Anime & Manga > Inuyasha
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Autore: solandia    18/01/2024    2 recensioni
Un Diavolo incompleto.
Due zingare di periferia.
E un Angelo bruno sullo sfondo del cielo lontano.
Una favola dark sulla scoperta di se stessi e del proprio io.
Una favola su un'inestinguibile anelito alla Libertà.
Genere: Dark, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inuyasha, Kagome, Kikyo | Coppie: Inuyasha/Kagome, Inuyasha/Kikyo
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Limbo, Girone VII

Il sole si sarebbe insabbiato presto oltre l'orizzonte e il popolo degli happy hour iniziava ad animare le strade di quella sera cittadina. La nebbia andava addensandosi, lasciando però ancora intravvedere a sprazzi un limpido cielo autunnale.

Kaede trotterellò lesta accanto a Inuyasha, lasciando indietro la sorella maggiore.

«Che vuoi, pulce?» chiese lui.

«Niente» sorrise la piccola, con l'aria di chi la sa troppo lunga.

«Lo sai, palla di stracci? Mi hai stupito: con la lingua sciolta che ti ritrovi, non pensavo te ne saresti stata zitta abbastanza a lungo da permettermi di discutere con tua sorella» la canzonò.

«Cattivo! Guarda che io so vedere quando devo stare zitta».

«Oh-oh! Ma davvero?».

«Sì, davvero!» ripeté la sua interlocutrice, poi gli tirò l'orlo della giacca e soggiunse a bassa voce, come se stesse confidando un segreto: «Sai, è che mi piace quando Kikyo parla. Lei non lo fa quasi mai, è sempre così silenziosa...»

Il Mezzodemone non rispose, limitandosi a lanciare un'occhiata alla ragazza che li seguiva.

Nel frattempo erano giunti di fronte a un piccolo bar. "Spider's Nest" recitava un'insegna luminosa i cui neon erano per metà fulminati. Inuyasha spinse la porta ed entrò: il locale aveva una forte connotazione dark, con mobilio in ferro battuto, pesanti tendaggi color vinaccia e pareti affrescate con murales di ogni genere, dal fantasy all'erotico spinto, tinteggiati in tonalità bluastre.

Il Diavolo si mosse nell'aria densa e fumosa con la sicurezza di chi si sente a casa e raggiunse il bancone, buttandoci sopra quattro spiccioli.

«Ehi Grangy!» chiamò.

Un giovane barista in camicia scura fece capolino dalla porta di servizio.

«Toh, il nostro bassista preferito! Che ci fa in giro a quest'ora un animale notturno come te?» rise.

«Mi faccio un aperitivo: dammi dei salatini, un caffè nero e...»

Ma Grangy non lo stava ascoltando. Aveva spostato la sua attenzione sulle ragazze, rimaste in piedi accanto alla soglia.

«Ehi voi due, fuori di qui! Non regalo niente, non compro niente e non ci sono avventori a cui chiedere l'elemosina. Pedalate altrove».

Inuyasha gli si portò accanto e gli posò una mano sulla spalla, con la stessa delicatezza con la quale si poserebbe un macigno.

«Queste due sono con me, Grangy. Prepara i salatini che ti ho chiesto, un Crodino e un succo di frutta e servici tutto sui tavolini qui fuori. E non scordarti il caffè nero. Bollente».

Il barista non replicò e tornò servizievole dietro il bancone ad armeggiare fra tazze e cucchiaini. Ammirava e temeva Inuyasha al contempo, e in virtù di questo non si sarebbe mai azzardato a chiedergli spiegazioni sulle sue ospiti.

«Ci sarai stasera, vero?» osò chiedere infine, titubante.

Inuyasha si limitò a un grugnito, che il barista dovette interpretare come un caloroso assenso, visto che proseguì sollevato: «Per fortuna! Senza di te il gruppo non rende allo stesso modo».

«Il basso riempie» tagliò corto il Mezzodemone. «Noi usciamo, vedi di muoverti con la nostra ordinazione».

«Questo è uno dei posti dove suono con la mia band» si sentì in dovere di spiegare una volta fuori.

«A me sembra un gran postaccio» commentò pacifica Kaede.

«Se è per questo ne frequento di peggiori» soggiunse lui, divertito.

«Senti, ma quel grande specchio sul muro nella saletta piccola...» accennò la bambina.

Il Diavolo però la interruppe bruscamente: «Stagli lontano, pidocchio, avresti solo guai».

Kikyo aggrottò un sopracciglio, ma non chiese nulla.

L'aperitivo trascorse in silenzio. Se fosse un silenzio di imbarazzo o complicità, Inuyasha non avrebbe saputo dirlo; l'unica cosa che gli era chiara era che non sentiva il bisogno di far conversazione per forza.

Quando Kaede ebbe finito di spazzar via anche le briciole dei salatini, le due sorelle lo salutarono e si avviarono lungo il Corso.

Mosso qualche passo, però, Kikyo si arrestò e si voltò indietro, cercando i suoi occhi.

«Grazie di tutto, davvero» sussurrò abbozzando un sorriso. «Grazie, Inuyasha.»

Poi, con le guance imporporate, riprese a camminare silenziosa accanto alla sorellina.

Lui era rimasto lì, interdetto, in piedi accanto al tavolino del bar.

Non era una cosa che si era sentito dire molto spesso, nella vita.

E non se la aspettava neppure in quel momento: in fondo, tutto quello che aveva fatto e detto, l'aveva fatto solo per se stesso.

Chissà perché, dunque, quella Kikyo si era sentita in dovere di ringraziarlo. Gli esseri umani, a volte, erano davvero strani.

Restò a guardare le due sorelle allontanarsi finché le loro schiene non divennero altro che due macchie di colore indistinto fra la folla del Corso. E quando sparirono del tutto alla sua vista, di nuovo sentì il suo nodo guizzare e contorcersi.

Dannazione, voleva continuare a guardarle.

Ancora.

In fondo, cos'altro aveva da fare?

Si fiondò nel primo vicolo lì dietro, vi si inoltrò per qualche passo e, assicuratosi che nessuno lo stesse guardando, si rese invisibile a occhi Terreni e prese a salire sempre più in alto.

Combinando lunghi balzi e piccoli voli, step dopo step superò i lampioni e le chiome degli alberi, infine si fermò sul terrazzo di un alto palazzo.

La città era un enorme formicaio, vista da lassù e, fra le formichine indaffarate che brulicavano in quel dedalo di strade, poteva scorgere alcuni Eterni come lui.

Gli Angeli si stavano radunando soprattutto attorno alle chiese: era l'ora della funzione vespertina. Ce n'erano poi alcuni nel cortile della mensa per i poveri e un paio fra i volontari che prestavano assistenza ai senzatetto della stazione centrale. Oh, uno anche accanto all'autista di quell'ambulanza.

Inuyasha li soppesò tutti con la coda dell'occhio, cercando di mimare disprezzo.

Li studiava sempre, tutti.

Ma lei non c'era mai.

Probabilmente era stata destinata a un'altra città, forse addirittura a un altro continente.

E in fondo era meglio così.

Rivederla... Una parte di lui lo desiderava, ma un'altra sapeva che avrebbe solo riaperto vecchie ferite.

Se le era curate da solo, le ferite che gli erano rimaste nel cuore, e sapeva di non aver fatto un buon lavoro: probabilmente invece di cicatrizzarsi si erano infettate. Se si fossero riaperte ne sarebbe uscito piegato.

Meglio evitare.

Tornò quindi a osservare la gente, questa volta alla ricerca di due formichine colorate. Non gli fu difficile scovarle, perché gli abiti variopinti di Kikyo stonavano così tanto col nero, il grigio e il jeans dei vestiti alla moda delle altre donne da farsi notare fin da lassù.

Era bella anche da quella distanza.

Forse ancora di più, perché non si poteva cogliere lo sfinimento che le sfigurava il viso.

Eppure sentiva il bisogno di guardarla più da vicino.

Scese un po' di quota, deciso ad avvicinarsi abbastanza per osservarla senza farsi beccare da Kaede; non era facile, ma tutti gli Eterni che c'erano in giro avrebbero dovuto confondere a sufficienza la sua aura, almeno finché restava mescolato alla folla.

Le seguì per un po', fino a quando non imboccarono il viale che conduceva alla cattedrale.

Inuyasha odiava avvicinarsi ai grandi edifici dedicati al culto religioso, perché lo facevano star male: finiva per sentirsi come una donnicciola febbricitante. Inoltre il sagrato era presidiato da due pattuglie di Angeli, fra i quali spiccavano ben cinque Guerrieri Serafici.

Lasciò quindi che le due sorelle si allontanassero un poco. In fondo, sarebbe bastato aspettare che proseguissero oltre la grande chiesa, per poi raggiungerle qualche viuzza più in là.

Ehi, ehi! NO!

Quelle due si stavano fermando a mendicare proprio accanto al portone della cattedrale.

Il Mezzodemone sbuffò. Ma tu guarda queste: con tutti i posti disponibili, dovevano proprio piazzarsi a chiedere l'elemosina ?!

La cattedrale era uno dei Portali del Paradiso.

Tutti i Diavoli lo sapevano: c'era un Portale nel vecchio confessionale della navata destra ed era uno dei Portali Fissi, quelli cioè che i Reggenti Celesti non avevano il potere di aprire, chiudere o spostare a loro piacimento; un po' come l'Acheronte, solo che conduceva al Paradiso e non all'Inferno.

Per un Diavolo, avvicinarsi voleva dire ritrovarsi braccato dagli Angeli Guardiani e probabilmente vedersi infilzato da una spada fiammeggiante prima ancora di poter spiegare il perché della propria presenza. Quel territorio era precluso a quelli della sua Razza.

Si infilò dunque in un vicolo ai margini della piazza e restò ad osservare le due zingare dalla rassicurante penombra di quella stradina, a distanza di sicurezza dall'Area Sacra.

Kikyo tendeva la mano, ma la maggior parte delle persone si comportava come se lei fosse trasparente. E per certi versi era come se lo fosse davvero, dato che non guardava in faccia nessuno, come se il suo spirito fosse costantemente altrove.

Kaede era più sfacciata, soprattutto con le vecchie signore.

Inuyasha si scoprì a tremare impercettibilmente.

Forse era l'Aura Santa di quel luogo. O forse era solo rabbia: per quanto assurdo potesse sembrare, non gli andava l'idea che una come Kikyo mendicasse.

Oh no. Non una come lei: in verità non gli andava l'idea che lei lo facesse.

Sbuffò e strinse i pugni: era una bacatissima testa di cazzo, si era fritto il cuore un'altra volta.

«Inuyasha?»

Una voce alle sue spalle lo fece trasalire.

Una voce palesemente angelica.

Il Tentatore si voltò di scatto, pronto a dare battaglia: da un Piccione Aureolato non ci si poteva aspettare nulla di buono.

Il nuovo arrivato, tuttavia, non sembrava avere cattive intenzioni.

«Sei Inuyasha, non è vero?» chiese in un tono totalmente pacifico.

«E tu chiccazz... Sota?!» realizzò il nostro Diavolo distendendo i nervi, non appena l'ebbe osservato abbastanza da scorgervi le fattezze di uno degli ex compagni di Addestramento.

«Proprio io. Ma mi chiamo Sotel, ora. Cosa ci fai da queste parti, Inuyasha? Il tuo Protetto ti ha piantato in asso per andarsene alla messa?»

«Non dire cazzate: quelli come me non hanno un Protetto, lo sai bene».

«Non avete un Protetto fisso» puntualizzò Sotel, «ma gente da condurre alla perdizione ne avete comunque in abbondanza. Brusco come sempre, eh Inuyasha? Non sei cambiato affatto».

«E che pretendevi? Sono ancora un Diavolo Incompleto, come ai tempi dell'Apprendistato. Tu sei cambiato, invece: sei talmente serafico che a momenti non ti riconoscevo» commentò acido, soppesando la figura composta del suo interlocutore.

Se lo ricordava quando erano compagni di studi: tappetto, con il naso un po' troppo a patata e i capelli sempre arruffati, ma con un carattere solare che tutti gli invidiavano. Un po' troppo solare per i gusti del Mezzodemone, ma il pischello adorava la musica esattamente come lui: aveva una voce niente male, tra l'altro, e quando dava il via alle sue corde vocali, riusciva persino a smettere di balbettare anche se si trovava di fronte alle più avvenenti donzelle, situazione in cui, di solito, andava completamente in tilt.

Eh sì, perché Sota era basso, balbuziente, imbranato, ma soprattutto maschio.

Ora era un Angelo Adulto, quindi senza sesso.

Lineamenti delicati e indistinti e voce neutra, come tutti gli altri.

Non portava più i vestiti scuri da pretino imbalsamato che usava allora, ma una lunga tunica bianca decorata con arabeschi dorati, dalla quale spuntavano due enormi ali dalle piume argentee.

Se non fosse stato per la sua solita, disastrosa pettinatura a spazzola, Inuyasha non l'avrebbe mai riconosciuto. Ma che aspettavano i parrucchieri angelici a rifargli il look?! E va bene che troppa attenzione alle apparenze è affar da Diavoli, ma anche l'occhio vuole la sua parte, accidentaccio!

«E tu che ci fai qui, Sota? Bazzichi per i vicoli oscuri?» insinuò infine, pungente.

«Mi chiamo Sotel. C'è una riunione urgente del Consiglio degli Arcangeli e mi hanno convocato in qualità di segretario».

«'Azz... Che rottura dev'essere, non ti invidio per niente! Visto che sei nel Piano Terreno, approfittane almeno per fare scorta di spartiti musicali: te lo meriti proprio, in vista di questo scassamento di palle!»

Sotel sorrise di nuovo e a Inuyasha parve che quel sorriso non sottintendesse alcun tipo di emozione, ma fosse solo una maschera di circostanza: «Io non ho più bisogno né di musica né di altro svago; sono un essere Completo e sono in pace, non ho bisogni né desideri, se non quello di condurre la gente al Bene».

Inuyasha sbuffò: «Ok, ok, ho detto una cazzata, non stare a sindacarci sopra; è che, a furia di restare mescolato agli umani, non so più fare conversazione con gli Eterni».

Ecco. Se c'era un motivo per cui Inuyasha si ricordava di quest'Angelo sfigato, era perché ai tempi ci discuteva di musica per ore e ore. Litigandoci, ovviamente, perché avevano gusti diametralmente opposti. Ma la passione che li animava era la stessa. E ora, di tutto questo, a Sotel non era rimasto nulla.

«Di' un po', sei mai più ritornato alla sede di Addestramento?» riprese l'Angelo mantenendo stampato in viso quel sorriso distante e alieno che sembrava essersi incollato sulla sua faccia.

«In quel postaccio di merda?! Ma figurati se mi viene in mente di rimetterci piede! È stato la fonte di tutti i miei guai!»

«E gli altri, li hai più rivisti?»

«Shippo lavora con me. Tutti gli altri, invece, li ho persi di vista il giorno stesso dell'Esame; ormai apparteniamo a due Mondi diversi».

«Io lavoro con il buon vecchio Hojo, invece. E ti ricordi la dolce Ayumi? È già diventata un Cherubino, mentre Kagome...»

«TACI!» lo interruppe bruscamente il Mezzodemone: «Non ti ho chiesto niente. Non me ne frega un cazzo di che fine hanno fatto le varie Galline tue pari, soprattutto Kagome! Non lo voglio sapere, tanto ognuno di noi resta incollato alla sua merda di vita comunque. Ora vattene, o i Superiori ti cazzieranno se ti fermi troppo a ciarlare con la concorrenza».

«Siamo vecchi Compagni di addestramento, chiuderanno sicuramente un occhio. Allora arrivederci, Inuyasha, ti auguro ogni Bene».

«E io tutto il Male del mondo!»

Sotel si inchinò in segno di saluto. Mosse qualche passo rapido, poi, senza voltarsi, soggiunse: «Sai, temo di aver espresso un giudizio affrettato, poco fa. La tua facciata non sembra cambiata, questo è vero, ma allora avevi una carica, un piglio che non vedo più».

«Fottiti» fu la lapidaria risposta del Diavolo.

Avrebbe voluto rispondergli che forse l'avrebbe perso anche lui, il piglio, se fosse stato Condannato a marcire per l'Eternità fra gli umani, vigilato da un manipolo di feroci Superiori che, a differenza di quelli angelici, di occhi non ne chiudevano mai. Ma sarebbe suonato patetico, così tenne la bocca sigillata.

«Spero di rivederti presto» rispose soltanto l'Angelo, senza scomporsi davanti all'insulto, prima di librarsi in volo verso la cattedrale.

Inuyasha restò a guardare la sua ampia schiena immacolata che si allontanava, mentre un crescente disagio si impadroniva di lui.

Ricordare i tempi dell'Addestramento gli faceva un male cane. Ricordare le bravate, le risate, i sogni e i progetti sul futuro che facevano tutti insieme gli faceva contorcere le budella.

Ricordare lei era come sanguinare nel profondo.

Sotel aveva ragione, ormai non era che l'ombra di se stesso.

«Fottiti» sibilò nuovamente dietro all'Angelo, anche se ormai non poteva più udirlo.

Si appoggiò al muro e chiuse gli occhi, reggendosi il capo con le mani.

La cruda verità era che si era ridotto a un relitto, gettando al vento ogni possibilità di riscatto, e non ne sarebbe mai uscito, né da solo, né con l'aiuto di quelle due Streghe ignare.

Merda.

Tutto era irrimediabilmente fottuto.

Si sentiva scivolare giù, sempre più giù, nel vortice dell'autocommiserazione, quando d'improvviso un pensiero saettò per la sua mente, costringendolo a riscuotersi.

Lo aveva detto Kaede: «I diavoli veri hanno il nodo nero come la pece, tutti uguale. Tu invece sei di quelli mingherlini con le alucce rachitiche, però sei diverso dagli altri: di solito quelli come te hanno il nodo grigio e piatto, invece il tuo brucia.»

Lì per lì non aveva dato peso a quelle parole, credendo che la strana sfumatura del suo cuore fosse lo specchio della Condanna. Ma ora che aveva visto che ne era stato del suo vecchio Compagno, iniziò a rimuginarci sopra da una prospettiva nuova.

Sota (o Sotel, o come cavolo si chiamava) era il primo Eterno che aveva conosciuto da Incompleto e che ora reincontrava da Adulto. E quell'incontro gli aveva lasciato l'amaro in bocca.

C'era qualcosa di agghiacciante, in quell'Angelo.

E forse non solo in lui.

Quando un Diavolo diventava Adulto, i tratti maschili o femminili che recava con sé fin dalla nascita venivano esasperati e, di conseguenza, la sua sessualità veniva esacerbata a tal punto da farsi devastante. Così nel corpo, così nell'animo: anche il bisogno di godere del Male si faceva imperioso e totalizzante, fino ad annebbiare ogni altro pensiero.

Inuyasha però aveva sempre pensato che, per quanto si dedicassero tutti alle stesse attività, ogni Diavolo le vivesse un po' a modo suo, se le reinterpretasse, insomma, secondo i propri gusti e il proprio personale sentire.

Ma il nero uniforme profetizzato dalla pulce sembrava smentire questa interpretazione: a dar retta a lei, si poteva solo concludere che il cuore di tutti i Diavoli Adulti fosse identico.

Anche agli Angeli succedeva qualcosa di simile. Diametralmente opposto, ma in fondo simile: conquistare lo status di Adulto significava per loro diventare esseri completi e asessuati.

E, come aveva detto Sotel, un essere completo non ha più bisogni né desideri, perché trova in se stesso ogni pienezza.

Sempre in pace.

Sempre appagati.

Ma.

Tutti uguali.

Bianchi?

Forse.

Se le cose stavano realmente così, che senso potevano avere, invece, i suoi colori?

Stando ai vaneggiamenti di Kaede, i Diavoli Incompleti come lui erano tutti grigi. Una mescolanza di bianco e nero, insomma. Si poteva quindi concludere che gli Eterni nascessero contaminati con l'altra razza (quindi Incompleti nella loro Angelicità o Diabolicità), e che l'Addestramento con successivo Esame servisse per lavar via in qualche mistico modo la contaminazione altrui, rendendoli puri nella Tenebra o nella Luce.

Ma i colori da dove arrivavano?

E perché solo lui e gli esseri umani ne erano violentemente dipinti?

Non non ne aveva la più pallida idea.

Si portò una mano al petto e gli sembrò di sentirlo caldo e vivo.

Un fondo trasparente. Un giallo acido e stanco, una pozza blu, la sua rabbia rossa.

Così l'aveva descritto Kaede.

Ma non era così che avrebbe dovuto essere un Diavolo.

Anche gli Eterni potevano nascere sbagliati?

In tal caso, lui era forse un'errore dell'Eternità?

Chi o cosa era, in verità?

Da dove veniva? Come era nato?

Perché era nato, di questo era sicuro, e neppure molto tempo addietro: non esisteva da sempre, anche se sempre sarebbe esistito da lì in poi.

Ma come era avvenuta la cosa?

Non ricordava.

Prima di essere trasformato in Tentatore aveva sperimentato l'Addestramento: tre anni passati a competere con altri Eterni Incompleti, sotto la guida di esperti Insegnanti Adulti.

E prima ancora?

Che aspetto aveva? Dove aveva vissuto?

Prima di essere un ragazzo, era mai stato bambino?

Non ricordava nulla. Se spingeva indietro la mente, gli appariva solo una distesa rossastra: una specie di... di... prato?

Forse.

Nei suoi ricordi non c'era che quella distesa rossa e una figura china e appesantita che raccoglieva qualcosa fra l'erba. Un giardiniere, probabilmente.

E lui, da dove osservava questa scena? Che forma aveva, all'epoca di quel ricordo slavato?

Non lo sapeva.

In quel momento si rese conto per la prima volta che non sapeva nulla delle proprie origini, né di quelle di tutti gli altri Eterni.

E ne fu paralizzato.

Ma non fu tanto il vuoto sul suo passato a terrorizzarlo, quanto l'agghiacciante consapevolezza di non essersi mai posto il problema fino a quel momento.

Qualcuno doveva aver manipolato la sua memoria, forse con un Incantesimo Arcano.

Che fosse successo in seguito alla Condanna?

Durante il Giudizio i Gerarchi potevano benissimo aver condizionato la sua mente, ma a che pro sprecare su uno come lui un Incantesimo tanto delicato e arduo da pronunciare?

Guardiamoci in faccia: lui era uno sfigato qualunque, senza arte né parte e per di più reo di essersi fritto il cuore per un Piccione Aureolato. Non c'era ragione perché la Gerarchia si accanisse in modo particolare contro un rottame del genere, che si era già distrutto con le proprie mani. Era un bel gingillo, per loro, e tale sarebbe rimasto in Eterno, ma nessuno installa un antifurto da tre milioni di dollari su un giocattolo di nessun valore.

Non aveva senso.

«Esistono due Principi Primi in lotta fra loro per il predominio sul Mondo: il Male e il Bene, incarnati dai nostri Signori. Noi Eterni ne siamo gli eserciti e gli Esseri Umani il campo di battaglia. Ogni Eterno esiste solo per servire la propria Gerarchia e solo in essa può trovare senso e compimento».

Così gli avevano sempre insegnato.

Ma se così era, per ogni Eterno completarsi significava annichilire la propria individualità per diventare un perfetto esecutore della volontà del Capostipite della propria Gerarchia: Naraku, l'abissale signore di tutti i Diavoli, incarnazione del Male, e i Sommi Arcangeli Gabriel, Raphael e Michael, personificazione del Bene.

Scalare la gerarchia gradino per gradino significava dunque perdere ogni volta frammenti della propria personalità, fino a smarrirla del tutto?

Brrr! Aberrante.

Se le cose stavano così, diventare un Diavolo Completo non significava solo avere momenti di gloria, scopare come un mandrillo e godere di malefici svaghi, significava prima di tutto perdere il proprio io.

Era questo che aveva sempre bramato? Era per non aver compiuto questo passo che si rodeva il fegato da anni?

No, cazzo. NO!

Iniziò seriamente a rivalutare la propria posizione: vuoi vedere che, nella sfiga, gli era andata davvero di culo?!

Perché, in verità, lui teneva molto a se stesso. Quella matassa variopinta e calda che caratterizzava il suo nodo se l'era coltivata, negli anni.

Doveva essere stato lui stesso a colorare il proprio cuore, anche se inconsciamente. Era stato lui a dare piede, spazio e nutrimento a tutti quei colori che non erano stati spenti dalla cappa nera del Completamento. Era stato lui a lasciare che si differenziassero dal grigio e crescessero dentro di lui fino a invaderlo.

Il risultato era che il suo cuore era colorato e unico come colorati e unici erano quelli umani, perché tutti gli esseri dotati di una propria personalità risultano irripetibili.

Ebbene, forse era per colpa di Valeel, che aveva tanto lavorato per insegnargli a pensare a briglia sciolta, ma lui c'era affezionato, al proprio io. E, in quel momento, si rese conto che non avrebbe mai voluto perderlo.

Certo, l'avere una personalità era la fonte della sua insoddisfazione, della sua rabbia e della sua voglia di ribellione; era quella parte di lui che alle volte lo faceva esplodere dentro, lo spingeva a correre fino a trovarsi senza fiato, a gridare, a percuotere le corde del suo basso fino a cavarne dei suoni che vibrassero in sintonia con le sue contraddizioni. Ed era quel lato di lui che aveva saputo amare.

E amare un altro più di se stesso.

Anche se questo altro era un Angelo.

Un sorriso amaro si accese sul suo viso: ora capiva davvero.

Questo era il suo Inferno.

Questa la sua Dannazione, la Condanna proclamata contro di lui dall'Eternità per aver infranto il più inviolabile dei tabù.

Perché un Diavolo che ama è una bestialità, un'incongruenza tale da far saltare le leggi dei Mondi.

Che idiota era stato, per tutti quegli anni, a pensare che per punirlo si fossero limitati a stroncargli la Carriera!

Oh, no, il gioco era ben più sottile.

E crudele.

Gli avevano lasciato una personalità, ma non gli avevano concesso la libertà di esprimerla: vivere così significava morire dentro, giorno dopo giorno, per l'Eternità.

E così infatti era stato per lui, dal giorno della sua Condanna: un infinito Inferno, un'infinita brama di Libertà sigillata dietro le sbarre dell'obbedienza.

Il sorriso amaro che aveva dipinto in volto mutò in un ghigno, poi in una risata distorta.

I Diavoli erano fatti per l'Inferno, no? Ebbene, era giunto il tempo che anche lui affrontasse il suo.

Era ora di viverlo, anziché subirlo.

Aveva ancora il suo io, era tanto.

Non sapeva né come né perché, ma decise che da quel momento avrebbe cercato il modo di essere se stesso.

Ma non l'avrebbe fatto da solo: voleva Kikyo al suo fianco, in questa impresa.

Levò lo sguardo verso il punto dove, fino a un attimo prima, le due ragazze erano ferme a mendicare, ma non le vide più.

Per le Orride Viscere degli Abissi, le aveva perse!

Imprecò a voce alta, rendendosi conto troppo tardi che una sentinella armata di Lancia Eterea stava venendo dalla sua parte. Sembrava una sfigatissima recluta, ma era comunque più grossa e meglio armata di lui. E il suo grido la mise in allarme.

«Cosa ci fai da queste parti, Demonio?» lo apostrofò, accelerando il passo.

Inuyasha smise di respirare e indietreggiò, appiattendosi nell'ombra.

«Ti ho fatto una domanda!» tuonò l'Angelo, ancora in lontananza.

Sperando di far perdere le proprie tracce, il Mezzodemone filtrò all'interno dell'edificio contro il quale era appoggiato un attimo prima, ritrovandosi in una specie di ripostiglio pieno di scope e detersivi. C'era una porta che conduceva fuori di lì, ma l'Angelo giunse nella stanza prima che lui potesse raggiungerla.

Il misero Tentatore dovette quindi arrendersi ad affrontarlo.

In fondo, la sorte gli aveva arriso: se nel vicolo era in netto svantaggio, in quello stanzino di tre metri quadrati lui poteva di sicuro muoversi con maggior destrezza del suo povero avversario, ingombrato dall'armatura e dall'arma lunga che impugnava. Gli Eterni potevano attraversare i muri e lasciarsi attraversare dagli oggetti del Piano Terreno, certo, ma questo implicava il dover cambiare Piano per una frazione di secondo, operazione che richiedeva concentrazione e un grande dispendio di energie, e che quindi era praticamente impossibile da attuare in battaglia.

Inuyasha fissò dunque l'Angelo negli occhi con aria di sfida e questi fece altrettanto. Si studiarono reciprocamente per qualche istante, muovendosi l'uno rispetto all'altro in una sorta di lenta danza di guerra.

Poi l'Angelo attaccò.

Il Diavolo schivò il colpo gettandosi contro un fascio di scope e scopettoni, che rovinarono rumorosamente a terra. Ne afferrò uno e fu lesto a lanciarlo fra i piedi del suo inseguitore, facendolo inciampare.

Mentre l'Angelo ruzzolava a terra, lui si tuffò nuovamente nel vicolo attraversando il muro. Percepì con la coda dell'occhio la porta dello scantinato che si apriva e una vecchia obesa che appariva sulla soglia chiedendosi com'è che i suoi spazzoloni avessero deciso di accatastarsi a terra così all'improvviso.

Fuori, richiamata dal trambusto, una piccola guarnigione di tre Sentinelle stava venendo dalla sua parte. Non provenivano dal sagrato, ma da una traversa laterale.

Al Tentatore non rimase altro da fare che riparare in direzione della cattedrale. Si ritrovò nell'ampio spiazzo lastricato di marmo del sagrato, illuminato a giorno da un battaglione di lampioni in ferro battuto. Invisibile ad occhio umano, ma drammaticamente esposto alla vista di tutti gli Eterni del circondario, Inuyasha era praticamente fra le braccia del nemico.

C'era luce, troppa.

C'erano Angeli, troppi.

C'era una nauseante cerimonia religiosa in corso.

Forse, però, c'erano anche due zingare che gli avrebbero parato il culo.

I suoi occhi avvezzi al buio pizzicavano e lacrimavano, offuscandogli la vista, e l'Aura Santa che si diffondeva dalla cattedrale lo rendeva malfermo sulle gambe.

Una pattuglia Angelica lo accerchiò rapidamente, con fare minaccioso, ma lui cercava ostinato le due ragazze, scandagliando ogni angolo del sagrato con gli occhi doloranti.

«Stai sconfinando, Demonio» gli disse uno dei Guardiani, con voce calma e composta.

«Levatevi dalle palle! Mi coprite la visuale!» ringhiò lui per tutta risposta.

«Non siamo noi a doverci spostare» precisò un secondo Angelo, quasi atono. «Sei tu che stai compiendo un Sacrilegio, calpestando un Suolo Sacro».

«Non me ne fotte un cazzo del vostro pisciatoio sacro!» sibilò schermandosi gli occhi con le mani. «Non sono venuto a cercar rogne!»

«In tal caso non saresti proprio dovuto venire, Demonio».

Bastardi.

Era accerchiato. Ed era nella merda.

E ci si era infilato da solo come un pirla, accidenti a lui!

Gli Angeli erano troppi ed erano tutti di Rango Elevato, anche se non Eccelso, e lui era un misero Tentatore, rincoglionito dall'Aura di quel luogo.

Dov'era Kikyo?!

I suoi avversari si strinsero ulteriormente attorno a lui.

Si dispose alla lotta: con gli artigli affilati sfregiò il viso del primo Piccione che trovò a tiro.

Questi gridò di dolore, ma altri due Angeli furono pronti ad afferrare il loro avversario da dietro, bloccandogli le braccia. Inuyasha sentì un dolore lancinante a un fianco e per un attimo perse la vista.

Lo avevano colpito con qualcuna delle loro armi serafiche. Avrebbe tanto voluto svenire, ma decisamente non era il momento. Chiamando a raccolta tutte le sue forze, piantò due violente gomitate nel ventre di quelli che lo bloccavano, riuscendo a divincolarsi.

Si lasciò cadere a terra e, scivolando al suolo, si lanciò fra le gambe dei due Angeli che aveva dinnanzi, riuscendo a sgusciare fuori dal cerchio.

Dov'era Kikyo?

Senza darsi tempo di respirare si rizzò sulle gambe, mosse qualche passo di corsa poi, saltando e svolazzando, si portò quanto più in alto poté, senza neppure guardare dove si stesse dirigendo.

Gli Angeli gli erano alle costole, li sentiva.

La ferita al fianco doleva già in modo insopportabile, quando qualcos'altro lo colpì: una Freccia Sacra o forse una punta di Cerbottana Celeste, non avrebbe saputo dirlo.

Barcollò e perse l'assetto.

Sentì le forze abbandonarlo, il mondo intorno a lui vorticava e il suolo si faceva sempre più vicino.

E gli Angeli anche.

Non ce la faceva più.

Merda. Non ce la faceva davvero più.

Dove cazzo era Kikyo?!

Per un attimo disperò, poi vide Kaede.

Silenziosa e composta, ritta al centro della piazza, lo guardava.

Inuyasha si lanciò nella sua direzione e si lasciò cadere subito dietro di lei, atterrando in malo modo.

La bambina non si mosse: restò impassibile ad osservare il piccolo esercito di Angeli che lo inseguiva.

Sotto gli occhi della piccola questi esitarono, rallentarono, poi si fermarono del tutto.

Lei non abbassò lo sguardo.

«Sei nei guai, stupido diavolo?» chiese senza voltarsi.

«Così così» dissimulò lui, cercando di rimettersi in piedi.

Gli Angeli non lo attaccavano più. Erano indecisi sul da farsi, evidentemente Kaede li intimoriva.

In quel momento Kikyo sbucò da una viuzza laterale e corse incontro alla sorellina.

«Kaede! Possibile che devi sempre sparire?»

Ma lei restò immobile, con gli occhi fissi al cielo.

Kikyo la raggiunse, si inginocchiò accanto a lei e l'abbracciò.

«Perché sei rimasta indietro?»

La piccola non rispose e la giovane donna si stupì nel vederla così assorta.

Seguì il suo sguardo, ma non vide nulla, se non le ombre plumbee del cielo all'imbrunire.

«Cosa stai guardando?»

«Gli angeli» disse semplicemente la bimba. «Ma adesso stanno andando via».

Era così: non appena era apparsa Kikyo, i suoi inseguitori avevano preso ad indietreggiare, più che timorosi letteralmente spaventati.

Inuyasha tirò un sospiro di sollievo.

E bravi i Piccioni Aureolati, pieni di saggezza e buonsenso! Battevano in ritirata di fronte alla Strega!

L'aura delle due zingare era terrificante per qualsiasi Eterno con due dita di cervello e, grazie a questo, lui se l'era cavata egregiamente.

Kaede lo fissò curiosa, ma il Diavolo le fece cenno di tacere per non svelare a Kikyo la sua presenza.

«Scortami lontano da questo posto di merda senza fare pubblicità, ok?» le propose strizzandole l'occhio e utilizzando l'Antica Lingua in modo che lei sola potesse udirlo.

La piccola aggrottò un sopracciglio, notando le sue ferite.

«Non è niente» la rassicurò. «Le ferite da Armi Serafiche posso curarmele in un attimo. Sono un Eterno, no?»

La bimba annuì, prese la sorella per mano e si avviò lontano dalla cattedrale.

Il Diavolo le seguì in silenzio, reggendosi il fianco ferito con le mani, mentre una luce verdastra si dipanava dalle sue dita, illuminando sinistramente le stradine che stavano percorrendo.

Meno di dieci minuti dopo era perfettamente guarito.

Le zingare camminavano verso la periferia, tenendosi per mano.

Kikyo cantava sottovoce. Cantava una nenia per bambini antica quanto il suo popolo, con una voce da contralto calda e vibrante. Kaede rideva e trotterellava al suo fianco, lanciando di tanto in tanto occhiate complici al Diavolo che le seguiva.

Lui si sentiva stranamente in pace.

Guardava la gonna di Kikyo ondeggiare a ritmo coi suoi passi. Guardava le manine paffute di Kaede e si sentiva a casa, come se quello fosse il posto preparato per lui dall'Eternità.

E avrebbe voluto che quell'istante fosse eterno.

Ma non sarebbe durato, lo sapeva: la nebbia andava addensandosi pian piano. E questo stava a significare che lo stavano Chiamando.

Poteva intravvedere un campo-nomadi poco più avanti, con i suoi carrozzoni sgangherati e la sua gente dedita alle piccole faccende di ogni giorno.

Proseguiva in quella direzione accanto alle due ragazze, ma sapeva che non vi sarebbe mai arrivato, perché quella foschia arcana avrebbe presto separato le loro strade.

Richiamò l'attenzione di Kaede: «Ehi, scarafaggio, mi chiamano. Devo andarmene».

«Tornerai?» chiese sottovoce la piccola, cercando di non farsi notare dalla sorella.

«Forse...» esitò il Diavolo, lanciando di sottecchi un'occhiata al viso stanco di Kikyo.

«Vuoi dire che ti aspettano guai oltre la nebbia?»

«Chissà...» fu elusivo lui, prima di sparire inghiottito dalla foschia.

«Con chi stavi parlando questa volta?» le chiese Kikyo, bonaria, mentre entravano nel campo.

«Con il diavolo di prima».

«Ah» fece soltanto la ragazza, sospirando e stringendole più forte la manina. «Era un bel ragazzo» si lasciò sfuggire poi, stanca e dolce allo stesso tempo.

Sì, pensò la piccola Kaede, il suo nuovo amico era bello, a modo suo. E si era preso un cotta per Kikyo, si vedeva lontano un chilometro.

Sorrise di gioia: probabilmente lo avrebbe rivisto molto presto.

  
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