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Autore: GLaDYS_Vakarian    25/01/2024    0 recensioni
Un Sangue di Drago vaga per la Zona Contaminata... la sua presenza potrà fare la differenza?
Selina ha viaggiato in lungo e in largo nei territori di quelli che una volta erano gli Stati Uniti d’America, giungendo infine nel Commonwealth del Massachusetts, troneggiato dalle rovine della vecchia città di Boston, i cui palazzi e i grattacieli diroccati sembrano ancora bucare il cielo. Ma quando poi il suo cammino si intreccia con quello di John Hancock, dovrà fare i conti con i suoi sentimenti e la sua stessa natura.
"Rotta la tenebra, la leggenda è forte. Perché il Sangue di Drago non teme la morte!"
Genere: Fantasy, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, John Hancock, Nick Valentine, Nuovo personaggio
Note: Cross-over, OOC, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Non sapeva stabilirlo con certezza, ma dovevano essere passati almeno due o tre giorni dal rapimento. Sel si trovava ancora sotto le grinfie dei predoni, ma Nora… Lei l’aveva persa.
  Dopo che i tre uomini le avevano caricate sul carro che le avrebbe portate lontano dalla loro casa sul lago si erano risvegliate in una capanna, sperduta chissà dove, chiuse in una gabbia coperta di ruggine come bestie. Sel veniva costantemente sedata o intontita con dosi eccessive di tranquillanti e sonniferi per fare in modo che non potesse reagire, ma da quel poco che riuscì a vedere attraverso la sua vista perennemente appannata capì che dovevano trovarsi nel bel mezzo di un bosco, scorgendo gli arbusti dalle fessure nelle pareti di legno e lamiera; a giudicare dai discorsi dei predoni, non dovevano trovarsi molto lontani da Boston.
  La prima notte Nora l’aveva schiaffeggiata nel tentativo di rinsavirla, quando finalmente erano state liberate dai lacci. Sel non rispondeva e non si muoveva, ancora quasi priva di coscienza. Sentiva anche un vuoto allo stomaco, non capiva se era solo fame o erano i farmaci. Nora allora si era avvinghiata a lei, l’aveva abbracciata e aveva pianto ancora, non appena i predoni avevano lasciato la capanna.
   « Mi dispiace, Nora. Mi dispiace così tanto… », aveva biascicato Sel come poteva, con voce ovattata. « Non ho saputo che fare. Solo… non volevo che ti facessero del male »
   « Non importa, tesoro. Non avresti potuto fare niente... non ti hanno lasciato scelta », le aveva sussurrato Nora, stringendosela più forte al petto. Ma Sel mosse la testa come a volerla scuotere. « È solo colpa mia se adesso siamo finite qui. Non ho saputo proteggerti come invece avrei dovuto… Sono stata una perfetta idiota »
   « Quel che è stato ormai è stato, tesoro. Non incolparti per questo, gli sbagli li fanno tutti. Adesso siamo qui, e non possiamo tenerci al sicuro »
   « Non in questo modo dovrei sbagliare. Non nel Commonwealth », la corresse lei.
La guancia di Nora era ancora coperta di sangue secco, ma il taglio dovevano averglielo ricucito mentre erano ancora prive di sensi: Sel l’aveva guardata e aveva rabbrividito.
   « Non fa poi così male… », si era affrettata a rassicurarle l’amica, notando la sua reazione e alzando la mano per sfiorarsi la sutura. « Non pensavo nemmeno che l’avrebbero sistemata davvero, o almeno non così bene. Ma dobbiamo trovare il modo per andarcene da qui. »
Sel aveva annuito con fiacchezza e riabbassato lo sguardo, tornando a riposare. Nora, senza staccarsi da lei, era invece rimasta ad esaminare l’ambiente raffermo della capanna.
Si era lasciata andare in un lungo respiro nervoso. La sua vita era sempre stata un libro in cui c’era una sola pagina che si ripeteva all’infinito da quando si era ritrovata catapultata in quella realtà, ma se proprio avesse voluto che ci fosse stato un cambiamento, adesso era agli estremi. Stava succedendo davvero, o era finita in un film surreale?
“Idiota…”
   « Chiuso », aveva esalato delusa Nora. « Non vedo nemmeno niente che possa tornarci utile: niente che sporge, né qualcosa che potremmo utilizzare come-- »
  Un rumore improvviso e troppo assordante da sopportare le aveva fatte trasalire entrambe. Sel, per lo stato in cui si trovava, aveva sentito quel rumore molto più amplificato, come se avessero gettato una bomba sopra la capanna e aveva sentito il cuore rattrappirsi, sicura che avesse addirittura mancato qualche battito. E aveva girato la testa: era venuto dalle sbarre metalliche della gabbia. Riedrich aveva alzato una Swatter e l’aveva fatta scontrare con violenza contro di essa.
   « Sta’ zitta cagna! », aveva sputato. « Da adesso in poi ci sono alcune regole da seguire. Devi tenere la bocca chiusa. Non voglio sentir volare una mosca. Se ti sento, ti legherò di nuovo e ti metterò un tappo in quella cazzo di bocca. A meno che non ti dica di-- »
   « Fottiti! », aveva abbaiato Nora alzandosi in piedi. « Non farò una sola merda di quello che mi dirai! »
   « Vedo che sei anche piuttosto prepotente. Forse ti strapperò la lingua. Non influirà troppo sul tuo valore, ma potrebbe fare un gran punto di forza e magari raddoppiarti il prezzo. »
  Le labbra di Nora si erano subito serrate così forte che le erano sbiancate, ma i suoi occhi arrossati bruciavano di rabbia. Sel, ancora stesa sul metallo freddo della gabbia, teneva le palpebre a fessura e stava fissando Riedrich.
   « Adesso si ragiona. Quindi, come stavo dicendo… non dovete parlare, se non ve lo dico io. Avrete cibo e acqua. Bobby vi porterà anche qualcosa per ripulirvi. Se non ne avrete voglia, saremo felici di farlo noi. »
  Le labbra dell’uomo si erano stirate in un sorriso malvagio e Sel aveva sentito i capelli e qualunque altro pelo che aveva in corpo rizzarsi al solo pensiero. Né in cielo né in terra avrebbe voluto che l’avessero toccata di nuovo, e tanto meno che avessero messo le mani addosso a Nora.
   « Quindi, rilassatevi. Ho già un acquirente per te, capelli d’argento », aveva fatto un cenno a Nora. « Tu invece finirai all’asta. Devo dire però che è un peccato rinunciare a due bocconcini come voi… mi piacerebbe tenervi qui e avere po’ di svago, ma sapete com’è; al momento abbiamo bisogno più di scorte che di fica »
   « No!... », aveva esclamato Nora. Sel l’aveva afferrata subito per un braccio per tenerla buona, ma lei se l’era scrollato di dosso con facilità da quanto la stretta era debole. « Vi prego, lei lasciatela andare. Se lo farete vi prometto che farò la brava, così potrete raddoppiare il mio prezzo. Ve lo prometto! Ma lei lasciatela stare... », lo aveva implorato.
Ma Riedrich, in procinto di andarsene, si era girato di nuovo nella sua direzione, l’aveva guardata per un attimo e l’aveva derisa con una risata. « Oh, che scenetta commovente. Purtroppo non si può fare, abbiamo bisogno di tutti i tappi che otterremo da entrambe. Adesso fate le brave, intesi? »
  Ed era sparito in un attimo.
  Nora, abbattuta, si era lasciata cadere in ginocchio e aveva respirato profondamente. Poi aveva guardato Sel accanto a lei, in un modo che non le aveva mai visto; e quello sguardo l’aveva spaventata tanto più che pensare a ciò che i predoni gli avrebbero potuto fare. Era messa parecchio malconcia.
   « Sel… oh, Sel! Non so più che fare. Non c’è via d’uscita a quest’incubo. Non abbiamo armi, non possiamo fare niente… », aveva sussurrato, singhiozzando mentre tutto il suo corpo tremava. Si era rannicchiata con le gambe premute contro il torace, affondando il viso tra le ginocchia e piangendo sommessamente, intanto che Sel cercava di trascinarsi più vicina a lei per stringerle la mano che penzolava sul suo lato.
   « Non ho potuto proteggere mio padre quando si è ammalato due anni fa », l’aveva sentita poi continuare, sempre sussurrando, e piangendo. « Earl probabilmente è morto e sarà sicuramente divorato da qualche bastardo feroce in qualche canale di scolo. E adesso noi stiamo per essere vendute come schiave a dei pervertiti malati. Fino a quando non si stancheranno di noi… allora sì che ci faranno saltare in aria il cervello o ci daranno in pasto ai Ghoul Ferali, come sport o solo per divertimento... »
  Sel aveva aumentato come poteva la stretta sulla sua mano, ma se avesse potuto l’avrebbe presa e scossa per farla tornare a ragionare lucidamente. Così si era semplicemente messa a parlarle, cercando di far suonare ferma la propria voce. Ed era rimasta sorpresa di quanto le parole le fossero uscite calme, ma non poteva fare nulla per la fatica che le era costata pronunciarle. Soprattutto, a quanto erano sembrate vuote.
   « Andrà tutto bene, penseremo a qualcosa. A un certo punto dovranno trasferirci, e quello sarà il momento migliore per approfittarne e fuggire. »
  Ma Nora aveva scosso la testa. Aveva perso la speranza. Sel aveva sperato che ci fosse stata una possibilità almeno per lei: come Sangue di Drago, era sempre sembrata una creatura apparentemente invincibile, che non ci fosse stato nulla che non potesse fare, che non potesse esistere qualcosa che potesse piegarla. Aveva giurato di proteggere gli innocenti, ma in quel momento si sentiva rotta per aver tradito la fiducia della sua amica. Si sentiva inutile perché non poteva fare niente.
Non esisteva nessun tipo di perdono a quello che le stava facendo passare, Nora era volitiva e gentile e, semplicemente, una delle poche persone migliori che Sel avesse mai incontrato. Ed era stato il legame che aveva con lei ad averla tradita. Non che l’avrebbe lasciata morire se fosse stato altrimenti, ma era stata proprio Nora il suo tallone d’Achille.
   « È stata colpa mia », l’aveva costretta a guardarla. « Senza di me ora non saresti qui. Mi dispiace, troverò qualcosa, non siamo ancora morte… »
  Nora aveva allungato la mano e aveva accarezzato i suoi lunghi boccoli, scuri come le ombre del crepuscolo, che in quel momento erano sporchi di polvere e parzialmente ammassati insieme al fango.
  La mattina seguente avevano mangiato del cibo in scatola, bevuto acqua purificata e si erano date una ripulita. Sel, dopo aver ricevuto la sua dose quotidiana di sedativi, si era dovuta far aiutare facendosi lavare corpo e capelli dall’amica – Bobby si era perfino girato dall’altra parte commentando che le donne lo disgustavano –, ma non appena si erano completamente asciutte erano venuti per Nora. C’erano state urla e pianti mentre la donna cercava di serrare le dita a quelle inermi della compagna. Sel, prima di perdere di nuovo i sensi, aveva visto Riedrich, Bobby e altri due predoni che non aveva riconosciuto legarle i polsi con una fune, intanto che Jack si assicurava che il Sangue di Drago si addormentasse. Alla fine, l’avevano imbavagliata.
  L’ultima cosa che Sel era riuscita a biascicare prima di vederla sparire era stato uno strascicato « Ti troverò! », ma non era sicura che Nora l’avesse udito da quanto l’aveva detto basso. Poi la porta della capanna le si era richiusa davanti, così come l’ormai familiare buio. Era rimasta sola. Sola e tramortita, in quella capanna triste e spoglia che la guardava.
Prima che il mondo sfocasse in nero, Riedrich aveva camminato verso di lei, e Sel aveva sentito chiaramente che doveva averle sorriso. « Non preoccuparti, musetto. Appena domani il sole sarà tramontato ti porteremo in città… »
 
~
 
Quella volta fu una dormita più lunga del solito, colta da strani sogni e da strane allucinazioni. A volte apriva di poco gli occhi, ma rimaneva in sospeso tra il sonno e la veglia; credeva di sentire qualcuno nella stanza che camminava o che le soffiava sui capelli, ma anche se ci fosse stato davvero lei non era in grado di reagire. Sentiva le braccia e le gambe paralizzati, senza che volessero rispondere alla sua volontà di muoversi. Riprese i sensi quando un barattolo di cibo e uno di acqua le caddero accanto all’altezza del viso. Era Bobby.
  Quella dose bastava giusto per evitare che deperisse, ma non era sufficiente per rimetterla in forze. Non poteva toccare cibo mentre in corpo le circolava ancora tutta quella droga, e il solo pensiero di mangiare le faceva salire la nausea benché lo stomaco brontolasse. A volte credeva di vedere delle cose strane o delle luci che si muovevano nella penombra della stanza, di udire cose che probabilmente non c’erano: “Questi strani fischi… è il rumore dei miei pensieri?...”
Se proprio non si muoveva la imboccavano loro; una volta aveva perfino provato a trinciare un dito a Bobby, ed era stata salvata solamente dalla considerazione che la “merce non si tocca”. Per quel poco che riusciva a stare sveglia continuava a premere la faccia tra le sbarre della gabbia, a chiudere gli occhi e concentrarsi solo sulla respirazione. “Tic-tac. Siamo dentro un orologio…”
In quei momenti si sentiva confortata almeno nel ricordare che Nora era ancora viva e che non era sola; rievocava il suo viso di fronte ai propri occhi, pregando i Divini affinché vegliassero su di lei. “Vi prego, tenetela al sicuro…” « Fah hin kogaan mu draal… », si metteva a cantilenare sussurrando. L’ultima volta che l’avevano lavata le avevano anche portato via tutti i suoi vestiti per sostituirli con altri più umili e dall’aspetto smesso, probabilmente saccheggiati da qualche parte, o a qualcuno.
  Durante il giorno la capanna diventava più luminosa. Più volte Sel si chiese come avrebbe potuto fare per togliersi da quel guaio mentre si trovava ancora in quello stato: neanche il Thu’um ormai era più tanto utile. Ma ogni volta, quando pensava al sangue che scorreva sul volto di Nora, sapeva che non poteva continuare a rimanere immobile, ma neanche fingere di essere drogata quando invece l’effetto era svanito poteva essere risolutivo, perché quei bastardi lo sapevano che avrebbe potuto sfruttare uno stratagemma simile. Si erano preparati bene, così che a periodi regolari le somministravano una nuova dose. Avrebbero potuto anche legarla, ma era evidente che non era necessario. Le corde tornavano solo quando avevano bisogno di aprire la gabbia. Qualunque scenario Sel vedesse, erano state entrambe catturate o erano rimaste uccise.
  Non aiutava. In realtà non era Nora che avevano voluto, ma lei. Nora era semplicemente stata il suo punto debole per catturarla ma anche un’opportunità in più. Doveva esserselo aspettato quando aveva deciso di fermarsi da lei, ma quel che era peggio, era che aveva acconsentito di continuare a farla vivere isolata in quel cottage... Ma alla fine, chi era lei per decidere dove le sarebbe piaciuto di più vivere?
  L’insediamento più vicino che avevano sarebbe stato certamente un luogo più sicuro e Sel era stata un’egoista. Aveva acconsentito alla sua richiesta solo perché voleva vivere da sola con lei, si era accorta che Nora nutriva dei sentimenti profondi nei suoi confronti. Ormai non aveva più importanza.
  Quando le ombre cominciarono ad alzarsi, una figura scura trapelò sotto la soglia della capanna: la porta si spalancò e qualcosa le cadde addosso, lanciato attraverso le sbarre. Arricciò il viso a contatto con il tessuto che le aveva solleticato il naso.
   « Vedi di cominciare a muoverti. Ce ne andiamo. »
Riedrich prese ad armeggiare al lucchetto intanto che Sel si sforzava a issarsi sulle mani e a mettersi seduta, poi l’uomo si avvicinò per legarle i polsi e le infilò indosso il lungo mantello che le aveva portato. Era di un tessuto ruvido che le raschiava la pelle, ma almeno non sembrava troppo sporco da avere le pulci; abbassò le mani e le nascose bene sotto i lembi. « Ti portiamo a Goodneighbor. Non appena avremo attraversato il cancello principale, abbassa la testa e rimani in silenzio, mi sono spiegato? Se ti verrà qualche idea strana, come metterti a urlare o a parlare con qualcuno, te la farò rimpiangere », mentre parlava le mostrava il  coltello, lo stesso col quale aveva tagliato la guancia a Nora. « È chiaro? »
  Lei guardò la punta della lama attraverso le fessure degli occhi, la testa dondolante. « Sì… » Tutto quello che stavano facendo era solo per spaventarla, non avrebbero mai potuto ucciderla, né ferirla. La trattavano in quel modo solo perché sapevano che in quel momento non poteva reagire, ma in realtà Sel fiutava la loro paura, sepolta sotto uno strato di arroganza e di falsa sicurezza.
   « Bene. Forza, adesso andiamo. »
L’afferrò per un braccio e attraversarono la stanza. Una volta fuori imboccarono un sentiero; era difficile per Sel vederlo chiaramente attraverso la penombra degli alberi, ma il carro che li aspettava aveva le lanterne già accese e Jack era seduto davanti. Sel e Riedrich salirono sul retro, anche se non era stato molto facile con lei mezza intontita, le mani legate e l’uomo aggrappatole addosso. Poi il predone le infilò la testa in un sacco di stoffa sporca e maleodorante, in modo che non potesse risalire al loro nascondiglio. “Come se il cappuccio largo del mantello che già ostruisce da solo non bastasse…”
  Le ruote scricchiolanti cominciarono a muoversi quando anche Bobby li raggiunse a bordo e Sel, nel buio, non riuscì più a tenere gli occhi aperti... non seppe per quanto tempo viaggiarono, ma scoprì che era notte quando Riedrich le diede una scossa per svegliarla.
  Le fu iniettato qualcosa, ma quella volta Sel percepì che era diverso: « Ecco, questo dovrebbe farti riprendere un po’ ma continuare a tenerti buona per almeno un paio d’ore. Dovrebbero bastare per completare il lavoro, dopodiché non sarai più un problema nostro. » Erano vicini a un ponte, ma dovettero abbandonare il carro per proseguire. Bobby rimase indietro con l’ordine di tornare a riprenderli il giorno seguente.
  Il ponte era lungo e malconcio, alcune parti dell’asfalto era crollate ma stava ancora in piedi. Sel avvertiva anche un odore come di acqua stagnante... era il Fiume Charles. Da lì si inoltrarono nel centro urbano deserto. A parte alcuni randagi e qualche Ferale avvizzito, la strada proseguì senza intoppi.
  Non era certo la prima volta che Sel vedeva le rovine di Boston, ma i suoi alti ed enormi grattacieli riuscivano a farle spalancare gli occhi ogni volta, anche se quella fu un po’ a stento. La gran parte di essi stava ancora in piedi, benché decadente; molti erano danneggiati o erano quasi accartocciati su sé stessi, c’erano macerie, automobili arrugginite e persino pezzi di edifici crollati o distesi qua e là sulle strade. Era una visione devastante, soprattutto conoscendo com’era stata la città prebellica. E ogni volta quel pensiero le infondeva una dolorosa tristezza.
Jack, di vedetta accanto a loro e con il fucile pronto contro qualunque minaccia, stava ancora tenendo nascosto il viso dietro la maschera antigas, il che l’aveva sempre lasciata perplessa. Non gliel’aveva mai vista togliere quando era in sua presenza... aveva paura dei fumi, per caso? Sel ebbe la propria risposta abbastanza presto, quando scorsero i cartelli vivaci e le insegne illuminate al neon che indicavano che l’ingresso di Goodneighbor era ormai dietro l’angolo.  Si sfilò la maschera e Riedrich ridacchiò quando sentì la ragazza irrigidirsi. Per lei era sempre stato inconcepibile che un Ghoul potesse darsi alla criminalità, anche se alla fine non poteva meravigliarsene.
   « Che c’è, non hai mai visto un Ghoul o cosa? » 
Jack si girò verso il compagno: « Tieniti la cagna vicino, non vogliamo che sappiano che stiamo facendo affari, qui. »
Riedrich tirò uno sbuffo infastidito, poi pose lo sguardo verso di lei. La studiò per un secondo e le tirò il cappuccio più giù sul viso per nasconderle meglio gli occhi, ricordandole ancora una volta che le stava tenendo la lama del coltello puntata contro la schiena, premendo leggermente attraverso il tessuto. « Non fiatare nemmeno. Se qualcuno ti parla, ignoralo e basta. »
  Lei non rispose e si lasciò strattonare per riprendere il passo. Presto si trovarono di fronte ad un’alta staccionata dall’aspetto piuttosto robusto, costituita da tavole di legno, lamiere e filo spinato che delineava i confini dell’insediamento e lo proteggeva dai pericoli esterni della città. Jack aprì la porta cigolante ed entrarono; il Ghoul per primo, Sel e Riedrich ad un passo dietro di lui.
  Anche se non riusciva a vedere bene riconobbe subito il posto. Nonostante il cappuccio e la vista ancora leggermente sfocata, uniti al buio che c’era, limitassero molto il suo campo visivo, Sel sapeva che erano finiti in una specie di minuscola piazza, con alcune botteghe ancora aperte e le persone che passavano. E che molte di esse erano Ghoul.
  La notte a Goodneighbor era rischiarata solamente dai lampioni che puntellavano le strade, dai lumi che le attraversavano da una parte all’altra a mo’ di addobbi festivi, dalle insegne al neon dei negozi e da poche vecchie lanterne storiche. L’aria era satura di fumo, droga e umido. L’irriconoscibile odore della malavita.
  Sel conosceva abbastanza bene quella cittadina, per cui sapeva anche che tipo di popolazione la frequentasse. A Goodneighbor c’era ristata diverse altre volte in passato, di solito per svolgere certi incarichi o per procurarsi le sostanze. Conosceva i giri più affidabili e più sicuri senza mai farsi notare, né tanto meno rivelando mai la propria identità. Ma nessuno, in quel momento, avrebbe potuto riconoscerla.
   « Ehi » chiamò una voce, attirando la sua attenzione.
Vide un Ghoul con un mitra tenuto nelle mani camminare rilassato verso di loro. Pareva lo sgherro di qualche gangster, vestiva un abito sporco a quadretti bianchi e azzurri, con cravatta blu e un borsalino del medesimo colore abbassato sulla fronte calva.
   « Siete qui per affari? », domandò.
   « Siamo solo di passaggio », gli rispose Jack con la medesima calma mostrata dalla guardia di quartiere. « Avevamo soltanto voglia di divertirci un po’ al Terzo Binario »
   « E… quello? », continuò l’uomo, indicando Sel in un breve cenno con la canna del mitra.
Jack e Riedrich la adocchiarono per un attimo.
   « Oh! È sua sorella, si sta riprendendo da un giro di Jet. Prima volta. Adesso la portiamo al pub e la facciamo divertire un po’… vero? », si affrettò a spiegare il Ghoul, cercando di essere il più naturale possibile.
  La guardia li scrutò uno per uno.
   « Bene. Non create problemi. O per lo meno non fatevi beccare… »
Ridacchiò della sua stessa battuta e li lasciò andare. Jack esalò un sospiro silenzioso e si girò verso il compagno, facendogli cenno di proseguire. Li guidò fino all’Hotel Rexford, nel quale Sel aveva pernottato poche altre volte. Era un albergo fatiscente che prima della guerra doveva essere stato piuttosto lussuoso, situato dall’altra parte della cittadina. Era ridotto a poco più di una topaia, bazzicato da clienti che cercavano un posto per smaltire la sbornia o farsi fino a svenire, ma un tempo era il centro di un fiorente mercato della droga; un tripudio di sostanze di altissimo livello, clienti stupendi e feste, molti anni prima che Sel giungesse nel Commonwealth. Era di proprietà di un certo Marowski, che adesso non faceva altro che starsene rintanato nel proprio ufficio a “disonorare la memoria dei suoi genitori”.
  Comunque fosse, benché le poche persone che ci lavoravano cercavano di mantenerlo come meglio potevano, l’hotel era sempre più comodo di una stuoia buttata per terra. Fecero il check-in, ignorando l’arroganza e la stizza dell’anziana receptionist, poi Sel venne condotta in una delle camere ai piani superiori e fu messa seduta su un letto a due piazze dall’aspetto poco igienico.
  Nel frattempo che lei cercava di capire l’ambiente e la situazione, i due predoni si cambiarono gli stracci che indossavano con degli abiti più eleganti e di colore uniforme, con giacca e cravatta. Si sentiva confusa, ma restava in silenzio senza fare domande. Le corde che le univano i polsi avevano scavato nella pelle e le stavano dando prurito, ma era ancora sopportabile.
   « Okay », sospirò infine Riedrich rivolgendosi a Jack. « Dovrebbero iniziare presto, giusto? »
   « Sì, probabilmente sono anche già lì. Patterson ha prenotato la stanza numero tre », affermò il Ghoul mentre finiva di sistemarsi il nodo alla cravatta, guardandosi allo specchio.
Riedrich per un attimo sembrò da un’altra parte. Dopodiché si girò, raggiunse Sel e la scrutò attentamente, a lungo.
   « Mi sembra che tu ti stia svegliando un po’ troppo, dolcezza… » Tirò fuori una siringa lunga e sottile dalla sacca che si era portato dietro, le scoprì un polso da sotto il bordo del mantello e le iniettò il solito liquido bluastro. Poi la costrinse di nuovo in piedi tirandola per il braccio.
  La mente di Sel vacillò per l’ennesima volta, ma non si sentiva di dover perdere i sensi. “Sa avere la delicatezza della mia grattugia”, grugnì irritata facendo anche una smorfia. Con tutto il liquido blu che il suo corpo era stato costretto ad assorbire in quei giorni, ormai doveva essere diventata un’aristocratica.
   « Come al solito, bocca chiusa e tutto andrà per il meglio. »
Scesero le scale, uscirono e svoltarono dietro l’angolo del grande edificio che si ergeva di fronte all’hotel, sull’altro lato della strada, dove s’insenava l’entrata della vecchia stazione della metropolitana sotto all’Ufficio Governativo. Sopra di essa, la familiare scritta al neon “Il Terzo Binario” scintillava con i suoi colori, illuminando i mattoni del breve passaggio. All’interno, di fianco alle scale che scendevano in profondità, stava di guardia un Ghoul alto e robusto, con i capelli grigi schiacciati sotto un elegante cappello e vestito con uno smoking pulito: come udì la porta muoversi, si alzò dalla poltrona sulla quale era comodamente seduto a leggersi una rivista, li guardò per alcuni istanti dall’alto in basso, annuì brevemente e li lasciò passare augurandogli una buona permanenza.
  Sel si morse la lingua. “Ham, ti prego, aiutami…”, pensò disperata.
  Non era cambiato nulla dall’ultima volta che vi era stata; come al solito il locale trasudava un caratteristico stile speakeasy, sotto una luce tenue per dargli quell’aria più soft oltre a nascondere la decadenza del tunnel in cui era stato allestito. Era un locale che offriva musica jazz, drink e buone probabilità di incontrare brutti ceffi. Su un palco, una donna strinta in uno sfavillante abito rosso si esibiva cantando e muovendosi sensualmente, diffondendo nella sala un’energia quasi mistica. Sel aveva amato la sua voce già subito la prima volta che l’aveva sentita, così elegante, così rilassante.
  Per un attimo si immaginò di poter perdere la presa di Riedrich, correre sul palco e gridare a tutti cosa stava succedendo, ciò che stava subendo, ma l’attimo passò e Sel venne trascinata in un breve corridoio con una porta chiusa sul fondo e sulla quale era scritto un grande “3” in vernice bianca. Jack vi si fermò di fronte e bussò piano. Alcune parole silenziose, e la porta si aprì.
  Si affrettarono in una saletta che all’apparenza sembrava essere stata una specie di area riservata ai dipendenti di quella che un tempo era la metropolitana, mentre adesso era piena di tavoli, piccoli e rotondi, divani e poltrone. I fumi di sigaro e sigarette serpeggiavano nell’aria chiusa e almeno una ventina di figure dall’aspetto vagamente losco erano occupate in conversazione, in piedi o sedute.
Sel cercò di fare marcia indietro con un debole passo, ma Riedrich la spinse in avanti finché non furono quasi al centro della stanza. Le chiacchiere basse si placarono e gli occhi dei presenti si fissarono sui nuovi arrivati. “Alla fine tutto andrà bene. E anche se non andrà bene… non è la fine” pensò Sel, cercando di infondersi un po’ di sicurezza.
  Un uomo dalla pelle vellutata e un borsalino bianco con fascia nera si diresse verso di loro per stringere la mano a Riedrich e dargli il benvenuto. Parvero intendersi con pochi brevi sguardi, prima di voltarsi e mostrare un grande sorriso sul volto:
   « Miei gentili signori, cominciamo? Vorrei innanzitutto ringraziare il nostro ospite, il signor Patterson, per l’incontro di stasera. Oggi i miei… colleghi – scandì quell’ultima parola con tono abbastanza circoscritto –, hanno portato un oggettino piuttosto interessante sui cui poter fare offerte. Diamogli un’occhiata più da vicino! »
  Jack tolse il mantello a Sel e sollevò la testa tenendosela stretta. Era ancora debole, ma non così tanto da essere assonnata, sforzandosi di non mancare della propria fierezza, né nello sguardo né nella postura. Nonostante la situazione. Nonostante l’umiliazione. Nonostante la stessero per pestare come si fa con gli zerbini. Era pur sempre il Sangue di Drago del Commonwealth.
  Non era spaventata, ma non era neanche poi tanto preoccupata: era semplicemente arrabbiata, ferita nell’orgoglio e bramosa di vendetta. Presto o tardi avrebbe potuto ribellarsi e fargliela pagare a quegli schiavisti, dal momento che non aveva più niente da proteggere, a parte sé stessa.
   « Quella che abbiamo qui non è una semplice giovane donna. Appare come un’umana, con i capelli color dell’ebano e la pelle di porcellana. Il tratto più interessante da osservare, come potete vedere, sono gli occhi: gialli e luminosi. Quella che avete di fronte non è una donna comune, signori miei... – fece una pausa ad effetto – È un Sangue di Drago. »
Dal pubblico si levarono brusii sbigottiti, ma anche preoccupati. « Come fate a tenerla qui? Non è pericolosa? », cominciò a replicare qualcuno.
White Fedora, come Sel lo aveva individuato tra sé, sorrise paziente.
   « Ovviamente, abbiamo preso delle precauzioni. Non c’è alcun pericolo, è del tutto inoffensiva. Non è Ferale, se è quello che temete, perché è una dei pochi Sangue di Drago ancora in circolazione a non aver perso il senno a causa delle radiazioni. Ma tornando a noi.
   « Nessuna cicatrice causata da vecchie battaglie o che indichi interventi chirurgici », proseguì. « Forte, resistente, adatta ai lavori manuali più estremi. Anche agricoli, se non vi viene nient’altro in mente. » Quell’ultimo commento sollevò alcune risate divertite. « Ottima per la difesa. Signori! Avete davanti a voi una merce davvero niente male... »
   « Dimostracelo », esclamò qualcun altro, interrompendolo. « Come facciamo a crederti sulla parola che ci stai vendendo un vero Sangue di Drago e non un Sintetico? »
White Fedora si vide costretto ad accettare la richiesta. Si girò verso Jack e gli fece segno di procedere.
Senza dire una parola, il Ghoul si mosse al suo ordine e da un alloggio interno della giacca tirò fuori un coltello da caccia e si mise a tagliuzzare i vestiti di Sel, la quale non provò neanche a ribellarsi da quanto si sentiva frastornata, ma il viso le divenne rovente e presto si ritrovò lì, completamente nuda, visto che le avevano portato via tutti i suoi indumenti.
  Sentì un vuoto improvviso allo stomaco. Quando si toccava il fondo, si poteva sempre scavare. Fu spinta a salire sul tavolo più grande presente, e quando volle cercare di rimanere accucciata, Jack si mosse di nuovo accanto a lei:
   « Alzati un attimo, o dovrò ricorrere a qualcos’altro per farti stare dritta. »
Lei allora si raddrizzò come meglio poteva, cercando di mantenere quell’orgoglio ormai abbattuto, rassegnata e pronta ad accogliere come una martire qualunque derisione. Parte del suo DNA era umano, e non poteva essere sbattuta come un trofeo o un oggetto da mostra di fronte a una platea di estranei. Il buio beato si librava attorno ai suoi occhi, aveva vergogna e un sincero pizzico di paura. Combatteva rimanendo priva di emozioni.
   « Trasformati », udì ordinarle White Fedora da qualche parte accanto.
Sel lo scrutò per una frazione di secondo, in silenzio. Poi chiuse gli occhi, e in un attimo il suo corpo mutò in una forma ibrida posta tra un’umana ed un rettile. Poteva anche sembrare un’arpia a una prima vista: il suo aspetto divenne più coriaceo, non era più gentile e innocente, ma aveva lasciato il posto a una creatura temibile e leggendaria, con i lineamenti duri e lievemente deperiti per incutere più spavento. Ma il suo sguardo, malvagio e attento, era ancora illuminato da quell’inconfondibile e delicato oro. Era strano credere che una creatura così spaventosa potesse incatenare a sé chi la guardava con occhi tanto profondi e solenni, belli come la luce del sole.
  Il suo nudo busto era al contempo sensuale, talmente perfetto da ammaliare gli uomini che erano presenti in sala, con seni non molto prosperosi che non intralciavano la sua frenetica attività fisica. Poggiava su due possenti zampe artigliate controbilanciate da una lunga e muscolosa coda, schermati da una carnagione dura e frastagliata in grado di resistere anche agli ambienti corrosivi; una sorta di “esoscheletro” protettivo costituito da squame, spuntoni e scaglie composte da materiali metallici, di un colore tendente a varie sfumature grigio argenteo, riflessi viola-caldo e azzurri come il ghiaccio, sulle squame e le scaglie più grandi. Era un’apparizione troppo fiera e troppo bella per trovarsi in quell’antro così sporco e decadente.
   « Quella che vedete è una creatura incredibilmente forte, capace di cacciare anche le prede più grosse. Le squame lucide e lisce indicano la sua giovane età e il suo buonissimo stato di salute. Quel che sappiamo dei Sangue di Drago, è che possiedono sensi altamente sviluppati rispetto ai normali esseri umani; una sensibilità olfattiva che gli permette di localizzare prede e nemici anche mentre sono in volo, a miglia di distanza dal suolo. Inoltre riescono a capire il mondo che li circonda tramite la prima ed attenta distinzione delle varie frequenze grazie a un udito sensibilissimo, capace di sopportare suoni e rumori forti senza riportare lesioni ai timpani. Insomma, avete di fronte una perfetta macchina e d’assalto un’ottima guardia del corpo! », White Fedora lanciò un sorriso smagliante al suo pubblico. « E, come potete vedere, nessun livido, nessuna ferita. È completamente intatta, per quel che ne sono stato informato. Diciamo dunque che potremo partire da un prezzo di… 100.000 tappi. » L’asta ebbe inizio, e si protese per tutto il tempo in cui Sel si trovò costretta in piedi sul tavolo come un soprammobile.
  Ascoltava basita ogni importo che ogni cliente era disposto a pagare pur di averla come raro oggetto da collezione, quando ad un certo punto White Fedora iniziò a parlare più forte: « Il Numero 2 offre 100.400 tappi, signori. Qualcuno offre di più? E lei, signore? Sembra che la desideri davvero! Che cosa…? 105.000? Signori, abbiamo 105.000 tappi dal Numero 5! Qualcuno vuole fare una maggiore offerta? Vi ricordo che questo tipo di articoli così di alta qualità non si trova spesso in vendita! Questo è l’unico ed autentico Sangue di Drago del Commonwealth!... »
  Il tempo sembrò non finire, finché qualcuno nel pubblico non gridò un rauco “120.000” e nessun altro parlò. White Fedora lo chiamò tre volte e l’asta giunse al proprio termine.
   « Venduta! Al Numero 19 per 120.000 tappi! Ora, un’anteprima dell’offerta che avrà luogo dopodomani. Abbiamo gli indumenti e l’equipaggiamento del Sangue di Drago qui presente, degli articoli da perfetti collezionisti straordinariamente unici nel loro genere oltre che di ottimissima fattura. Due Sintetici Gen 3 in condizioni eccellenti, un maschio e una femmina. Signore con il numero 19, posso chiederle di venire avanti, così possiamo concludere l’affare? »
  Venduta. La vita di Sel era stata venduta. Una parola che le avrebbe ronzato a lungo e incessantemente nella testa. Non ci poteva credere, era davvero stata venduta! Come altre della sua specie prima di lei, benché poche, da quel che aveva appreso con orrore dai discorsi che aveva sentito. Senza pure contare l’elenco a cui ammontavano tutte le altre persone, innocenti o no che fossero, che quei bastardi dovevano aver schiavizzato.
  Il solo pensiero le attorcigliava l’intestino. Non riusciva a immaginare cosa potesse essere successo a tutte le sue sorelle che erano state catturate e vendute, sane o Ferali, se erano qualcuno che lei aveva conosciuto prima della guerra o che aveva incontrato in quegli anni. Non riusciva a immaginare cosa avessero dovuto subire mentre erano tenute come schiave, né se erano ancora vive là fuori da qualche parte oppure se erano morte di stenti o erano state uccise.
  Vide Jack e Riedrich poco più distanti scambiarsi un cenno compiaciuto.
  Intanto che gli altri offerenti si rilassavano, si accendevano un sigaro o una sigaretta e continuavano a discutere o a contemplare (e indicare) l’aspetto ibrido di Sel, un uomo iniziò a farsi strada tra la folla. Riedrich allungò un braccio per aiutare la ragazza a scendere dal tavolo, ma prima di spostare un piede lei riassunse le sembianze umane, per non intralciare i movimenti e non ingombrare quello spazio già ristretto. Non era sicura di poter avere avuto il permesso per farlo, ma decise che avevano visto più che abbastanza. Centoventimila tappi. Se una come lei avesse proprio dovuto darsi un prezzo, a quella cifra si considerava praticamene regalata.
   « Ah, devo dire che ha davvero un buon occhio, signore mio », commentò White Fedora rivolto al suo cliente.
Il Numero 19, un Ghoul dallo sguardo cupo con un elegante abito nero, rispose all’entusiasmo dell’uomo e gli strinse la mano che gli aveva teso.
  Ma ancor prima che qualcuno dei presenti potesse rendersi conto di quel che stava per succedere, il Ghoul, invece di rilasciare la presa, si strattonò White Fedora addosso e Sel giurò di aver scorto un lampo argenteo tra di loro. L’uomo emise un suono sorpreso che in realtà non era stato proprio un grido, ma più simile al gemito strozzato che rilasciò quando si ritrovò l’intera lama di un pugnale affondata nello stomaco.
   « Diamo inizio alla festa, ragazzi! », ruggì il Ghoul, e in un istante la stanza cadde in un caos fatto di spari, urla e corpi che cadevano pesantemente.
  Sel si allontanò in fretta dal piccolo palco improvvisato per andare a ripararsi, strisciò sotto ad un tavolo addossato al muro e si rannicchiò nella speranza di rendersi il più invisibile possibile: l’effetto della droga non era ancora svanito, per cui non si sentiva in grado di approfittare della situazione per fuggire.
  L’infernale moltitudine di grida e di corpi che si accasciavano sul pavimento e sulle sedie si protrasse per pochissimi minuti, finché soltanto sette di loro non rimasero in piedi. Uno era il Numero 19, perfettamente incolume senza neanche un graffio; l’uomo che gli stava di fronte, invece, appariva gravemente ferito. Era Riedrich.
  Altri tre uomini, due Ghoul e uno normale, stavano puntando le loro mitragliatrici contro le ultime due figure rimaste presenti, intente ad alzare le mani sopra la testa con espressione arcigna. Nel disordine in cui la stanza versava, Sel individuò Jack sdraiato sulla schiena, a pochi metri di distanza da lei e la sua posa le fece capire che era morto.
   « Sei uno stupido, cazzo! », sbottò il Numero 19. Sembrò puntare quelle parole amare su un uomo con un completo bianco a righe azzurre, al quale il Ghoul si avvicinò con fare lento e minaccioso. « Marty “leccaculi” Patterson. Sapevo che stavi combinando qualcosa di losco in città, ma vendere la gente come schiava? Devi star perdendo un bel po’ di materia grigia in quel tuo cervello da ravanello per… Dannazione, è un’idea del cazzo! »
  Patterson cercò di ricomporsi, ma era evidente che se la stava facendo sotto. « Sei tu, Hancock? Ascolta, potremmo facilmente trovare un accordo » balbettò, ma venne costretto a zittirsi da uno degli uomini che gli puntava la bocca della canna del suo mitra alla tempia.
   « Pensi davvero che io voglia fare un accordo con una feccia come te? » La voce del Ghoul si abbassò talmente da risuonare quasi come un ringhio che gli raschiò tutta la gola, avanzando ancora di qualche passo. « Cazzo, pezzo di merda. Sarei più che felice di trasformare il tuo cervello in una melma viscida, ma per tua fortuna abbiamo bisogno di più informazioni su questo… tuo nuovo business »
   « Umpf! Questa città funzionava molto meglio finché c’era Vic. Ci sarà un nuovo Sindaco, un giorno! »
   « Amico. Guarda che è di me che stiamo parlando. Lascia che ti dica una cosa io… »
Mollò un pugno secco sulla guancia dell’uomo. Lui mancò d’equilibrio e rovinò a terra, schizzandosi di sangue la giacca pulita.
   « Chiama gli altri dal bar e porta questi stronzi al fresco », ordinò poi il Ghoul.
Uno degli uomini che sembravano essere al suo soldo si allontanò per andare ad aprire la porta e bussarci sopra un paio di colpi, che dovevano probabilmente essere un qualche tipo di segnale. Sel aveva già sperato che si fossero dimenticati di lei, così appena tutto sarebbe tornato tranquillo avrebbe potuto recuperare dei vestiti, liberarsi dei lacci che le bloccavano i polsi e andarsene da lì, ma il Ghoul girò la testa per affrontarla.
  Lei cercò di allontanarsi il più possibile e appiccicarsi contro il muro quando mosse i primi passi verso la sua direzione; aveva ucciso o catturato quegli schiavisti, ma ancora non sapeva esattamente da quale parte stesse, per quanto la riguardava. Per la strada raccolse il mantello che la ragazza aveva indossato per arrivare e Sel si puntò su un ginocchio per trovare equilibrio e una visuale migliore, cercando nel frattempo di coprirsi le parti intime.
  L’uomo distolse educatamente lo sguardo quando infine si chinò e le passò il mantello, anche se aveva già visto circa ogni centimetro del suo corpo, ma almeno dimostrò di averne rispetto. Con mani insicure Sel lo afferrò e se lo premette contro il petto.
   « Tutto bene, sorella? Mi spiace che sei finita in questa situazione. Vuoi che li tagli? » Le indicò le mani.
Sel esitò un momento, poi allungò lentamente le braccia verso di lui. Stavano ancora tremando senza che potesse averne il controllo, per cui l’uomo dovette sostenerla mentre tagliava le corde… ma il suo tocco era attento, non era aggressivo come quello dei predoni.
  Quando alla fine i lacci caddero sciolti sul pavimento, Sel sentì il sangue ricominciare a circolare adeguatamente, trasalì per la sensazione e rapidamente tirò indietro le mani per mantenere il tessuto premuto sulla pelle.
   « Grazie… », mormorò quasi in un soffio.
   « Sei ferita? »
Si concentrò su di lei mentre i suoi sgherri entravano nella stanza per scortare Patterson, Riedrich e l’altro schiavista fuori, insieme al resto dei presenti armati. Tra di loro Sel scorse che era arrivato anche Ham, il fedele e severo buttafuori del Terzo Binario.
   « No, credo di no. Ma non so se posso alzarmi… Penso che le mie gambe non siano ancora in grado di funzionare come dovrebbero »
   « Non preoccuparti, ti aiuterò io. »
La raggiunse con le braccia e lei immediatamente si rannicchiò ancora di più. Aspettò un momento, poi si allungò un altro poco e la prese delicatamente per le spalle, tirandola a sé per farla uscire da sotto il tavolo. Una volta in piedi le avvolse meglio il mantello indosso e se la strinse contro per darle un sostegno... Ma la verità, era che Sel non aveva più alcuna forza in corpo, non dopo aver vissuto quegli ultimi giorni sotto il costante effetto delle droghe e ridotta al minimo indispensabile per rimanere in vita.
  Iniziò così a scivolare di nuovo sul pavimento, e lui allora se la prese in braccio senza alcuno sforzo. La portò fuori dalla stanza e attraversò il pub divenuto improvvisamente silenzioso e vuoto, fino ad uscire all’aria aperta, in superficie.
Aveva cominciato a piovere.
   « Come ti chiami, sorella? »
Sel si asciugò il viso dalle gocciole d’acqua con un lembo della stoffa ruvida.
   « Selina. Mi chiamo Selina... ma tutti mi chiamano Sel. »
Lui abbassò lo sguardo per incontrare quello caldo di lei. I suoi occhi erano neri come la pece, privi di iridi e pupille evidenti, ma quel che più colpì Sel, era l’incredibile espressività di cui erano carichi.
E le sorrise. « Ciao, Sel. Io mi chiamo John Hancock. E sono l’umile Sindaco di Goodneighbor. »
 
 
 
Angolo dell’autrice:

Hancock è il mio personaggio preferito di Fallout: la primissima volta che l’ho incontrato mi ha fatto un’impressione molto… particolare. Mi è piaciuto fin da subito. Vedremo cosa avrà in serbo per Sel…
   
 
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