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Autore: LubaLuft    27/01/2024    1 recensioni
“Che cosa desideri davvero, Tooru?... Te lo sei mai chiesto con sincerità?” chiese piano Tetsurō.
“Desidero ciò che mi riempie ma anche ciò che mi svuota… l’idea di essere l’unico e anche quella di essere un capriccio. Amo tutto questo, anche le lacrime che ho appena pianto.”
Tooru incrocia il suo destino con quelli di Wakatoshi e Hajime. La sua indole sensibile e vorace verrà messa a dura prova ...
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Altri, Hajime Iwaizumi, Tooru Oikawa, Wakatoshi Ushijima
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Triangolo
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È la prima volta che mi cimento in una storia AU.

Tooru, Hajime e Wakatoshi sono i protagonisti di questo triangolo, e sullo sfondo si muovono altri personaggi, che mi sono divertita a infilare in abiti nuovi senza però stravolgerli troppo nella loro indole. O almeno, spero di essergli rimasta il più possibile fedele.

Pubblico il primo capitolo, per vedere un po’ che aria tira 😉

 

Ps: piccolo spoiler iniziale su un film che adoro, “La moglie del soldato” - ebbene sì, vado dritta sul finale ma il film ha ormai i suoi anni (quasi 32!) e magari lo avete già visto…


Uno


Shinjuku. Domenica sera.

“Davvero un film del cazzo!...” esclamò Tooru, stringendosi nel suo paletot blu. Aveva freddo e il maglioncino di filo di cotone che aveva messo non gli bastava. Infilò le mani nelle tasche dei suoi chinos.

“Oh, andiamo…! Invece ti è piaciuto, altroché…” Tetsurō gli allungò uno schiaffo sulla nuca.

“No! Insomma… Fergus non può finire dietro le sbarre a raccontarle favola della rana e dello scorpione… non dopo tutto quello che hanno passato! Dèi del cielo…”

“Intendi dire raccontargli Tooru, Dil è un transessuale, ricordi…?” aggiunse Kōtaro.

Tooru si fermò di colpo. Camminava in mezzo ai suoi amici, che si fermarono a loro volta e si girarono verso di lui.

Adorava andare al cinema con loro, era sempre tutto un dibattito, dopo. E sarebbe stata dura tenere il punto su La Moglie Del Soldato perché la verità era che il film gli era piaciuto, eccome… ma in quel momento sentiva di avere un disperato bisogno di felicità pura, senza sbavature,

Don’t want no more of the crying game…No, decisamente non ne voleva più, non dopo l’ennesimo ‘buco sentimentale nell’acqua’ del quale era reduce. Un uomo più grande, conosciuto a una convention a Ōsaka, che però non voleva impegnarsi in una relazione a distanza. Soprattutto, non era innamorato di lui, prova ne erano certe foto su Instagram nelle quali amoreggiava con un tipo totalmente anonimo se paragonato a lui, diamine! - fortunatamente, l’amor proprio di Tooru sorgeva sempre al momento giusto, come il sole sul mare, e alla fine metteva tutto a posto.

“Perché ti sei fermato?” Chiesero gli altri due, quasi in coro.
“Ma che capelli avete?” Li apostrofò lui ridendo.
“I soliti di sempre!” Esclamò Kotarō passandosi una mano fra i suoi ciuffi ribelli, nero-argentati.
Tetsurō scosse il capo con un ghigno beffardo e tirò fuori un pacchetto di chewing-gum dal suo chiodo nero.
“È evidente che non avete ancora provato il mio nuovo gel a lunga tenuta!” sorrise Tooru aggiustandosi gli occhiali sul naso.
“Il nuovo gel della Glowline vorrai dire? Tooru… non è che se ti inventi un claim pubblicitario poi il prodotto che pubblicizzi è tuo…” 
Obiettò Tetsurō, iniziando a gonfiare e far scoppiare palloncini di gomma al gusto fragola.
Clack! E ancora clack… 
Era terribilmente sexy… e terribilmente etero.
 
Tooru si ricordava ancora di quando era arrivato a Tokyo da Sendai per frequentare l’università, ormai cinque anni prima.
Era andato direttamente in ateneo per incontrare la persona con la quale forse avrebbe condiviso un appartamento,
 

Qualche giorno prima di partire, aveva risposto ad un annuncio sulla bacheca online degli studenti: Kurō Tetsurō, anni 19, studente di ingegneria, chitarrista, cerca coinquilino…eccetera eccetera. Il prezzo era buono, la zona anche. 

Quando lo aveva visto per la prima volta, nella biblioteca della sua facoltà, gli era preso un colpo: alto, una cresta di capelli neri sparati in ogni direzione, occhi sottili come quelli di un gatto. Parlava a bassa voce eppure quella voce lo aveva trapassato da parte a parte.

Bello e dannato, sin dal primo momento.

Dopo che gli aveva mostrato la sua stanza e il resto della casa, Tetsurō gli aveva offerto un caffè e poi aveva preso in mano la sua Fender, e quando l’aveva collegata all’amplificatore e aveva iniziato a cantarci sopra The Headmaster Ritual degli Smiths, Tooru si era messo letteralmente a tremare.

Glielo aveva detto subito, che era gay, e Tetsurō gli aveva rivolto uno sguardo pieno di interesse.
“Parli chiaro e mi piace. Io sono etero, ma non ho problemi a condividere i miei spazi con te.”

Sei mesi dopo, avevano messo su una specie di fratellanza, con Tetsurō che si sorbiva le sue angosce per gli esami, che aspettava un eternità poter usare il bagno, che si commuoveva quando, di rientro da un concerto, Tooru gli faceva trovare la cena in caldo.

Quando Tooru, di punto in bianco, era stato mollato dal suo ragazzo dell’epoca, un compagno di corso, Tetsurō lo aveva abbracciato e consolato per una notte intera, dopo averlo trovato in bagno, seduto sul pavimento con la schiena appoggiata alla vasca e le mani nei capelli. 

Se lo era proprio portato a letto… platonicamente.
“Sono così depresso che non mi passerebbe neanche se ti vedessi nudo.” Aveva piagnucolato Tooru.
“Se vuoi mi spoglio...”
“No…!”
E finalmente si era addormentato addosso a lui come un bambino.

Dove c’era Tetsurō, c’era anche Kōtaro Bokuto che, se possibile, era ancora più matto del suo coinquilino.

Kōtaro studiava chimica e suonava il basso nella loro band, gli Owling Cats nome che non significava assolutamente nulla - Gatti Appollaiati, forse? - ma del resto uno era fissato con i gatti e l’altro con i gufi, e non si erano mai messi d’accordo su quale dei due animali far prevalere.

Più o meno un anno dopo averli conosciuti, Tooru era stato l’unico a mettere fra parentesi l’università per iniziare a lavorare. Aveva scelto comunicazione e marketing e, tempo un paio di stage, lo avevano preso come creativo in un prestigiosa agenzia di pubblicità, ricoprendolo di soldi piuttosto facili e anche piuttosto comodi. 

Continuava però a restare, suo malgrado, tenacemente attaccato a quel loro strano sistema ternario: uno che veniva pagato per far vendere gel per capelli, uno che progettava ponti ma finiva per interessarsi davvero solo quelli della sua chitarra e uno che spiegava loro per filo e per segno i possibili danni dell’acrilammide sull’organismo umano, indicando con dito ricurvo e voce mortifera la padella nella quale avevano appena fritto la tenpura.

“Andiamo a mangiare qualcosa?” Propose proprio Kōtaro. 
“Già, perché no?”
“Io passo.” Rispose Tooru iniziando ad agitare il braccio per attirare un taxi. “Domani sono in missione.”
“Per conto di Dio?”  Chiese Kōtaro ridendo.
Tooru si fermò a riflettere un istante. “Beh, più o meno sì. Wakatoshi Ushijima per noi è quanto di più vicino a un Dio, in questo momento.”
Quell’Ushijima? Quello della Jima Airwaiys? che ha ereditato la compagnia aerea da suo nonno…?”
“Esattamente. Siamo in gara per gestire la loro comunicazione. Domani consegnamo il progetto, sarà una campagna di re-branding. Io voglio quella commessa…”
“Eccolo, il Grande Re in azione!” Lo canzonò Tetsurō.
“Puoi dirlo forte!”

Se c’era qualcosa di cui Tooru non dubitava, erano le sue capacità al lavoro. Sapeva farsi ascoltare e trasmettere le sue idee e soprattutto sapeva tirare fuori il meglio dal suo team. Esattamente come un alzatore su un campo di pallavolo.

Avrebbe ottenuto il budget di quella campagna, l’avrebbe modellata alla perfezione, fatta volare alta come un aereo.

Salutò i suoi amici e salì in taxi, con la mente già sulle ali sinuose di un A380, nel buio della notte, oltre le boe luminose dei grattacieli, verso le onde invisibili del mare di stelle che lo sovrastava. 


****


Hajime Iwaizumi aspettava, in macchina.
La cravatta gli risultava insopportabile, quella mattina. 
Provò ad allentare il nodo, ma la morsa che gli stringeva il collo non dipendeva da solo da quello, lo sapeva. 
Un movimento, all’esterno del cancello della villa, attirò la sua attenzione.
Era Wakatoshi Ushijima, nel suo abito impeccabile, alle nove spaccate, come suo solito.
Hajime ci aveva messo un po’ di tempo a uscirne e ogni tanto una stilettata di delusione mista a rabbia lo colpiva ancora al fianco.
Ammirò il suo capo che si avvicinava a passi lenti e misurati alla sua auto di lusso.
Wakatoshi alto e piazzato, vestito sempre alla perfezione. I capelli corti che incorniciavano i suoi lineamenti virili, gli occhi di un verde scuro come quello dei cedri di Nagano. La voce, bassa e profonda.
Aprì lo sportello posteriore accomodandosi sul sedile di pelle.

“Buongiorno.” Disse Hajime con voce neutra.

L’altro rispose con un cenno della testa e uno sguardo duro come il cemento.

Hajime partì, e partì anche il suo cervello, dirottato in un passato neanche tanto lontano da quegli occhi d’aquila che aveva appena incontrato sul vetro dello specchietto.

 
Una sera calda e umida, poco tempo prima, Wakatoshi aveva giocato a tennis da solo, nel suo club esclusivo, contro una macchina che sparava palline e ai cui proiettili aveva risposto con la potenza del suo braccio mancino.
Era ormai tardi e non c’era più nessuno, solo Hajime dietro una rete a combattere con se stesso e la sua insana attrazione per quella statua d’acciaio.
Gli aveva portato la borsa da palestra nello spogliatoio, su sua richiesta.
Mentre rivedeva quelle scene, il corridoio in penombra, il silenzio che rimbombava solo dei loro passi, le sue mani, sulla pelle del volante, tornarono a sfiorare la pelle dell’altro.
La schiena contro il muro, il peso di quel corpo scolpito che gravava sul suo, le sue dita su quei muscoli ancora sudati, tesi e perfetti in ogni loro fibra.
La bocca di Wakatoshi sulla sua, in un atto predatorio, le mani di lui che gli tiravano fuori la camicia dai pantaloni.
Il suo silenzio, innaturale, mentre risucchiava dalle labbra di Hajime suoni inarticolati, sintomo del suo abbandono ormai pressoché totale. 
Aveva fatto di lui ciò che voleva, quell’unica volta, quell’unica terribile e magnifica volta.
 

Non si era mai sentito così, domato anche nella sua rabbia. 

Perché Hajime era rabbioso, la sua era una rabbia piena di solitudine e insoddisfazione, una rabbia di cui l’altro si era solo servito per un suo capriccio o per una sua curiosità  - com’era scoparsi il proprio autista dopo un allenamento di tennis? - e prova ne era la sua bella e ricca fidanzata, con la quale era prossimo al matrimonio.

O era tutta una messa in scena?

Una facciata, un alias di comodo per nascondere le sue vere inclinazioni.

Ma no…  magari gli piacevano semplicemente sia gli uomini che le donne, se il tema era dominare l’altro in ogni sua fibra. Un po’ come i suoi aerei dominavano i cieli.

Dopo quell’amplesso che gli aveva fatto dimenticare la rabbia, per un lungo, pulsante, ansimante, luminoso istante della sua vita, Wakatoshi aveva cancellato tutto con un colpo d’ala, violento, rapace quanto quello che lo aveva sospinto in alto con lui, poco prima.

“Puoi andartene, se vuoi. O restare. Nel primo caso, ti verrà corrisposto un intero anno di stipendio. Per quanto mi riguarda, fra di noi non è accaduto nulla.”

Per te, brutto figlio di puttana.

 

“Dove la porto?”

Ma già lo sapeva, conosceva il nome di quella nota agenzia di comunicazione. Voleva solo sentire la sua voce che comandava, lo 

stesso tono con il quale quella sera gli aveva ordinato di girarsi… o era stato Hajime a ordinargli di dargli ciò che voleva? A un prigioniero si concede ogni tanto un’ora d’aria e respirare la sua pelle era stato come respirare aria in quota, rarefatta al punto da farlo diventare affamato.

“Prima fermati al fioraio qui all’angolo.”

Come ogni lunedì, il mazzo di fiori per la sua fidanzata. Metodico in tutto. 

“Certo, come vuole, signor Ushijima”


****

 
Aveva parcheggiato proprio di fronte all’ingresso del palazzo tutto vetri all’interno del quale aveva sede l’agenzia.
Dalle porte girevoli, un via vai di gente dall’aspetto curato, dai modi sicuri, occhiali scuri e sorrisi bianchi, strette di mano, valigette in pelle.
Poi, quello strano personaggio che correva a perdifiato nella sua direzione, evidentemente in ritardo.
Capelli castani scarmigliati, un paio occhiali enormi, un paletot blu scuro che gli delineava il fisico snello e le spalle armoniose, gambe lunghe in un paio di chinos color corda.
Scarpe sportive ma eleganti e la borsa porta notebook che ondeggiava sulla schiena.
“Dèi…” imprecò mentre scivolava veloce accanto al suo sportello. Un attimo e fu catturato anche lui dalle porte girevoli.

Le labbra di Hajime si aprirono in un sorriso involontario. Gli succedeva sempre così quando qualcosa lo incuriosiva. 

Quel ragazzo correva verso qualcosa di importante.
 

Anche Hajime voleva qualcosa di importante verso la quale correre.

   
 
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