Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Greenleaf    20/01/2024    1 recensioni
Levi Ackerman, capitano imbattibile e uomo dalla lingua tagliente, ora ridotto su una sedia a rotelle. Sarebbe questa la sua grande vittoria? Forse è solo uno scherzo del destino, una penitenza da scontare. In fin dei conti lui ha sempre e solo sofferto. Nel suo cammino, ad un certo punto, si interpone una donna tutta pepe, che non riesce proprio a stare zitta in sua presenza. Sarà l'ennesimo castigo? Levi non la tollera, vorrebbe starle lontano e godersi il resto dei suoi giorni in completa solitudine.
Ma ovviamente, ogni cosa va per il verso sbagliato.
E chi l’avrebbe detto che, dopo la fine di una guerra, avrebbe dovuto affrontarne un’altra, completamente disarmato. Contro una donna. Non una donna qualunque, ovviamente, ma una con la lingua troppo lunga.
Genere: Hurt/Comfort, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Levi Ackerman, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Ed eccomi con una nuova storia. A differenza dell’altra che ho pubblicato (e che dovrò presto revisionare) questa è totalmente diversa: meno cruda, meno volgare, per nulla dark, meno spicy (le scene di sesso alla vaniglia non sono spicy, non credete?). È ambientata dopo la fine del manga/anime e tratterà di alcune tematiche delicate e d’attualità, tra cui l’asessualità (ma c’è altro. Lo scoprirete al prossimo capitolo). Mi sono documentata parecchio, in quanto sappiamo ben poco sull’argomento. Addirittura alcune persone scoprono di essere asessuali dopo la visione di alcuni video o dopo la lettura di alcuni libri. Ci sono davvero pochissime informazioni, perciò, mesi addietro, per sviscerare l’argomento ho letto un libro, diciamo un libro e mezzo, con protagonisti asessuali: Love, Theoretically di Ali Hazelwood e qualche capitolo di Loveless di Alice Oseman. Il primo che vi ho citato è un romance con ambientazione STEM, bellissimo. La protagonista è asessuale e aromantica. Penso che  sia stata una lettura molto interessante. C’è solo un piccolissimo problema: non sono purtroppo Ali Hazelwood, quindi non aspettatevi niente di che.
In realtà questa storia è nata dopo la lettura di C’è sempre un domani di Kamony qui su Efp che tratta il mio stesso tema. Storia che si sta rivelando bellissima. E tengo a ringraziarla per essermi stata d’ispirazione e per il sostegno e l’aiuto che mi ha sempre dato. Potrei tessere le sue lodi ed occupare una pagina di word, ma penso che lei stessa con la sua bravura riesca a farsi valere meglio delle mie parole. Quindi grazie tante per esserci stata. E ovviamente grazie a tutti coloro che vorranno leggere o semplicemente dare un'occhiata.
Approfitto subito per informarvi che la prossima volta che ci vedremo sarà tra circa dieci giorni. Ho due storie in corso e devo occuparmi di entrambe. Chiedo venia.
Detto ciò, vi lascio e vi auguro buona lettura. Per altre informazioni ci rivedremo alla fine, altrimenti rischio di spoilerare il prologo.
 
 

 
 
 
Il nostro lieto fine


 
 

Il paradiso non è un posto in cui vai quando muori,
è dentro la persona per cui vale la pena morire.

Ti ritroverò, Adeline (Il gatto e il topo Vol. 2 H.D. Carlton)

 



 
Prologo

 
 
Passato


Il mare luccicava come un drappo di raso azzurro. Hanji estasiata continuava ad agitarsi insieme a Sasha e gli altri ragazzi. Era più insopportabile del solito ma non le dissi nulla, intimamente ero lieto di trovarla così entusiasta. Eravamo  giunti a Marley grazie al sangue dei nostri compagni e, passeggiare lungo la strada, con l’odore di salsedine ed il vociare perpetuo poteva considerarsi una vittoria.  Sprofondai le mani nelle tasche dei pantaloni e lanciai uno sguardo truce al pagliaccio che mi aveva offerto una caramella poco fa. Un tale idiota. Non mi avrebbe più infastidito, lo sapevo. La mia faccia era come una maschera da guerra.
Invece di godermi la giornata al sole continuavo a guardarmi alle spalle, a controllare i mocciosi, ad ascoltare le conversazioni di gente che nemmeno conoscevo. Ero teso e guardingo. Quel posto strano non mi convinceva né tantomeno gli uomini allampanati nei loro completi gessati.
 Qualcuno mi spintonò, altri mi fissarono incuriositi. Delle donne cercarono il mio sguardo e risero imbarazzate appena sollevai le sopracciglia. Che galline! Immaginai che i loro capelli dai colori sgargianti fossero più pesanti dei loro cervelli.
Superai delle bancarelle e mi fermai incuriosito da un piccolo oggetto ammassato tra mille cianfrusaglie. Si trattava di uno scrigno dalla filigrana dorata. D’un tratto la scatola si aprì rivelando un rivestimento di velluto rosso. Da lì sbucò una ballerina bianca che ruotava sotto le note di una dolce melodia. Era ipnotizzante. Continuai a fissarla per qualche istante di troppo. Mi accorsi che le mancava una gamba e che pendeva di lato, tutta storta. Eppure continuava a volteggiare nello scrigno, con determinazione e coraggio. Era strano come un insignificante pezzo di latta potesse risultare più intrigante della gente intorno a me.
“Signore, è interessato al carillon?” una vecchietta sulla settantina mi dedicò un sorriso gentile, indicando la ballerina con un dito.
Continuai a fissare la gamba spezzata poi alzai lo sguardo per incrociare gli occhi della donna. “No.” sistemai il cappello e girai i tacchi. Mi infilai tra la folla ma dopo qualche passo mi voltai per ammirare il carillon da lontano.
La ballerina continuava a girare quasi volesse sfidare la sorte, quasi volesse ammaliare me.


 
Presente


 
Dovevo sentirmi fiero per aver concluso la mia missione: avevo scoperto cosa c’era oltre le mura, avevo sconfitto i giganti, avevo ucciso Zeke Jaeger. Ma non riuscivo a trovare pace. Non potevo trovare pace. La vittoria mi aveva portato via i miei compagni, uno a uno. Si erano spenti come candele, rabbuiando il mio percorso e lasciandomi brancolare nell’ombra. Eppure, oltre la cortina di pioggia dentro al mio petto, vi era altro: speranza. La vedevo negli occhi di quei bambini che mi cercavano per sentire la mia storia, la sentivo nelle loro risate, la fiutavo nei loro respiri. Era intrecciata in quelle giornate così lunghe dove la solitudine mi costringeva a ripercorrere il mio passato a testa bassa. Con una mano sopra il petto, non per offrire il mio cuore, ma per scongiurare le mie colpe. Quei massacri, le serate a riempire fosse, le grida delle famiglie che avevano perso i loro cari. Era tutto finito, sebbene dentro di me percepivo come delle fiamme che consumavano un terreno spoglio e sterile.
Il cielo sfoggiava sfumature albicocca e rosa. Così allegre in contrasto al grigio perenne che colorava le mie ore su questa terra.
La mia sopravvivenza, forse, era una pena e basta, chissà. Non mi sarei sicuramente tirato indietro adesso che aveva inizio la vera sfida di sempre: vivere. E non sopravvivere. Dovevo conoscere il mondo di pace che ognuno dei miei soldati aveva bramato. Dovevo farlo per loro. Anche se non sembrava vero. Anche se non assomigliava più a quell’immagine eterea che brillava come l’oro.
“Ci sono ancora caramelle?” i mocciosi si spingevano e ridevano tra loro. Le bambine mi fissavano con sguardi teneri, i maschietti erano in fila davanti a me con le mani aperte.
Infilai le due dita nella cassa blu e trovai un lollipop rosa con una spirale azzurra. I bambini esultarono. Io mi imbronciai perché nella mia mente riaffiorò un altro ricordo: riaffiorò Hanji. Riaffiorano sguardi di stupore per quella terra sconosciuta che ci sembrava così perfetta ma che si era rivelata terribile. Proprio come lo era Paradis. Serrai le palpebre e porsi il dolce al bambino con il cappello rosso che lo afferrò con aria vittoriosa e scappò via da me.
“Posso averlo anch’io?”scostai velocemente gli involucri di plastica per accontentare un altro bambino. Forse quei dolci avrebbero di poco attutito le loro paure, avrebbero consolato i loro piccoli cuori. Gli porsi un altro lollipop. Era rosso. E dallo sguardo d’ammirazione del piccoletto intuii che lo avesse gradito.
Si fecero avanti altri bambini. Ed alcuni che avevano già ricevuto i dolci girarono intorno al gruppo per rimettersi in fila ed ottenere altre caramelle.
Dalle tende, ogni tanto udivo dei lamenti, lo scrosciare di piatti o il calpestio di piedi. Ma non ci feci caso. Continuai a frugare nella cassa per evitare di tornare a riposare nel pagliericcio che Onyankopon aveva sistemato per me. Mi imbroccai al solo pensiero.
Essere costretto in una sedia a rotelle, per uno come me, era una vera e propria tortura. E sentire la gente che si preoccupava non faceva che aggravare quel  fardello, rendendolo insopportabile.  Sapevo cavarmela. Lo avevo sempre fatto da quando l’aria mi aveva disteso i polmoni la prima volta che avevo visto la luce.
Quindi meglio accontentare i mocciosi che sorbirsi le lagne dei più grandi.
“Posso averne un altro blu?” con un ditino sulle labbra ed i codini storti una bambina si aggrappò ai miei pantaloni. Le avevo già dato una merendina, ma da come mi fissava non riuscii a negargli nulla.
“Bambini…” una voce squillante ruppe il momento tranquillo,  si infilò nelle mie orecchie e mi costrinse a voltare la testa. Dietro di me, trovai la proprietaria della voce.
Lei.
La Pazza.
Non c’era termine migliore per descriverla perché era pazza in tutti i sensi. E l’avevo incrociata solo qualche volta ma sapevo di non sbagliarmi. Era un po’ più alta di me. Capelli castano chiaro, un viso ovale, un sorriso teso sulle labbra. Occhioni nocciola che brillavano di determinazione. Sembrava uscita da un libro, non dalla guerra che aveva strappato a tutti noi qualcosa.
Sollevò la gonna nera e con aria decisa si avvicinò ad un bimbo che si era seduto su una cassa per gustarsi il suo premio. “Basta mangiare dolci.” Afferrò la caramella e gli accarezzò i capelli. “Risparmiateli per dopo. Altrimenti non mangerete nulla a cena. E di là stanno già servendo il riso. Forza, venite con me e mettete a posto le caramelle.”
Ovviamente i ragazzini non si mostrarono felici a quella richiesta. Misero il broncio e  alzarono gli occhi al cielo “Ma Irina…” le corse incontro un bambino.
“Ah no. Non mi guardate così. È un ordine. Posate le caramelle e correte a prendere il riso. Dopo mangiato vi farò assaggiare la torta di mele che ho preparato.”
“La torta alle mele. Yeah!” era così strano come quei bambini cambiassero umore per niente. Riuscivano a distendere un sorriso sulle labbra per una banalissima torta.
Il gruppetto la seguì tra una giravolta e dei saltelli. Si aggrapparono con le manine sporche di zucchero alla gonna della ragazza e la fissarono quasi con adulazione.
“Ma c'è solo una?”
“No. Ne ho preparate tante. Una sola non sarebbe bastata per tutti.”
“Dopo possiamo mangiare le caramelle?”
“Certo. Dopo aver cenato.”
“E la passeggiata?” speranzosa la più piccola del gruppo la guardò con l’indice sulle labbra.
“La passeggiata la faremo stasera come sempre.”
Si arrotolò le maniche, prese in braccio un bambino dalla pelle scura, gli diede un bacio e strinse la mano ad una mocciosetta con il muco che le colava dal naso. Camminò seguita dai bambini, quasi fosse lei stessa una caramella vivente pronta per essere scartata. Mi superò, ma ovviamente non mi risparmiò la sua occhiata colma d’apprensione.
Pertanto il mio cipiglio le fece aggrottare le sopracciglia. Respirò a pieni polmoni e posò ancora una volta gli occhi nocciola sul mio volto “La cosa vale anche per te. Vieni a prendere un piatto di riso con noi.” Il tono era basso, esitante. L’occhio destro si strinse palesando il nervosismo che nutriva.
“Risparmia gli ordini per i mocciosi.”
“Dovresti mangiare.” Insisté voltandosi. Non riusciva a tenersi in equilibrio così tirò su il bimbo prendendolo dal sedere.
“Dovrebbe non interessarti.”
“Vieni con noi.”
Quella donna…
Non risposi, serrai le palpebre percependo la sua occhiata trafiggere la mia pelle.
“Non abbiamo altro nell’accampamento. Ci hanno solo offerto del riso, pane e qualcosa in scatola tipo tonno, acciughe e funghi. Forza seguici, i bambini sembrano adorarti. Così mangeranno tutto anche loro senza fare i capricci.” In effetti gli occhi dei ragazzi si illuminarono all’idea di avermi tra di loro.
“Il problema non è il riso.”
“Guarda che la torta è anche per te.”
“Dalla agli altri.” feci scorrere i polpastrelli sulle ruote della carrozzella. Mi girai per dirigermi alla mia tenda, lontano dalla ragazza pazza che dava ordini a tutti e aveva gli occhi curiosi e tristi.
Avevo superato ben tre tende quando dietro di me la sentii urlare: “Va bene, te ne porto un pezzo più tardi.”
“A dopo signor Levi.” l’entusiasmo dei bambini mi investii come un’onda anomala. Ovviamente, niente di tutto ciò mi spinse a tornare indietro, tantomeno a voltare la testa per guardarli.
 


 
Note:
Vi ringrazio ancora per aver letto.
 Dunque, la parte iniziale la capirete più avanti, evito di dilungarmi oltre. Ci sono due scene in cui Levi sente di aver goduto di una vittoria: la prima è quando sono giunti a Marley, la seconda è alla fine della guerra. Solo che questa sensazione non è affatto positiva visto le perdite subite. Spero vivamente di essere riuscita a scrivere qualcosa di decente, con la speranza di regalare un po’ d’amore al nostro capitano preferito.
Dalle prime battute tra i protagonisti penso abbiate intuito che si tratti di un enemies to lovers. La storia è ambientata a Marley, nell’accampamento in cui abbiamo visto l’ultima volta Levi. Irina, che è la protagonista assieme al bel capitano, sarà veramente così spensierata come Levi pensa?
Vorrei dirvi già da adesso che le varie comparse altri non sono che le persone che abbiamo visto nelle tende nell’ultima scena di AoT. Ho dato un nome ai bambini e agli altri che vedrete nel corso della lettura.
Adesso vi lascio. Buona serata, a presto!
 
   
 
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