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Autore: La_Sakura    26/01/2024    8 recensioni
Nankatsu non è il Brasile, e se Tsubasa pare non rendersene conto, Keiko si trova a fare i conti con quella differenza. Nonostante sia giapponese, si sente un'estranea, una gaijin.
Le manca Cris, le manca il Brasile, ma soprattutto le manca la velocità, e lavorare non le basta per colmare quel vuoto che sente dentro; oltretutto, l'intesa storica con Tsubasa pare venir meno ora che lui è tornato nel suo mondo, e ciò contribuisce ad allargare la spaccatura fra di loro.
Come una ferita i cui lembi si sono rimarginati staccati l'uno dall'altro, ora che ha più bisogno di supporto si sente sola.
E, si sa, quando ci si sente soli si prendono decisioni che possono risultare discutibili.
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«Niente. Più. Gare.»
«Che c’è, hai paura che ti tolga il titolo di miglior pilota?»
«Pensi questo? Pensi che si riduca tutto a un “decretiamo chi sia il migliore tra noi”? Sai bene che non è così.»
«A me invece sembra che tu sia parecchio competitivo.»

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Serie "VeF - Velozes e Furiosos - sequel di "Velozes e Furiosos"
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alan Croker/Yuzo Morisaki, Nuovo personaggio, Tsubasa Ozora/Holly
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'VeF - Velozes e Furiosos'
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Velozes e Furiosos

Drift War

Shuzo attese che i suoi uomini aprissero il portone del magazzino, quindi entrò a passo d’uomo. Parcheggiò in mezzo allo spiazzo e scese sbuffando. Gaho lo raggiunse subito, premurandosi di chiudere la portiera prima di affiancarsi a lui.

«Allora?»

«Allora niente.» Shuzo sbuffò nuovamente, estraendo l’occorrente per rollarsi una sigaretta e poggiandosi col sedere alla sua scrivania «Ozora ha rifiutato.»

Gaho non replicò, ma sul suo volto era palese la sorpresa.

«So cosa pensi.» lo yakuza continuò nel suo discorso, portandosi la sigaretta alle labbra e cercando l’accendino «Ma è un osso duro, e avevo messo in conto un suo rifiuto.»

«Come pensi di procedere?»

«Lascerò che sbollisca un po’, e tornerò alla carica. Non sono uno che si arrende facilmente.» e, così dicendo, piegò le labbra in un sorriso sardonico. Gaho annuì, quindi si inchinò appena e arretrò di un passo, lasciandogli aperta la visuale sul magazzino.

Molti dei suoi ragazzi erano impegnati a controllare lo stato delle auto parcheggiate a lisca di pesce lungo la parete di fondo: chi cambiava le gomme, chi modifica l’assetto, alcuni avevano sollevato le vetture sui ponti mobili e ne osservavano la scocca inferiore alla ricerca di eventuali danni.

Terminò di fumare la sigaretta seduto alla sua scrivania: Gaho gli aveva lasciato alcuni appunti, per lo più relativi agli incassi del locale a Yamabuki che usavano come copertura per la maggior parte dei loro affari. Usare Nankatsu come base logistica per molti era uno svantaggio, ma per lui era un modo per tenersi fuori dalla capitale, dove gli sbirri avevano gli occhi molto più aperti rispetto alla sua città natale.

Aveva appena iniziato a contare delle banconote estratte dalla sua cassaforte quando Gaho lo raggiunse.

«È tutto pronto per la Drift War di stasera.»

Shuzo annuì.

«Ho proprio voglia di divertirmi.»

«Vuoi partecipare?» Gaho sgranò gli occhi, sapeva che difficilmente il suo capo si metteva allo stesso livello dei partecipanti.

«Nah, osserverò la gara dalla partenza: c’è un punto, sulla collina del tempio, da cui si vede tutto il percorso.»

Gaho annuì, e fece per allontanarsi, quando Shuzo lo bloccò nuovamente.

«E tu?»

«Io?»

«È un po’ che non gareggi.»

«La mia auto è ancora in manutenzione.»

«Perché non chiedi ai ragazzi di darci un’occhiata? Mi sembra che la tua officina di fiducia ci stia mettendo un po’ tanto… altrimenti possiamo sentire Ozora e la Noshimuri, sono bravi.»

Gaho arretrò di un passo, quasi come a volersi allontanare.

«No, non importa.»

Gli voltò le spalle e si diresse verso i meccanici, urlando loro qualche ordine a cui i più risposero in coro, facendo seguire un inchino. Shuzo si accese l’ennesima sigaretta, e scrutò il suo collaboratore, picchiettando le dita della mano sinistra sulla scrivania.

 

  • §§

 

Kei aveva appena messo a letto Yuki, che come sempre era crollato a metà della favola della buonanotte, e si era rifugiata in terrazza con una birra. Dalla loro posizione potevano vedere tutta Nankatsu, a Mitzukoshi infatti molte abitazioni erano più basse della loro – piccole unifamiliari di famiglie borghesi e benestanti, seconde solo a quelle di Shutetsu – e permettevano di godere della vista sia della città che della boscaglia che conduceva alla collina del tempio.

«Hai sentito che Yuki russa?» Tsubasa la raggiunse e, dopo averle carezzato una spalla, si accomodò accanto a lei.

«È davvero stanco: iniziare le elementari e affrontare le lezioni in giapponese è impegnativo per lui.»

«C’è sempre l’opzione della scuola bilingue a Tokyo.»

Kei scosse il capo.

«Si abituerà.»

«E tu?» Tsubasa si sporse verso di lei, poggiando i gomiti sulle proprie ginocchia e fissandola.

«Io sto dove sta lui.»

Il tono le uscì più acido e perentorio di quanto avrebbe voluto, e la riprova fu che Tsubasa non replicò. Si lasciò quindi andare contro lo schienale della sdraietta e sospirò.

«Volevo dire…» mormorò, evitando di incrociare lo sguardo del compagno «che siamo venuti qui per garantirgli un futuro lontano dai guai, e Nankatsu mi sembra un buon posto per ricominciare.»

«E quando lo farai?» la incalzò, evidentemente deciso a non mollare la presa.

«Di che parli, Bas.»

«Quand’è che ti lascerai il passato alle spalle e ricomincerai a vivere, Kei: siamo qui da mesi e tu sei ancora ancorata a…»

«Non ricominciare, ti prego.» si passò una mano sul volto.

«Invece ricomincio.» si scostò dalla sedia e si inginocchiò davanti a lei, prendendole una mano «Lo vedo come ti logori nell’attesa di ricevere un segnale, qualcosa che possa riportarti in Brasile anche solo per un po’, ma questo non ti fa bene.» le carezzò il dorso, soffermandosi sulle nocche rovinate «Dormi poco e niente, mangi in piedi e di corsa, proiettata verso qualcosa che non tornerà.»

«Ho bisogno di sperare che…» deglutì rumorosamente, le lacrime che fecero la loro comparsa inumidendole gli occhi «Mi manca da morire, Bas…» ammise infine, serrando le palpebre. Tsubasa si sollevò, quindi la fece alzare e la abbracciò.

«Non c’è giorno in cui non pensi a cosa avrei potuto fare per farlo desistere dal suo intento, ma siamo consapevoli entrambi che non saremmo mai riusciti a fargli cambiare idea. Avremmo potuto salvarlo se tu non avessi accettato l’offerta di Tanaka-san o se io non avessi seguito Roberto in Brasile anni fa, ma che importa, ormai? Il passato è passato, continuare a struggerti coi “se” e coi “ma” non fa altro che farti star male.» si scostò appena e le sollevò il volto dal mento «Il regalo più bello che tu possa fargli è vivere la tua vita e rendere onore al suo sacrificio con…»

Un rombo in lontananza attirò la loro attenzione: Kei spalancò gli occhi per la sorpresa, conosceva bene quel tipo di rumore.

«Viene dalla collina del tempio.» sentenziò, sporgendosi dalla balaustra e stringendo gli occhi per visualizzare meglio «Sembrano delle auto che… merda, quella è una gara.»

«Che cavolo…»

Kei gli indicò il punto in cui le auto scendevano lungo le curve del sentiero e sparivano in mezzo agli alberi, per poi ricomparire alla curva successiva.

«Sono dei pazzi, il sentiero è lastricato.»

«Credo che sia quello il bello, Bas.» sorrise lei, quasi senza rendersene conto. Osservava i fari di quelle auto comparire e sparire, il cuore accelerato e le dita formicolanti.

«Andiamo, non voglio assistere a uno spettacolo increscioso.»

«Esagerato, noi facevamo anche di peggio.»

«Hai detto bene, “facevamo”.»

Kei lo seguì dentro casa, nelle orecchie il suono di quell’ultima frase che aveva decretato la fine di qualunque discussione a riguardo: Tsubasa aveva deciso già da tempo di non voler più gareggiare, e sebbene lei e Cris avessero ancora la volontà di farlo, avevano appeso il volante al chiodo per rispetto del loro amico e di ciò che era successo.

In realtà da quando era nato Yuki la voglia di correre le era un po’ passata, come se fosse stata relegata in secondo o addirittura terzo piano, per potersi dedicare al bambino. Ma ora che era lontana da casa sua e che si sentiva così sola, tornare a gareggiare le sembrava come un raggio di sole dopo mesi di buio.

«Non ti facevo così categorico…»

Tsubasa si voltò verso di lei molto lentamente, Kei comprese che stava trattenendo la rabbia dal mondo in cui aveva serrato i pugni.

«Niente. Più. Gare.»

«Che c’è, hai paura che ti tolga il titolo di miglior pilota?» ironizzò lei, dirigendosi verso la cucina.

«Pensi questo? Pensi che si riduca tutto a un “decretiamo chi sia il migliore tra noi”? Sai bene che non è così.»

«A me invece sembra che tu sia parecchio competitivo.»

«Kei, vuoi litigare?»

La ragazza aprì il frigo e ne estrasse una bottiglietta d’acqua. Con lentezza calcolata, la aprì, mantenendo lo sguardo fisso su di lui, quindi bevette un paio di sorsate e la richiuse.

«C’è niente che devi dirmi, Tsubasa?»

«Che vuoi dire?»

«Davvero mi credi così stupida da abboccare alla storia della batteria?»

«Di cosa stai parlando, Kei, io davvero non capisco.»

Keiko inspirò profondamente, chiudendo gli occhi: aveva sperato che il ragazzo optasse per la sincerità, ma a quanto pareva doveva forzare la mano. Si avvicinò di qualche passo, pur mantenendo una certa distanza da lui, e raddrizzò la schiena.

«Parlami di Sanae.»

Tsubasa accusò il colpo: spalancò gli occhi e sul volto gli si dipinse subito un’aria colpevole.

«Kei, io…»

«Sai qual è la cosa che mi ferisce di più, di tutta questa faccenda? Il fatto che tu non ti sia fidato di me. Ci conosciamo da nove anni, da sei anni tiriamo su un bambino insieme, gestiamo un’officina, e tu mi tieni nascosta una cosa così importante?»

«Non è una questione di fiducia, anzi. Io e Sanae… noi…»

Tsubasa distolse lo sguardo e rimase in silenzio: per Keiko, che lo conosceva ormai come le sue tasche, quel gesto valeva più di mille parole.

«Quando suo padre mi ha chiamato per la batteria, la volta scorsa, lei era a casa e ci siamo incontrati. Abbiamo parlato un po’ e lei mi ha chiesto se mi andava di rivederci, per mettere un po’ di punti fermi.»

«Lo avrei compreso, se me lo avessi detto.» ammise lei, comprensiva «Non ci siamo mai tenuti nascosto nulla, perché iniziare proprio ora?»

«Perché io…» Tsubasa fece una lunga pausa «Kei, io credo di essere ancora innamorato di lei.»

Una voragine si aprì sotto i piedi di Keiko e la inghiottì: sentì il proprio corpo sprofondare nell’abisso buio sottostante, mentre il volto era una maschera impenetrabile di passività da cui non traspariva nessuna emozione.

«Lo capisco.» replicò, a voce ferma, nonostante dentro di lei tutto tremasse.

«Abbiamo riparlato dell’incidente, lei ha… vissuto momenti difficili, per mesi ha avuto incubi della mia auto che si rovesciava…»

«Un incubo comune, Bas.»

«Lo so, scusa, ma per lei non è stato semplice: tu e Cris l’avete messa in fretta e furia su quell’aereo per rispedirla a casa e lei ha dovuto affrontare il trauma da sola…»

«Ho detto che capisco.»

Il silenzio che cadde tra loro era interrotto solo dai rumori notturni della città: Kei continuava a mantenere un atteggiamento passivo e imperscrutabile, anche se dentro si sentiva morire, mentre Tsubasa sembrava affranto e divelto dalla dualità dei suoi sentimenti.

«Che pensi di fare?» gli domandò infine, voltandogli le spalle per riporre l’acqua in frigo e prendersi un momento per togliersi la maschera e dare sfogo al suo dolore.

«Nulla, ci siamo detti di darci tempo e… kamisama, potrebbe essere la mia seconda occasione. Dopo tutto quello che ho perso, forse io… forse noi…»

Kei inspirò a fondo e congelò i tratti del viso: si voltò verso Tsubasa e cercò di ignorare la morsa allo stomaco nel vederlo così combattuto e angosciato. Si avvicinò di qualche passo e annuì.

«È tardi, andiamo a dormire.»

Lo superò, dirigendosi verso il bagno e chiudendosi dentro: una volta girata la chiave nella toppa, poggiò la schiena contro il legno e si lasciò scivolare a terra, passandosi le mani nei capelli e lasciando che le lacrime scorressero silenziose sul suo volto.

 §§

Sbadigliò per l’ennesima volta mentre riempiva il serbatoio della macchinetta del caffè: era il terzo che prendeva quella mattina, e sembrava non sortire comunque alcun effetto.

«Keiko?»

Sobbalzò, rovesciando l’acqua per terra e imprecando in portoghese.

«Ciao, Sanae.» la risalutò.

«Scusa, non volevo spaventarti.»

«Vuoi un caffè?»

La giovane annuì, e le si avvicinò: eterea come la ricordava, indossava un vestito rosa pallido che le arrivava a metà polpaccio e si fondeva con la carnagione.

«Tsubasa non c’è, è da alcuni fornitori a cercare dei ricambi.»

«Non importa.» scosse il capo lei, sorridendole «Vi ho portato una torta, l’ha fatta mia madre per ringraziarvi di tutti i salvataggi con la batteria. Abbiamo convinto papà a cambiarla.» ridacchiò.

«È stata molto gentile, ma sai bene che per Tsubasa è un piacere esservi utile.»

«E per te?»

Si raddrizzò sulla schiena e i muscoli del suo viso si tesero all’istante, i sensi all’erta per un eventuale attacco. Le porse il caffè e la fissò, spostando il peso su una gamba sola.

«Per me…?» la incalzò.

«Non abbiamo più avuto modo di parlare, da quando…»

«Già.» annuì, sapendo dove volesse andare a parare.

Rimasero in silenzio qualche istante, durante il quale entrambe sorbirono la loro bevanda con estrema lentezza, quasi fosse un modo per trovare il coraggio di parlare con schiettezza.

«Grazie per esserti presa cura di Tsubasa, dopo l’incidente. Posso solo immaginare come si sia sentito dopo la diagnosi.»

«È stata dura. Gli sei mancata tanto.» nasconderle la verità era inutile, e per quanto fosse algida, non era di certo una stronza, e non voleva ferirla inutilmente.

«Ma tu hai sopperito egregiamente alla mancanza, e Yuki è un bambino meraviglioso, state facendo un ottimo lavoro.»

«Sanae…» le si avvicinò talmente tanto che ora i loro visi quasi si sfioravano «Sai bene che si è trattata di una tragica fatalità, e che se le cose fossero andate diversamente, voi…»

«Lo so, ma so anche che Tsubasa ha fatto una promessa a Yukiko e Roberto, e non verrà mai meno alla parola data.»

Era vero, e lo sapevano entrambe.

Sanae sorrise nuovamente, con quella leggerezza che Keiko le aveva sempre invidiato, insieme alla famiglia apparentemente perfetta che aveva alle spalle.

«Ora però siamo qui, e…»

«Non voglio intromettermi nella vostra famiglia, Keiko.» Sanae scosse il capo, distogliendo lo sguardo «Vorrei solo avere la possibilità di…»

La berlina grigia col logo dell’officina entrò in quel momento: Tsubasa scese canticchiando e un’espressione di stupore gli si disegnò sul volto quando si accorse dell’ospite.

«Sanae-chan. Qual buon vento?»

«Mamma ti ha preparato una torta…»

Desiderosa di staccarsi da quel quadretto, Keiko si allontanò e provvidenzialmente il telefono iniziò a squillare, così colse l’occasione per chiudersi nell’ufficio.

«Officina Katsumoto, sono Keiko.»

«Ah, la mia meccanica di fiducia.»

«Ciao a te, Mori.» replicò, alzando gli occhi al cielo e sporgendosi appena per osservare Tsubasa e Sanae, apparentemente impegnati in un’allegra conversazione.

«Ho bisogno di un favore.»

«Chissà perché non avevo dubbi.»

«Puoi lavorare su una mia auto? Dovrei sistemare il motore per potenziarlo.»

«Di che si tratta.» distolse l’attenzione dalla coppia all’esterno dell’ufficio e si concentrò sulle parole dello yakuza.

«Una Nissan Silvia ’66.»

Kei spalancò gli occhi per lo stupore.

«E tu come diamine l’hai trovata?»

«Allora posso entrare?»

Le parole di Mori furono seguite da una sonora sgasata: Kei abbassò il cordless e uscì dall’ufficio giusto in tempo per vedere l’auto entrare nell’officina, sotto lo sguardo poco convinto di Tsubasa.

Si avvicinò al mezzo e ne carezzò le forme arrugginite, mentre Shuzo scendeva e salutava gli altri due presenti.

«Apri il cofano.» gli intimò, e lui non se lo fece ripetere. Keiko ne ammirò ogni singolo componente, sporgendosi appena per osservare che tutto fosse al suo posto.

«Che ti serve, Mori?» Tsubasa si era avvicinato e aveva salutato lo yakuza con la loro usuale stretta di mano.

«Ho trovato questo gioiellino e vorrei sistemarlo come si deve. Ho pensato che vi avrebbe fatto piacere lavorarci su.»

«Noi non…» provò a dire, ma Kei lo interruppe.

«Ti verrà a costare parecchio, a seconda delle modifiche che vuoi apportare.» constatò, incrociando le braccia al petto, lo sguardo che passava dal cofano a Mori, ignorando Tsubasa.

«Non è un problema, il mio obiettivo è che diventi la migliore auto in circolazione.»

«A che ti serve?»

Alla domanda, Shuzo non rispose subito: si limitò a inclinare le labbra in un sorrisetto sardonico mentre si preparava una sigaretta.

«Perché vuoi saperlo?»

«A seconda dell’uso che vorrai farne, dovremo ordinare i materiale corretti. Ad esempio, se tu dovessi driftare giù per la collina del tempio…»

Kei lanciò l’amo con noncuranza, voltandosi per aprire un paio di serbatoi e controllare il livello dei liquidi.

«Ah, dici che questa potrebbe essere un’auto da drift?»

Kei si sollevò appena, giusto in tempo per leggere lo sguardo soddisfatto di Mori e quello meno felice di Tsubasa.

«Affare fatto, allora. Ti farò avere un preventivo nel giro di qualche giorno.»

«Salta pure quella parte, passiamo direttamente al risultato finale.» le sorrise vittorioso lo yakuza «Mi fido del tuo giudizio.»

Shuzo salutò i presenti portandosi una mano alla fronte e mimando un saluto militare, quindi si incamminò verso l’uscita col suo passo ciondolante.

«Non dovremmo lavorare per lui.»

Kei si voltò verso Tsubasa, sapeva che avrebbe contrastato la sua scelta e probabilmente era una delle motivazioni che l’aveva spinta ad accettare immediatamente il lavoro.

«Ele nos paga, Bas.»

L’altro scosse il capo, avvicinandosi a lei.

«Non mi interessano i suoi soldi, non voglio entrare nei suoi affari.»

«Beh a me invece interessa poter lavorare su questa auto: la vedi?» e si scostò per permettergli di ammirare il veicolo «Questo è un gioiellino, quando ci ricapita?»

«Lui non…»

«Lui è un cliente, discorso chiuso. Hai rifiutato di fargli quel favore, almeno questo glielo dobbiamo.» concluse, decisa a mettere la parola fine «Io vado ad allenarmi un po’ prima dell’arrivo di Yuki. Ciao Sanae.» concluse infine, alzando una mano e mostrandole il palmo a mo’ di saluto. Voltò le spalle alla coppia e si diresse verso le scale dell’appartamento, decisa a sfogare un po’ di frustrazione al sacco da boxe.

 §§

 Tsubasa attese che Yuki si addormentasse e raggiunse Kei in cucina: la ragazza stava sistemando la lavastoviglie per farla partire, quando lui entrò deciso ad affrontare e chiudere l’argomento una volta per tutte.

«Noi non lavoriamo per Mori.»

Pronunciò quelle parole scandendole bene, concludendo la frase incrociando le braccia al petto e disegnandosi sul volto l’espressione più seria che poté.

Keiko non lo considerò, terminò il proprio lavoro, quindi estrasse dal frigo una birra e la aprì con l’apribottiglie che poi fece volare malamente nell’acquaio insieme al tappo.

«In questo caso è un cliente come un altro, Bas.»

«Non è un cliente come un altro, possibile che tu non lo capisca?»

Kei fece spallucce e lo superò, per dirigersi in terrazza.

«Ci fanno comodo i suoi soldi, e in questo caso ce li darà in maniera legale: più di così…»

«Più di così dopo vorrà altri favori. Già si è attentato a chiedermi di guidare per lui, con che coraggio poi.»

«Col coraggio di chi cercava il migliore, a suo dire.»

«Che assurdità.»

Tsubasa si passò una mano tra i capelli, lasciando che il silenzio cadesse tra di loro, e osservò il profilo della ragazza: Kei continuava a sorseggiare la sua birra, ignorandolo, lo sguardo puntato all’orizzonte.

Che le stava succedendo?

«So che non sei felice…»

Kei emise una risatina nervosa, poggiando la birra sul bracciolo della sedia.

«Felice, dici? E come potrei esserlo, Bas?»

Non aveva urlato, non aveva sibilato. Un sussurro quasi impercettibile, come se si fosse trattato di un pensiero uscito per sbaglio dalle sue labbra.

La osservò terminare la birra, quindi si alzò e gli passò accanto senza dirgli nulla: solo quando fu di fronte alla porta della camera gli parlò, senza però guardarlo.

«Vado a dormire, domani voglio iniziare il lavoro sulla Nissan Silvia. Ci frutterà un bel po’ di soldi.»

Non disse altro, ma entrando in camera si chiuse la porta alle spalle, come se sapesse che lui non l’avrebbe raggiunta, non subito per lo meno.

Si passò nuovamente una mano tra i capelli e sospirò, lasciandosi cadere sulla sedia che lei aveva appena lasciato libera. Sentì il cellulare vibrare in tasca e lo estrasse con la consapevolezza di cosa ci avrebbe trovato: lui e Sanae avevano preso l’abitudine di sentirsi tutte le sere, prima di addormentarsi, ed era come se fosse la sua coccola serale.

Quella sera, però, uno strano senso di colpa si impossessò di lui: troncò la conversazione dopo poche frasi e si diresse verso la camera da letto. Tentennò un attimo di fronte alla porta chiusa, quasi come se si sentisse in difetto, ma quando la aprì, e gli occhi si abituarono alla penombra, tutto quello che vide fu la schiena di Keiko, il suo respiro lento, segno che stesse già dormendo. Sospirò, accomodandosi accanto a lei e resistendo alla tentazione di abbracciarla, come avrebbe fatto in qualsiasi altra occasione, ma non in quella.

Sentiva che il legame che li teneva uniti era un segmento sfilacciato di ciò che era stato, e che presto o tardi l’avrebbe persa.

 


Sono davvero commossa dall'affetto con cui mi avete accolto dop tutto questo tempo, vorrei abbracciarvi *cuore* 

Vorrei essere brava e riuscire a rispondere a tutte le recensioni, mi ci metterò d'impegno giuro, ma per ora sappiate che vi leggo e vi rileggo e che sono onorata del vostro affetto! 

Come sempre, non mi piace tergiversare troppo e così in questo capitolo notiamo già la spaccatura intensa tra Keiko e Tsubasa, e Sanae che si insinua tra di loro - o forse riprende il suo posto di diritto, ceduto anni fa?

Scopriamo anche che lei era presente all'incidente, un dettaglio non da poco... 

Mori non si arrende e, non potendo avere un autista, decide di ripiegare su una vettura gestita totalmente dai nostri amici: Keiko è raggiante al pensiero mentre Tsubasa si mostra titubante. Sappiamo però che Keiko è testarda e non si farà fermare da un diniego - se si mette in testa qualcosa, la ragazza non si fa fermare da niente e nessuno. 

Grazie ancora e di nuovo per le vostre bellissime parole, vi mando un abbraccio 

La vostra Sakura

   
 
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