Punto di origine
Estate,
due mesi dopo Miami
Era
stata tutta colpa di Miami. Di quella vacanza vissuta
l’estate prima, lui, Karl
e Kojiro, quella che avevano poi soprannominato “la
becera”.
Tre
calciatori di trentun anni, single da poco. Sole, spiagge, donne e
locali alla
moda.
A
Genzo capitava spesso di ripensarci. Alle risate e alle serate sopra le
righe,
ma soprattutto a quella notte nella villa del rapper che avevano
conosciuto a
South Beach. A quella festa a cui lui nemmeno voleva andare, erano
stati gli
altri due a insistere e a convincerlo per sfinimento. La situazione si
era
presentata da subito parecchio ambigua, c’erano alcol e droga
a fiumi,
prostitute e spogliarelliste, gente che faceva sesso in ogni angolo.
Karl li
aveva mollati in fretta e senza tante cerimonie per andare a imboscarsi
con una
delle ragazze, e lui e Kojiro erano rimasti in quel salone, sballati
dal fumo,
disinibiti dallo champagne, a gustarsi lo spettacolo messo in scena
davanti ai
loro occhi. Donne nude, ansiti e gemiti, a un certo punto il calore si
era
fatto insopportabile. E poi era successo. Era stata un’idea
sua, aveva
approcciato la ragazza bionda, Sylvia, e le aveva proposto di fare
sesso in
tre. Kojiro non aveva battuto ciglio, erano saliti al piano superiore.
E
le cose non erano andate esattamente come si era immaginato.
Gli
ci erano voluti alcuni giorni per riprendere una parvenza di
normalità e per
addomesticare certe idee, era stato uno sforzo immane perché
in quei giorni
stavano sempre insieme. Fianco a fianco. In alcuni momenti da soli. Ma
era
stato bravo, aveva indossato la sua solita maschera, in qualche modo ci
era
riuscito.
E
adesso gli capitava di domandarsi se certi pensieri sfiorassero anche
l’altro,
se qualche volta ci pensasse anche lui. A Miami Kojiro non gli era
parso per
niente turbato, superato quello stato di comprensibile shock della
notte stessa
la mattina dopo era tornato il solito Hyuga. Come se quella camera da
letto non
fosse stata testimone di certe cose, come se non gli avessero lasciato
un
segno. Ma Genzo quel segno lo sentiva bruciare sulla pelle.
E
così si ritrovava a pensarci, gli capitava mentre era da
solo. Al volante della
sua auto, sotto la doccia, sdraiato a letto in attesa di prendere
sonno.
Pensava a Miami, e poi chissà perché pensava agli
allenamenti della Nazionale,
alle loro sfide, sul campo e fuori. Ci rimuginava e provava a cercare
un
significato che non riusciva ad afferrare.
Si
sarebbero incrociati in campionato all’inizio di settembre.
La partita era
stata preceduta da varie frecciatine arrivate sottoforma di messaggi
Whatsapp
in orari improponibili, con Kojiro che lo stuzzicava per il gol preso
in
trasferta a Friburgo ‘Sì, bravi, tre
successi su tre ma hai preso un gol,
Adamu te l’ha infilata!’, Genzo che
ribatteva con risposte piccate ‘Ma
che carino che controlli le mie performance… Aspetto di
vedere la tua la
prossima settimana!’.
Karl
era stato per lo più testimone silenzioso dei loro scambi,
ma una sera, mentre
cenava con il suo migliore amico dopo l’allenamento, aveva
deciso di affrontare
la questione.
Di
sbieco.
«Venerdì
prossimo incontriamo l’Eintracht di Hyuga.»
Genzo
aveva annuito tamponandosi le labbra con il tovagliolo e poi allungando
le
gambe sotto il tavolo.
«Già.
Lo so bene. Mi sta martellando quotidianamente.»
L’altro
aveva sollevato un sopracciglio, incuriosito.
«Ma
dai…»
«Hai
voglia. È carico a molla. Continua a blaterare
dell’intenzione di farmi goal da
fuori area, ma ti pare?! È da quasi diciannove anni che va
avanti con questa
storia.»
Karl
a quel punto aveva sorriso ironico, Genzo non sembrava averci fatto
caso.
«È
la sua ossessione da quando andavamo alle elementari, è
pazzesco...» aveva
continuato scuotendo la testa.
«C’è
quasi qualcosa di romantico in questa vostra sfida, sai?
Un’ossessione che dura
da diciannove anni… Non è da tutti.»
aveva commentato sardonico il tedesco.
L’altro
non aveva ribattuto subito, era rimasto interdetto. Aveva sbattuto le
palpebre
e poi si era riscosso, contrariato.
«Ma
fottiti.»
«Come
siamo suscettibili! Che ho fatto, ho accidentalmente sfiorato un nervo
scoperto?»
Genzo
aveva posato la forchetta, l’aria scocciata.
«Senti,
piuttosto. Dovremo organizzare una cena o un’uscita noi tre
qualche volta, non
credi? Anche solo per ricordare le imprese di Miami.»
«Lo
faremo. Sicuro. Voglio farmi raccontare com’è
andata con sua madre, chissà se
si è accorta della faccenda del naso rotto.» Karl
lo aveva fissato negli occhi,
improvvisamente serio «Comunque… Cerca di non
farlo segnare, ok?»
E
Genzo era scoppiato a ridere.
«Ma
figurati. Non ha speranze. Hyuga non ha speranze con me.»
Lo
scontro con l’Eintracht era andato in scena un
venerdì sera all’Allianz Arena.
Nonostante gli sforzi profusi da ambo le parti il risultato si era
fermato su
un deludente zero a zero, nessuna delle due squadre era riuscita a fare
goal.
Gli attacchi del Bayern non erano andati a segno; Kojiro da parte sua
ci aveva
provato sia da dentro che da fuori area ma non c’era stato
nulla da fare: la
solidità del reparto difensivo non aveva permesso la
creazione di occasioni realmente
pericolose, e Genzo in porta era stato una saracinesca.
Si
erano salutati a bordo campo prima di rientrare negli spogliatoi,
Kojiro gli si
era avvicinato, quando era lì a due passi l’altro
gli aveva dato una pacca
sulla spalla.
«Non
ci sei riuscito neanche stavolta.»
Aveva
sbuffato e poi gli era scappato un ghigno.
«Stasera
eri in uno stato di grazia.»
Un
sorriso serafico.
«Già.
Chissà, magari prima o poi arriverà anche il tuo
momento.»
«Ma
vaffanculo.»
«Ehi!
Dai, non fare il permaloso. Permettimi di sfotterti, mi hai stressato
per
quindici giorni…»
Kojiro
aveva scosso la testa.
«Arriverà
il mio momento, e ci rimarrai di merda. Te lo posso
assicurare.»
«Ok…
Senti…» aveva provato a proporglielo mentre
intanto si incamminavano «Momento o
non momento, io stavo pensando che dovremmo rivederci, una sera. Io, te
e Karl.
Che ne dici?»
«Sì.
Certo, volentieri.» aveva sospirato e distolto lo sguardo
«Non è semplicissimo da
organizzare ma ci possiamo provare.»
«Ok.»
aveva annuito «Magari un pomeriggio, la prossima settimana?
Domenica?»
«Questa
domenica sono già impegnato. Quella dopo?»
«No.
Quella dopo giochiamo. Tra tre domeniche.»
Kojiro
si era fermato, si era toccato il mento, pensieroso.
«Sì.
Sì, magari tra tre domeniche può
andare.»
Genzo
aveva sorriso.
«Bene.
Allora… ci sentiamo.»
«Sì,
Wakabayashi. Ci sentiamo.»
Gli
aveva strizzato appena un braccio e poi si era allontanato a passo
svelto.
Genzo
era rimasto per alcuni istanti a guardarlo entrare nel tunnel.