È la prima volta che mi cimento in una storia AU.
Tooru, Hajime e Wakatoshi sono i protagonisti di questo triangolo, e sullo sfondo si muovono altri personaggi, che mi sono divertita a infilare in abiti nuovi senza però stravolgerli troppo nella loro indole. O almeno, spero di essergli rimasta il più possibile fedele.
Pubblico il primo capitolo, per vedere un po’ che aria tira 😉
Ps: piccolo spoiler iniziale su un film che adoro, “La moglie del soldato” - ebbene sì, vado dritta sul finale ma il film ha ormai i suoi anni (quasi 32!) e magari lo avete già visto…
Uno
Shinjuku. Domenica sera.
“Davvero un film del cazzo!...” esclamò Tooru, stringendosi nel suo paletot blu. Aveva freddo e il maglioncino di filo di cotone che aveva messo non gli bastava. Infilò le mani nelle tasche dei suoi chinos.
“Oh, andiamo…! Invece ti è piaciuto, altroché…” Tetsurō gli allungò uno schiaffo sulla nuca.
“No! Insomma… Fergus non può finire dietro le sbarre a raccontarle favola della rana e dello scorpione… non dopo tutto quello che hanno passato! Dèi del cielo…”
“Intendi dire raccontargli… Tooru, Dil è un transessuale, ricordi…?” aggiunse Kōtaro.
Tooru si fermò di colpo. Camminava in mezzo ai suoi amici, che si fermarono a loro volta e si girarono verso di lui.
Adorava andare al cinema con loro, era sempre tutto un dibattito, dopo. E sarebbe stata dura tenere il punto su La Moglie Del Soldato… perché la verità era che il film gli era piaciuto, eccome… ma in quel momento sentiva di avere un disperato bisogno di felicità pura, senza sbavature,
Don’t want no more of the crying game…No, decisamente non ne voleva più, non dopo l’ennesimo ‘buco sentimentale nell’acqua’ del quale era reduce. Un uomo più grande, conosciuto a una convention a Ōsaka, che però non voleva impegnarsi in una relazione a distanza. Soprattutto, non era innamorato di lui, prova ne erano certe foto su Instagram nelle quali amoreggiava con un tipo totalmente anonimo se paragonato a lui, diamine! - fortunatamente, l’amor proprio di Tooru sorgeva sempre al momento giusto, come il sole sul mare, e alla fine metteva tutto a posto.
Qualche giorno prima di partire, aveva risposto ad un annuncio sulla bacheca online degli studenti: Kurō Tetsurō, anni 19, studente di ingegneria, chitarrista, cerca coinquilino…eccetera eccetera. Il prezzo era buono, la zona anche.
Quando lo aveva visto per la prima volta, nella biblioteca della sua facoltà, gli era preso un colpo: alto, una cresta di capelli neri sparati in ogni direzione, occhi sottili come quelli di un gatto. Parlava a bassa voce eppure quella voce lo aveva trapassato da parte a parte.
Bello e dannato, sin dal primo momento.
Dopo che gli aveva mostrato la sua stanza e il resto della casa, Tetsurō gli aveva offerto un caffè e poi aveva preso in mano la sua Fender, e quando l’aveva collegata all’amplificatore e aveva iniziato a cantarci sopra The Headmaster Ritual degli Smiths, Tooru si era messo letteralmente a tremare.
Sei mesi dopo, avevano messo su una specie di fratellanza, con Tetsurō che si sorbiva le sue angosce per gli esami, che aspettava un eternità poter usare il bagno, che si commuoveva quando, di rientro da un concerto, Tooru gli faceva trovare la cena in caldo.
Quando Tooru, di punto in bianco, era stato mollato dal suo ragazzo dell’epoca, un compagno di corso, Tetsurō lo aveva abbracciato e consolato per una notte intera, dopo averlo trovato in bagno, seduto sul pavimento con la schiena appoggiata alla vasca e le mani nei capelli.
Dove c’era Tetsurō, c’era anche Kōtaro Bokuto che, se possibile, era ancora più matto del suo coinquilino.
Kōtaro studiava chimica e suonava il basso nella loro band, gli Owling Cats nome che non significava assolutamente nulla - Gatti Appollaiati, forse? - ma del resto uno era fissato con i gatti e l’altro con i gufi, e non si erano mai messi d’accordo su quale dei due animali far prevalere.
Più o meno un anno dopo averli conosciuti, Tooru era stato l’unico a mettere fra parentesi l’università per iniziare a lavorare. Aveva scelto comunicazione e marketing e, tempo un paio di stage, lo avevano preso come creativo in un prestigiosa agenzia di pubblicità, ricoprendolo di soldi piuttosto facili e anche piuttosto comodi.
Continuava però a restare, suo malgrado, tenacemente attaccato a quel loro strano sistema ternario: uno che veniva pagato per far vendere gel per capelli, uno che progettava ponti ma finiva per interessarsi davvero solo quelli della sua chitarra e uno che spiegava loro per filo e per segno i possibili danni dell’acrilammide sull’organismo umano, indicando con dito ricurvo e voce mortifera la padella nella quale avevano appena fritto la tenpura.
Se c’era qualcosa di cui Tooru non dubitava, erano le sue capacità al lavoro. Sapeva farsi ascoltare e trasmettere le sue idee e soprattutto sapeva tirare fuori il meglio dal suo team. Esattamente come un alzatore su un campo di pallavolo.
Avrebbe ottenuto il budget di quella campagna, l’avrebbe modellata alla perfezione, fatta volare alta come un aereo.
Salutò i suoi amici e salì in taxi, con la mente già sulle ali sinuose di un A380, nel buio della notte, oltre le boe luminose dei grattacieli, verso le onde invisibili del mare di stelle che lo sovrastava.
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“Buongiorno.” Disse Hajime con voce neutra.
L’altro rispose con un cenno della testa e uno sguardo duro come il cemento.
Hajime partì, e partì anche il suo cervello, dirottato in un passato neanche tanto lontano da quegli occhi d’aquila che aveva appena incontrato sul vetro dello specchietto.
Non si era mai sentito così, domato anche nella sua rabbia.
Perché Hajime era rabbioso, la sua era una rabbia piena di solitudine e insoddisfazione, una rabbia di cui l’altro si era solo servito per un suo capriccio o per una sua curiosità - com’era scoparsi il proprio autista dopo un allenamento di tennis? - e prova ne era la sua bella e ricca fidanzata, con la quale era prossimo al matrimonio.
O era tutta una messa in scena?
Una facciata, un alias di comodo per nascondere le sue vere inclinazioni.
Ma no… magari gli piacevano semplicemente sia gli uomini che le donne, se il tema era dominare l’altro in ogni sua fibra. Un po’ come i suoi aerei dominavano i cieli.
Dopo quell’amplesso che gli aveva fatto dimenticare la rabbia, per un lungo, pulsante, ansimante, luminoso istante della sua vita, Wakatoshi aveva cancellato tutto con un colpo d’ala, violento, rapace quanto quello che lo aveva sospinto in alto con lui, poco prima.
“Puoi andartene, se vuoi. O restare. Nel primo caso, ti verrà corrisposto un intero anno di stipendio. Per quanto mi riguarda, fra di noi non è accaduto nulla.”
Per te, brutto figlio di puttana.
“Dove la porto?”
Ma già lo sapeva, conosceva il nome di quella nota agenzia di comunicazione. Voleva solo sentire la sua voce che comandava, lo
stesso tono con il quale quella sera gli aveva ordinato di girarsi… o era stato Hajime a ordinargli di dargli ciò che voleva? A un prigioniero si concede ogni tanto un’ora d’aria e respirare la sua pelle era stato come respirare aria in quota, rarefatta al punto da farlo diventare affamato.
“Prima fermati al fioraio qui all’angolo.”
Come ogni lunedì, il mazzo di fiori per la sua fidanzata. Metodico in tutto.
“Certo, come vuole, signor Ushijima”
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Le labbra di Hajime si aprirono in un sorriso involontario. Gli succedeva sempre così quando qualcosa lo incuriosiva.
Quel ragazzo correva verso qualcosa di importante.
Anche Hajime voleva qualcosa di importante verso la quale correre.