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Autore: vegeta4e    29/01/2024    4 recensioni
Non tutto quello che finisce rappresenta la fine. A volte una fine può rappresentare un nuovo inizio: la morte di Claire, l’abbandono di Peyton che segnò Mac molto più di quanto volesse ammettere… eppure il lavoro riuscì a salvarlo, ad obbligarlo a non crogiolarsi nei ricordi. E funzionò, almeno fino a che Peyton non decise di fare ritorno a New York.
“Niente si crea, niente si distrugge, ma tutto si trasforma”. Dietro questa frase si cela una grande verità per il detective Taylor. Un’accusa di omicidio a suo carico, vecchi fantasmi tornati dal passato, rapimenti, lutti difficili da accettare.
Forse i problemi d’amore erano quelli di cui preoccuparsi meno.
[MacxPeyton] - Ambientata all’inizio della 5^ stagione.
[L’avvertimento cross-over riguarda solamente un paio di capitoli verso la fine della storia.]
- Pistola e distintivo. -
Mac ci mise qualche secondo per realizzare. Fissava Sinclair interdetto, incapace di comprendere il perché, incapace di combattere quella serie di ingiustizie che lo stavano lasciando disarmato.
Dopo lo stupore iniziale, non riuscì a trattenere una risata nervosa. Serrò i denti a labbra chiuse, passando lo sguardo da Sinclair a Don, che non aveva neanche il coraggio di guardarlo in faccia.
Genere: Azione, Sentimentale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Danny Messer, Don Flack, Mac Taylor, Peyton Driscoll, Stella Bonasera
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo IV

Quando Mac e Stella aprirono la porta dello stanzino trovarono già la donna seduta al tavolo ad attenderli. Tra le mani aveva un fazzoletto stropicciato che continuava a torturare per allentare la pressione. Dettaglio che non sfuggì all’occhio attento di entrambi i detective.
- Salve Signora Davis. Sarò breve: sul corpo di Michael è stato trovato del DNA che per metà corrisponde al suo. Ciò significa che appartiene a sua figlia. - Mac appoggiò sul tavolo due fogli. Erano le analisi dei due campioni di DNA che dimostravano la corrispondenza e di fronte cui lei non poteva mentire.
La donna non rispose, quindi parlò Bonasera - Ha altri figli oltre la bambina di Michael? -
- Un maschio di 18 anni e una femmina di 16. Entrambi avuti dal mio ex marito. -
- Quella di 16 anni conosceva Michael? - Domandò Mac.
La donna esitò per un momento, ma poi rispose - Sì, ma semplicemente perché era il padre di sua sorella. -
- E qual è stata l’ultima volta che si sono visti? -
- … Due giorni fa, quando è venuto a trovare sua figlia, Jessica. -
- Che coincidenza. Proprio il giorno in cui è morto. E lei dov’era quella sera, Signora Davis? -
La donna si irrigidì alle parole di Taylor. - A casa mia! -
- Qualcuno può confermarlo? - Chiese il detective.
- I miei figli. - Rispose prontamente lei.
- I suoi figli potrebbero mentire per proteggerla, non credo siano testimoni attendibili. -
La donna sgranò gli occhi - Cosa sta insinuando?! -
Mac la fissò dritta negli occhi - Quello che ho appena detto, Signora Davis. Se non le dispiace appoggi le mani sul tavolo. -
- Perché dovrei? -
- Se è vero che quella sera era a casa, immagino che non avrà nulla in contrario se le faccio un test per vedere se non ha sparato di recente. - Stella girò di poco gli occhi verso Mac, sorridendo appena.
- State scherzando! - Urlò la donna - Non avete niente contro di me! Io ero a casa mia! -
- Sul corpo della vittima è stato trovato il DNA di sua figlia. Questo fornisce a lei, Signora Davis, quello che noi chiamiamo movente. Quindi o appoggia le mani sul tavolo o sarò costretto ad ammanettarla. -
- … L’ha messa incinta! - Sbottò scoppiando in lacrime. I due rimasero di sasso, ma Stella fu la prima ad alzarsi per metterle le manette.
- Mi dispiace. - Disse solamente il detective Taylor. - Avrebbe dovuto chiamare la polizia piuttosto che farsi giustizia da sola. -
- Era un maiale! - Urlò la donna - Mia figlia non ha voluto! Dice che si amano, ma non capisce che lui non la ama affatto! - E mentre la Signora Davis si dimenava nonostante le manette, Mac uscì dirigendosi verso l’ascensore.
Tornò al piano del suo ufficio, l’orologio appeso sopra le porte scorrevoli di acciaio segnava le 8:48 PM. Il piano era totalmente vuoto, le luci dei laboratori già spente e un silenzio rilassante lo accolse con suo piacevole stupore. Mac entrò nel suo ufficio, non trovò nessuna scartoffia nuova sulla scrivania e questo lo rallegrò non poco. Per quanto fosse abituato a trattenersi fino a tardi per finire di sbrigare le faccende burocratiche, quella sera non ne aveva per niente voglia. Prese posto sulla sua sedia, il curriculum di Peyton ancora lì a lato, in attesa di essere letto.
Lo prese.
Notò subito che lo aveva modificato rispetto all’ultima volta che lo aveva visionato. Aveva aggiunto la sua esperienza al laboratorio di New York e anche quella di Londra, svolta nel St Thomas’ Hospital, il migliore della capitale inglese, nel periodo successivo alla loro separazione. Lo lesse rapidamente un paio di volte e non c’era nulla che non andasse. Nulla a cui potesse appellarsi per poterle dire di no.
Aprì un cassetto e lo mise dentro, piegato in quattro parti, poi prese il cellulare e mandò un sms a Peyton: Domani alle 7 AM nel mio ufficio. La risposta arrivò quasi subito, come se lei stesse guardando il cellulare non aspettando altro. Ci sarò.
- Ehi! Ti sei già dimenticato del tuo impegno? - Stella comparve da dietro la vetrata, riportandolo bruscamente alla realtà. Mac la fissò senza capire, e sperò vivamente che lei gli desse qualche indizio. - Sbaglio o hai una cena da offrirmi? - Sorrise.
Lui rise piano, alzando poi le sopracciglia - Hai ragione. Me ne ero totalmente dimenticato. - Si alzò dalla sedia prendendo poi la giacca appesa all’appendiabiti. Spense la luce dell’ufficio e la seguì fuori. Dopotutto una serata di svago non poteva che fargli bene.

La mattina successiva Mac entrò puntuale alle 6:30 AM come suo solito. I corridoi e gli uffici erano ancora vuoti, quindi dopo aver appeso la giacca nel proprio, si diresse verso la caraffa piena di caffè caldo nella sala ristoro. Riempì un bicchiere praticamente fino all’orlo, pregustando già il momento in cui lo avrebbe sorseggiato alla sua scrivania.
E fu così che fece. Nel silenzio della struttura, solo la lampada da scrivania accesa dava un po’ di luce all’ambiente, aiutata dalla finestra alle sue spalle che lasciava entrare i primi raggi del sole che, lentamente, stava sorgendo. Lanciò un’occhiata al suo orologio da polso: 6:59 AM. Si preparò psicologicamente perché sapeva perfettamente che Peyton sarebbe stata puntualissima per avere una risposta da parte sua.
E mentre beveva l’ennesimo sorso di caffé, il tin dell’ascensore che avvisava l’arrivo al piano gli fece alzare gli occhi verso sinistra. Ed eccola lì, bellissima come sempre, uscire e avanzare a passo sicuro verso di lui. Si guardarono attraverso la vetrata, lei aveva i capelli raccolti in una coda, come se fosse già pronta a lavorare. Entrò nell’ufficio di lui lasciando che l’anta di vetro si chiudesse da sola, quindi prese posto di fronte a Mac.
- Ciao. Volevi vedermi? -

Lui posò il caffé sulla scrivania. - Ciao. Sì, ci ho pensato e ho una risposta da darti. -
La vide deglutire nervosamente, come se da quella decisione dipendessero sorti ben più gravi che un posto di lavoro che Peyton avrebbe potuto rimpiazzare senza grossi problemi. Vedendo che lei non aggiungeva nulla, Mac proseguì.
- Se avessi letto il tuo curriculum senza conoscerti ti avrei assunta subito. Hai ottime credenziali, voti eccellenti e l’esperienza non ti manca. Ma dato che ti conosco so che sei brava, e negarti il lavoro per i nostri problemi personali non sarebbe professionale. Quindi sei assunta, ma tra noi rimarrà un rapporto di lavoro. - Gli costò tanto pronunciare quelle parole, soprattutto dirle tenendo un tono fermo e credibile.
A lei tremarono le ciglia. Da un lato era contenta, ma dall’altro si sentì sprofondare. Cercò di nasconderlo con un sorriso di circostanza. - Grazie, non ti deluderò. -
- Ah, un’ultima cosa. - La fermò lui prima che si alzasse. - Il posto come medico legale è attualmente occupato, Hawkes e Sid si stanno alternando, quindi sarai assegnata al laboratorio. Spero non sia un problema. -
- No, certo che no. -
Mac annuì. - Sai dove andare per prendere il camice. - La guardò alzarsi e uscire a passo svelto, stringendo la giacca al petto come a darsi coraggio.
Pregò in cuor suo che tutto andasse bene, non immaginando che lei, approfittando del fatto di essere sola e che lui fosse alle sue spalle, non trattenne le lacrime. Arrivò agli armadietti col viso ormai completamente bagnato e il trucco sciolto. Il distacco di Mac le aveva portato via l’ultima speranza di rimettere insieme i cocci che lei aveva creato, e per un attimo si pentì di aver fatto domanda lì.
Si passò rapidamente il palmo della mano sulle guance per asciugarle per timore che i primi ad arrivare la trovassero in quello stato, poi aprì il suo vecchio armadietto posando dentro la borsa e tutto quello che non le sarebbe servito in laboratorio. Ritoccò il trucco per cancellare le tracce del pianto, tentativo tradito prontamente dagli occhi rossi e lucidi. Decise di rimanere lì fino a che non avesse avuto un aspetto più calmo. Tanto non c’era ancora nulla su cui lavorare, l’unico che poteva incontrare in ufficio era proprio Mac, e farsi scoprire da lui in quello stato era l’ultima cosa che voleva.

I due giorni successivi passarono abbastanza tranquillamente, Mac riuscì a convivere con lei nello stesso laboratorio senza troppe complicazioni. Infatti, mentre lei era in laboratorio con Danny a svolgere classiche pratiche di routine, Taylor era nel proprio ufficio a firmare documenti per i superiori con la tranquillità che, almeno per il momento, New York vivesse nella calma quotidianità senza omicidi. E neanche il tempo di finire di pensarlo che il cellulare squillò.
Mac posò la penna, afferrando il telefono e appoggiandosi allo schienale - Taylor. Arrivo. -
Prese al volo la giacca e uscì salendo su uno dei suv neri che avevano in dotazione, posteggiando poco dopo all’ingresso di un vicolo che puzzava di urina. Mac sospirò, domandandosi come mai la maggior parte gli omicidi avvenisse in luoghi maleodoranti. Si fece coraggio ed iniziò ad avanzare, vedendo Flack e Stella già sulla scena.
- Cosa abbiamo? - Disse fermandosi accanto a Bonasera, già abbassata ad esaminare il corpo.
- Ciao, Mac. Maschio bianco, 45 anni. - Rispose lei scattando delle fotografie.
Taylor infilò i guanti. - Cause della morte? -
- Trauma da corpo contundente sulla nuca. -
- Che non abbiamo, vero? - Continuò Mac.
- Vero… - Confermò Don.
Senza aggiungere altro, il detective prese la torcia dalla tasca interna della giacca e la puntò a terra, poi sui muri. Sul cemento non vedeva tracce di sangue se non la chiazza sotto al corpo, segno che l’uomo era morto lì e non era stato trascinato. Camminò superando i colleghi e controllando ogni centimetro di strada che calpestava. Non c’erano gocce di sangue, quindi l’assassino non si era ferito. Anche i muri erano puliti, nulla indicava che ci fosse stato uno scontro prolungato e che avrebbe portato a scontrare gli oggetti intorno, come i muri e i cassonetti.
Si fermò accanto ad un bidone dell’immondizia e lo aprì. Sbirciando dentro constatò con disappunto che era stato svuotato da poco, dentro c’erano solo un paio di cartoni della pizza, qualche lattina vuota e bottiglie di plastica. Lo richiuse, aprendo poi il secondo. Stessa sorte. I camion per la raccolta dei rifiuti dovevano essere passati quella mattina verso le 5:00 AM, sperare di trovare qualcosa nella spazzatura era impossibile.
Ma Mac Taylor non si scoraggiò, puntò ancora la torcia a terra alla ricerca di qualche indizio. Se c’era una cosa che tutti quegli anni di lavoro gli avevano insegnato, era che chiunque, sempre e comunque, lasciava tracce di sé sulla scena del crimine. Lui doveva solamente trovarle.
Ed eccola lì, infatti, una bottiglia di vetro marrone spaccata a metà, nascosta malamente tra il muro e un cassonetto. Si abbassò raccogliendola dalla base, ancora intatta. Sulla parte rotta era visibile del sangue e prontamente il detective la infilò in una busta di plastica. Ripercorse poi il vicolo al contrario, tornando da Flack e Stella.
- Trovato qualcosa? - Chiese Flack.
- Una bottiglia di birra spaccata, c’è del sangue sopra. -
- Rissa tra ubriachi? - Azzardò Don.
- Forse. - Rispose Taylor - O semplicemente era la prima arma a portata di mano. Se è veramente la bottiglia l’arma del delitto, potrebbe significare che non c’è premeditazione. Magari hanno iniziato a litigare, i toni si sono accesi e la bottiglia è la prima cosa che l’assassino ha trovato per aggredirlo. - Mac si abbassò vicino alla testa del cadavere - Non sento puzza di alcol. - Si rialzò.
- Quindi almeno la vittima era sobria. Lo portiamo via? - Domandò Flack.
- Sì, qui per ora abbiamo finito. -
- Me ne occupo io. - Si allontanò con il cellulare in mano.
Quando il corpo venne portato al laboratorio le analisi proseguirono. All’uomo vennero tolti i vestiti, presi campioni di DNA e le impronte digitali. Inserendo le impronte nel database uscì un nome: Frank Bennet. Era stato schedato tre anni prima per aggressione dopo una discussione alla fermata della metropolitana, sposato con una donna della sua età di nome Jennifer Garcia. Assunto in una catena di fast food da un anno e mezzo.
Mentre Hawkes analizzava il corpo, Mac era in laboratorio per analizzare quello che avevano rinvenuto nel vicolo: la bottiglia, i residui sotto le unghie e dei frammenti che avevano trovato nei capelli di Frank.
Taylor iniziò ad esaminare ciò che trovarono sotto le unghie sperando di trovare qualcosa che li riconducesse all’aggressore, e difatti insieme al sangue rappreso trovò tracce di pelle.
- Ti confermo che è stato colpito alla nuca con quella bottiglia. Il sangue sul vetro corrisponde a quello della vittima, idem la scheggia di vetro che Hawkes ha trovato nella ferita. Però c’è dell’altro… - Peyton lo destò dai suoi ragionamenti, costringendolo a staccarsi dal microscopio.
- Cosa? -
Lei prese la bottiglia mettendogliela davanti agli occhi. - Vedi qua? Ci sono due spuntoni nel punto in cui il vetro si è rotto. Da questo lato c’è il sangue della vittima, ma quest’altro ha del sangue che a noi non risulta. L’assassino si è tagliato, ma non è nel codis. -
- È strano, non c'erano macchie di sangue sulla scena che facessero pensare che l'assassino si fosse ferito. - Ragionò a voce alta Mac.
- Forse ha avuto la prontezza di tamponare la ferita sulla maglia. Attendo che mi portiate un altro campione con cui confrontarlo. -
- Bene. Io sto analizzando i residui sotto le unghie, ho trovato della pelle. Appena finisco confrontali, così vediamo se almeno corrisponde con l’altro campione di sangue. In caso contrario avremmo due aggressori: uno da cui ha provato a difendersi graffiandolo e il secondo, che lo ha ferito. - E tornando a posizionarsi al microscopio allungò meccanicamente un braccio per afferrare un altro vetrino, scontrando erroneamente la mano di lei. Si lanciarono un’occhiata imbarazzata e senza dire nulla si allontanarono subito.
- Scusa. - Sbiascicò lei. Mac fece finta di nulla, rimase al microscopio ancora un minuto e poi si allontanò dal tavolo.
- Io qua ho finito. Se hai qualche riscontro avvisami subito. - Lei annuì, ma Taylor non se ne accorse, troppo impegnato a togliersi il camice ed appenderlo prima di uscire.
Attraversò il corridoio a passo deciso e inspirò dal naso. Ecco cosa lo aveva fatto desistere dal dirle subito di sì: la consapevolezza che episodi del genere sarebbero stati all’ordine del giorno.
- Ehi, Mac! - Don Flack comparve dall’ascensore - Ho rintracciato la moglie, vieni con me a parlarle? -
Taylor lo ringraziò mentalmente - Certo, fammi prendere un caffè e arrivo. -

 

To be continued...

   
 
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