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Autore: AnAngelFallenFromGrace    18/09/2009    3 recensioni
Si dice che a volte ritornano. E questa volta il proverbio è verità anche per Elisa e Ville. E' passato più di un anno da quando la nostra protagonista è fuggita dalle braccia di Ville, dalla Finlandia e dal suo sogno ormai in frantumi, con il cuore spezzato, lasciando dietro di sè lacrime e preghiere. Tutto sembra dimenticato, i loro sentieri appaiono definitivamente separati. Ma è davvero tutto come appare?
"Ho paura. Ho una paura tremenda di aver trovato l’unica persona giusta per me e di essermela lasciata sfuggire, come sabbia tra le dita. Voler cambiare il passato è un desiderio inutile, quanto doloroso. I rimpianti non servono a nulla, se non ha rovinare il presente."
Genere: Romantico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Ville Valo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Chapter 4

 

Choices and mistakes (pt2)

 

Looking for the key to my heart-shaped lock

 

 

Se ancora due minuti fa mi chiedevo se, prendendo quello stupido aereo, avessi fatto la scelta giusta o meno, adesso non ho più alcun dubbio: non avrei mai potuto perdermi la sua faccia, quell’espressione così assurda e stupita. Sembra quasi che abbia visto un fantasma e forse non dovrei esserne tanto contenta, ma non posso fare a meno di sorridere: sono tanto spaventevole? Probabilmente.

 

Ecco, è proprio da me perdermi in tali pensieri in momenti del genere. Devo avere qualche problema mentale, ma questa non è una novità. Forse ho detto addio all’ultimo neurone quando mi sono fatta accompagnare da Arianna all’aeroporto.

E a giudicare dal mio battito cardiaco, tra molto, molto poco, dovrò dire addio anche al mio cuore. Niente cuore, niente cervello. Dovrei far visita al mago di Oz appena avrò un attimo di tempo. Anche ad un po’ più di coraggio non direi di no.

 

Si passano minuti, ore, giorni interi a fantasticare su come potrebbe essere un bacio, un incontro, un solo sguardo. Ma, chissà come, la realtà è sempre diversa.

A volte può deludere, a volte stupire.

 

Non è passato giorno, durante tutto quest’anno in cui, nel sonno o nella veglia, non abbia immaginato come sarebbe stato rincontrarlo, sebbene fossi certa al 101 per cento che questo non sarebbe mai successo. Perché avevo preso una decisione, e non me la sarei rimangiata.

 

Oltre ad avere scoperto che la fermezza nei propri propositi non è la mia principale caratteristica, mi sono resa conto che il ricordo non rende affatto giustizia: ero convinta di rammentare ogni particolare del suo viso, ogni piccolo dettaglio o imperfezione, ma non è così. La profondità di quello sguardo, la curva di quelle labbra, non sono immagini che un impulso nervoso possa riprodurre senza l’ausilio di due occhi. La sua bellezza mi lascia senza respiro e non riesco proprio a spiegarmi come la voce possa ancora uscire dalla mia gola. Lascio che una lacrima scivoli via dalle mie ciglia, sopraffatta dall’emozione.

Allungo una mano, per toccare il suo volto, senza riuscire a fermarmi. Lo sento sussultare al lieve contatto, mentre le sue palpebre si serrano per un istante.

 

L’immaginazione, in questo caso, non può decisamente reggere il confronto con la realtà.

D’un tratto, non mi ricordo più nulla. Non mi ricordo perché me ne sono andata, non mi ricordo perché non ho fatto marcia indietro all’istante, non mi ricordo quasi chi sono.

Tutto quello che sento è che, per quanto giusto o sbagliato, sono nata per quel momento. Solo per vederlo tremare al mio tocco, e sentirlo vicino, e rendermi conto che i sentimenti non sono qualcosa che possa essere soppresso o nascosto: perché quando sono veri, sono molto più forti del migliore proposito, più forti di noi stessi.

 

Sto per abbassare il mio braccio, ma Ville mi sorprende, afferrando repentinamente la mia mano con la sua e tenendola premuta contro la sua guancia. Spalanca gli occhi, imprigionandomi con il suo sguardo, così dolce e incredulo, da farlo sembrare un bambino.

Resto immobile, a sorridere e piangere, e vorrei dirgli tutto e nessuna parola esce dalle mie labbra. Il mondo esterno è perduto e sembra tutto uno strano e improbabile film degli anni Trenta, dove c’è lei, e c’è lui, e tutto lo sfondo non ha senso. In bianco e nero, ma con i suoi occhi verdi.

 

“Non vorremmo disturbare, ma sareste su un palco” Migè mette la pausa al nostro film, avvicinandosi all’improvviso e facendoci saltare per lo spavento “Ed è la terza volta che suoniamo il ritornello, quindi immagino che tutti l’abbiano già imparato a memoria, ma potrebbe essere carino aggiungere anche le parole” mormora a voce bassa, cercando di rimanere serio.

“Oh cavolo” borbotto, mentre la gravità della situazione mi coglie impreparata, come la marea senza preavviso. Rido leggermente di me stessa, arrossendo vistosamente. Ville sembra ancora parecchio sconvolto, non riesce nemmeno a reagire.

Continuo a stringere le sue dita, ma riavvicino il microfono alle labbra, aspettando il momento giusto per attaccare con il ritornello.

 

Watch me fall

For you

My venus doom
Hide my heart

Where all dreams are entombed
My venus doom”

 

Il frontman degli HIM è rimasto davvero senza parole, per la prima volta da quando lo conosco. Da quando è nato probabilmente.

 

Approfittando delle poche note di intermezzo prima dell’inizio della seconda strofa, mi appoggio piano al suo braccio e avvicino il capo al suo, di lato, vicino all’orecchio sinistro.

Lo sento respirare più velocemente, mentre il suo inconfondibile odore pizzica le mie narici: “Ti prego, non lasciarmi cantare da sola” bisbiglio quelle parole con timidezza, in un sussurro “Sai che rischiamo i pomodori marci altrimenti”

Mentre mi ritraggo indietro, percepisco il suo petto sussultare, scosso da una piccola risata.

 

Grieve all your hearts out as she'll arrive enthralled

 in tragic, ecstatic agony

 

Mi fermo, incoraggiandolo con gli occhi e aspettando fiduciosa. Ed ecco arrivare la sua voce: ho seguito tutto il concerto, dietro, nel backstage, sospirando ad ogni nota. Ma sentirlo cantare così vicino, ad un passo, cambia completamente la situazione.

 

“And in her flames we will die some more
Just show me a life worth living for…”

 

Ripenso alla prima canzone che cantammo insieme, sul palco del Midnight Wish, quando, ritrovandomi a duettare con Ville Valo sulle note di Summer Wine, mi ero domandata come una tale fortuna potesse essere capitata proprio a me; me, una fan qualunque, su un milione di donne e ragazze. Certo, non avrei mai potuto prevedere quello che sarebbe successo dopo.

Ottenere le complete attenzioni del frontman degli HIM e lasciarselo scappare.

 

“Light of the dark”

 

Luce delle tenebre.

Penso che il suo cognome sia perfettamente azzeccato. Rivederlo è come ritrovare la luce alla fine di un tunnel buio e solitario, lungo un anno. E non importa se sono stata io stessa a fuggire da quella luce e a trovare rifugio nella galleria, forse troppo spaventata dalla sua intensità.

Adesso la luce è così attraente e bellissima: spero soltanto di resistere più a lungo a quel calore, senza scottarmi. Ho paura: le bruciature pungono ancora, segnano la mia pelle delicata e pallida. Per ora resterò all’imboccatura del tunnel, avvolta dall’ombra, ma abbastanza vicina per poter contemplare il mio Sole.

 

Finalmente, per quell’ultimo ritornello, riusciamo a intonare le parole all’unisono.

 

Watch me fall

For you

My venus doom
Hide my heart

Where all dreams are entombed
My venus doom

[ all dreams are of you – my venus doom ]

 

Mentre i ragazzi suonano l’intermezzo musicale, Ville torna a concentrare tutta la sua attenzione su di me: mi scruta minuziosamente, con una certa apprensione dipinta sul viso, forse aspettandosi il mio dissolvimento improvviso da un momento all’altro.

Gli sorrido e poi abbasso subito lo sguardo, imbarazzata, accorgendomi che le nostre dita sono ancora allacciate.

 

E’ il suo turno di fare un solo passo avanti, per coprire la poca distanza che ci divide.

“Sei davvero qui?” mormora, il suo respiro accelerato sull’incavo del mio collo.

Stringo più forte la sua mano, rispondendo con un ‘forse’ sibillino.

“O forse è solo un sogno” aggiungo subito dopo, prima che il cantante torni alla sua performance.

Appoggia la mano sinistra sulla cima del microfono, formando una piccola conca per rendere ancora più basso l’effetto della sua voce, ma non si azzarda a lasciare la presa con la destra, intorno alle mie dita.

Sono così vicina quando canta, quasi mi sembra di essere dentro al suo microfono. Per un istante desidero di essere quel microfono e il pensiero mi fa ridere di me stessa.

 

Hold me inside your infernal offering

Touch me as I fall

Don’t lose yourself in this suffering yet

Hold on

Hold me inside your infernal offering

Touch me as I fall

Don’t lose yourself in this suffering yet

Hold on

To me

 

Un ultimo ritornello e la canzone è finita.

Quasi come se un incantesimo si fosse rotto, le nostre mani sciolgono il loro nodo ed entrambi ci voltiamo verso il pubblico, che applaude e chiama il nome di Ville a gran voce.

 

Dopo un breve saluto con la mano, scivolo silenziosamente indietro, mentre il frontman è occupato con gli ultimissimi saluti.

Arrivo rapida dietro le quinte, e nella fretta quasi finisco addosso ad un omino della security.

“Tutto okay?” mi domanda premuroso, aiutandomi a recuperare l’equilibrio.

“Sì, certo” lo rassicuro, prendendo un respiro profondo.

“Strano concerto” ridacchia lui, sfiorandosi con indice e pollice il pizzetto sul mento.

Beh sì, non è stata una gig troppo normale.

“Spero non sia sinonimo di terribile, anche se quando mi ritrovo a cantare io…”

“No, assolutamente” scuote la testa con vigore, mettendosi una mano sul cuore “Posso giurarti che la tua voce è--”

 

“Perfetta” completa la sua frase una voce alla nostra sinistra.

“Decisamente” concorda il ragazzo, irrigidendosi davanti alla comparsa del cantante degli HIM “Beh, io devo andare”

Si dilegua rapido, sparendo verso la scaletta che conduce sotto al palco.

Mi sembra quasi di sentire distintamente ogni passo che Ville compie, lentamente, nella mia direzione. Ma forse è soltanto il mio cuore che martella contro il mio petto e rimbomba nelle mie orecchie.

Ha le mani nelle tasche dei jeans ed è come se dondolasse leggermente, mentre procede. O forse è soltanto il mio mondo a tremare.

 

Quando è appena mezzo metro a separarci, si ferma, sistemandosi meglio il cappello di lana sulla fronte sudata.

“Ciao” esordisce impacciato, gli occhi ancora un po’ sgranati.

“Ciao”

Anche la mia voce non è perfettamente pulita, piuttosto uno squittio da topo.

Si avvicina ancora ed io mi costringo a non indietreggiare, sebbene la tentazione sia tanta.

“Niente vestito da Venere questa volta” osserva, cercando probabilmente di allentare un po’ la tensione, impostando una finta espressione contrariata.

“Non ho avuto il tempo di cambiarmi”

“Pensavo che le dee potessero cambiare sembianza o ancor più facilmente abito, con un solo schiocco delle dita” continua, l’ombra di un sorriso a tirare gli angoli delle sue labbra.

Alzo le spalle, le braccia strette al petto “Anche le divinità dell’Olimpo hanno scoperto che non esiste alcun capo di vestiario più comodo dei jeans”

Si lascia scappare una piccola risata, che però non raggiunge i suoi occhi.

 

“Sei qui” sussurra, tornando serio e grave.

Non rispondo, rimango in silenzio a guardarlo, stringendo più forte il bordo del top nero.

Allunga un braccio per raggiungermi, ma lo ritrae di scatto, quando voci rumorose ci informano che non siamo più soli.

 

“Sei stato grande Linde! Credevo ti si stessero per staccare le dita” commenta Burton, tirando una pacca sulla spalla al chitarrista.

“Qualcuno mi passi una birra, ho ancora una sete tremenda!” riconosco la voce di Gas proclamare mentre si lascia cadere su una delle poltrone sparse per il backstage.

“Avete visto che facce? E’ stato un live indimenticabile”

Alla fine qualcuno si accorge della nostra presenza: Migè mi corre incontro, abbracciandomi prima che possa compiere alcun movimento.

“Complimenti! Sei stata grandissima Liz. La tua voce ci era mancata molto. Un’altra sorpresina, eh Valo?” ammicca poi, rivolto nella direzione di Ville, il quale sembra però molto preso dal braccio che il bassista tiene ancora legato alla mia vita.

“Già” mormora infine, accennando un sorriso.

 

“Abbiamo dovuto nasconderla qui dietro per tutta la durata del concerto” spiega Migè, ridacchiando sotto i baffi “E poi quando c’è stato l’encore si è dovuta rifugiare nel magazzino. Spero non sia stato troppo scomodo, principessa”

“No, affatto” mi affretto ad informarlo, scuotendo il capo con decisione “C’era una famiglia di topini che si sono rivelati dei perfetti compagnoni”

Ricordo ancora il brivido che mi ha percorso la schiena quando il nostro ben elaborato e segretissimo piano ha rischiato di naufragare perché nell’ingresso del backstage non era rimasto più nulla da bere di non alcolico, e Ville era stato indirizzato da un impiegato verso la stanzetta dove mi ero nascosta proprio per la pausa dopo Funeral.

“Topini?” sghignazza Burton, aprendosi una lattina di birra.

“Esatto” confermo, guardandomi intorno “Ma sapete dove è finita Arianna?”

“Credo che la Rossa sia da qualche parte con Manna e Olivia, probabilmente nel parco interno alla ricerca di qualche personaggio famoso da tampinare” si inserisce subito nel discorso Linde, indicando una direzione imprecisata alle mie spalle.

 

Un genuino sorriso si apre immediatamente sulle mie labbra: “C’è anche Olivia?”

Linde annuisce, facendo una piccola smorfia: “Quella bambina non dorme mai, non è vero Ville?”

Il darkman fa un distratto cenno del capo, e nessuno capisce se abbia davvero inteso la domanda. I suoi occhi sono ancora fissi su di me, posso sentirli seguirmi in ogni istante, sebbene  non abbia il coraggio di affrontarli.

Il rasta si avvicina, porgendomi una Heineken: “Adesso andiamo a cercarle, solo due minuti per riprenderci”

“Anche dieci” replico sempre sorridendo, rifiutando però con un gesto la bibita “No, grazie”

Lui mi osserva stupito per un istante, ma poi si immerge nuovamente nei commenti a caldo del live appena finito ed io riesco a defilarmi per un momento, ritornando a quel piccolo magazzino che si era gentilmente prestato ad essere il mio rifugio quella sera.

 

Nel ritornare indietro, ritrovo Ville isolato dal gruppo, appoggiato ad una parete con gli occhi chiusi.

“Qualcosa di fresco?” domando piano, facendolo sussultare. Socchiude le palpebre, dando una rapida occhiata alla bottiglia di coca cola che stringo nella mano destra, forse un po’ spasmodicamente.

“Certo” sorride, prendendola dalle mie dita e indugiando per un lunghissimo istante sul dorso della mia mano. E’ allora che nota che anche l’altra mano è occupata da una bottiglia identica.

“Addirittura due?” ridacchia “Mi hai preso per un cammello?”

“Mh, in effetti penso che tu e i cammelli abbiate molto in comune” gli confido, arricciando maliziosamente le labbra “Ma in realtà questa l’ho presa per me” aggiungo, sollevando la bottiglietta e agitandola piano.

 

“Volevo quasi meravigliarmi quando ho scoperto che la mia idea di dire per un po’ no all’alcol non fosse poi tanto originale. Poi mi sono ricordata che noi due condividiamo un cervello e lo stupore è svanito immediatamente”

Ville scoppia in una roca risata, ma i suoi occhi sono ancora troppo seri: “L’importante è che la tua scelta non sia stata maturata dopo mesi di oblio e alcolismo sfrenato”

 

Anche le mie labbra perdono il sorriso, quando mi accorgo di quanto poco felice sia stata la mia uscita. In quelle iridi insondabili e profonde percepisco un dolore terribile e mai dimenticato, una sofferenza di cui sono stata la principale causa e ragione, un supplizio a cui probabilmente il mio non potrà mai essere paragonato.

“Volevo essere più padrona delle mie scelte” torno ad esporre le mie valutazioni, cercando di deviare la sua attenzione dai propri tristi ricordi “O forse è stata solo l’influenza della mia lontana pigna gemella”

 

La bibita quasi gli va di traverso alle mie parole: “Te lo ricordi ancora?” mi interroga curioso, mentre il suo viso si trasfigura nuovamente in un modo dolcissimo, che mi fa stringere il cuore.

“Sì” sussurro piano, arrossendo lievemente.

Ricordo ogni istante, ogni parola. Ma non ho il coraggio di farglielo sapere.

“Siete pronti?” esordisce Migè, recuperando la sua giacca “Andiamo a cercare le donzelle in fuga e a recuperare le altre dolci metà!”

Io e Ville ci scambiamo un ultimo sguardo, prima di annuire alla richiesta del bassista.

 

“Devi assolutamente conoscere Vedrana!” continua lui, con un sorriso a trentadue denti “Ti adorerà sicuramente”

“E anche Niina!” interviene Gas, con gli occhi luccicanti, mentre decanta tutte le qualità della sua nuova ragazza.

“L’unica che non ci sarà è Luisa, è rimasta a casa con la piccola Heartta” mi informa Burton, accendendosi una sigaretta e precedendomi già per le scale “Ma appena torniamo a Helsinki la devi vedere”

 

Continuo a sorridere a destra e a manca, ma dentro mi sento morire.

Solo adesso riesco veramente a rendermi conto di come possa sentirsi Ville, l’unico rimasto da solo. Non posso credere che abbia rinunciato, abbia smesso di cercare per colpa mia.

Ero convinta di averlo lasciato tra le braccia della persona che amava davvero, invece lo avevo abbandonato tra le braccia della solitudine.

Se solo non fossi stata così stupida ed egoista…

 

***

 

Nonostante il concerto fosse terminato davvero tardi, abbiamo trascorso diverse ore insieme, in un delizioso ristorante di Turku, costruito su una nave d’epoca ormeggiata in mezzo alla lunghissima striscia di mare che attraversava l’intera città.

Io e Arianna ci siamo reinserite perfettamente nel gruppo, ed è quasi come se non ce ne fossimo mai veramente andate. Come se quello fosse stato da sempre il nostro posto. O almeno il mio.

 

La sorpresa più grande ed emozionante è stato forse scoprire che la dolce Olivia non si era dimenticata di me, ma serbava ancora un ricordo del nostro primo incontro. Per lei ero ancora l’amica di zio Ville con i capelli da fata.

Lei invece è davvero cambiata: l’ho trovata cresciuta molto più di quanto potessi aspettarmi, le ciglia più lunghe, i tratti del viso più definiti, ma la stessa dolcezza nello sguardo e nelle parole. Anche il suo inglese ha fatto notevoli progressi, cosa che non si può dire invece del mio finlandese.

Arianna, naturalmente, è entrata subito nelle sue grazie. Anzi, si può dire che quando le abbiamo finalmente trovate alla tenda dei Sonata Arctica, la piccola fanciulla mi aveva già rimpiazzato con la mia best friend. Ma in fondo la capisco: è impossibile non innamorarsi di Arianna, appena la si conosce. Almeno, però, la mia chioma da fata resta la sua preferita.

 

E’ stata una serata, o forse dovrei dire nottata, piacevole e divertente, ma il disagio e la tensione sono state mie compagne tutto il tempo.

Non sono riuscita a rivolgere a Ville che poche parole, troppo superficiali per avere davvero un senso, prima di rifugiarmi in altre conversazioni dove il numero dei partecipanti fosse ben più vasto.

E lui è rimasto fermo, impotente. Ad aspettare.

 

Ogni volta che ho incrociato il suo sguardo, mi sono sentita morire.

Ogni volta che ho sfiorato il suo profilo con gli occhi, mi sono sentita di nuovo in un sogno. Così irreale. Così stranamente famigliare, ma allo stesso tempo spaventoso.

 

Non sono sicura che sia giusto staccarmi ancora così tanto dal mondo reale. Ma forse non ho veramente scelta.

Qualcuno una volta ha detto che siamo destinati a ripetere sempre gli stessi errori. E’ la nostra natura. Chiedere di essere l’eccezione temo sia qualcosa che va ben oltre le mie possibilità.

Può darsi però che l’unico vero errore di cui un essere umano possa macchiarsi è di non saper mettersi in gioco al momento giusto.

 

“Di cosa stai filosofeggiando?” mi chiede Arianna, comparendo all’improvviso alle mie spalle e sfiorandomi con dolcezza i capelli.

Si siede accanto a me, sul comodo divanetto della stanza d’albergo che Linde aveva prenotato in anticipo per noi.

La luce dell’alba filtra già attraverso le finestre, bagnando con un caldo e intangibile velo le pareti candide ed un piccolo tavolino da caffè. Il vento scuote forte le fronde di un albero, così vicino, che i rami toccano a intermittenza il vetro con un sordo ticchettio.

 

“Filosofeggiando?” rispondo con un'altra domanda, inarcando le sopracciglia.

“Sì” conferma lei con un risolino. Poi atteggia il suo viso in una buffa espressione, indicandola al contempo con l’indice “Questa è la tua faccia quando la tua mente macchina pensieri filosofici”

Una risata esplode immediatamente dal mio petto: “Non è assolutamente vero!”

“Sì invece” mi assicura lei, ridendo ancora più forte.
Poi ritorna seria, cercando i miei occhi per poter leggere ciò che le parole non possono esprimere: “Come stai Ell?”

 

Mi lascio scappare un sospiro, tentando di non abbassare lo sguardo “E’…è molto più difficile di quanto potessi immaginare”

Arianna avvolge un braccio intorno alla mia vita, tenendomi stretta stretta: “Certo che lo è” sussurra piano, posando un leggero bacio sulla mia fronte “Qualunque esperienza è molto più difficile e piena di ostacoli di quanto possiamo mai aspettarci. Ma ci porta sempre qualche cosa in dono che va oltre il sogno più fervido: per questo vale la pena di essere vissuta”

Il sorriso torna ad aprirsi sulle mie labbra, mentre mi scosto un pochino da lei per poterla scrutare in viso: “Sei tu la vera filosofa. Lo sei sempre stata”

“Non per niente era l’unica materia in cui andavo bene quando ero a scuola” scherza lei, facendomi l’occhiolino. E’ allora che mi accorgo di quanto appaiano stanchi i suoi occhi.

 

“Forse sarebbe meglio dormire un po’” le faccio notare, sebbene la fatina del sonno sembri essersi dimenticata di spruzzare un po’ della sua polvere magica su di me.

“Potrebbe essere un’idea” annuisce, raddrizzandosi sul divanetto, con indosso il suo pigiama preferito, già pronta per il letto “Anche se è da tanto che non condividiamo lo stesso letto, non so se mi lascerai dormire”

“Certo” sbuffo, alzando gli occhi al cielo.

Ridacchia, scuotendo la testa e con essa i suoi bellissimi riccioli.

 

“La filosofa vuole darti solo un’ultima perla di saggezza” le sue parole sono ancora spiritose, ma il tono con cui le pronuncia attira immediatamente la mia completa e sincera attenzione “Posso?”

“Naturalmente” la sprono a continuare, con un cenno del capo.

Solleva piano le ciglia, permettendo al riflesso delle sue pupille ancora vigili, nonostante la spossatezza, di penetrare piano dentro, insieme a quell’ultimo consiglio.

 

“Tu sai che io non ho mai voluto spingerti in nessuna direzione” comincia, pronunciando ogni parola lentamente “Ci sono sempre stata, come ci sarò sempre, ma non ho mai cercato di forzare le tue decisioni, anche quando pensavo che fossero sbagliate. Perché non sono io a vivere la tua vita, e per quanto ti possa conoscere bene, solo tu stessa puoi individuare davvero la risposta giusta, scritta nel tuo destino. Ma c’è qualcosa che non posso permettere” fa una pausa, volgendo il suo sguardo a terra. Io resto immobile, quasi senza respiro. Dopo pochi attimi, riprende con più passione “Ed è che tu ti lasci frenare dalla paura. Guarda dietro ad essa. Trova la tua chiave”

Mi stringe forte la mano e poi si solleva dal divano, lasciandomi a fissare il vaso di fiori poggiato sul tavolino.

 

Avranno forse un giorno. Sembrano ancora freschi, ma in realtà stanno già appassendo e appaiono così rassegnati al loro fato. Non sperano più nella pioggia, non sperano più in un miracolo.

Mi alzo di scatto, come una molla. Afferro il vaso e lo porto in bagno, dove, dopo aver aperto il rubinetto, cambio l’acqua ai quei fiori.

Mi sembra quasi di udire il loro respiro di sollievo.

Niente pioggia, niente vita eterna o sogno senza fine. Ma c’è ancora un po’ di speranza, ancora qualche giorno da vivere adesso.

 

Ripongo i fiori sul tavolino, con il cuore che batte con nuova energia.

Arianna è sdraiata sul fianco, intenta a scrivere un messaggio con il suo piccolo cellulare argentato.

“Io esco” la informo un po’ titubante, appoggiata allo stipite della porta.

Quando alza lo sguardo, non vi è sorpresa nei suoi occhi. Tutto ciò che posso scorgere è un sorriso sardonico e insieme trionfante che le increspa le labbra: “Ah sì?”

“Hai visto quanto è bello il parco qui fuori?” continuo a giocare “Deve essere stupendo a quest’ora, con tutto questo silenzio. Non pensi?”

“Niente di più vero” replica sfrontata, abbandonandosi poi ad un ampio sbadiglio.

“E mi raccomando” aggiunge poi con noncuranza “Conta i fiori del prato qui dietro. Linde sostiene che siano 212, ma se hai voglia di controllare…”

“Potrei anche farlo” le regalo un ultimo ghigno, prima di lasciarla di nuovo al suo apparecchio telefonico e, probabilmente, al suo eterno amore.

 

Fluttuo lenta nel corridoio, come su una piccola nuvola. Abbandono il mio terzo piano, tradendolo per quello inferiore.

Ancora qualche passo, e sono al mio prato. Il mio prato nero e liscio di vernice. Con i suoi 212 fiori, incisi in oro.

Per un attimo le gambe mi tremano, ma non è il momento di perdere quel briciolo di coraggio che sono riuscita a racimolare.

Stringo le dita della mano destra in un morbido pugno e picchio più volte contro la porta del mio destino.

 

E con il cuore in gola aspetto di scoprire se la chiave che ho scelto è quella giusta.

 

 

 

Heilà ^_^

Eccomi qui tornata con la fine del quarto capitolo!

Un ringraziamento a tutti quelli che hanno letto e soprattutto a chi ha commentato ^_^

 

@Vampire666: beh, Linde si doveva far perdonare in fondo! E’ stato strano farli rincontrare, nella mia testa era passato davvero un anno XD Alla prossima!

 

@00glo00: era tutto reale XD Non sono ancora così cattiva, povero Ville! Grazie mille! Sono contenta che ti sia piaciuta! In fondo la loro storia ha sempre girato molto intorno alla musica, quindi da quando li avevo fatti lasciare ho subito pensato che questo fosse il modo più giusto per farli ritrovare! Temo di avervi lasciato di nuovo un po’ sulle spine XD Ci risentiamo tra poco, promesso! Baci

 

@maricapin: Ciaaaao Marica! Sono davvero felice che tu sia approdata alla mia storia! Certo che puoi chiamarmi Mossi ^_^ Ormai il mio vero nome è un optional XD (e lo so, il mio nick è chilometrico). Wow, sei riuscita a leggerli tutti? Ti ammiro per la tua costanza! Mmm, non che i primi capitoli fossero scritti granchè bene… XD era tipo due anni fa sì, e avrebbero bisogno di una bella risistemata (ma ho troppe storie in ballo XD). Sono contenta che ci sia una persona in più a voler loro bene *_* Per me ormai sono come i miei vicini di casa XD Non ti preoccupare. Finirò di postare tutta la storia! Che forza per Funeral! E’ il Grande Demone celeste che controlla tutto (una specie di divinità superiore che ha inventato una mia amica XD). Immagino che tutti conosciamo molto, troppo bene quel Lovely! Ahahah. A presto, baci

 

@eupraxia: grazie mille per i complimenti, sei un angelo *_* Sono davvero felice che ti siano piaciute! Sì, è decisamente un Ville adorabile (quasi sempre XD) e scrivere di questo mondo parallelo mi ha sempre aiutato a tirare avanti nei momenti più difficili! Sono così contenta che possa aiutare anche altri, facendoli appassionare. Spero di risentirti! Un bacio

 

  
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