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Autore: LubaLuft    29/01/2024    1 recensioni
“Che cosa desideri davvero, Tooru?... Te lo sei mai chiesto con sincerità?” chiese piano Tetsurō.
“Desidero ciò che mi riempie ma anche ciò che mi svuota… l’idea di essere l’unico e anche quella di essere un capriccio. Amo tutto questo, anche le lacrime che ho appena pianto.”
Tooru incrocia il suo destino con quelli di Wakatoshi e Hajime. La sua indole sensibile e vorace verrà messa a dura prova ...
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Altri, Hajime Iwaizumi, Tooru Oikawa, Wakatoshi Ushijima
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Triangolo
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Due

La sera del primo incontro ufficiale con Reiko Onagawa, Wakatoshi si era preparato accuratamente.

Non che di solito non curasse il proprio aspetto. Lui era sempre elegante, stirato, senza pieghe, come se l’attrito con il mondo esterno non avesse alcun effetto su di lui.

Soprattutto, sapeva gestire ogni situazione con freddezza, calcolo, determinazione. Sapeva vestire ogni suo gesto di una sottile patina di perfezione. 
Un uomo di classe sa anche sputare con classe, così diceva suo nonno. E poi gli diceva anche che per quanto l’indole umana fosse fondamentalmente debole e preda di atteggiamenti e pulsioni che sfuggivano continuamente al suo controllo, quelli come gli Ushijima erano invece in grado di dominarla. Una volta dominata la propria indole, dominare quella degli altri era un gioco da ragazzi. Tutto stava ad analizzare bene ogni contesto, gli individui che ne facevano parte, il fine che li spingeva all’azione, ciò che per loro era vitale. E una volta compreso l’insieme, ottenere ciò che si desiderava era piuttosto semplice.
 

Attaccato alla bombola d’ossigeno, durante i suoi ultimi mesi di vita, il vecchio si era anche prodigato affinché suo nipote, orfano di entrambi i genitori e ormai prossimo a ereditare un impero, scegliesse una futura moglie adatta a stargli accanto nel difficile compito di guidare l’impresa di famiglia. Un omiai, un matrimonio combinato che avrebbe unito il clan Ushijima a una famiglia altrettanto potente e danarosa. 

 
Wakatoshi aveva sfogliato a lungo le fotografie che il curatore patrimoniale di suo nonno gli aveva fatto avere. Tutte splendide ragazze, provenienti da famiglie ricche e prestigiose, incardinate nella tradizione più rigida, pronte solo a figliare e a vigilare sulla servitù.
Ci aveva riflettuto qualche giorno poi aveva scelto di incontrare Reiko perché c’era un particolare di lei che lo aveva colpito: il suo sguardo freddo e altero e il fatto che nelle sue foto non apparisse neanche il minimo accenno a un sorriso. 
Wakatoshi era fondamentalmente un anempatico e come tale preferiva circondarsi solo di persone fatte come lui. L’ imprevedibile lo turbava, il caos lo destabilizzava, la debolezza lo disgustava. Era per quel motivo che aspirava a trovare una fotocopia di se stesso. 
 

Anche Reiko doveva averlo apprezzato e dopo un primo incontro a casa di lei, era ufficialmente iniziata la loro frequentazione, priva del benché minimo contatto fisico e caratterizzata da una serie di rituali ricorrenti: fiori e cena il lunedì, pranzo il mercoledì, tennis il giovedì. Tutte le volte, una persona di fiducia della famiglia Onagawa li accompagnava con discrezione.

Quando poi il vecchio Ushijima era morto, Wakatoshi aveva molto apprezzato di Reiko la serena indifferenza che aveva mostrato durante i riti familiari e la cerimonia funebre. Non si trattava di una mancanza di rispetto verso suo nonno ma di un atteggiamento trasparente, frutto di una chiave di lettura delle vicende altrui come estranee alle proprie e come tali osservabili con il giusto distacco.

In seguito a quel primo incontro, erano andati a cena insieme diverse volte. Avevano discusso di politica, letteratura, di viaggi. Avevano parlato il giusto, con le parole che venivano spinte fuori attraverso le maglie di una sana reticenza. Nessuno dei due voleva davvero mostrarsi all’altro, e comunque non ce n’era bisogno perché era tutto già deciso.

Questo era Wakatoshi Ushijima: una superficie continua, chiusa, blindata, organizzata.

 
A volte però poteva capitare che nel suo orizzonte geometrico senza increspature emergesse improvvisa, una pulsione, una voglia
E le voglie andavano soddisfatte nella giusta maniera: lasciandosele poi alle spalle. 
Suo nonno, del resto, lo aveva messo in guardia: nella costruzione di una personalità vincente, era fondamentale il controllo di tutto.
 

Una sera, aveva avuto voglia. 

Stava giocando a tennis da solo, da più di un’ora, e non gli era sfuggito lo sguardo di Iwaizumi, il suo autista, che lo aspettava dall’altra parte della rete di protezione per riportarlo a casa. Erano giorni che Wakatoshi lo teneva d’occhio, che ne analizzava gli scostamenti dal consueto, che gli vedeva tremare le mani 
Giorni che si sentiva i suoi occhi puntati addosso, attraverso lo specchietto retrovisore.
 
Ne era infastidito, percepiva quell’interesse come una specie di sconfinamento nel suo territorio, e il suo era un territorio di caccia.
 
Quello della caccia era forse l’unico istinto con il quale a volte Wakatoshi doveva faticare, per tenerlo a bada, e quella sera era uscito dal proprio recinto.
 

Non era stato difficile. Un uomo debole è una porta senza chiave, altro detto di suo nonno.

La porta di Iwaizumi era spalancata, e lui era entrato e lo aveva spogliato di ogni resistenza. Aveva letto la confusione e il desiderio nei suoi occhi, l’abbandono nel suo respiro, la sua stessa voglia ma sbagliata, perché nata dal presupposto sbagliato, quello di voler condividere con Wakatoshi qualcosa di intimo.

Wakatoshi, invece, non era abituato a condividere, solo a prendere.

 
Lo aveva schiacciato contro il muro, nel buio desolato dello spogliatoio del club. Non si era neanche asciugato il sudore di dosso, così com’era lo aveva sopraffatto, afferrandolo per un polso con la presa ferrea della sua mano sinistra, stringendo quel polso come aveva stretto fino a pochi minuti prima il manico della sua racchetta.
Un esperimento, quasi, analizzato con distacco mentre allo stesso tempo si partecipava alla reazione osservata. 
Le sue mani misuravano l’altro alla ricerca di tutti i suoi punti deboli, perché il fatto stesso che non avesse reagito al suo assalto ma che lo avesse accolto senza riserve significava tutta la sua debolezza. La urlava, nel silenzio dello spogliatoio. 
Mai essere deboli. 
Così, quando Iwaizumi era venuto, gli aveva coperto la bocca con una mano per non sentirlo. Lui aveva solo ringhiato
 
Dopo, la loro partita si era chiusa come se nessuno l’avesse mai giocata. Wakatoshi lo aveva assaggiato e lo aveva sputato, con eleganza, come fa un sommelier con un vino da testare - quello di un vitigno come tanti in una bottiglia come tante.
Però, doveva ammettere che l’assaggio gli era piaciuto. Il fatto che avrebbe presto diviso il talamo con una moglie era totalmente secondario alla consapevolezza che erano gli uomini a interessargli veramente. 
Ciò nonostante, avrebbe fatto il suo dovere di marito modello, manager modello, gustandosi le proprie imperfezioni come aveva fatto con Iwaizumi: liberandosene subito dopo. 
Dopo quella sera, Iwaizumi aveva deciso di continuare comunque a lavorare per lui. Aveva continuato a guidare la sua macchina e a fissarlo dallo specchietto retrovisore, rifiutando di andarsene con un anno di stipendio pagato. 

Perché? 

Wakatoshi se lo era chiesto e aveva continuato a chiederselo anche quel lunedì mattina, mentre Iwaizumi stava guidando verso la sede di una nota agenzia creativa, in gara per l’affidamento della comunicazione della Jima Airways.
La sua era una curiosità sincera ma se la tenne per lui. Nel suo sguardo, riflesso nello specchietto, gli sembrava di leggere già la risposta alla sua domanda: quell’uomo non aveva più un grammo di orgoglio, era tutto svanito in quello spogliatoio, contro il muro.
 

Si era divertito a mandarlo dal fioraio per prendere il solito mazzo di rose da far recapitare a Reiko.

 
Orgoglio.
C’era sicuramente qualche massima di suo nonno sull’orgoglio ma in quel momento gli sfuggiva.


 

****



 
“È già arrivato!?” Chiese Tooru con un filo di voce.
Chiuse la porta del suo studio e poi vi si appoggiò di schiena, per riprendersi.
Non aveva più fiato, dopo quella corsa.
Aveva preso l’unico treno della metropolitana di Tokyo che poteva rompersi proprio quel giorno e l’ultima mezz’ora l’aveva fatta praticamente volando.
Tobio Kageyama, Shoyo Hinata e Yachi Hitoka, i suoi collaboratori, alzarono gli occhi dai file che stavano visionando 
“Ciao Tooru!” Lo salutò Yachi con la sua vocetta.
“Sì, Ushijima è arrivato ed è in sala riunioni con il direttore commerciale. Niente paura, stanno parlando di tennis…” rispose Shoyo.
“Avete fatto la modifica che vi avevo chiesto?” 
“Comunque ciao anche a te.” Sibilò Tobio.
“Tobio, rispondimi e non farmi incazzare che stamattina non è aria...”
“Vi prego, non litigate!”  Yachi schizzò in piedi in un accesso d’ansia.
Tobio allora indicò Shoyo con un dito.
“Sì, la modifica è stata fatta ma prima questo cretino ha avuto la bella idea di perdersi l’ultima bozza. Ho dovuto svegliare quelli dell’IT per ripescarla nel server.”
“Ah-ah…” replicò Shoyo “Come quella volta che tu hai…”

“STOP!”

Tooru si avventò sul mega schermo che mostrava le cartelle, tutte ordinate, di quel progetto: il claim, declinato nelle varie forme che poteva assumere la comunicazione: digitale, out-of-home, stampa, televisione e radio. I costi. I testimonial, le location. Le voci.

Lì sopra c’era tutto, elencato per filo e per segno, e c’erano anche le sue ultime notti insonni, durante le quali si era affacciato alla porta di Tetsurō per vederlo dormire sul suo letto con addosso la sua maglietta dei Clash, languido come un gatto, e per tentare di assorbire per osmosi la sua tranquillità.

Tutto era stato riversato su quel desktop.

Era pronto.
Inforcò gli occhiali, bevve un sorso d’acqua e marciò verso la sala riunioni.

****


Wakatoshi, seduto al tavolo ovale, stava già visionando una serie di documentazioni, soprattutto case history di campagne pubblicitarie che avevano per oggetto compagnie aeree o, in generale, vettori commerciali. 
Gli sembravano lavori fatti bene, ma non sarebbe stato semplice ottenere la sua commessa. Quello che il direttore commerciale dell’agenzia -  che aveva sorridente davanti a sé -  il direttore creativo -  altrettanto sorridente - e i suoi sottoposti non sapevano, era che la Jima Airways aveva appena vinto la gara per la sponsorizzazione della squadra nazionale maschile di pallavolo.
La notizia sarebbe stata ufficializzata in una conferenza stampa quello stesso lunedì, a mezzogiorno. Erano le dieci, e a quel punto Wakatoshi aveva deciso di mettere sul tavolo quell’ulteriore opzione - giusto per vedere come se la sarebbero cavata con quell’imprevisto.
 
Qualcuno bussò alla porta.
“Avanti.”

Un giovane che aveva più o meno la sua stessa età entrò nella stanza con un portatile e una periferica Usb.

Il direttore creativo prese la parola.
“Signor Ushijima, le presento Tooru Oikawa, nostro senior account. Il team da lui coordinato si è occupato del progetto.” 

Wakatoshi restò seduto mentre il giovane si inchinava di fronte a lui. Quando sollevò nuovamente il viso, lo osservò meglio. Aveva un incarnato chiaro, sul quale brillavano due occhi nocciola, magnificati dalle lenti degli occhiali.

Sul collo del giovane - sotto pelle, in trasparenza - un piccolo vaso sanguigno pulsava veloce: segnale di uno stato di calma solo apparente. 
La sua mano tremava impercettibilmente mentre infilava la Usb nel suo notebook. 
Una goccia d’ansia di troppo e l’autocontrollo sarebbe uscito dagli argini. 
 

Wakatoshi, che amava quel genere di situazioni e godeva delle difficoltà altrui perché gli ricordavano tutto il lavoro che aveva fatto per neutralizzare le proprie, attese l’inizio della presentazione con i suoi recettori uditivi pronti a cogliere in Oikawa qualsiasi possibile défaillance, quando la sua voce sicura, vellutata, lo colse di sorpresa e iniziò a illustrare il progetto di rebranding senza alcuna incertezza.

Qualcosa allora accadde alla sua psiche, che non era stata forgiata per processare la reazione che quella voce morbida suscitava in lei. 

Ascoltò con attenzione tutta la presentazione del progetto anche se già sapeva che avrebbe affidato a quell’agenzia il compito di riposizionare la sua compagnia aerea nel mercato pubblicitario giapponese. Ascoltò con pazienza e con impazienza allo stesso tempo, ma nulla di tutto questo trapelava all’esterno. Si concentrò sulla vena che pulsava sul collo di Oikawa, ora più lenta, e sulle sue mani che non tremavano più. 

“Che cosa ne pensa, signor Ushijima?” chiese il direttore creativo con un tono falsamente neutro. 

Wakatoshi lo ignorò. Per quanto lo riguardava, in quel momento nella stanza c’erano solo lui e Oikawa, divisi da un tavolo ovale.

“Prima è necessario fare un passo indietro. Sono cambiate le regole di ingaggio.” Rispose allora Wakatoshi. Tirò fuori dalla tasca della giacca la copia del comunicato stampa che riguardava la sponsorizzazione della nazionale di pallavolo, svelando le carte che aveva tenuto ben nascoste fino a quel momento.

Il direttore creativo lo lesse tutto d’un fiato e si illuminò come una supernova.

“Ma è una notizia splendida! La nazionale di pallavolo sponsorizzata dalla sua compagnia aerea! Siamo perfettamente in grado di gestire anche una comunicazione pubblicitaria di brand integrata in un contesto istituzionale, e a tal proposito abbiamo proprio un gruppo di lavoro dedicato a questo tipo di…”

Wakatoshi allora tagliò corto e indicò Oikawa.

“Voglio lui.


 
   
 
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