamo che lo rimanga. Ordinerò all’equipaggio di collaborare, e anche noi faremo altrettanto, per tenerlo occupato. Intanto, però... ci siamo capiti. Fa’ più in fretta che puoi, e ricorda che potremmo avere una sola occasione» raccomandò.
   «Groan... ho voluto tornare sulla Destiny, ed eccomi qui. Un giorno come un altro nel Multiverso...» si disse il Voth, mentre lasciavano la sala tattica.
 
   Irvik andò in sala macchine, dove spiegò sinteticamente la situazione ai colleghi. Selezionati i collaboratori più esperti, si recò con loro nel laboratorio astrometrico, per proseguire le analisi. A un certo punto anche Talyn li raggiunse. Lavorarono per tutta la giornata, mentre attorno a loro la nave era in subbuglio per via dei bizzarri esperimenti di Nagilum. Alcuni erano semplici test da fare al computer, ma in altre occasioni l’entità mise effettivamente in pericolo certi individui, per vedere se riuscivano a cavarsela. Irvik si teneva aggiornato, così si rese conto che gli esperimenti di Nagilum erano sempre più pericolosi. Era in corso un’escalation, e l’Ingegnere Capo non sapeva fin dove sarebbe arrivata. Nel dubbio, non poteva far altro che concentrarsi sul suo incarico.
   Irvik scoprì così che effettivamente la Destiny era circondata da un campo armonico di gravitoni e altre particelle esotiche. Alcune particelle, che in natura avevano vite brevissime – frazioni di picosecondo – lì stranamente erano stabili. Tutti questi flussi e riflussi di particelle in effetti somigliavano in modo impressionante all’attività elettrochimica di un cervello. Questo corroborava l’ipotesi che Nagilum fosse un’Intelligenza Auto-Generata o, come dicevano i federali, un Cervello di Boltzmann.
   «Ecco, vedete come i flussi particellari hanno un picco ogni volta che Nagilum usa i suoi poteri?» fece Irvik ai colleghi, evidenziando il fenomeno. Sullo schermo scorrevano due grafici: uno mostrava i flussi di particelle, l’altro i momenti in cui (stando ai rapporti) Nagilum era intervenuto sulla nave. La corrispondenza era perfetta. I picchi erano gli stessi, e l’intensità delle particelle era anche proporzionata all’entità dell’intervento.
   «Quindi quell’essere può intervenire sulla materia a livello subatomico» commentò Talyn. «Creare e distruggere col pensiero...».
   «Non creare» lo corresse Irvik. «Credo che possa solo manipolare. Come un bambino che smonta le costruzioni e le rimonta in ordine differente, dandogli un’altra forma. Potremmo chiamarla Sintesi di Particelle, qualcosa su cui il mio popolo lavora da tempo. Deve richiedere un’immensa capacità di calcolo... ma in effetti Nagilum sembra più affine a un computer che a un cervello come i nostri. In qualche modo riesce anche a piegare le dimensioni, come gli ho visto fare sull’Empirical».
   «È un potere enorme» rabbrividì Talyn. «Se partisse alla conquista della Galassia, sarebbe inarrestabile. L’unica volta che mi sono imbattuto in capacità vagamente simili fu quando incontrai il Viaggiatore... e lui mi mise in guardia dall’uso irresponsabile di questi poteri. Disse che il potere corrompe, se non è al servizio del bene. E non credo che Nagilum serva altri che se stesso».
   «Temo di no... vede gli altri come strumenti» convenne Irvik, ricordando come anche i suoi viaggi indietro nel tempo non fossero dovuti a carità, ma rientrassero negli esperimenti dell’entità. «Ma guarda, queste scansioni ci suggeriscono il modo di contrastarlo. Alla fin fine, Nagilum non è altro che un campo di risonanza di particelle. Una risonanza delicatissima, e per questo facile da scombinare. È vero, possiamo passarci attraverso con tutta l’astronave e non fare danni significativi. Ma un impulso covariante di gravitoni dal deflettore potrebbe guastare la risonanza, trasformando l’ordine nel caos...».
 
   Fatta l’ipotesi, non restava che verificarla. Irvik e gli ingegneri tornarono in sala macchine, per preparare il deflettore, mentre Talyn si recò in plancia. Notarono che nelle ultime ore la situazione era peggiorata: gli esperimenti di Nagilum si facevano sempre più invasivi e l’equipaggio era esasperato.
   «Progressi?!» chiese Rivera.
   Talyn annuì, pur non osando spiegare tutto a voce alta. Era probabile che Nagilum tenesse d’occhio la plancia. Il giovane si recò alla postazione ingegneristica, coordinandosi con la sala macchine per predisporre l’impulso del deflettore.
   Di lì a poco anche Irvik tornò in plancia. Spettava a lui, infatti, inserire le istruzioni finali per lanciare l’impulso. Fece un cenno a Talyn e gli si avvicinò, ma proprio in quel momento Nagilum apparve sullo schermo.
   «Capitano Rivera, la informo che ho completato la prima sessione di prove» annunciò l’essere senza corpo.
   «Solo la prima?» si rabbuiò l’Umano.
   «Certo, ne ho in mente molte altre. Tutti i dati che ho raccolto finora restano inconcludenti. Vi suggerisco di riposare, in vista della prossima giornata».
   «Fantastico, adesso ci fai anche da baby-sitter!» sbottò Rivera.
   «Ehm, quello che il Capitano intendeva dire è che quest’infinita serie di test non porterà a niente» intervenne Irvik, in un ultimo tentativo di ragionare con Nagilum. Talyn tuttavia pensò che volesse solo distrarlo, per consentire a lui di lanciare l’impulso gravitonico. Col cuore che batteva forte, il giovane inserì gli ultimi comandi. L’attività del nucleo aumentò e il deflettore s’illuminò, caricandosi d’energia. Irvik però non se ne accorse, concentrato com’era sulla conversazione.
   «... e quindi il calcolo probabilistico non ti aiuterà a determinare l’esistenza del libero arbitrio. La domanda in sé è più filosofica che scientifica» proseguì il Voth, accorato. «Io credo che la cosa migliore sia confrontarti con altri pensatori, amico mio. E per tua fortuna, nel nostro database ci sono testi dedicati all’argomento. Leggendoli potresti trovare l’ispirazione che cerchi. Te li trasmetterò volentieri, se avrai la bontà di liberarci da quest’anomalia. Del resto, una grande mente come la tua deve confrontarsi con grandi pensatori, non con dei miseri avventurieri come noi...» lo blandì.
   Nagilum ascoltava con vago interesse, ma a un tratto i suoi occhi si fissarono su qualcosa alle spalle del Voth. Si fissarono su Talyn. «Cosa credi di fare, ragazzo?!» tuonò l’entità, più spaventosa che mai.
   La consolle d’ingegneria sfrigolò, avvolta da scariche elettriche ad alta intensità. E Talyn, che aveva le mani sui comandi, se le prese in pieno. Le folgori azzurrine gli crepitarono su per le braccia, attorno al torace, fino al cuore. L’El-Auriano lanciò un grido straziante, incapace di staccare le mani dall’interfaccia sovraccarica. Nessuno tra i presenti gli era vicino in quel momento, e quindi nessuno fu abbastanza veloce da staccarlo. Del resto, chiunque ci avesse provato sarebbe stato folgorato a sua volta. L’energia crebbe finché la consolle esplose in una cascata di scintille. Allora il giovane cadde all’indietro e stramazzò sul pavimento, inanimato.
   «NO!» gridò Losira, accorrendo presso di lui. Gli si chinò accanto e gli prese il polso, trafelata.
«Non sento il battito... non sento il battito!» gemette, tastandogli anche la carotide.
   «Plancia a infermeria, teletrasporto d’emergenza per Talyn. Codice bianco di rianimazione!» ordinò Rivera, premendosi il comunicatore. L’El-Auriano fu prontamente trasferito, come anche la Risiana che gli era accanto. Allora ci fu un breve silenzio. Nessuno osava fiatare dopo quella tragedia; tutti attendevano la prossima mossa.
   Il Capitano alzò gli occhi furenti su Nagilum. «Che cosa hai fatto?!» ringhiò.
   «Ho solo protetto me stesso» si giustificò l’entità. «Vi avevo ammoniti a non compiere azioni sconsiderate. Ma il suo sottoposto ha cercato di colpirmi, e del resto non credo che l’abbia fatto a sua insaputa, Capitano. Quindi ho dovuto neutralizzare sia lui, sia le vostre macchine. D’ora in poi la vostra nave opererà al minimo dell’energia. Mi assicurerò che non siate più in grado di lanciare simili attacchi. Quanto a lei, Capitano... si consideri fortunato che non le riservi la stessa sorte. Forse dovrei, come monito per l’equipaggio. Di certo lo farò, al prossimo segno di ribellione. Sono stato chiaro?».
   A confermare le sue parole, le luci si spensero, lasciando solo i faretti d’emergenza. La maggior parte delle consolle si oscurò. Nello stesso momento, in sala macchine, il nucleo si spegneva. Anche il disco del deflettore, illuminato fino a poco prima, divenne scuro e inerte. La Destiny era un relitto alla deriva, al centro dell’anomalia. E la ciurma era completamente in balia dell’entità aliena.
 
   Rivera entrò di corsa in infermeria, seguito da Irvik. Il Voth ansimava per lo sforzo di stargli dietro. Ma non poteva esimersi... in fondo era colpa sua se Talyn era stato colpito. Entrarono in sala operatoria, dove Giely e il Medico Olografico lottavano per rianimare il giovane. Fu subito chiaro che le sue condizioni erano disperate. I medici si affannavano, provando un trattamento dopo l’altro, ma Talyn non reagiva. Qualche passo più indietro stava Losira, immobile come una statua, gli occhi fissi sul figlio adottivo.
   «Avrei dovuto esserci io a quella consolle, non il ragazzo» si disse Irvik, oppresso dai sensi di colpa. «Cosa m’è saltato in mente di provare a ragionare con Nagilum, quando ormai eravamo pronti a colpire? Non si può ragionare con lui. Dovevo andare dritto alla consolle e lanciare l’impulso...». Naturalmente anche in quel caso Nagilum avrebbe percepito e neutralizzato la minaccia. E adesso sul lettino operatorio ci sarebbe stato lui, Irvik, anziché il giovane. In quel momento, il sauro rimpianse che non fosse stato così.
   «Stimolatore corticale, adesso!» disse Giely, dopo aver fissato le piastrine alla fronte di Talyn. Emise due impulsi, che gli fecero scattare la testa per la reazione nervosa automatica, ma non valsero a rianimarlo.
   «Non reagisce, attività neurale in diminuzione. Lo stiamo perdendo» avvertì il Medico Olografico.
   «Altri due impulsi, aumenta del 50%» ordinò la dottoressa. «Ancora... ancora!» esclamò, non rassegnandosi al fallimento. Ma ad ogni tentativo gli scanner medici rimanevano critici. Giely praticò delle iniezioni nella carotide, regolò lo stimolatore corticale e provò ancora, con crescente disperazione.
   «È inutile... attività neurale assente. Il paziente è in stato di morte cerebrale» dichiarò il Medico Olografico, leggendo gli scanner. «Mi spiace, dottoressa, abbiamo fatto il possibile» disse quietamente.
   Irvik si sentì mancare. Aveva davvero sentito quelle parole? Il giovane era morto?! Accanto a lui, anche il Capitano era scioccato.
   Giely si asciugò gli occhi dalle lacrime che li imperlavano e indietreggiò di due passi, appellandosi a tutto il suo autocontrollo per mantenere la compostezza. «Computer, certifica l’ora del decesso. Causa della morte: intenso shock elettrico cerebrale» disse con voce incrinata.
   «No, no!» gridò Losira, accorrendo accanto al lettino. Si chinò sul figlio adottivo, piangendo a dirotto. Infine si lasciò scivolare a terra, scossa dai singhiozzi.
   Davanti a quella scena straziante, Irvik si sentì soffrire come se fosse stato figlio suo. Talyn era la seconda vittima dell’entità aliena, dopo Naskeel; quante altre ce ne sarebbero state? Il Voth fece per lasciare la sala operatoria, affranto. Ma nel girarsi, vide il volto imperscrutabile di Nagilum che lo fissava da un display parietale.
   «Sono dolente, ma è stato necessario» disse l’entità.
   Allora Irvik disse una cosa che sarebbe stata assurda, se l’avesse rivolta a chiunque altro. Ma con Nagilum, niente sembrava impossibile. «Tu... tu puoi fare ciò che vuoi. Non è che potresti rianimarlo?!» supplicò.
   «Non dopo che è sopraggiunta la morte cerebrale» rispose Nagilum. «Dovete rassegnarvi alla perdita del vostro collega».
   «Va’ all’Inferno!» strillò Losira, gli occhi arrossati dal pianto.
   «Tuttavia, per quelli di voi che sono inconsolabili, forse posso fare qualcosa» rivelò l’entità, concentrando lo sguardo su di lei.
   «Non hai fatto abbastanza?! Che altro...» fece la Risiana, ma si bloccò di colpo. I suoi occhi si strabuzzarono, la bocca si chiuse di scatto, tutto il volto s’irrigidì. Dalla posizione accasciata in cui si trovava, Losira scattò in piedi, con la schiena rigida e le braccia distese lungo il corpo, quasi fosse sull’attenti. Ogni muscolo del suo corpo sembrava contratto fino allo spasmo.
   «Lasciala stare, bastardo! Prenditela con me, piuttosto!» gridò il Capitano, tempestando di pugni l’interfaccia su cui campeggiava il viso di Nagilum.
   «Lei è in errore, Capitano. Non la sto torturando. Al contrario, la sto aiutando a superare il trauma» rivelò l’entità.
   «Come la stai...» mormorò Rivera, ma non ebbe la forza di finire. Lui e gli altri fissarono la Comandante, con la sensazione che il peggio dovesse ancora arrivare.
   Gli occhi grigi di Losira ruotarono all’interno della testa, così che per parecchi secondi fu visibile solo il bianco. Quanto tornarono in posizione normale, le pupille erano contratte come capocchie di spillo. Allora la sua espressione si stiracchiò, divenendo uno stranissimo sorriso, in stridente contrasto col dolore di poco prima. Un sorriso inquietante, forzato, che faceva sembrare il suo volto una maschera di plastica. Le labbra si schiusero, emettendo un lungo sospiro soddisfatto, e la posa si rilassò.
   «Che ti succede? Tutto bene?» mormorò il Capitano, pur avendo la certezza che non era così.
   «Sì Capitano, sto benissimo. Mai stata meglio in vita mia» rispose Losira, con una voce così lenta e bassa che non sembrava nemmeno la sua. Sul suo volto restava il sorriso plastificato e le palpebre non sbattevano mai.
   «No, non stai bene. Non stai bene per niente» disse Rivera, accostandosi. «Ascolta, non vorrei rigirare il coltello nella piaga, ma... ricordi cos’è successo?» disse, accennando al corpo ancora caldo di Talyn, disteso sul lettino.
   Losira si girò, osservando il cadavere del figlio adottivo senza battere ciglio. Poi si rivolse di nuovo al Capitano. «Ma certo che mi ricordo, è tutto chiaro. Talyn ha cercato di colpire Nagilum con l’impulso del deflettore, e questi si è difeso uccidendolo. Col tuo permesso, Capitano, vorrei riscrivere i turni di servizio, così da coprire l’ammanco» disse. Tutti la fissarono inorriditi.
   «Ammanco? Losira... è di Talyn che stiamo parlando» disse Rivera, cercando di scuoterla dal suo stato catatonico. «Il nostro Talyn, pieno di sorprese, che hai cresciuto fin da quand’era un ragazzo di strada. Gli hai sempre voluto bene come a un figlio... era un figlio, per te. Non lo ricordi?!».
   «Ricordo perfettamente, perché non dovrei? Ti assicuro che la mia memoria è intatta» garantì Losira, sempre con quel sorriso di plastica e gli occhi sbarrati.
   «E adesso che è morto... ucciso da quella cosa...» disse il Capitano, accennando a Nagilum, «non provi neanche un po’ di dolore? Non hai un senso di perdita, di lutto?!» incalzò. Lui di sicuro lo provava.
   «Non capisco di cosa parli, Capitano. Tutto sta andando come deve andare. Io sto bene e ti auguro lo stesso. Organizzerò il funerale e riscriverò i turni per coprire l’ammanco. Sei soddisfatto?» chiese la Risiana, come se stessero parlando del dessert.
   «No, non lo sono!» sbraitò Rivera. «Ma non ce l’ho con te... ce l’ho con lui!» gridò, indicando Nagilum. «E tu, non lo detesti nemmeno un po’?! Ha ucciso Talyn... non vuoi fargliela pagare?!» incalzò, nell’estremo tentativo di scuoterla.
   «No, Capitano» rispose Losira, con calma celestiale. «Al contrario, mi fido ciecamente di Nagilum. So che vuole solo il meglio per noi. Presto lo capirete tutti» disse con quel sorriso artefatto. E se ne andò a passo lento, senza aver sbattuto una sola volta le palpebre.
   Irvik, che aveva assistito alla scena senza azzardarsi a intervenire, si lasciò cadere contro la parete dell’infermeria, troppo annientato per fare alcunché. Quanto accaduto a Losira lo aveva raccapricciato ancor più della morte di Talyn. Lui che era padre, non osava immaginare come si sarebbe sentito, nel vedere i suoi figli morti. Il dolore di un genitore che perde la propria creatura è il sentimento più profondo, più incancellabile che un essere di carne e sangue possa provare. Nagilum lo aveva cancellato in pochi istanti, con la massima facilità. Se poteva fare questo... allora poteva fare qualunque cosa. Era davvero onnipotente.
   «Su, non siate così sconvolti» disse Nagilum, a sua volta spettatore della scena. «Ho solo aiutato la vostra collega a superare il lutto. D’ora in poi sarà più serena di quanto sia mai stata prima. E sarà più collaborativa coi miei esperimenti. Come vedete, è un guadagno per tutti» disse, e svanì.
 
   Troppo affranti per tentare altre mosse, gli avventurieri si ritirarono nei loro alloggi per la notte. Tornando nel proprio, Irvik vide sul tavolo il Cubo, il maledetto Cubo stregato che ormai lo ossessionava. I suoi colori disordinati, caotici, lo disgustavano, ricordandogli i suoi innumerevoli fallimenti. Avrebbe voluto prendere il phaser e disintegrarlo, ma si trattenne. Probabilmente Nagilum non l’avrebbe presa bene. E Irvik sentiva che il loro patto, di cui il Cubo era in qualche modo garante, non era ancora esaurito. Si profilava una resa dei conti, anche se al momento il Voth non riusciva a immaginare che forma avrebbe assunto. Come poteva lottare contro una creatura pressoché onnipotente?
   O forse lottare era inutile... in effetti, ogni tentativo finora condotto non aveva fatto che peggiorare le cose. Prima avevano perso Naskeel, poi Talyn, infine in un certo senso anche Losira. Se fossero rimasti calmi, senza protestare, sopportando con stoicismo, niente di tutto questo sarebbe accaduto. Ma come potevano restare calmi, quand’erano usati come cavie da laboratorio? Nagilum non dava segno di voler terminare gli esperimenti. E questi si facevano sempre più invasivi e pericolosi. A un certo punto bisognava dire basta! Qualcuno doveva insegnare a quel bambino spaziale che non poteva averla sempre vinta. Sì, ma come?
   Irvik consultò il database federale, studiando i precedenti incontri della Flotta Stellare con entità semi-onnipotenti. C’erano dei punti in comune... queste entità tendevano ad annoiarsi, ad abbassare la guardia, confidando nella propria potenza. E così a volte tradivano qualche inaspettata debolezza. Nagilum, ad esempio, aveva implicitamente ammesso che l’impulso covariante del deflettore poteva ferirlo, forse ucciderlo; altrimenti perché bloccarlo? Peccato che il tentativo fosse fallito e che, col nucleo disattivato e la maggior parte dei sistemi offline, non ci fosse modo di riprovare.
   Proseguendo la lettura, Irvik notò che a volte le entità potevano essere sconfitte costringendole ad attenersi a un patto, rivoltando in qualche modo il loro potere contro di loro. «Beh, anch’io ho stretto un patto... ma non vedo come avvantaggiarmene» pensò il Voth, osservando cupamente il Cubo di Rubik. L’unica cosa che aveva ottenuto dall’accordo, finora, era un senso di fallimento, d’inadeguatezza. Per quanto si arrabattasse, non riusciva mai a ottenere ciò che voleva. Se questo accadeva quando Nagilum era dalla sua parte... come sarebbe andata ad averlo come nemico?! Irvik non volle neanche pensarci. Lasciò il terminale e si trascinò a letto, trascorrendo una notte di sonno frammentato e agitato.
 
   La mattina dopo Irvik si recò in sala macchine, cercando di determinare le condizioni della nave. Come temeva, il nucleo era inerte e non rispondeva ai comandi. Solo i generatori d’emergenza erano in funzione. Per il momento la situazione era stabile, dato che l’astronave era ferma e consumava poca energia; ma non potevano resistere a lungo così.
   Di lì a poco Irvik fu chiamato con gli altri per assistere al funerale di Talyn. La cerimonia fu breve e Rivera disse poche parole. Chi lo conosceva meglio ne comprese il motivo; prolungare il discorso lo avrebbe solo fatto crollare in lacrime. E invece, in quel momento più che mai, il Capitano doveva apparire forte. Com’era consuetudine per chi viveva sulle astronavi, la bara – ricavata dal guscio di un siluro – fu lanciata nello spazio. In quel caso, però, non c’erano le stelle a vegliare sul suo eterno riposo... solo l’odiosa foschia blu dell’anomalia. Vedendo la capsula che si allontanava, Irvik soffrì fino in fondo al cuore. Rimase a lungo davanti alla finestra panoramica, anche dopo che gli altri si furono allontanati. E fu allora che ebbe un’ultima, disperata idea. La Destiny era bloccata al minimo dell’energia, ma il Centurion – la navicella del Capitano – non lo era. Forse si poteva lanciare un impulso gravitonico anche da lì. Già, ma sarebbe bastato a distruggere Nagilum? L’Ingegnere Capo ne dubitava seriamente. Tuttavia sentì di doverne discutere col Capitano. Beninteso, stavolta ci sarebbe stato lui ai comandi. Non avrebbe lasciato che qualcun altro si sacrificasse al suo posto.
 
   Perfezionata l’idea, Irvik si recò dal Capitano. Lo trovò in infermeria, dove Giely stava visitando Losira, nella speranza di poterla riportare alla normalità. Al momento la dottoressa stava eseguendo delle approfondite scansioni cerebrali, senza che la paziente protestasse. Il Capitano osservava a debita distanza. Dopo aver officiato il funerale di Talyn, voleva sapere se potevano fare qualcosa almeno per Losira.
   «Capitano, devo parlarle» mormorò Irvik.
   «È urgente?».
   «Beh, non urgentissimo...».
   «Allora abbi pazienza» disse Rivera, e l’Ingegnere Capo non osò insistere. Rimase anche lui ad assistere alla visita.
   «Scansioni completate» disse Giely di lì a poco. Si recò innanzi a un grande schermo parietale, per studiarle a fondo. Intanto Losira restava stesa sul lettino, tranquillissima. Aveva ancora quel sorriso plastificato e quegli occhi spiritati che Irvik trovava agghiaccianti.
   «Allora?!» fece il Capitano, impaziente.
   «Beh, mi servirà del tempo per fare una diagnosi completa, ma quel che vedo qui è... devastante» rivelò Giely. «I centri del pensiero autonomo nel lobo frontale e nella corteccia prefrontale sono stati alterati, e in gran parte soppressi, con una precisione che non ho mai visto prima. Le memorie sono state... non cancellate, ma riconfigurate, separandole dalla sfera emotiva. Questo spiega il suo assoluto distacco emozionale. Le aree cerebrali associate a dolore, paura e rabbia sono inattive, mentre i centri del piacere sono iper-stimolati. Lo stesso dicasi per l’attività ormonale: la dopamina, la serotonina, l’ossitocina e le endorfine sono alle stelle».
   «Quindi è come se fosse drogata?» chiese Rivera, cupo. Almeno dalle droghe ci si poteva disintossicare...
   «In parte, ma... è peggio di così» avvertì la dottoressa, sempre studiando le scansioni. «Quel che vedo è una pesante riconfigurazione del cervello. Alcuni collegamenti nervosi sono recisi, mentre ce ne sono altri dove non dovrebbero. È come se il suo cervello fosse... forzato a funzionare in un certo modo, molto ristretto, e solo in quello».
   «Senza il libero arbitrio» comprese Irvik.
   «Come?» fece Rivera, girandosi verso di lui.
   «Non vede, signore? Nagilum è ossessionato dal concetto di arbitrio. Vuole capire se esiste... a sentir lui sembra una curiosità accademica, ma sospetto che si preoccupi più del suo arbitrio che del nostro» spiegò il Voth. «Dopo averci analizzati, testati, usati come cavie da laboratorio, è diventato abbastanza esperto di neurologia da fare una cosa del genere. È diventato capace di privarci, a tutti gli effetti, del libero arbitrio. E allora mi domando... se ci prendesse gusto?» sussurrò, atterrito.
   Ci fu un lungo silenzio. Le implicazioni erano terrificanti. Infine il Capitano si riebbe. «Teniamo queste considerazioni per noi, okay? La prima cosa da fare è capire se questo intervento è reversibile. Giely, so che la neurologia non è la tua specializzazione, ma... pensi di poter fare qualcosa per Losira?» chiese, rivolgendosi alla compagna.
   Non ci fu risposta. Giely continuava a fissare lo schermo parietale, come se fosse totalmente assorbita dalle scansioni. Solo allora gli altri due notarono che la sua posa si era irrigidita. La schiena era dritta come un palo, le braccia distese lungo i fianchi.
   «Querida, mi senti?!» chiese Rivera, colto da un orribile presentimento. Si avvicinò, per costringerla a voltarsi. Ma prima che potesse farlo, la Vorta si girò da sé.
   La sua espressione era congelata in un sorriso plastificato. Gli occhioni viola erano completamente spalancati, cosa che li faceva sembrare ancora più grandi. Per contro, le pupille erano contratte come spilli. E quegli enormi occhi sbarrati non sbattevano mai, né si muovevano nelle orbite. Restavano sempre fissi in avanti, come quelli di una civetta.
   «Ti sento, caro» rispose la dottoressa con una voce irriconoscibile per quant’era bassa e monocorde. «Ora comprendo pienamente il dono di Nagilum. È una cosa bella, una cosa meravigliosa. Immagina di non conoscere più ansie, paure, incertezze. Immagina che ogni sofferenza sia cancellata, ogni trauma rimosso, e resti solo il benessere. Un assoluto, immacolato benessere. Questo è il dono che Nagilum ha fatto a Losira, e ora anche a me. Sono onorata di averlo ricevuto».
   «Maledizione, svegliati! Questa non sei tu!» gridò Rivera. L’afferrò per le spalle, scuotendola come una marionetta. Giely si lasciò fare tutto, senza opporre resistenza.
   «Capitano, no! Così rischia solo di ferirla!» avvertì Irvik, pur non osando avvicinarsi, nel timore di divenire bersaglio della sua collera.
   A quelle parole, l’Umano smise di sbatacchiarla, pur continuando a tenerla per le spalle. «Ti prego, amore, ti prego, cerca di ragionare. Siamo alle prese con un demonio che si sta impossessando della nave. Prima i sistemi, poi le persone. Ha ucciso Talyn, e anche Naskeel. Poi ha privato Losira dell’arbitrio, ne ha fatto una marionetta. E quando tu l’hai esaminata, per capire se si poteva guarire, ha fatto lo stesso con te. Lo capisci che sei influenzata da una forza ostile?! Ascoltami, ti supplico... qualunque cosa provi, qualunque cosa credi, non sei davvero tu, ma una costrizione esterna. Devi combatterla! Ti sei sempre ribellata al dispotismo, hai lottato tutta la vita per sviluppare la tua individualità. Devi farlo anche stavolta... so che ce la puoi fare!» disse con foga.
   A queste parole, Giely lo fissò con intensità. «Ho compreso il tuo discorso, caro» assicurò.
   «Davvero?!» fece Rivera, con una flebile speranza.
   «Sì, certo. Ma vedi, il fatto è che mi fido ciecamente di Nagilum. So che vuole solo il meglio per noi. Presto lo capirete tutti» disse. Erano le stesse parole di Losira, pronunciate con le stesse inflessioni vocali. E identico era il sorriso da bambola di Giely, identici i suoi occhi senza vita.
   A quella vista, il Capitano la lasciò andare con un rantolo. Indietreggiò fino a sbattere contro la parete, e lì rimase, troppo sconvolto per reagire.
   Poco lontano, Irvik si guardò attorno, finché trovò ciò che cercava: il volto di Nagilum che li osservava da uno schermo. Da quanto li stava spiando? Era possibile che li spiasse sempre, anche senza mostrarsi? Il Voth non volle pensarci. «Perché lo hai fatto?» mormorò. «Posso capire – pur senza approvare – che tu lo abbia fatto a Losira, pensando di lenire il suo dolore. Ma che bisogno c’era di farlo anche a Giely?!» protestò.
   «Non è ovvio?» fece Nagilum. «Ho fatto un dono a Losira e non posso consentirvi di revocarlo. Se la faceste tornare come prima, ricomincerebbe a soffrire. Non voglio che ciò accada. Quindi era necessario intervenire sulla dottoressa. Del resto, anche lei ne ha tratto giovamento. Guardala: ora non soffre più per i traumi passati, né si angoscia per l’avvenire. Esiste solo nel presente, un presente di pace. Non è così?» si rivolse all’interessata.
   «Sì, sono totalmente pacificata» confermò Giely, annuendo vistosamente. «Ti ringrazio per questo splendido dono, e spero di poterlo condividere con gli altri. Tutti meritano questa pace, tutti ne hanno bisogno, anche se non se ne rendono conto» disse con voce appagata.
   «Interessante... forse lo farò. Ora devo tornare ai miei esperimenti, ci risentiamo a presto» disse Nagilum, e svanì.
   Allora la dottoressa si rimise in attività. Cancellò le scansioni cerebrali di Losira, spense lo schermo parietale e si mise tranquillamente a riordinare l’infermeria. I suoi movimenti erano calmi, precisi, robotici. Nel frattempo anche Losira si mosse. Lasciò il lettino e si diresse alla porta, sempre con movenze calme e lente. «Se non avete più bisogno di me, torno alle mie incombenze» disse serafica, e lasciò l’infermeria.
 
   «Capitano... Capitano, mi sente?» chiamò Irvik, sfiorandogli il braccio.
   «È la fine... la fine di tutto» mormorò Rivera, sfregandosi gli occhi. «Quel demonio ci sta prendendo tutti, uno dopo l’altro. Non possiamo combatterlo, non possiamo fuggire. Stavolta è finita» mormorò.
   «Ascoltami, mammifero! Come ho imparato da voi... non è finita, finché non è finita! E noi abbiamo un’ultima carta da giocare» rivelò il Voth. «Ma è meglio che ne parliamo lontano da orecchie indiscrete» aggiunse, accennando a Giely. Aveva il sospetto che le vittime di Nagilum fossero in qualche modo connesse a lui, tanto da essere i suoi occhi e le sue orecchie.
   «Andiamo» si riscosse il Capitano, lasciando in fretta l’infermeria. Irvik dovette trottare per stargli dietro. «Allora, quest’idea?» chiese Rivera quando furono fuori.
   L’Ingegnere Capo gliela spiegò. Al termine dell’esposizione, il Capitano lo fissò con aria grave. «Irvik, nemmeno io farei una cosa così pazza. Nel momento in cui proverai a lasciare l’hangar, Nagilum se ne accorgerà... sa tutto, quello! E ti ucciderà, o peggio» avvertì.
   «Sono pronto a correre il rischio» disse il sauro. «Vede, non posso spiegare tutto, ma... ho l’impressione che Nagilum si fidi di me, più che di altri».
   «Sei riuscito ad arruffianartelo?!» fece Rivera, sorpreso.
   «In un certo senso... se non equivoco sul significato del termine. Credo d’essere la cosa più simile a un amico che quell’essere abbia mai avuto. Questo potrebbe... rallentarlo, nella sua reazione» spiegò Irvik.
   «È un grosso azzardo... ma nella nostra situazione, non sarò io a fermarti» disse il Capitano.
   «Però c’è un altro problema» aggiunse l’Ingegnere Capo. «Se io dovrò stare ai controlli del deflettore, pronto a lanciare un impulso, non potrò pilotare il Centurion. Qualcun altro dovrà accompagnarmi» avvertì.
   «Eccomi» disse Rivera.
   «Capitano, no!» fece Irvik. «Lei deve restare in plancia. Intanto, credo che Nagilum segua i suoi movimenti più che quelli altrui. Se la vedesse salire sul Centurion, il nostro piano fallirebbe. E poi... lei deve sopravvivere. Perché se il mio viaggio fosse senza ritorno, com’è assai probabile, la Destiny avrà ancora bisogno del suo Capitano».
   «Io... non so se ne avrò la forza, dopo quel che è successo» disse l’Umano, accennando all’infermeria, dove Giely si aggirava come una marionetta.
   «Deve trovarla! Lei è il Capitano... deve resistere quando tutti gli altri cadono!» lo esortò l’Ingegnere Capo.
   «Ma se non potrò pilotare il Centurion... allora con chi pensi d’andare?» s’incupì Rivera.
   «Non c’è che una possibilità» disse Irvik, con voce grave. «Ci serve la nostra miglior timoniera. E conoscendola... non credo che si tirerà indietro».
 
   La delicatezza della missione richiedeva vari accorgimenti, tra cui evitare l’uso dei comunicatori, che potevano essere sorvegliati da Nagilum. Così il Capitano e l’Ingegnere Capo andarono in plancia, al doloroso scopo di reclutare Shati per quella che, quasi certamente, era la sua ultima missione.
   In plancia trovarono una situazione apatica. Gli ufficiali erano ai loro posti, ma non avevano nulla da fare, dato che l’astronave era bloccata e senza energia. Rivera avvertì subito che il morale era a terra. Forse più a terra di quanto fosse mai stato. Intercettò anche qualche occhiata ostile nei suoi confronti. Capì che la scintilla dell’ammutinamento poteva scoccare in ogni momento. Anche se poi, una volta ammutinati, cos’avrebbero fatto gli avventurieri? Erano sempre bloccati lì, in balia di un’entità invincibile. Forse era solo questo a trattenerli dalla rivolta. Finché c’era lui, potevano sperare che li tirasse fuori dai guai all’ultimo momento, come del resto aveva già fatto tante volte in passato.
   Shati era al timone, coi piedi indecorosamente posati sulla consolle, intenta a girarsi i pollici. Quando si accorse che il Capitano e l’Ingegnere Capo l’avevano affiancata, uno a destra e l’altro a sinistra, si riscosse e si raddrizzò. «Ehm, scusi, signore. Allora, ci sono novità? Come sta Losira?» s’interessò.
   «Al momento non sembra recuperabile» sospirò Rivera, sconfortato. «E neanche Giely, che aveva cominciato a esaminarla». Era una dura confessione, ma era il necessario preambolo a una missione suicida.
   «Frell!» imprecò la Caitiana. «Quanto vorrei che quel bastardo di Nagilum avesse un corpo! Saprei io come sforacchiarlo!» ringhiò.
   «Forse ne avrai la possibilità» disse il Capitano. «Ma ti avverto, è una missione ad altissimo rischio. Non te la proporrei, se avessimo alternative» rivelò.
   «Qualunque cosa è meglio che stare qui a marcire, mentre i nostri amici vengono uccisi o peggio!» sbuffò la timoniera. «Allora, di che si tratta?».
   «Aspettate, possiamo parlare liberamente? Che fa Nagilum?» chiese Irvik, temendo d’essere colto sul fatto.
   Shati consultò la consolle, su cui aveva programmato un display per controllare la nave. «Non l’ho mai visto così indaffarato. Ha creato prove assurde su quasi tutti i ponti, ha trasformato la nave in un labirinto. Forse è vicino al culmine dei suoi esperimenti. Se mai è stato distratto, è adesso» riferì.
   «Bene, allora parliamo» disse Rivera. In pochi minuti espose il piano di usare il Centurion al posto della Destiny. Sulle prime Shati lo fissò speranzosa, ma poi si prese la testa fra le mani e posò i gomiti sulla consolle, fissando la foschia bluastra oltre lo schermo. Ora capiva il significato di missione ad alto rischio.
   «Supponendo che riusciate a lanciare l’impulso, non siamo certi di cosa succederà» ammise il Capitano. «Dopotutto il Centurion non ha la potenza della Destiny. L’impulso potrebbe ferire Nagilum, ma senza ucciderlo. E in quel caso la sua reazione sarà imprevedibile. Il mio consiglio è questo: se vedete che l’impulso ha aperto una breccia nell’anomalia, rendendo visibili le stelle, non perdete tempo. Attraversate la breccia e lasciate l’anomalia! Non attardatevi a contattarci. A quel punto potrete raggiungere Tarn Vedra e chiedere aiuto. Naturalmente spiegherete la situazione. Non so se il Commonwealth si muoverà per noi... ma se anche non fosse, almeno voi due sopravvivrete» auspicò Rivera. «Lo so, è una speranza esile, e mi spiace non avere di meglio da offrirti. Sappi che non sei tenuta ad accettare: si tratta di una missione volontaria» concluse.
   Ora che il Capitano taceva, sia lui che Irvik fissarono la timoniera, in attesa della risposta. Shati però non reagiva. Continuava a fissare le volute bluastre oltre lo schermo, senza proferir parola.
   «Mi spiace, ma abbiamo poco tempo!» la pressò Rivera. «Se non te la senti, dillo e basta. Troverò qualcun altro» promise, sebbene in realtà pensasse a se stesso.
   Finalmente la timoniera si riscosse. Raddrizzò la testa, si posò le mani in grembo e ruotò sulla sedia girevole, così da fronteggiare i superiori. Allora questi compresero il motivo del suo lungo silenzio. Gli occhi felini di Shati erano spalancati, mentre le pupille verticali erano contratte, così da apparire sottilissime. Un ampio sorriso le marcava il volto, dandole un’aria da Stregatto. «Lei non deve trovare nessuno, Capitano. La missione di cui parla non avrà luogo. La Destiny si trova dov’è giusto che sia. Noi resteremo qui, dove Nagilum si prenderà cura di noi» spiegò con voce lenta e appagata, simile a un gatto che fa le fusa.
   «Anche tu!» rantolò il Capitano, prossimo al crollo mentale. Afferrò la Caitiana e la sbatacchiò, come aveva fatto con Giely. «No, no... dimmi che il tuo cervello da predatore si ribella a tutto questo. Dimmi che sei ancora lì dentro, da qualche parte!» la supplicò.
   «Ma certo che sono qui» assicurò Shati, col suo sorriso stregato e gli occhi spiritati. «Siamo tutti qui, dove possiamo fidarci ciecamente di Nagilum. Lui vuole solo il meglio per noi. Presto lo capirete tutti» annunciò soddisfatta.
 
   «Capitano...» mormorò Irvik, tirandolo discretamente per la manica.
   «Che altro c’è?!» fece Rivera, esasperato. Lasciò Shati e si girò, curvo per la disperazione.
   «Abbiamo un grosso problema» disse l’Ingegnere Capo, alludendo al resto della ciurma.
   Il Capitano alzò lo sguardo... e vide che tutti gli ufficiali di plancia erano caduti sotto l’influsso di Nagilum. E qualcosa gli diceva che lo stesso stava accadendo nel resto della nave, ponte dopo ponte. Ormai non aveva più un equipaggio... non uno che valesse la pena salvare.
   «NO!» urlò Rivera, perdendo l’ultimo briciolo d’autocontrollo. In preda a un raptus, corse verso la sala teletrasporto, per trasferirsi sul Centurion e lanciare l’ultimo, disperato attacco. Se non poteva salvare il suo equipaggio, forse poteva almeno vendicarlo. Ma anche questo gli fu negato.
   Nel momento in cui la porta gli si aprì davanti, il Capitano non si trovò innanzi la sala teletrasporto, bensì il vuoto siderale. Senza dubbio era un altro dei contorcimenti dimensionali in cui Nagilum sembrava assai versato. L’atmosfera della plancia ne fu risucchiata, con la forza di un uragano. Tutti si afferrarono a qualcosa, consolle o sedie, per non esserne trascinati. Anche Irvik, ancora vicino alla consolle del timone, riuscì a reggersi. Ma Rivera, che si trovava proprio davanti alla soglia, non trovò alcun appiglio. In un attimo fu risucchiato nel vuoto; il suo ultimo grido si perse nel boato dell’aria che usciva. Subito dopo la porta si richiuse, sigillando la perdita atmosferica.
   I superstiti poterono lasciare i loro appigli. Nessuno di loro, tranne Irvik, appariva minimamente scosso dall’accaduto. Tornarono semplicemente alle loro incombenze – o piuttosto all’assenza di queste – come se tutto fosse regolare. Solo il Voth si avvicinò allo schermo, osservando il Capitano della Destiny che fluttuava nello spazio, senza tuta né altri strumenti di supporto, allontanandosi dall’astronave. Il gelo e la decompressione lo uccisero in pochi secondi. Il suo corpo coperto di brina rimpicciolì nella distanza, fino a perdersi nella foschia bluastra.
 
   Scosso dai singhiozzi, Irvik girò le spalle allo schermo. Per strano che sembrasse, era lieto di soffrire. Era giusto che, su tutta la nave, ci fosse qualcuno capace di piangere il valoroso Capitano.
   In quella Losira entrò in plancia e si guardò attorno, muovendo lentamente tutta la testa, con gli occhi sempre fissi in avanti. «Bene, vedo che avete ricevuto il dono. Sono felice per voi. Dov’è il Capitano?» chiese.
   «Fuori» rispose Shati, indicando lo spazio oltre lo schermo principale.
   «È stato assassinato da Nagilum, se questo significa qualcosa per te!» gridò Irvik, con le lacrime agli occhi.
   «Ma certo che significa qualcosa» disse Losira, senza battere ciglio. Si fece avanti e sedette sulla poltrona del Capitano, con la massima naturalezza. La sua posa era composta, con la schiena dritta e le braccia ben distese sui braccioli. «Computer, protocollo di successione. Trasferisci i codici di comando al Primo Ufficiale, in seguito alla morte del Capitano» ordinò con voce serafica.
   Fatti i dovuti controlli di sicurezza, il computer eseguì. «Procedura di successione completata. Il Capitano Losira è ora al comando dell’USS Destiny» riferì il processore.
   «Molto bene. Losira a tutti i ponti, v’informo che ora sono al comando di questa nave. I test sono finiti e va tutto bene. Possiamo fidarci ciecamente di Nagilum, lui sa cos’è meglio per noi. Restate in attesa d’istruzioni. Losira, chiudo». Detto questo, la Risiana rimase immobile, fissando lo schermo nebuloso. Del tutto priva di volontà, attese placidamente di ricevere gli ordini di Nagilum.
   E l’entità non si fece attendere. Il suo volto incorporeo giganteggiò sullo schermo, passando in rassegna le sue marionette, fino a soffermarsi sull’unico ancora padrone di sé: Irvik. «Eccoti qui. Sarai lieto di sapere che i miei esperimenti sono terminati. Ho raggiunto una conclusione soddisfacente» annunciò.
   «Ah sì, e quale?» chiese il Voth, chiedendosi perché lo avesse risparmiato. La risposta gli balenò spontanea: per avere qualcuno a cui comunicare l’esito della sua ricerca. O almeno, qualcuno in grado di rispondergli. Con tutto il suo potere, quell’essere doveva sentirsi piuttosto solo. Forse si era affezionato alle loro conversazioni e non voleva perderle.
   «È semplice» rispose Nagilum. «Voi mortali desiderate ciò che non potete avere e questo vi fa soffrire. La vostra limitatezza, unita alle circostanze avverse, v’imprigiona. Del resto, se anche possedete una qualche forma d’arbitrio, potete esserne privati con estrema facilità, come hanno dimostrato i miei esperimenti. E in fondo è meglio così, perché in tal modo vi risparmiate infinite sofferenze».
   «Può darsi» ammise Irvik ricordando quanto lo avevano fatto soffrire i suoi fallimenti nel riunire la famiglia. «Ma sembra che, azzerando il dolore, si azzeri anche l’amore. Come se uno non potesse esistere senza l’altro» notò, dando un’occhiata inquieta ai colleghi, nessuno dei quali aveva pianto il Capitano.
   «Irrilevante. Grazie al mio intervento, i tuoi colleghi sono più sereni di quanto siano mai stati» insisté Nagilum. «Ciò mi spinge a perseverare su questa strada. D’ora in poi percorrerò il Multiverso, portando questo dono a tutti i mortali che incontrerò. Avevi ragione, Irvik: quest’esperienza mi ha insegnato molto e mi è stata di grande ispirazione. Forse non ci sarei riuscito, se non ti avessi incontrato. Non sei contento?» chiese in tono benevolo. E attese educatamente la risposta. 
 
   
 
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