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Autore: Evali    07/01/2024    0 recensioni
Dopo ogni morte, vi è una rinascita.
Non tutti rinascono subito, alcuni
impiegano mesi o anni, altri secoli, mentre altri ancora sembrano destinati a
non rinascere più.
In base al nostro comportamento nella vita precedente, il Fato onnipotente ci
assegna un luogo e un nome nella prossima vita, i quali potrebbero essere gli
stessi della scorsa, oppure no. Possiamo ricordare la o le vite precedenti,
oppure restarne ignari. Così sembriamo totalmente diversi da quelli che
eravamo prima, oppure uguali. Vincent Van Gogh ha avuto quattro vite
differenti dopo la prima che lo ha reso famoso. Durante la seconda era un
generale che combatteva nella Prima Guerra Mondiale, nella terza un
mercenario, la quarta l’ha trascorsa a suonare e a cantare per le strade del
Congo, mentre nella quinta è morto da bambino a causa di un’aggressione in
casa. In nessuna di queste ricordava la precedente. William Shakespeare
invece, ha condotto quasi la stessa vita dopo ogni rinascita. Molti dicono che
non ne avesse dimenticata neanche una.
Che senso avrebbe la vita se la morte fosse la fine?
Che significato avrebbero le nostre azioni, la nostra anima, se fosse destinata
ad una sola vita?
Riesci ad immaginare un mondo senza rinascita?
Genere: Angst, Introspettivo, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Il treno degli inconsapevoli artefici del loro destino
 

Camminava in mezzo al treno percependo il freddo che le penetrava le ossa come fuoco.
Indossava gli stessi abiti dell’incidente: il vestitino argenteo, oramai strappato e slabbrato in vari punti, comprato la settimana prima con sua sorella Melanie. Un abbigliamento affatto da lei. Era stata Anastasia a convincerla ad uscire quella sera e a vestirsi in quel modo per il party al quale sarebbero dovuti andare prima dello schianto. Ricordava perfettamente ogni dettaglio ora.
Il vagone nel quale era stata condotta era praticamente vuoto, se non per poche figure che riusciva a vedere in lontananza aguzzando la vista.
Sembravano figure assenti come bambole, o meglio, manichini, proprio come lo era lei.
- “Nel bosco senza fine e senza inizio,
vi erano le anime perdute e danzanti,
iridi di vuota natura e di buie origini,
passi cadenzati e spenti li muovevano,
voci sommesse, bisbigliate, senza suono,
corpi meccanizzati e irreali, finti,
finti come la finta nuvola che copriva la luna,
in un giorno in cui il nulla era visibile
mentre tutto era dissolto.” – aveva pronunciato una voce sottile, ovattata, ma dolce e rassicurante. Il ragazzo dai capelli castani l’aveva recitata piatto, impassibile e, al contempo, disperato.
Bianca non pensava fosse possibile.
Man mano che i suoi piedi nudi si posavano sulla superficie fredda del treno e si avvicinava a quei quattro individui, riusciva a vederli più chiaramente nelle loro pose accasciate, nei loro abiti leggeri nonostante il freddo che le stava facendo battere i denti violentemente. Dalle loro bocche non fuoriusciva nessuna buffa nuvoletta di aria condensata, mentre dalla sua sì.
Questo la rendeva ancora salvabile, lucente di una speranza che gli altri non avrebbero mai potuto possedere.
Si voltarono a guardarla, qualcuno incuriosito, qualche altro meno.
La ragazza russa, che da seduta non sembrava così incredibilmente alta e magra, si alzò in piedi, avvicinandosi un po’ a lei, ponendo le braccia conserte.
Non sapeva bene perché stesse dando per scontato fosse russa, forse per i suoi capelli a caschetto biondi platino palesemente naturali, come le sopracciglia altrettanto chiare, oltre ai lineamenti particolari. – Sei tu la mezz’anima? – le chiese la ragazza con sguardo duro, quasi truce. La prima cosa che realizzò Bianca era che non avesse alcun accento di nessun tipo.
- Con mezz’anima intendi …?
- Ancora viva, sì. Non abbiamo mai avuto una mezz’anima qui.
Le nuvolette di aria condensata che apparivano ogni volta che Bianca apriva bocca, parvero bastarle come risposta. Tutti le guardarono incuriositi, come se non avessero mai visto un fenomeno del genere in vita loro.
- Creati un cappotto. Noi siamo abituati a questo clima freddo oramai. Io non ho neanche avuto il bisogno di abituarmi, dato che a Mosca questa temperatura è ritenuta calda.
- Anche voi riuscite a percepire il freddo, quindi?
La russa la guardò torva. – Certo. Questi sono manichini con le sembianze dei nostri corpi, ma è come se fossero composti della materia di quelli veri. Nonostante siamo morti, i bisogni fisici primari che servono per tenere un uomo in vita sono gli unici che non riusciamo a sentire; mentre il freddo, il caldo, il dolore e tutto il resto, lo percepiamo come i vivi.
- Creale tu un cappotto, Vik. Lei non è ancora capace di farlo – la esortò il ragazzo della poesia.
A ciò, la russa, sbuffando, sporse le mani lunghe, bianche e affusolate, chiudendo gli occhi e facendo comparire un cappotto di pelliccia.
Bianca lo toccò per constatare se fosse materiale, e quando realizzò che lo fosse, guardò la russa con sguardo interrogativo.
- Ti puoi anche creare dei nuovi vestiti e toglierti questi sporchi e strappati – la informò squadrandola ancora, per poi proseguire. - Ad ogni modo, qui la mente e il ricordo sono i motori di tutto: imparerai ad usarli per creare e per distruggere.
- Perché qui è così freddo? – chiese Bianca mentre si infilava la calda pelliccia.
- Succede quando il guardiano del tuo treno è nato e vissuto in Alaska per anni – le rispose un'altra voce, roca e decisa, proveniente dal vecchio dallo sguardo sveglio e arzillo. – Sono Osmond, a proposito – aggiunse accennandole un educato sorriso e porgendole la mano.
- Bianca – rispose lei stringendogliela.
- Il treno è lo specchio del proprio guardiano, Bianca. Il nostro non ha mai dimenticato l’amato clima gelido della sua terra natale.
- Il Fato sceglie il guardiano di ogni treno?
- Esatto.
- Era colui che mi ha accolta nella stanza bianca quando sono arrivata qui, giusto? Quello con la maschera.
- Sì. A quanto pare, usa ancora quel trucchetto – rispose la russa questa volta.
- Lui mi ha parlato di una pena e mi ha detto che mi avreste spiegato tutto voi.
- Il solito menefreghista – rispose il ragazzo della poesia.
L’unica che non aveva ancora parlato era la ragazzina accanto a lui, la quale sembrava partecipare con i suoi grandi occhi profondi alla conversazione.
- In base a ciò che ha compiuto in vita, ognuno di noi, una volta giunto nel proprio treno, riceve una pena assegnata dal Fato e della quale il guardiano è il portavoce. Come una sorta di contrappasso – aggiunse il giovane.
- Come in Dante, il primo che ha immaginato un mondo senza rinascita – gli rispose Bianca.
- Anche se le nostre pene non sono fisicamente violente come quelle inventate da lui, sono ugualmente dolorose, sotto altri punti di vista – spiegò amaramente. – Mi chiamo Andrè, comunque.
Un nome francese, pensò la mezz’anima prima di rispondere. - Molto piacere. Ma se quando rinasciamo dimentichiamo tutto ciò che è accaduto in treno, a cosa servono le pene?
- Curiosa la ragazza – commentò Osmond accennando un sorriso.
- Gli effetti della pena rimangono, ma i ricordi no. Serve a questo: è come se il tempo trascorso qui dentro influisse totalmente su di noi alla nostra rinascita, ma noi non ne siamo coscienti, perché è insito e non lo ricordiamo - rispose nuovamente Andrè.
- E quanti tipi di treno ci sono?
- Non lo sappiamo con certezza. Il guardiano lo sa dato che è l’unico che può viaggiare di treno in treno, insieme agli altri guardiani; oltre che sulla terra, tra i vivi, nonostante loro non possano vederlo. Finora sappiamo solo dell’esistenza di altri due treni oltre al nostro: quello dei malati morti per malattie genetiche e degli involontariamente o volontariamente colpevoli della loro stessa morte – la informò il vecchio.
- I suicidi, detto in una parola – spiegò Vik semplificando la definizione appena udita.
- Suicidi consapevoli e inconsapevoli, in realtà – precisò Osmond.
- Ma, da quanto sappiamo, alcuni treni hanno il primato su altri – aggiunse Andrè.
- In che senso?
- Nel senso che, se un suicida o un malato mortale riesce a cambiare il destino scritto per lui nel corso della sua vita, finisce comunque nel nostro treno. Così come suppongo valga per tutti gli altri treni: è talmente difficile finire nel nostro treno, da renderlo quello che ha il primato su tutti. E nonostante ciò, rimane comunque il più vuoto. I vagoni degli altri treni sono affollatissimi da quanto abbiamo udito, mentre qui siamo massimo una decina a vagone.
- Quello che riusciamo a fare è talmente grande e raro, da essere ritenuti pazzi - commentò la voce sarcastica di Vik. - Non riuscirei mai a vivere in un luogo così affollato - aggiunse poi, stravaccandosi sul sedile accanto ad André.
- Come si suddividono i vagoni?
- Il nostro è quello delle anime più giovani, ossia che hanno vissuto solamente la loro prima vita. Nessuno di noi ha provato il brivido di ritrovarsi in un ospedale di rinascita - parlò ancora la russa, poi indicando la fine del vagone. - Puoi farti un giro per i vagoni, non è vietato. Da qui in poi, le anime divengono sempre più vecchie, fino ad arrivare ai vagoni alla fine del treno, quelli completamente vuoti: quasi nessun’anima riesce a non sparire nel nulla per più di sette o otto secoli.
- “Sparire nel nulla”? - chiese Bianca confusa. - Cosa significa?
A ciò, i quattro si guardarono tra loro, sapendo di dover comunicare la parte più amara alla mezz’anima. - La permanenza in treno serve anche a questo, a capire se un’anima è degna o no di rinascere ancora: se si riesce a sottostare alla propria pena fino alla rinascita, va tutto bene. Ma se un’anima non adempie ai doveri richiesti dalla pena, sparisce nel nulla - spiegò André, decidendo di assumersi quel piccolo fardello.
- Nel senso che non esiste più? Non può più rinascere?? Perciò, le persone che non rinascono da secoli …
- … probabilmente sono anime sparite nel nulla e nessuno lo sa – completò la frase Osmond.
Vi furono alcuni minuti di silenzio in cui Bianca provò a metabolizzare l’informazione, prima di passare alla prossima domanda. - Non mi avete ancora detto come è possibile fare ciò che noi siamo riusciti a compiere. Insomma, io non ho nulla di speciale, i miei sedici anni di vita sono stati tortuosi sì, ma come quelli di molti altri. Come è possibile che io sia riuscita a rientrare tra le poche persone al mondo che sono state in grado di mutare il loro destino? – chiese Bianca sempre più incuriosita.
- Non c’è un modo. Non è spiegabile. Nessuno di noi riesce a capacitarsi di ciò. Nel nostro treno tutto è incerto e velato. Non sappiamo nemmeno con che criterio Lui scelga il guardiano del treno, se perché è attirato da lui o perché è riuscito a fare qualcosa che lo innalza rispetto agli altri passeggeri - rispose Vik abbassando lo sguardo.
- Sono Jaya – si presentò improvvisamente la ragazzina che era rimasta in silenzio fino a quel momento, quasi bisbigliando, tanto che Bianca fece fatica ad udirla.
- Jaya è sorda. Legge il labiale, sta’ tranquilla – le spiegò Vik.
Ora tutto aveva più senso. Jaya le sorrise mostrando i denti quasi di un bianco accecante, poiché in contrasto con la sua pelle scura. Doveva essere medio-orientale, forse indiana, pensò Bianca osservandola e domandandosi per l’ennesima volta come sei persone di paesi diversi riuscissero a capirsi.
Jaya sembrò leggerle nel pensiero. - Nei treni tutti si comprendono nonostante le lingue diverse, poiché la lingua diviene una sola ed universale - le rispose accennandole un genuino sorriso.
Bianca ricambiò e la sua pancia emise qualche brontolio che riconosceva bene. La toccò e gli altri la guardarono perplessi, lontani dalla familiarità che quel suono un tempo suscitava in loro.
- Sto morendo di fame - disse guardandoli lievemente imbarazzata.
Vik non poté fare a meno di sorridere prima di prendere la parola. - Sì, è davvero strano avere una mezz’anima qui. Va’ da Barth, saprà sicuramente soddisfare il tuo appetito. Si trova a due vagoni di distanza dal nostro.
 
   
 
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