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Autore: Marty_199    20/01/2024    1 recensioni
Sono passati ottant’anni dalla Sanguinosa Caccia che ha visto la morte di moltissime creature del deserto, gli Efir, la cui magia è stata presa dagli uomini.
Nel regno di sabbia e oro la convivenza tra umani e creature ha visto l'indebolimento dei patti e l'avanzare della guerra.
Dokor è il principe, generale dell’esercito dorato, con il sangue di una Dea è l'eroe della sua terra e ha completato la sua missione: riportare in catene l'uomo che lo ha tradito in passato.
Bellissimo, potente e pericoloso Elyim è per metà umano e per metà Efir, alla guida di creature ribelli e guerrieri contro il regno degli uomini è disposto a tutto pur di portare avanti la sua battaglia e pronto a bruciare tutto ciò che lo ostacola, compresi quei sentimenti che sette anni prima lo avvicinarono al principe.
Ma nel momento in cui si ritroveranno a collaborare in un viaggio attraverso le distese implacabili del deserto, tra Jiin furiosi, maestose corti e creature primordiali, i due dovranno muoversi in bilico tra l'essere amanti e nemici, mente le convinzioni di Dokor cominceranno a vacillare nello scoprire lo scopo della sanguinosa battaglia che gli Efir portano avanti.
*boyxboy*
*Enemies to lovers*
Genere: Angst, Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, Crack Pairing
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Incest, Tematiche delicate
Capitoli:
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CAPITOLO 8

-Elyim-

Elyim si svegliò di sobbalzo, il rumore della monorotaia gli trapanava le orecchie. Il sole era calato e la notte aveva preso possesso del cielo. Anche l’aria lì dentro si era raffrescata ma non così tanto da costringerlo a coprirsi come succedeva nel mezzo del deserto libero.
La corte gli mancava, le serate passate intorno al fuoco mentre qualcuno gli ricuciva le ferite, l’idromele che gli bruciava nella gola e i canti che duravano fino all’imbrunire o fino all’alba, quando il freddo svaniva e il sole tornava a rendere incandescente la sabbia e l’aria, facendola bollire a contatto con la sua pelle.
Quella era la sensazione che più amava, si sentiva rinascere, sentiva il flusso della sua magia come liquido caldo lungo il corpo, era soffocante ma nonostante tutto aveva sempre sentito i polmoni liberi.

In quel momento respirare gli era più complicato, una sensazione mista all’impotenza e alla rassegnazione infestavano il suo petto.
I ricordi lo avevano portato lontano solo per un po', dopo erano arrivati gli incubi. Mosse le braccia cercando una posizione che fosse comoda, Dokor dormiva dall’altro lato e lui non poteva sollevarsi per mettersi seduto, prima di ronfare su quelle poltrone si era assicurato di legarlo in modo che non potesse muoversi.
In verità il suo respiro non gli dava fastidio, era basso e regolato, non sapeva se nelle sensazioni che provava, nel cuore che gli batteva troppo veloce avessero influito gli incubi, i ricordi, i sensi di colpa o l’agitazione di avere quel principe da strapazzo accanto.
Aveva un forte mal di testa e si sentiva tutt’altro che riposato, portò gli occhi verso su, era grato di essersi legato i capelli quantomeno non gli erano finito sul viso.

Rimase fermo per un tempo quasi indefinito, quantomeno da come era legato su quella stupida panca riusciva a scorgere una parte del cielo dalla finestra della cabina che avevano. Le stelle brillavano ma non era visibile ancora nessuna costellazione, non doveva essere notte inoltrata.
«Hai intensione di svegliarti? Ho fame, slegami o mi cadranno le braccia.»
Elyim batté il piede contro la parete con insistenza, fino a che non sentì un respiro irritato e la voce baritonale di Dokor che gli rispondeva, era ancora assonnata.
«Sei davvero una maledizione.
È notte, vedi di dormire e fare poco casino, basso profilo.»
«Il mio stomaco non terrà un basso profilo quando comincerà a farsi sentire per la fame, hai o no cibo in quella sacca?»
Dokor sospirò ma Elyim non demorse, aveva passato giorni con la morsa della fame a stringerlo e non aveva intenzione di ripetere l’esperienza, si sentiva già abbastanza vuoto senza la sua magia.
Lo sentì muoversi con un sospiro esasperato, allungandosi verso di lui per sciogliergli le corde che lo legavano, era sempre sorprendente scoprire di riuscire a fare leva su di lui. O molto più probabilmente voleva solo farlo stare zitto. Non glielo avrebbe mai reso facile.
«Potreste sbrigarvi vostra altezza?»
«No.»
Elyim strinse le labbra per trattenere l’insulto che gli premeva in gola, quando finalmente si sentì libero si tastò i punti in cui la corda lo aveva stretto, i segni delle catene erano ancora visibili e avrebbe tanto voluto un guanto per coprirsi le tre dita mozzate.
Dokor allungò la sacca sul tavolo, Elyim si mise seduto velocemente aprendola, l’odore della carne secca non era mai stato così invitante.

«Sto morendo di fame.» sospirò, addentandone una velocemente. Dokor sembrava infastidito dal suo risveglio, Ma completamente presente e vigile. «Non potevi prendere
qualcos'altro? Tanta carne secca, qualche biscotto, datteri… quanto ci faremo? A me serve qualcosa di più sostanzioso.»
Dokor si allungò prendendo un pezzo di carne a cui Elyim aveva puntato. «Alla prossima meta prenderemo altro cibo. Smettila di criticare e dare ordini.»
Elyim scrocchiò il collo passandoci una mano mentre cominciava a mangiare, Dokor aveva l’aspetto di un completo soldato ma da quando aveva preso a far parte della corte aveva assunto un aspetto aristocratico, il collo sempre alto e la posa eretta. Un contrasto che in qualche modo era sempre sembrato intrigante ai suoi occhi, ma anche completamente falso.
Dokor aveva sempre avuto l’aspetto splendente del suo retaggio ma ne aveva avuto paura al di fuori della corte della quale cercava l’approvazione. Era patetico.

«Cosa faremo una volta arrivati?»
«Studierò un pieno per continuare a muoverci. Tu potrai dormire, o mangiare senza lamentele.»
«Mi conveniva scappare da solo» Elyim sospirò con noia, sprofondando sul sedile. «Avrei saputo come divertirmi di più.» diete un ulteriore mozzico alla carne secca, sembrava la cosa più gustosa che avesse mai ingerito e aveva appena finito l’ultimo pezzo. L’altro lo aveva in mano Dokor, era lento anche a mangiare.
«Puoi procurarmi almeno...qualcosa con cui passare il tempo?»
«Appena posso ti trovo un giocattolo va...» Dokor sobbalzò ed Elyim sorrise quando lo vide interdetto mentre lo fissava. Si era sporto e aveva dato un morso alla carne secca che teneva in mano, non riusciva a non nascondere il divertimento che quell’espressione gli aveva causato. Si ributtò sulla poltrona sotto il suo sguardo truce.
«Te l’ho detto che ho fame.» commentò con divertimento, Dokor sembrava a un passo dal prenderlo a pugni.
«Appena sarà mattina controllerò la monorotaia prima di scendere.»
Elyim annuì, il peso delle rune che lo circondavano in tutto quel ferro gli rendeva pesante non solo il respiro ma anche le spalle, la sua pelle continuava a bruciare per quelle imposte sul suo corpo. Ma quella era una struttura costruita per proteggere i viaggiatori, motivo per cui dovevano esserci diverse guardie, non che tutti conoscessero il suo volto, su di lui giravano solo disegni e al processo avevano partecipato soltanto le grandi famiglie e i nobili più facoltosi.
Per di più era certo che Dokor sarebbe stato meticoloso nel nascondere il suo aspetto.

Alzò gli occhi su di lui, mentre rifletteva. Dokor avrebbe tenuto sotto controllo ogni sua singola mossa, Elyim non poteva uscire dalla cabina e quel ordine imperativo era l’unica cosa che potesse dar per buona a Dokor, non gli avrebbe giovato. Doveva tornare nell’Arkadia al più presto, poi avrebbe potuto trovare un modo per sistemare le cose, non potevano mandarlo via, Elyim gli aveva offerto una strada, un futuro e aveva rinunciato a tutto. Non avrebbe accettato di essere mandato via, di subire un esecuzione.
Mi aspetta al limitare del deserto...gli somiglia.
Elyim nascose un’occhiata verso il suo carceriere, tra di loro c’era poco più di un metro di distanza ma c’erano troppe verità nascoste che aleggiavano in quel piccolo spazio, facendogli sentire le miglia che li separavano. Gli aveva negato molte verità, nascosto segreti e portato via più di quanto fosse disposto a ricordare. Non poteva pentirsi o tornare indietro, solo andare avanti.
O almeno quelli erano i segni che Gea gli aveva inviato anni addietro, erano anni che non ne riceveva uno chiaro.

Al limitare del deserto...
Proprio come lui teneva dentro di sé una nota poetica ed infantile.
La porta sul fiume. E il limitare del deserto.
Perché mai aveva solo incontri in punti di limite o di chiusura?
«Stai ascoltando? Ti incanti sempre»
Elyim si riprese. «Devo stare ad ascoltarti blaterare? Sei un indeciso cronico, non avevi detto che non dovevo sapere nulla?»
«Ci sono dei dettagli che devi sapere anche tu.» aveva il tono stanco, mentre tirava fuori la cartina dalla sacca posandola nel mezzo del tavolino per prendere a tracciarne il percorso.
Elyim sbadigliò, giocherellando con la sua treccia. «Ti ascolto, sempre se saprai tenermi sveglio.»
Dokor prese a tracciare il percorso con il carboncino, le lampade erano spente ma la luce della luna bastava per illuminare quanto serviva. Elyim si sollevò in avanti con la schiena osservando il carboncino nero, leggendo il percorso. Alzò gli occhi, facendo un cenno ammirato. «Come sei preparato quando tradisci la tua bella Corte, il tuo re e il tuo rango.»
Dokor lo allontanò con un gesto brusco. «So come muovermi e come funziona il loro modo di pensare, è facile raggirarli dopo aver capito.»
Elyim non riusciva a smettere di guardarlo. Ricordava che anni prima Dokor si era sentito in imbarazzo per i suoi modi di fare, si avvicinava troppo, senza pudore, lo guardava in modo insistente, gli si avvicinava senza avvertire e i primi giorni lo aveva visto arrossire diverse volte, dopo si era abituato e non sembrava più farci caso. Non lo aveva visto le prime volte che gli si era avvicinato di soppiatto, dopo non ci era più riuscito.
Dokor lo aveva continuato a vedere, anche mentre gli dava incessantemente la caccia.

Lo vide mentre si grattava l’ombra di una barba che non aveva potuto curare nelle ultime ore.
Non c’era motivo di resistere a quella domanda che premeva dentro di lui, non era nella sua natura resistere alla curiosità.
«Perché mi hai tirato fuori di lì?»
Dokor smise di far girare le rotelle che aveva in testa, non lo guardo subito e solo il vento contro la monorotaia e quel continuo cigolio metallico riempirono la spazio tra loro.
«Dov’eri in queste ultime ore?»
«Davvero credi che ti avrebbero fatto morire? Hai aspettato troppo poco per poterlo sapere, se ti fidi davvero così tanto di loro perché fuggire?»
«Ho riposto la mia fiducia in pochi luoghi, e in poche persone.»
«Hai scelto la tua casa, hai scelto una parte.» Elyim trattenne l’astio rimandandolo giù.
«Ho scelto…»Una sfumatura di ironia ricoprì le sue parole. «Questo non vuol dire che io riponga tutta la mia fiducia nel luogo che ho scelto. Sono consapevole di ciò che mi circonda Elyim, ho fatto parte di quella corte per più tempo di te.»
Per un momento anche il rumore che lo circondava sparì dietro il suo nome pronunciato da quel tono. Erano anni che non lo sentiva, gli sembrava strano, quasi sbagliato.
«Hai appena usato il mio nome.»
Ci fu una pausa troppo lunga.
«E allora?»
«Non lo usavi da anni.»
Dokor voltò lo sguardo, liquidando la cosa. Elyim non demorse. «Di solito usavi epiteti così mediocri, traditore, assassino, bugiardo, condannato...»
«Cose che sei, ti si addicono più del tuo nome. Che ora abbia usato il tuo nome è stato solo un caso» C’era tanta rabbia repressa nel suo tono, sembrava volerla sopprimere ma gli era impossibile. Elyim rimase per un momento in silenzio, si sentiva vacillare e doveva reggersi con tutte le sue forze per non cadere.
«Sì va bene, come preferisci, ero solo curioso. Tornando al discorso centrale, perché? Mi hai braccato, hai vinto e poi? Per anni ho avuto la sensazione che tu avessi dedicato la tua vita a me, ne ero lusigato fino a che non sei diventato troppo insistente, credevo c’erano altri modi per colpirmi ma no, tu non colpivi l’Arkadia, colpivi me. Non ti sei mai trovato un hobby diverso.» Colorò la sua voce di falsa ironia, sapeva che nessuno avrebbe potuto distinguere il suo tono e le vere emozioni che provava dentro di sé, il suo più grande talento e la sua maledizione.
«Tu lo hai reso personale. Nel momento in cui hai strappato dalla mia vita due persone che amavo, le uniche che per prime mi hanno fatto sentire a casa. Persone che credevo amassi anche tu e che per colpa della fiducia che ho riposto in te sono morte. Mi hai usato. Li hai usati e gettati alle tue spalle, Calimath, mia sorella. Puoi pensare quello che vuoi, che sia vendetta, che sia un tentativo di rimediare a un errore. Tu non mi hai mai parlato, tutto ciò che hai detto sono state bugie, ho addirittura alleviato il tuo dolore non sapendo cosa avevi fatto. Hai agito di testa tua e io sono giunto alle mie conclusioni, avrei potuto fermarti e non l’ho fatto. Ora ne ho il potere.»
Per un momento calò il completo silenzio. Dokor gli aveva fatto un discorso simile anni prima, più duro ma con tono più rabbioso e colmo di dolore e tradimento, sentirselo rivolgere contro con quel tono controllato gli fece scorrere dei brividi lungo la schiena e invano tentò di tenere la sua compostezza.
Sarebbe potuto essere fiero del suo nemico, finalmente sapeva pensare con testa lucida, ma tutto ciò che percepì fu il disgusto.
Anni prima gli aveva promesso che lo avrebbe ucciso ed Elyim non aveva mai smesso di sentire quel tono nella sua testa. Non poteva permettergli di vederlo, forse gli facevano male quelle parole, nel mezzo della rabbia che provava era come rigirare un coltello nella stessa ferita, ma c’era molto più in ballo delle zuffe tra loro e del loro odio reciproco, quella non era altro che una parentesi, prima o poi gli schieramenti si sarebbero delineati di nuovo e tutto quello non avrebbe avuto importanza.

O almeno era quello che si augurava e che cercava di credere con tutto se stesso.
Decise di cambiare discorso, troppi dubbi cominciavano ad affollarsi l’uno sull’altro; «va bene mi odi, questo è chiaro da molto. Ma non ti ho chiesto questo.»

«Potevano usarlo contro di me. La mia posizione non è ben vista da tutti date le mie origini ma non avevano nulla contro di me. Non volevo dargli la possibilità di usarmi.»
«A chi? Alle gilde? Ai sacerdoti? Al tuo circolo o alle grandi famiglie?»
« Ho preso in mano una situazione che mi riguarda, che mi è sempre riguardata» per un momento davanti a quelle parole Elyim fu vigile, Dokor cercava molto di più della risoluzione al loro problema. «E non andrò oltre, se hai finito di parlare posso concentrarmi su cose più importanti?»
Elyim portò lo sguardo verso fuori. Per le seguenti ore nessuno dei due parlò o prese nuovamente sonno, Elyim rimase ad osservare il cielo schiarirsi e i raggi illuminare ciò che li circondava, il sole si era innalzato piano e nessuna nuvola sporcava il limpido celeste, doveva essere un buon segno Nut poteva osservare ogni cosa sarebbe avvenuta sulla terra.
Dokor lo legò nel momento in cui decise di uscire per controllare la monorotaia, Elyim lo infastidì abbastanza da farlo arrossire con le sue battutine, dopo di che si ritrovò da solo. Mentre osservava fuori notò in lontananza il movimento nel mezzo delle dune sabbiose, una parve distruggersi e aprirsi come al passaggio di una creatura più grande. Elyim si chiese se Ca’li stesse seguendo il suo padrone a distanza, ma non avrebbe avuto molto senso.
Un serpente del deserto fiero e maestoso come lui non avrebbe preso l’iniziativa se non sotto il comando di Dokor, e quello sarebbe stato un rischio troppo grande, Ca’li era potente ma non adatto a una missione come quella.
Gli sarebbe piaciuto poterlo vedere, quando Dokor era riuscito nell’impresa di piegarlo al suo volere, Elyim era già lontano, lo aveva saputo dalle voci che giravano, lo aveva visto solo in lontananza nel campo di battaglia, al di sopra del grande serpente del deserto, i capelli neri intorno e i muscoli in tensione per tenersi sul suo dorso.
Lo aveva trovato maestoso, ogni segnale che riguardava Dokor era sempre stato forte, collegato agli scorpioni gialli reali, ai serpenti, la prima volta che Gea gli aveva inviato un segnale da leggere per capire il loro legame, era stato un riccio ed Elyim aveva creduto che non sarebbe mai mutato, e invece Dokor si era rivelato il soldato e il principe di cui aveva letto nei segnali, non ne era rimasto sorpreso quando lo aveva visto, ma da ciò che aveva provato nel vederlo.

Elyim sentì il chiavistello della cabina che veniva smosso e sospirò con noia, tirandosi poco più su nel momento in cui la cabina venne aperta.
«Finalmente, se mi cascano le braccia ti riterrò direttamente colpevole.» Si bloccò sul momento quando sollevò gli occhi verso la porta della cabina. Al posto di Dokor si ritrovò davanti una donna, subito i loro occhi si incrociarono e familiari brividi gli corsero lungo la schiena.
Aveva capelli rossi ma più tendenti all’aranciato, gli occhi fini e un poco allungati, zigomi alti e labbra piccole, gli occhi erano neri con qualche scaglia rosse che riverberò quando si osservarono, tuttavia non riuscì a entrare in completa sintonia con lei e a riconoscerla, la sua magia si dimenava ma era bloccata e non poteva rispondere.

Una ladra? Di giorno?
Indossava pantaloni neri di un tessuto ruvido e una larga camicia che gli aveva lasciato scoperti alcuni punti di pelle un poco arrossati, il turbante che portava intorno al capo era chiaro e anonimo, molto lontani dai vestiti che aveva visto nella capitale solo pochi giorni prima, e molto lontani dai vestiti magnificamente magici delle corti.
I suoi occhi passarono lungo la sua figura fino ad arrivare alle corde che lo bloccavano per le braccia.
«Dovrebbe essere vuota la cabina.»
Elyim piegò di lato la testa. «Me ne andrei ma sono impossibilitato.» Mosse le dita come un piccolo saluto, rimase con i sensi in allerta benché fosse legato. La mezza Efir si fece avanti, senza avvicinarsi a lui. I suoi occhi svirgolarono verso la borsa al posto dove sedeva Dokor.
«Ruba pure se vuoi, non è mia. Anche se non credo che ci troverai molto, ci siamo anche mangiati le provviste che c’erano.»
«Sei uno schiavo?» rovistò nella sacca prendendo un piccolo pugnale che Dokor vi aveva messo dentro.
«Solo perché sono legato? Ma diciamo che è un gioco che ci piace. Più a lui che a me, ma mi adeguo.» Il suo tono prese un sapore melenso. Era pronto a parlare con quella donna quanto bastava per il ritorno di Dokor, era certo che entro poco si sarebbe fatto vedere, non l’avrebbe lasciato troppo tempo da solo, quella piccola intrusione non era programmata ed Elyim non aveva intenzione di fargli percepire le sue sensazioni.
«Tu cosa fai? Sei...» si bloccò nel momento in cui vide tra le sue dita una catenina in oro perfettamente pulita e scintillante, con un elaborato disegno di uno scorpione e una volpe. Elyim sentì l’agitazione montare nel suo petto, erano anni che non vedeva quel braccialetto e il freddo che aveva lasciato sul suo polso si era sopito da tempo. Non credeva che lo avrebbe mai rivisto, lo aveva perso ed era certo che fosse stata la terra a riprenderselo, che fosse tornato nelle mani di Aesis.
Lo aveva tenuto lui per tutti quegli anni? Quando lo aveva trovato? Elyim stesso non ricordava quando lo aveva perso, motivo per cui non lo aveva mai cercato, si era rassegnato convinto che fosse una debole punizione dei suoi Dei, degli Dei che pregava Aesis, di lei stessa che voleva levarglielo. E lui non si era comunque mai fermato, aveva solo lasciato che la familiare sensazione di sentirlo a contatto con la sua pelle svanisse.
La donna se lo passò tra le dita, per poi voltarsi verso di lui e sollevarsi con la schiena dritta, il pugnale in mano.

«Ti posso liberare solo perché sei un mezzo Efir come me. Vedi di non fare strane scenate o ti ci sgozzo col coltello.» Si avvicinò a lui.
«Mettilo giù.» Elyim sentì la propria voce scurirsi.
«Non ti allarmare, è per le corde.»
«Non parlo del pugnale.»
La donna si tirò poco indietro, Elyim sentiva dentro di sé la magia ululare dalla frustrazione, l’ilarità di un momento prima era svanita sotto l’agitazione che lo scuoteva.
«C’era qualcosa qui?»
La voce di un uomo li raggiunse, Elyim non voltò lo sguardo ma tenne gli occhi fissi sulla donna, che con un piccolo balzo si fece indietro.
«Quasi nulla...»
«Direi che c’è molto più di nulla, una vera sacca d’oro.»
Elyim voltò la testa a quella affermazione, un uomo ben vestito sostava dinanzi la porta, portava una tunica elegante con un gilet elaborato, sandali di cuoio e un turbante bianco e ben sistemato, aveva una lunga barba scura e riccia i capelli coperti, in mano teneva una valigetta ben chiusa, gli occhi neri lo osservavano e le rughe sul suo volto si erano mosse per un’espressione di sorpresa e compiacimento nel vederlo.
«Ladri ben vestiti? Cos’è lei è quella che va avanti e voi prendente il bottino?»
«Sono un mercante in realtà, questa seconda mansione è per arrotondare, di solito non dovrebbe esserci nessuno nella cabina di mattina.» Sembrava sorridere. Elyim doveva dargli ragione, nessuno portava cibo alle cabine e per mangiare era necessario spostarsi, non che vi fosse una sala ristorazione, ma quantomeno si potevano avere delle provviste.
Elyim doveva ammettere che sarebbe volentieri uscito anche solo per sgranchirsi le gambe dopo una notte passata lì dentro, e sicuramente era il genere di pensieri su cui si basavano quei ladri.

«Trovandola chiusa credevo ci fosse qualcosa di estremo valore.»
«Beh non ti sei sbagliata, ci sono io.» sorrise Elyim, per poi tornare a guardare l’uomo che si era fatto avanti nella cabina.
«Siete un mezzo Efir, uno schiavo?»
«Non mi piace parlare quando sono legato...»
«Rimediamo subito.»
Quell’uomo aveva un che di predatorio nello sguardo mentre lo osservava, Elyim era conscio di avere i capelli e gli occhi liberi dalle protezioni, anche le sue orecchie a punta erano visibili, ma c’erano poche probabilità che potessero riconoscerlo. Al contrario con l’arrivo di Dokor non era sicuro che la loro copertura sarebbe durata. Doveva tenere sotto controllo quella sensazione di pericolo che sentiva aleggiare nella stanza. Qualcosa da quella valigetta sembrava chiamarlo.
Nel suo petto un battito gli sfuggì e una sensazione di richiamo si scaturì lungo il suo corpo, fuoriuscendo da lui in modo fluido come la sua magia, riuscì percepire quando si collegò a qualcuno, la sua urgenza crebbe fino a che i suoi occhi non furono calamitati all’entrata.
Dokor comparve sulla soglia, aveva il telo sul volto ma gli occhi scintillavano di serietà, il pugno era chiuso lungo il fianco e i muscoli erano in tensione, sembrava essere scattato lì vicino e qualcosa sotto le costole di Elyim smise di agitarsi.

La mezza Efir e l’uomo si voltarono verso di lui, per fortuna non vi fu nessun riconoscimento ma Elyim rimase attento e tenne alta quella sensazione di vigilanza che sentiva premere nella sua testa.
«Cosa succede qui?»
«Una visita.» Elyim sorrise, senza staccare gli occhi da Dokor, lui sembrò capirlo al volo.
«Fuori.»
«Mi scuso per l’intrusione, avete un aspetto familiare, vi conosco?»
Dokor fece un passo nella cabina, posando gli occhi verso la sacca aperta e verso la mezza Efir con il pugnale ancora in mano. L’uomo con la valigia non sembrava per nulla preoccupato, come fosse pronto a contrattare con semplicità. Si passò una mano sulla tunica, come se fosse perfettamente a suo agio, ma Elyim poteva vedere che anche il suo corpo era in tensione.
«Non credo, ora fuori. Se siete ladri non chiamerò le guardie ma dovete andarvene ora.»
«Sono una mercante, anche io mi occupo delle fate del deserto...»
Elyim portò lo sguardo alla valigetta, lungo la gola sentì risalirgli un conato di disgusto.
«Non c’è nessun affare qui da portare avanti. Lui mi appartiene.» Il tono di Dokor su gutturale e benché Elyim sapesse che quella recita era necessaria, un lieve pizzicore gli solleticò i polpastrelli, gli succedeva spesso quando provava emozioni forti. Ricordava che quando era ai tempi dell’accademia non era in grado di gestirla e parte della sua magia veniva rilasciata nell’aria.
«Io glielo avevo detto che è un giochetto privato tra di noi… preferisco farlo in privato però.» Elyim indicò con le dita le corde, piegando la testa di lato mentre osservava l’uomo nel mezzo della stanza.
«Molto bene, questa volta non abbiamo fatto bene il nostro lavoro Felyana.» L’uomo svirgolò con gli occhi verso la sua partner, con un solo cenno la fece allontanare dopo che Elyim si sentì finalmente i polsi liberi. «Usciamo adesso. Terremo fede al nostro patto, spero che lo farete anche voi» la voce dell’uomo sembrò mantenere una lieve nota di minaccia e consapevolezza. Dokor si fece da parte per farlo passare, senza mai staccare gli occhi da lui, un predatore pronto ad attaccare, esattamente come un serpente sotto la sabbia.
Elyim si mise seduto più dritto, dentro di sé l’urgenza di colpirli si fece avanti e con gli occhi osservò tutta la cabina, non aveva nulla a portata di mano. La donna, Felyana lo osservò, ed Elyim ricambiò lo sguardo assottigliandolo. Dokor la bloccò prima di uscire, afferrandole il polso con cui teneva il pugnale.
«Questo lo riprendo io.» Glielo sfilò.
«C’è anche altro che devi restituire.»
La donna si voltò appena verso Elyim, tirando fuori dal taschino il braccialetto che aveva preso. Dokor spalancò appena gli occhi e lo prese immediatamente in mano, chiudendola poi a pungo, come se non volesse farglielo vedere. In quel momento Elyim ebbe l’impulso di pugnalare anche lui.
Dokor chiuse con un tondo la porta nuovamente dietro di lui, chiudendola a chiave per poi levarsi con un gesto seccato il velo intorno al capo e voltandosi verso di lui.
«Che diavolo credevi di fare?»
Elyim sollevò un sopracciglio. «Di che parli, credi fossero con me?»
«E con chi sennò? Guarda caso sono entrati quando eri solo.» La sua voce era colma di sospetto, ma ripose il pugnale nella sacca, Elyim fece giusto in tempo a scorgere il brilluccichio dorato.
«Sarei dovuto essere fuori anche io, sospetti di cose stupide. Se non mi avessi legato mi sarei volentieri fatto un giro, ho il culo quadrato a forza di stare seduto. E poi se fossero stati miei alleati ti avrebbero combattuto, non hai una reputazione doro nell’Arkadia.» Elyim si sollevò stirando le braccia e la schiena, i suoi muscoli si tesero. «E poi perché attirarti con una sensazione di pericolo?»
«Non sei l’unico a saper comprendere le situazioni, sei stato catturato, potresti aver parlato. Non credo stenderanno striscioni per te. L’Arkadia mette davanti a tutto i risultati non i singoli.»
Elyim imprecò. «Bene, allora se lo sai smetti di fare il paranoico. Sei calato bene nella parte.» Dokor lo tirò su di peso e lo sbatté contro la parete dietro di lui. «La smetti di giocare? Di chi è la colpa se non mi posso fidare? Non ti guardi nemmeno indietro, sei ripugnante.»
Elyim strinse gli occhi offeso, allontanandolo con una spinta «Da che pulpito, io ho solo preso le mie decisioni, non riversare la tua frustrazione su di me.»
Si osservarono con tensione crescente, Elyim aveva abbandonato la sua solita posa, si sentiva più curvo, più concentrato sulla minaccia che era legato a lui da un vincolo. «Da quando hai quel bracciale.»
«Non devo risponderti.» Dokor sembrava pronto a saltargli addosso da un momento all’altro.
«Mi appartiene.»
«Ti apparteneva. Non è più tuo, ne hai perso il diritto tempo fa.»
Elyim si strabbuzzò gli occhi, avrebbe voluto nascondere il suo disappunto ma non ci riusciva, credeva di poter gestire meglio la situazione. Decise di lasciare cadere l’argomento, non era il momento adatto, se lo sarebbe ripreso.
Perché lo ha tenuto? Per ricordarsi il suo odio di sicuro.
Dokor sistemò la sacca con una imprecazione, Elyim strinse le labbra tornando concentrato. «Non erano dell’Arkadia? O di qualsiasi altra organizzazione?»
«Nessuna in cui io sia coinvolto, Per gli antichi non vorrai darmi la colpa anche della presenza dei ladri? Dalla alle vostre stupide guardie! Anche volendo non potrei mandare un segnale con la mia magia, un bambino è più forte di me.»
Elyim rimase in piedi continuando a stirarsi i muscoli, inarcò la schiena con un mugugno di piacere. Dokor finì di sistemare ciò che avevano, senza rispondergli ma senza smettere di tenergli gli occhi addosso.
«Anzi, dovremmo ucciderli.»
Dokor si voltò osservandolo. Elyim si portò indietro ciocche di capelli, disfacendosi la treccia e facendosene un’altra più stretta. Odiava non avere le sue tre dita meccaniche, era più lento anche in una semplice azione come quella.
«Non sappiamo chi sono, ma il mercante sembrava sospettare, potrebbe riferire qualcosa e salterebbe tutta la tua bella copertura.»
«Non uccideremo.»
«Se tu non hai il coraggio lo faccio io. Ma lasciarli vivere è una cosa stupida! Ma come hai fatto a diventare generale con questa spicciola moralità che ti ritrovi? Funziona solo con chi dici tu eh?»
Dokor strinse il pugno, chiudendo la sacca con un gesto secco e prendendo le sue vesti. «Ho detto che nessuno ucciderà nessuno. Se proverai a fare qualcosa ti lego di nuovo.»
Gli lanciò la veste e il velo che Elyim si sistemò sul corpo, prendendo poi gli occhiali da copertura e sistemandoseli sulla testa.
«
È un rischio stupido.»
«Potrebbero non averci riconosciuto.»
«Non lo puoi sapere!» Esclamò con irritazione.
«Avrebbero potuto ricattarci di più, non lo hanno fatto. Ce ne andremo e spariremo nella prossima città.» il suo tono era pratico, trattenuto, anche lui aveva letto la minaccia nei loro occhi ma si rifiutava di agire. In quel momento aveva il forte istinto di volerlo picchiare. «Direi che hai abbastanza uccisioni sulle tue mani.»
Elyim strinse le labbra e le mani a per un momento, dimenticava sempre quanto odioso potesse essere il piedistallo dove lo vedeva sempre arrampicarsi. «Le tue continue lusinghe mi faranno montare la testa prima o poi.» Rispose con sarcasmo, era certo che per quanto dolore potesse provare, avrebbe sempre trovato una risposta ironica dietro cui celarsi. «Quale è la prossima città?»
«Badain Aral.»
Elyim sollevò la testa di scatto. «Quanto staremo?»
«Il tempo di trovare un modo per spostarci, seguiremo la via del mercato, è la più frequentata ma anche la più veloce.»
Dokor lo osservò per un lungo momento mentre la monorotaia rallentava per l’avvicinarsi della meta. Elyim aveva sempre odiato quella città, da lì partiva il giro di schiavi che dilagava per tutto il deserto, una autentica città mercato, niente contava di più se non il profitto e la vendita, solo lunghe file di schiavi in catene, di pezzi di corpi da cui sentiva scaturire la magia, di carovane e gabbie immerse nella sabbia.
Era la prossima città da attaccare. Non ho idea se sia già avvenuto o se avverrà a breve.
Decise di tenere quell’informazione per sé, stringendo le labbra e abbassandosi gli occhiali sugli occhi, Dokor avrebbe potuto intuire qualcosa solo dal suo sguardo.
Avrebbe dovuto nascondersi meticolosamente, si tirò su il cappuccio dopo aver coperto le orecchie con i capelli legati, ogni traccia del rosso venne coperta, indossò i guanti neri coprendo le unghie spezzate, i moncherini e i segni delle corde sui polsi.
«Ci sei stato?» Dokor si mise il telo sulla testa dopo essersi legato i capelli in una coda bassa ed essersi sistemato la sacca sulla schiena.
«Solo per un paio di notti.»
«Quindi è qui che ti sei nascosto, qualche tuo amante ti ha aiutato a fuggire?»
Non sapeva dire se il risentimento in quella voce riguardasse la sua attiva vita mondana o solo l’idea che fosse fuggito sotto gli occhi di tutti. «Non avevo amanti quel periodo, lo sai.» Rispose serio.
Era inutile dirgli tutto, non avrebbe avuto importanza. Era riuscito a fuggire grazie a un piccolo nobile venuto in visita alla corte esterna del Dekaetum, figlio di mercanti e schiavisti che avevano
fatto la loro fortuna. Ricordava quanto quell’uomo, Mirio, si fosse invaghito di lui, delle sue azioni e fosse affascinato dalla sua magia, lo aveva ammaliato con i propri propositi nella testa e dopo era fuggito quando questo lo aveva portato abbastanza lontano da Bagrad. Sperava solo di non rincontrarlo.

Dokor fece spallucce come per liquidare il discorso, non sembrava interessato a ricordare nulla.
«Potrebbe essere stato uno di loro a lanciare il vincolo.»
«Dici per gelosia?»
«O per salvarti. Ti ha evitato la condanna.» Elyim sollevò un sopracciglio davanti il sorriso nervoso di Dokor.
«Invidioso?» Voltò lo sguardo dilato. «Comunque è difficile, non ho mai instaurato rapporti profondi.»
C’era un periodo in cui credevo di sì.
«Non è all’interno del vostro circo che andate a letto tra parenti e altro? Ognuno di voi avrà circa tre amanti a persona, perciò sentiamo...»
Dokor si portò una mano sulla nuca scrollando le spalle. «Non ho avuto tempo, tutte le persone con cui sono stato lo sapevano.»
«Qualche nemico?»
«Escluso il peggiore?» Lo guardò, per poi sollevare gli occhi verso su. «Credo tanti, con l’accezione allargata di questa parola e non solo nell’Arkadia.»
Elyim rise appena, non voleva prenderlo in giro, rise con autenticità. «Abbiamo ancora molto in comune vedi? Ma almeno possiamo dire che, per ora, possiamo escludere la persona in cima alla lista.» Gli sembrò di vedere Dokor sopprimere un sorriso.
«La lista è troppo lunga e credo non avrebbe senso, se qualcuno avesse voluto colpire me o te lo avrebbe fatto direttamente, questo vincolo è quasi personale, è servito qualcosa di individuale come il mio o il tuo sangue per iniziarlo, è qualcuno che ci conosce da vicino.»
Elyim annuì, forse sapeva chi poteva essere stato, ma perché non lo aveva avvertito?
«Di questo passo non capiremo mai chi è stato. Sei stato a letto con qualche Efir? Deve essere qualcuno che sa ben usare la magia, quindi o un discendente come me, la tua bella cerchia o qualche gilda invidiosa.»
Dokor sembrava provato dall'argomento, gli occhi saettarono verso di lui mentre si grattava la testa sconsolato, Elyim dalla sua aveva gli occhi nascosti, qualsiasi guizzo li avesse colti Dokor non avrebbe potuto leggerli. Non sapeva nemmeno lui perché volesse sapere quella informazione, si era detto di smettere di pensare al passato.
«Adesso è inutile scervellarci, andiamo dal Jiin, lui saprà liberarci dal vincolo, dopo...» Dokor si fermò, effettivamente nessuno di loro aveva pensato a un dopo, non insieme. Entrambi erano consapevoli che da quel momento in poi il dopo avrebbe avuto due concezioni diverse per ognuno. Si osservarono per un momento, riflettendo entrambi sulla conversazione, senza parlare.
«Non sarà facile e dobbiamo sbrigarci, i vincoli si evolvono in maniera autonoma, sono un flusso vivo e autonomo una volta scagliati. Non possiamo sapere cosa succederà dopo e come ci colpirà.»
«Lo so.»
Uscirono dalla cabina nel momento in cui la monorotaia frenò fermandosi definitivamente, uscirono dalla cabina.
Non ci sarà nessun dopo.
 

Angolino
Grazie mille a chi legge >.<

   
 
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