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Autore: Mairyelf    10/01/2024    3 recensioni
"Crowley, niente dura per sempre..."
Queste erano le parole che il demone si portava dietro da quella che a lui pareva un'eternità - e ai comuni mortali pareva un anno. L'Innominato, così ora NON si riferiva un certo angelo, era asceso Quel giorno e non si era più fatto vedere. Non che gli importasse, ovviamente. Crowley era rimasto del tutto imperturbato. Aveva solo mandato tutti al diavolo, o all'angelo, in base alle non preferenze, e aveva cambiato stato. Il nord Italia, con tutto quel vino e quella gente blasfema, era diventato il suo posto preferito. E il demone Crowley ci stava pure abbastanza bene, nella sua villetta in mezzo ai vigneti, se non fosse stato per l'apparizione di quel maledetto libro che tanto gli ricordava un passato non troppo lontano: "Le Discrete e Aspecifiche Profezie di Sibilla Cumina, Strega Amatoriale".
*** NOTE: i personaggi citati avranno il proprio nome inglese. Lo stile narrativo è ispirato a quello del libro, mentre le vicende sono ambientate dopo la seconda stagione della serie TV. ***
Genere: Romantico, Satirico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley
Note: Movieverse | Avvertimenti: Gender Bender
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5

Da qualche parte vicino a Verona
Presente

 
 
C’era una cosa che un vero padre doveva essere in grado di fare quando le circostanze lo richiedevano e Giuseppe, detto Bepi, padre modello, ne era un vero esperto. Quella cosa era mentire. Perché l’arte del contar balle, per il padre medio, era una questione di vita o di morte, la sottile barriera che si trovava nel mezzo tra la propria pace interiore e una marea di rotture di scatole.

E fu in virtù della propria maestria, che alla domanda: «Allora, hai consegnato il libro?» postagli a bruciapelo dalla figlia una volta rientrato a casa, l’uomo fu in grado di rispondere: «Sì» e fuggire in bagno a gambe levate.

Insospettabile.

O così credeva.

Perché se non l’avesse creduto, forse si sarebbe reso conto della manata che Eva si era tirata in faccia non appena lui era uscito dalla porta. La ragazzina lo sapeva che non avrebbe dovuto fidarsi di lui, ma con quel poco di ingenuità dei suoi quindici anni ci aveva comunque sperato. Si ripromise che non avrebbe commesso di nuovo lo stesso errore.

«Quindi, papà» Partì alla carica mezz'ora dopo, quando si furono accomodati tutti a tavola per la cena, «Come ha reagito?»

«Eh? Ci?»

«Colui al quale hai consegnato il libro…» Strinse gli occhi in una fessura. «Perché gliel’hai consegnato, vero?» 

Suo padre deglutì una sorsata generosa del vinello che gli piaceva gustarsi a ogni pasto. «Eh sì, eh, che ghe l’ho dato. Eh. L’ha dito: “Grassie, tanto gentile, dopo el lezo. Arrivederci.”» (Eh sì, eh, che gliel'ho dato. Eh. Ha risposto: "Grazie, molto gentile, dopo lo leggo. Arrivederci")

«Mh mh e poi?»

«E poi, cossa? L’ha tolto el libro e l’è ‘na drento.» (E poi, cosa? Ha preso il libro ed è andato dentro.)

«E com’era fatto?»

«Senti, Eva, son straco, non romparme le bale.» (Senti, Eva, sono stanco, non rompermi le palle.)

La madre, intanto, rivolgeva la testa da un capo all’altro della tavola come un tifoso del tennis seduto sugli spalti durante una partita.

«Ma io voglio solo sapere com’era, uffa!»

«Come l’era, come l’era… L’era n’omo, sa uto che fusse? Dime ti sta fiola, mai ‘na olta che la me dimanda come l’è nà nei campi!» (Com'era, com'era... Era un uomo, cosa vuoi che fosse? Dimmi tu questa figlia, mai una volta che mi chieda com'è andata nei campi.)

«Dai, dai, Eva.» Si inserì sua madre. «Non star a pensare a ‘ste robe. Sono stupidaggini. Hai finto i to’ compiti, piuttosto?»

«La prima settimana di vacanza.» E aveva pure studiato tutto il programma di matematica e fisica dell’anno seguente, per quello. Quell’estate era una noia mortale. «Perché non mi vuoi dire com’era fatto?» Indagò verso suo padre.

L’uomo sbatté sul tavolo il tovagliolo con cui si era appena pulito la bocca. «T’ho dito che non te ghe mia da rompar! Te si sempre drio pensar ale casade! L’anno che ven te mando da to sio a tirar zo i perseghi, altro che bale!» (Ti ho detto che non devi rompere! Stai sempre a pensare alle stupidaggini. L'anno prossimo ti mando nei campi di tuo zio a raccogliere le pesche.)

Eva sbuffò e incrociò le braccia sul petto, immusonita. «Quello è sfruttamento minorile...» Borbottò tra se e sé. Non valeva la pena discutere con una testa di rapa come quella di suo padre. Finì di mangiare in silenzio, chiudendosi in camera subito dopo cena, per estremo sollievo dei suoi genitori.

 
***
 
Che la loro figlia avesse cominciato a mettere insieme i pezzi dell’accaduto con una meticolosità degna della CIA, il signore e la signora Trevisan non ne avevano idea; e il fatto che Eva si fosse addormentata con la testa sulla scrivania piuttosto che sbucare in salotto con una lente d’ingrandimento e una pipa fu solo un colpo di fortuna.

Fatto sta che la mattina seguente, Eva tirò su il capo di scatto, con un foglio appiccicato in fronte, svegliata da un acquazzone improvviso. Si guardò intorno spaesata, non riuscendo a collegare dove si trovasse, ma lo schianto di un fulmine diede un colpo ai suoi neuroni, riportandola alla realtà con un mezzo infarto. Sentendo il cuore batterle nelle orecchie, guardò fuori dalla finestra: pioveva così tanto che il cielo era buio, rischiarato solo da qualche lampo. Ma quella volta non sembrava voler passare in un battito di ciglia. 

«Oh, cacchio cacchio.» La voce mentale di sua madre che le sbraitava di non far bagnare i vetri la fece scattare in piedi e correre verso la corda della tapparella, ma si raggelò quando arrivò a un nulla dalla finestra. Da fuori giunsero un rombo di motore e uno strillo di freni.

Eva trattenne il fiato.

Si affacciò solo fino agli occhi per guardare oltre le tendine: nel cortiletto ciottolato davanti casa sua stava parcheggiata un’auto nera che sembrava uscita direttamente da uno dei film d’epoca che guardava sua nonna. La portiera si aprì di scatto e ne scivolarono fuori due cose: un assolo di chitarra elettrica che fece tremare i vetri e un uomo alto, dinoccolato, vestito completamente di nero. Indossava un paio di occhiali da sole – nel bel mezzo di una tempesta – e aveva capelli mossi, lunghi fino alle spalle, di un colore che sfumava dal fulvo delle radici a un rosso acceso sulle punte.

Eva si appiattì contro il muro. Era l’uomo nel disco d’ombra, lo sapeva. Non c’erano altre spiegazioni plausibili. Cominciò a sudare freddo, vagliando tutte le opzioni possibili che potessero averlo portato lì. Sapeva che suo padre non gli aveva consegnato il libro, non era una sciocca e iniziava a temere che quel tizio inquietante fosse venuto in cerca di vendetta.

Alla faccia dell’estate noiosa.
 
Lo schiocco della portiera che si chiudeva la spinse con un sobbalzo ad affacciarsi di nuovo, ma dovette serrare gli occhi per non restare abbagliata. La tempesta era finita di colpo, il sole splendeva alto nel cielo e l'uomo era perfettamente asciutto.

Ora, prendete una mente brillante, mettetela davanti a una serie di eventi inspiegati e inspiegabili: quello che otterrete sarà una centrale nucleare di pensieri che esplodono e muoiono senza sosta uno dietro l’altro. O, per essere più chiari, la testa di Eva in quegli istanti. Con abbastanza attenzione, si sarebbe potuto pure vedere del vapore uscirle dalle orecchie.

La conclusione a tutti quei pensieri fu uno sguardo lanciato alla libreria ad arco che stava sopra la sua scrivania, in particolare verso una famosa saga fantasy su un giovane mago e i suoi innumerevoli problemi con un vecchio pazzo privo di naso, un corpo docenti manipolatore e un paio di amici emotivamente infantili.

Ma non è possibile! Ci sono troppi di buchi di trama!

Quando sentì i sassi del piazzale scricchiolare sotto i passi dell’uomo, tornò a guardare fuori. Lui stava ciondolando, con una camminata che la ragazza si sentì di definire solo come a caso, verso la sua porta d’ingresso.

Eva fece qualche passo indietro sulle punte dei piedi. «Cacchio cachhio cacchio cacchio cacchio

Din-don

«Cacchio cacchio cacchio cacchio cacchio. Mamma!»

Corse fuori da camera sua, ma di sua madre neanche l’ombra. Era sola in casa. Il campanello suonò di nuovo e la ragazza sobbalzò. Tenendosi una mano sul petto per cercare di impedire al suo cuore di saltare fuori, zampettò verso l’ingresso. Con mano tremante, prese la cornetta del citofono. «Sì?»

Dall’altro lato provenne uno sbuffo simile a un sibilo. «Uhm, vive qui Giuseppe… Trevison?»

«Trevisan?»

«Lui.»

La ragazzina strinse la maglietta del pigiama con la mano che aveva sul petto. Non credeva che suo padre avesse davvero parlato con quell’uomo: pensava le avesse mentito, come faceva sempre, per non sentire lei e la mamma lamentarsi. «Vive qui, ma non è in casa.» Rispose, con la voce un po’ tremante.

Lo sconosciuto fece un verso di disappunto che, in altre circostanze, la ragazza avrebbe trovato quasi buffo.

«Ehm, posso fare qualcosa?»  

«Hai visto un libro vecchio che ha l’aria di contenere profezie?»

Riprendendo la questione della mente brillante e delle situazioni inspiegabili e inspiegate, è necessario capire che qualsiasi persona sana di mente dinnanzi a una situazione del genere avrebbe risposto “Certo che no, che domande sono?” e avrebbe atteso che lo sconosciuto voltasse i tacchi. Ma come alcuni uomini geniali una settantina d’anni prima si erano messi a progettare un’arma di distruzione di massa per puro autocompiacimento, così Eva in quel momento decise di arrivare in fondo alla questione. Avrebbe pensato alle conseguenze più tardi.

Prese la chiave d’ingresso dal chiodo su cui era appesa, la infilò nella toppa del portoncino di legno massiccio e la fece girare. Fece sbucare prima la testa e poi, quando fu sicura che lo sconosciuto non avesse intenzione di irrompere in casa, il resto del corpo.

«In realtà sì.»
 
***

Bepi tagliò il piccolo germoglio con un gesto esperto, poi sfilò una cordicella dalla matassina che teneva appesa in vita e iniziò a legare il resto del tralcio sul fil di ferro di supporto. Le viti erano piante estremamente delicate, andavano curate con attenzione se l’anno dopo si voleva avere la cena in tavola.

«Mi scusi, buon uomo, perché taglia i germogli?»

«Eh, parchè secondo ti? Parchè sennò la pianta non la riesse mia a far cressar tutti i grappoli.» Borbottò, poi i suoi occhi si sgranarono e lui si voltò di scatto. «Ma chi casso…» La cesoia gli sfuggì di mano, piantandosi di punta nel terreno in mezzo ai suoi piedi. «Porco de quel d-» (Eh, perchè, secondo te? Perchè sennò la pianta non riesce a nutrire tutti i grappoli.)

«No!» Strillò come un pavone l’uomo che gli aveva appena parlato. «Oh, Signore, perdonalo perché non sa quello che dice.» Continuò affannato, facendosi il segno della croce.


Bepi guardò il damerino sbucato in mezzo al suo vitigno come un santone indiano avrebbe guardato un rave party nel proprio giardino. Era un tizio abbastanza corpulento, vestito con farfallino e panciotto; aveva dei capelli ricci color bianco panna che a Bepi ricordarono quelli di alcuni ragazzetti alternativi che aveva visto fuori dalla scuola di sua figlia. Doveva essere straniero, nessun italiano si sarebbe conciato in quel modo; forse inglese: dalle soap opera che guardava sua madre, aveva imparato che gli inglesi erano persone dai gusti frivoli. Quasi quanto i francesi.

L’uomo si stava aggiustando il panciotto, borbottando tra sé e sé. «Perbacco, come parla questa gente, ci mancava poco che…»

«Ma ci casso sito ti?»

Nel venir chiamato, l'uomo spostò lo sguardo su Bepi. «Oh, ma certo. Mi perdoni di essere entrato nella sua proprietà senza permesso, sono solo un passante. Avrei qualche domanda da farle.»

«Alora falle e dopo levate dai coioni.» (Devo tradurre?
)

L’uomo chiuse gli occhi e sospirò, poi sorrise. «So che lei dovrebbe essere entrato in possesso di un particolare libro…»
Quindi era uno che studiava, uno intelligente. Ma Bepi, che era ignorante, non scemo, non si fece raggirare. Strinse gli occhi. «E ti come feto a saerlo?»

«Oh, ehm, l’ho saputo al… bar? Me l’ha detto il signor… Gianni?» Il tizio si prese il colletto con un dito e lo tirò, per respirare meglio. Bepi ebbe l’impressione che stesse sudando, ma visto com’era vestito e il caldo che faceva non si creò il problema.

Raccolse le cesoie da terra e ricominciò a lavorare, pensando che Gianni avrebbe dovuto farsi i cavoli suoi. «Non ghe l’ho pi el libro.» Sbottò.
«L’ho brusà.» (Non ce l'ho più il libro. L'ho bruciato.)

«Misericordia! Bruciato!?» L’uomo sembrò avere un mancamento e si appoggiò a una vite con una mano. «Perché mai?»

«No tocar che casca la pianta!» Gli sbraitò e l'uomo fece un saltello indietro, mulinando le mani.
(Non toccare che cade la pianta!)

«Saprebbe dirmi dove l’ha bruciato?»

Bepi si fermò un secondo a quella richiesta assurda, ma poi si rese conto che quel tizio doveva essere matto. Oltre che
 gay; più gay di un albero pieno di scimmie sotto ossido di azoto. Non sapeva neppure cosa fosse l'ossido di azoto, ma qualcosa gli diceva che quella era l'unica definizione corretta. «.» Disse e gli indicò, oltre i capi, lo spiazzo tra i suoi capannoni dove la sera prima aveva acceso il piccolo falò. «Sito bon de lesar la sindro?» Si voltò con un sorrisetto a guardare l’uomo, ma quello era sparito nel nulla. (Sei capace di leggere la cenere?)

Bepi decise che in serata sarebbe andato al bar a bere.


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Nota autrice: 
Mi scuso per il ritardo nella pubblicazione, non sono sparita! Spero che le vostre feste siano trascorse serenamente <3
Io ho avuto qualche problema familiare ed è stato un bel caos gestirlo, quindi non ho avuto proprio tempo di mettermi seduta a scrivere, ma ora dovrebbe essere tutto più tranquillo. Ci tenevo in questo spazio a ringraziare tantissimo i commenti che mi sono arrivati in questo periodo, li ho letti e apprezzati moltissimo, anche se risponderò solo in questi giorni. <3 Sono felice e grata per voi lettori. 
Al prossimo capitolo!
- Tara
 
p.s.
Fan di Harry Potter, mettete via torce e forconi! Prima che scoppino casini, mi dissocio da quanto detto nel corso del capitolo a proposito. A parlare era il personaggio, non l'autrice. Io sono la prima ad aver letto e amato la saga a suo tempo e, seppur oggi tutta la questione J.K.R. non mi aiuti per nulla a vedere l'opera di buon occhio, la citazione è stata fatta per due soli motivi:
- è un riferimento facilmente intuibile da tutti
- dovevo far intuire, narrativamente, lo snobbismo di Eva
Niente di più, niente di meno. 
   
 
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