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Autore: Orso Scrive    21/01/2024    4 recensioni
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Una parodia in chiave horror dei numerosi canali di "ghost hunting" che spopolano su YouTube (almeno, la mia pagina principale ne è piena). Nota: i personaggi di questa storia sono apparsi in precedenza in altre mie storie, ma non è necessario averle lette.
Genere: Mistero, Parodia, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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III.

Venerdì pomeriggio, in una casa adiacente a un affittacamere senza clienti

 

 

“Il getto scrosciante della doccia impedì alla ragazza di sentire la porta del bagno aprirsi. I cardini mandarono un leggero cigolio, ma lei non lo percepì neppure. Forse il suo timpano lo fece, ma l’impulso che giunse al cervello venne fagocitato e frammezzato da mille altre sensazioni.

Tutta intenta a darsi piacere da sola, Hope non avrebbe sentito nemmeno una cannonata, se fosse esplosa in quel momento. L’acqua bollente le scaldava il corpo arrossato, il vapore le esaltava i sensi. Sensi che, però, erano tutti rivolti in se stessa, ai pensieri conturbanti che le stavano sconvolgendo la mente, mentre le sue dita lavoravano con ritmo sostenuto dentro di lei.

La sagoma si stagliò nella penombra del bagno. Il suo respiro era roco, e si sommava ai mugolii di piacere della giovane. La divisa da infermiera che si era tolta era abbandonata sul pavimento. Una mano guantata la sfiorò, tremando appena.

Poi la figura si rizzò e rimase per qualche secondo a osservare la ragazza nella doccia. Ne ascoltò i gemiti, ne spiò i movimenti, immaginò il piacere che, a ondate, si spargeva dentro di lei.

Il pugnale apparve come un’ombra di morte oltre la tenda. Poi calò, lacerando la tela. La lama d’acciaio penetrò a fondo nel petto di Hope, mozzandole il respiro. Impedendole persino di urlare. Cadde riversa sulla ceramica, arrossandola col proprio sangue. La mano continuò a muoversi dentro di lei, quasi obbedendo a un riflesso incondizionato. Poi il killer delle belle infermiere – come ormai lo chiamavano i giornalisti – strappò la tenda e si chinò su di lei, il coltello stretto in mano.

L’ultima cosa che gli occhi di Hope videro fu la sagoma di un uomo completamente abbigliato di nero, con un impermeabile e un cappello a tesa larga, i guanti di pelle e gli occhiali scuri sugli occhi.

La lama terminò il suo lavoro.”

 

«Uhm…»

Stacco le dita dalla tastiera, pensoso.

Non sono affatto certo del risultato.

La storia del killer delle belle infermiere continua a non convincermi troppo. Non è tanto l’idea in sé, a rendermi dubbioso. Un thriller basato sulla caccia all’assassino fa sempre la sua figura. Un classico Giallo, secondo la definizione che ne danno gli americani: sesso, sangue, intrighi, inseguimenti. Finora ha fatto fuori Crystal, Bella, Pamela (con l’accento sulla prima sillaba), Hannah e adesso anche Hope. La prossima vittima potrebbe essere Maddy, ma lei in teoria dovrebbe salvarsi, diventando l’eroina della storia. Oppure questo ruolo potrebbe averlo Tiffany, devo ancora capirlo con precisione. E poi, ho già in mente il colpo di scena finale: l’assassino non è altri che lo stesso Detective Malone che dovrebbe dargli la caccia e arrestarlo.

Storia già sentita? Può darsi. Ma dove la si trova, al giorno d’oggi, una storia mai sentita prima?

«L’importante è come uno la racconta», mi dico.

Però, è proprio questo che non mi sta convincendo. Mi sembra che manchi il tono, a questa storia. È come se non volesse crederci fino in fondo. E io con lei, ovviamente.

Sospiro e spingo indietro la sedia.

Mi alzo.

La bottiglia del Vecchio Jack, appoggiata accanto al computer, sembra invocarmi. Decido di ignorarla. A trentadue anni, non sono ancora tanto vecchio da potermi permettere di diventare un alcolizzato che non riesce a stare senza bere per più di cinque minuti – anche se, a dire il vero, il solo dire “trentadue” mi mette i brividi… ma perché non posso averne venticinque per il resto della vita? Cioè, senti come suona bene, “venticinque”…

«No, Vecchio Jack, scusami, sono ancora giovane», barbuglio.

Il fatto che, da quando mi sono seduto a scrivere, me ne sia già scolata una buona metà, non fa testo. Quello che uno fa mentre scrive non è controllabile o, tantomeno, giudicabile. In quel momento, lo scrittore è assente da se stesso ed è dentro la storia. Il suo corpo, quindi, agisce all’insaputa della sua mente.

«Ehi, che idea!» mi dico.

Altro che la storia di un killer frustrato e vendicativo che va in giro a far fuori belle infermiere perché, da piccolo, una di loro – la più bella di tutte – gli strattonò il pisellino, facendogli male. Potrei davvero pensare di mettermi a scrivere questa: uno scrittore che, mentre lavora al suo romanzo, vi si immerge a tal punto da non rendersi conto di star facendo davvero fuori tutta quella gente, della cui morte sente al telegiornale la sera, mentre consuma la cena.

«Forse è la volta che scrivo davvero qualcosa di decente», mi dico.

Vado alla finestra. Mi passo la mano sulla barba e allontano dagli occhi i capelli come al solito troppo lunghi, mentre guardo attraverso il vetro un po’ macchiato.

Dall’altra parte del cortile, l’affittacamere “La Tana di Orso” è tutto chiuso e vuoto. Circa un anno fa, quando la nebbia che caratterizzava questo posto è scomparsa, ho preso la decisione di chiuderlo. Solo che, al contrario di quanto avevo pensato di fare, sono ancora qui, in questa vecchia casa.

Qualcosa mi ha impedito di andarmene.

Forse, non me la sono sentita.

In fondo, in questa casa ne ho passate così tante, che andandomene mi sembrerebbe di lasciare qualcosa di importante. Orso se ne andrebbe, ma non del tutto; un po’ di Orso resterebbe qui. E io sono già abbastanza magro – diciamo pure scheletrico, via – da non potermi permettere di lasciare troppi miei pezzi in giro. Finirei coll’essere proprio invisibile. E, anche se a volte non mi dispiacerebbe possedere la facoltà di scomparire, preferisco che gli altri mi vedano, finché si può.

C’è stato un tempo in cui, quando avevo dei dubbi sulle mie storie, mi rivolgevo a Mary. Le raccontavo la trama e lei, dopo avermi immancabilmente detto “tu sei malato”, mi dava qualche consiglio molto utile. Adesso, però, Mary non è più qui. A volte mi domando se ci sia mai davvero stata, o se mi sia immaginato persino lei. Conoscendomi, ne sarei stato capace. E, però, mi manca. Cavolo, se mi manca.

Torno a sedermi al tavolo. La mia assenza è stata breve, ma non abbastanza da impedire alle bolle, le mille bolle blu, di cominciare a danzare come salvaschermo. Le guardo incantato per alcuni secondi, come spesso mi accade. Poi muovo il cursore per farle dissolvere.

Davanti a me, ricompare la pagina del testo. La solita lineetta lampeggia appena dopo l’ultima parola che ho scritto.

«Allora che faccio?» borbotto.

Non so di preciso a chi mi stia rivolgendo. Forse al mio gatto che dorme sulla sua poltrona (che poi, un tempo, era la mia)? Se è così, lui non mi degna di uno sguardo e continua a sognare di andare all’inseguimento di topi. Ma i topi hanno riflessi troppo acuti, per pensare che quel pigrone possa prenderne anche soltanto uno.

Che fare, dunque?

Proseguo con il killer delle belle infermiere, o passo subito alla scrittore assassino inconsapevole? Oddio, volendo potrei fare entrambe le cose. Due storie sono meglio di una, mi dico sempre.

Ma l’idea di cominciare qualcosa da capo, adesso come adesso, mi spaventa. Ho sempre orrore del vuoto, io. Ecco perché, quando vedo una pagina bianca, mi affretto a riempirla. E, al medesimo tempo, il pensiero di proseguire a far fuori infermiere che si masturbano sotto la doccia non è che mi ecciti più di tanto.

«Sai che faccio?» dico a chissà chi.

Forse, se mi sentisse adesso, Mary direbbe che sono matto da legare.

«Mi guardo un video su YouTube. Magari mi distraggo un attimo, e trovo un po’ di ispirazione.»

Apro la schermata principale del sito internet.

Come sempre, conosce i miei gusti e mi fa suggerimenti appropriati.

Video che trattano di storia, altri che parlano di misteri e di UFO, i videoclip dei miei gruppi e cantanti preferiti. Altri ancora con ragazze, più o meno belle – ma presumo che si tratti di gusti personali – che si provano abiti trasparenti. Oddio, a essere sincero, questi non è che mi interessino più di tanto. Un giorno, per caso, ne ho visto comparire uno e l’ho guardato. Da quel momento in avanti, nonostante i miei reiterati tentativi di fargli capire che no, le ragazze che provano abiti trasparenti non mi interessano, il sito continua a propinarmeli.

Lascio perdere l’ennesima tizia che mostra i capezzoli attraverso la tela di un abitino bianco e guardo cos’altro mi propone YouTube.

Ovviamente, abbonando i video dedicati al mio personaggio del cinema preferito, l’archeologo con la frusta e il cappello. Di fianco, ci sono alcuni esploratori che entrano in alcune case abbandonate per scoprirne segreti e meraviglie. Il faccione barbuto del mio cantante del cuore fa capolino praticamente di continuo.

E, sotto ancora…

«H.UL», leggo. «Hunters of Unusual. Questi mi sono nuovi, non li conosco. Be’, perché no? Proviamo a dargli un’occhiata.» Fisso lo schermo del PC, rivolgendomi direttamente a YouTube. «Sperando che poi, se non mi piacciono, non continui a suggerirmi i loro video, vero?»

Quello, proprio come il mio gatto, non si degna di rispondermi.

Tanto ci sono abituato, a essere ignorato. Uno in più, uno in meno, non fa differenza.

Schiaccio il segnalino triangolare che vuole dire PLAY e il video comincia.

 
   
 
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