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Autore: Kyulia03    29/01/2024    0 recensioni
- Il primo passo per guarire è ammettere di essere malati-.
Ukai è sempre stato un dottore fuori dal comune, i suoi metodi sono diversi da quelli degli altri psicologi; proprio per questo Takaeda deciderà di contattarlo come psicologo per la sua struttura: Haikyu, un istituto psichiatrico che contiene solo 22 pazienti, ma tutti e 22 sono lì da tre anni e ancora non riescono a migliorare.
Ma forse, con gli strambi metodi di questo dottore, potranno riuscire a guarire.
SHIP:
Kagehina
Tsukiyama
Ennotana
Asanoya
Daisuga
KyokoXYachi
Iwaoi
KindaichiXKunimi
Kuroken
YakuXLev
Bokuaka
UkaiXTakaeda
⚠️ATTENZIONE:
Con alcune ci queste malattie non sono entrata in contatto, le informazioni le ho prese da internet per cui potrebbero non essere tutte accurate, e i metodi di guarigione sono assolutamente ai fini della storia e delle Ship e non c'entrano con metodi reali.
Questa storia è originaria del mio profilo Wattpad: Kyulia03
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Ittetsu Takeda, Keishin Ukai
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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L'uomo si portò la sigaretta alle labbra, rabbrividendo appena per l'aria fredda del mattino che entrava dalla finestra aperta della sua stanza. Ne aveva chiesta una che affacciasse sul giardino interno, in modo da poter tenere d'occhio i ragazzi che vi andavano; a quell'ora non c'era nessuno, erano tutti riuniti di sotto per la colazione, ma gli piaceva comunque la vista.
Aspirò un'altra volta e sentì qualcuno bussare alla porta.
- Arrivo!- appoggió la sigaretta nel posacenere e si allontanò dalla finestra. Afferrò la maglietta che aveva lasciato sullo schiena della sedia della scrivania vicino alla finestra e la indossò velocemente mentre apriva la porta, trovandosi davanti il volto sorridente di Takaeda.
- Buongiorno dottore! Le ho portato la colazione- lo informó, alzando il vassoio che aveva in mano.
- La ringrazio- Keishin prese in mano il vassoio e si scostó per permettere all'altro di entrare in camera.
- Si sta trovando bene qui?- gli chiese Ittetsu, mentre lui andava ad appoggiare il vassoio sulla scrivania.
- È un bel posto- commentò il dottore. Dopo aver visto i ragazzi, non aveva più avuto dubbi: voleva rimanere in quel luogo e provare ad aiutarli.
Non era mai stato uno di quegli psicologi che si limitava ad utilizzare le sue conoscenze per guarire i suoi pazienti; anche per questo non era voluto diventare psichiatria: l'ultima cosa che voleva fare era limitarsi a dare medicine a chi andava da lui senza aiutarlo veramente. Preferiva capire cosa ci fosse al fondamento dei problemi dei suoi pazienti, e cercare di risolverli alla radice.
Aveva visto fin troppe persone che sembravano guarite da una terapia e invece erano ricadute poco dopo nella stessa situazione, e questo perché i dottori avevano dato loro un modo per superare la malattia, senza però capire veramente a cosa fosse dovuta.
Era abbastanza spavaldo da pensare che per quei ragazzi, che ormai si erano costruiti ed abituati ad una vita in quel luogo, lui sarebbe potuto essere la persona che avrebbe potuto fare capire loro che c'era un mondo al di fuori da lì, ed aiutarli a tornarci.
Li aveva osservati per tre giorni, senza mai avvicinarsi troppo, per tastare il terreno. I ragazzi l'avevano notato, sapevano che era lì; ma lo trattavano come un ospite indipendente e la cui presenza era completamente indifferente.
Era certo che se avesse provato a parlarci la maggior parte gli avrebbero risposto tranquillamente, ma se non l'avesse fatto la situazione non sarebbe cambiata.
Dopo averli osservati per giorni però, era arrivato il momento di parlarci.
- Direttore, vorrei iniziare a vedere i ragazzi in privato- annunciò. L'uomo sorrise ed i suoi occhi si illuminarono appena.
- Avviserò i ragazzi. Vuole parlare con qualcuno in particolare?- gli chiese, cercando di contenere l'emozione; si era sentito molto sollevato quando il dottore aveva deciso di rimanere, fiducioso del fatto che aveva fatto la scelta giusta a chiamare proprio quell'uomo, nonostante la sua giovane età.
Al biondo non sfuggí la reazione dell'altro uomo e sorrise appena.
- Vorrei parlare con quelli più grandi prima- rispose; si diresse verso la scrivania e prese la lista con i turni che aveva pensato di utilizzare.
Pose il foglio ad dottore, che lo lesse velocemente.
- Perfetto; si ricorda la strada per lo studio?-. Il biondo annuì, ricordando la stanza che gli avevo mostrato l'uomo quando voi aveva annunciato che sarebbe rimasto.
- Allora la lascio alla sua colazione- il direttore si congedó ed il dottore si diresse alla scrivania, su cui aveva lasciato il vassoio.
Osservò la colazione, che gli sembrava più abbondante del giorno prima; il che era una fortuna, dato che sarebbe stata una giornata molto faticosa.

Il dottore osservó lo studio, situato dall'altra parte della struttura rispetto all'ingresso, appena fuori dalla porta che segnava il confine con la zona in cui vivevano i ragazzi, e sistemato di fianco all'infermeria.
Era una stanza grande: una scrivania, con dietro e a destra una libreria, seduto alla quale aveva deciso di accogliere i ragazzi. C'erano anche un divano e delle poltrone, che davano un'aria più comoda e confortevole, ma al momento non voleva ancora iniziare alcuna terapia, solo parlare, per cui ancora non intendeva adoperare quella zona.
Lo studio era provvisto anche di un caminetto, che gli donava un'aria molto confortevole. Il dottore si trovò a pensare che fosse il miglior studio in cui fosse mai stato.
Quando mancavano un paio di minuti all'inizio degli incontri, si alzò ed andò ad aprire la porta, per vedere se il ragazzo fosse già arrivato. La situazione che si trovò davanti lo lasció non poco sorpreso.
In quei giorni, aveva notato che i ragazzi non andavano mai in giro da soli, ma sempre almeno in coppia o anche in gruppi. Le coppie erano più o meno sempre le stesse; alcuni sembravano non avere problemi a cambiare compagni, mentre altri rimanevano sempre con gli stessi.
Che quei ragazzi fossero molto uniti non era certo un mistero. Ma non pensava che si sarebbe trovato davanti tutti i 9 nove ragazzi più grandi dell'istituto.
- Buongiorno a tutti-. I loro sguardi si puntarono su dì lui, come ad intimorirlo; ma non era certo una di quelle persone che si lasciava sconfiggere da un gruppo di ragazzini.
- Io sono il dottor Ukai, probabilmente mi avete visto in giro per l'istituto nei giorni scorsi. Vorrei parlare privatamente con ognuno di voi- si presentò.
I ragazzi si scambiarono degli sguardi d'intesa.
- Veramente, noi vorremmo entrare tutti insieme, o almeno a coppie- gli rispose Kuuro.
- Temo non sia possibile: le sedute sono personali- ribatté il dottore.
- Cerchi di capire, non vogliamo che nessuno di noi rimanga solo- gli disse Daichi.
- Non sarete soli, sarete dentro con me. Non vi preoccupate, è solo una chiacchierata di cinque minuti per conoscervi meglio- rispose Ukai, sicuro.
I ragazzi si guardarono, un po' a disagio.
- E va bene, inizio io- Sugawara fece un passo in avanti.
- Sicuro Suga?- gli chiese Asahi.
- È solo una chiacchierata no? E poi voi sarete qui fuori ad aspettarmi, giusto?- guardó gli amici, come a cercare una conferma, e tutti loro annuirono.
- Accomodati- il dottore gli fece cenno di entrare nella stanza; una volta che il ragazzo fu all'interno, il dottore chiuse la porta.

Koushi si guardò intorno: era stato varie volte in quello studio, ma ora sembrava quasi avere qualcosa di diverso.
- Ti senti a disagio Sugawara?- gli chiese il dottore, sedendosi di fronte a lui dall'altro lato della scrivania. Quella scelta lo sorpresa, si era seduto poche volte su quella sedia, aveva utilizzato più spesso il divano; però il dottore aveva parlato di una chiacchierata, non di una seduta, per cui la scelta fatta era stata la migliore.
- In realtà no- ammise. Nella sua mente, si ripeteva i nomi dei suoi amici: Daichi Sawamura. Asahi Azumane. Ryunosuke Tanaka. Yaku Morisuke...
- Da quanto tempo sei malato Sugawara?-. Il modo in cui il dottore ripeteva il suo nome, come per mantenere l'attenzione del ragazzo su di lui, gli fece capire che non si trovava davanti ad uno psicologo qualunque.
- Cinque anni, più o meno. La demenza mi è stata...- si fermò, non ricordandosi la parola che voleva dire. Shimizu Kyoko, Yuu Nishinoya, Chikara Ennoshita.
- Diagnosticata?-.
- Diagnosticata, esatto; avevo sedici anni-.
- Come hai preso la notizia?-.
- All'inizio ne sono stato sollevato. Mi sentivo spesso disorientato, anche compiere azioni normali mi risultava difficile. Avere una spiegazione mi ha sollevato, anche se ovviamente non è stato piacevole- rispose. Shoyo Hinata. Tobio Kageyama.
- Quali sono i sintomi che presenti più spesso?- chiese il dottore.
- Mi dimentico i dettagli e ogni tanto fatico a parlare o a muovermi come vorrei, e mi sento spesso disorientato-. Kei Tsukishima. Tadashi Yamaguchi.
- Niente comportamenti distruttivi e inadatti o disturbo di personalità?-.
- Del secondo non ho mai sofferto; dei primi mi capitava prima di arrivare qui-. Tetsuro Kuuro. Kenma Kozume.
- Quindi senti di essere migliorato?-.
- Non direi proprio migliorato... Ma ho trovato dei modi per contenermi-. Keiji Akashi, Koutaro Bokuto.
- Grazie ai tuoi amici? Ho notato che qui siete tutti molto legati-. Il ragazzo annuì e fece un piccolo sorriso.
- Abbiamo imparato a conoscerci ed aiutarci a vicenda; ormai sanno come comportarsi quando mi vedono spaesato o altro. Sono riuscito ad eliminare del tutto i comportamenti inadatti grazie al loro aiuto, ma per il resto sono ancora allo stato di prima- raccontò. Hitoka Yachi.
- Tu sai a cosa è dovuta la demenza?- gli chiese il dottore. Koushi annuì.
- A danni delle cellule celebrali, che non riescono più a comunicare tra di loro-. Tooru Oikawa.
- Tu hai subito un incidente qualche hanno fa giusto?-.
- Esatto; è da lì che sono iniziati i sintomi-. Hajime Iwaizumi.
- Però, dalle tue cartelle cliniche il tuo corpo non ha danni. Eppure la diagnosi non è stata cambiata-. Dalla demenza non si poteva guarire, ma era come se quel ragazzo avesse solamente i sintomi, non la malattia in sé.
- Lo so, ma purtroppo non so spiegarmelo- mormorò il ragazzo. Yutaro Kindaichi.
- Capisco. Ultima domanda: come ti trovi qui?-.
- Bene: mi piace il rapporto familiare che abbiamo instaurato. Certo è dura, qui tutti stiamo soffrendo; ma è meglio che soffrire da soli no?-. Akira Kunimi. Aveva finito i nomi dei suoi amici.
- Non posso darti torto. Be', ti ringrazio per aver parlato con me; puoi andare- affermò il dottore.
Il ragazzo si alzò, ma si fermò subito dopo, colto da un dubbio: si era alzato per uscire dalla stanza? Dov'era l'uscita?
- Sugawara, la porta marrone- con voce gentile, il dottore gli indicò l'uscita - fuori ci sono i tuoi amici-.
Sugawara si sentì rassicurato a quelle parole: aveva bisogno di vedere i suoi amici. Soprattutto lui.
- La ringrazio- con la velocità permessagli dal suo corpo, si affrettó ad uscire dalla stanza.

Asahi si sedette, cercando di non palesare il proprio disagio. Non era mai stato bravo a comunicare con le persone. Inoltre, quando era uscito dalla stanza del dottore Suga aveva lo sguardo che assumeva sempre quando stava affrontando un momento di confusione.
Non voleva dubitare del dottore, sapeva che era una cosa che capitava spesso e che probabilmente l'uomo non c'entrava, ma era comunque preoccupato per l'amico.
L'aveva lasciato nelle mani esperte di Daichi ed era entrato lui nello studio; glielo avevano lasciato fare perché sapevano che aveva una certa fretta di andarsene.
- Allora Azumane... Soffri di autolesionismo da quasi dieci anni ormai, giusto?- la voce del dottore lo fece sussultare leggermente. Gli sembra un uomo amichevole e severo allo stesso  tempo, per cui non sapeva bene come comportarsi con lui.
- Esatto- rispose.
- Parlare della tua condizione ti mette a disagio?-. Il ragazzo serrò leggermente le labbra.
- In confronto alle malattie dei miei amici, il mio è quasi un semplice capriccio- mormorò.
- Se pensi questo, come mai non riesci a guarire?-. Il ragazzo non seppe rispondere a quella domanda.
- Era una domanda retorica: se sei qui, significa che ne hai il diritto quanto loro. Se qualche dottore ti ha fatto credere che la tua malattia non valga niente, allora non dovrebbe essere definito psicologo. Il dolore si presenta in ogni essere umano in modo diverso, ma non per questo uno è più importante di un altro-. Asahi rimase sorpreso: il dottore aveva parlato in tono neutrale, come se fosse un pensiero perfettamente normale, ma aveva centrato in pieno il punto della situazione.
In tutti quegli anni, tutti gli psicologi con cui aveva parlato lo avevano trattato come un normale ragazzino che non sapeva come affrontare i problemi, nessuno aveva mai visto la sua come una malattia. Tanto che alla fine anche lui, che aveva sempre pensato di essere debole di carattere, aveva finito per convincersene.
- Non voglio chiederti le cause del tuo comportamento, le hai già dette ad altri dottori e sono tutte scritte qui- il dottore picchiettó il dito sulla cartella clinica che aveva sulla scrivania.
- Quello che vorrei sapere da te, è come ti faccia sentire soffrire di autolesionismo- affermò.
Il ragazzo lanciò uno sguardo alle sue braccia; indossava una felpa con le maniche lunghe, ma riusciva comunque ad intravedere il segno di un taglio.
Aveva iniziato a circa dieci anni: dopo essere stato insultato da alcuni ragazzi, per la frustrazione aveva tirato un pugno ad un sasso. Si era fatto male, ma invece che lamentarsi per il dolore aveva sentito una scarica dentro, come qualcosa che gli comunicava che era vivo.
Aveva continuato fino a rompersi la mano. Così, ogni volta che qualcuno lo insultava o veniva trattato male, tornava a casa e trovava nuovi modi per procurarsi dolore. Tirare pugni ai muri, poggiare la mano sulla teiera bollente... E quando, ad un'età fin troppo giovane, aveva iniziato a farsi la barba, avendo così delle lamette a disposizione, era diventato tutto ancora più semplice.
Quando la madre l'aveva scoperto, gli aveva dato del debole e minacciato di buttarlo fuori di casa se non fosse andato a farsi curare; aveva visitato vari psicologi, ma non aveva ancora trovato un motivo per smettere. Nulla che lo facesse sentire vivo senza farsi del male.
- Quando lo faccio, mi sento vivo. Per me non è un problema; l'unica cosa che mi dispiace è vedere le espressioni preoccupate dei miei amici. Penso che a volte temano che io possa superare il limite- sussurrò appena l'ultima frase, consapevole di quanto i suoi amici fossero preoccupati per lui. Non serviva a nulla dire loro che stava bene.
- Vorresti farlo? Vorresti morire?-. Il ragazzo scosse la testa.
- A volte forse; però quando mi... Faccio del male, è proprio per sentirmi vivo- spiegó. Il dottore sembrò pensarci un attimo.
- I tuoi amici ti hanno mai chiesto di smettere?- chiese il dottore.
- So che vorrebbero, me l'hanno fatto capire; ma non l'hanno mai detto esplicitamente- rispose il ragazzo.
- Capisco. Grazie per aver risposto alle mie domande: puoi andare- affermò, porgendogli la mano per salutarlo.
Nonostante l'ansia non gli fosse ancora passata del tutto, il ragazzo strinse la mano dell'uomo, prima di alzarsi e lasciare la stanza.
- Com'è andata?- gli chiese Suga, mentre Kyoko lo superava per entrare nella stanza.
- È un uomo gentile- mormorò il ragazzo.
- Ti accompagno- affermó l'altro, intuendo dove volesse andare.
- Sicuro?- gli chiede Asahi, guardando Daichi.
- Lo affido a te- gli rispose quest'ultimo.
- Non sono un bambino...- borbottó l'argentato.
- Rimani pure qui con Daichi, vado da solo- affermò Asahi. I due ragazzi lo guardarono con aria preoccupata.
- Sicuro?-.
- Tranquilli, non sarà lontano. Ci vediamo dopo- li salutó e, prima che potessero fermarlo, aprí la porta che conduceva alla zona adibita ai ragazzi.
Il primo luogo in cui controllò era la palestra. Vide in un angolo Tanaka ed Ennoshita, intenti a parlare tra loro, e capí che lui non poteva essere lì. Nonostante il ragazzino che stava cercando fosse il migliore amico di Tanaka, sapeva anche lui che in quei momenti era meglio lasciare lui ed Ennoshita da soli. Per cui, doveva essere con Hinata.
Riprese a camminare, finché non raggiunse la sala ricreazione.
- Asahi-san!-. Non appena aprí la porta, Nishinoya gli saltó in braccio. Non era per niente pensante, per cui non ebbe problemi ad afferrarlo.
Il più basso appoggió le mani sulle sue spalle mentre lui gliele metteva sulla schiena per sostenerlo.
- Finalmente sei tornato! Com'è andata? Raccontami tutti mentre usciamo: ho voglia di correre!- esclamò.
All'improvviso, tutta l'ansia di Asahi passo ed un sorriso dolce gli comparve sul volto nel vedere l'espressione felice dell'altro.
- Certo: andiamo-.

La ragazza strinse le mani tra loro, quasi infilandosi le unghie nella pelle per riuscire a mantenere un'espressione normale.
Non aveva mai voluto mostrare troppo le sue emozioni, ma i disturbi d'ansia che aveva le rendevano quel compito difficile.
- Hai avuto il primo attacco d'ansia alle medie vero?-. La ragazza alzó lo sguardo sul dottore, che aveva un'aria tranquilla mentre leggeva il foglio che aveva in mano.
- Si, prima di una gara di atletica-.
- Però ti sono stati diagnosticati i disturbi d'ansia quasi due anni dopo-.
- I miei genitori pensavano che fosse dovuto alla pressione della scuola e che, lasciando il club per concentrarmi solo sullo studio, i miei attacchi sarebbero passati da soli. Non è stato così-.
A Shimizu piaceva avere controllo nella sua vita, per questo aveva paura della domanda che gli facevano i dottori: cosa ti fa venire attacchi d'ansia?
Le faceva paura perché neanche lei sapeva rispondere. Sembravano arrivare a caso, non sempre nelle stesse situazioni, non sempre allo stesso modo... Ma la lasciavano sempre sconvolta.
- Qual'è la parte peggiore dei tuoi attacchi?- chiese invece il dottore. La ragazza non sapeva se essere più sorpresa o sollevata per quella domanda.
- Non riuscire a capirli- ammise. In tutti quegli anni di attacchi, non aveva mai imparato a prevederli o fermarli. E ciò le dava ancora più fastidio degli attacchi stessi.
- Ti dà fastidio stare in mezzo alle persone?- chiese il dottore.
- Non sono molto sociale, ma non mi dà fastidio- rispose.
- Ti faccio un'ultima domanda. Tu e Yachi Hitoka siete le uniche ragazze qui, e mi sembrate molto unite; avete mai avuto un attacco in contemporanea?-.
La ragazza ci pensó per un attimo. Ricordava di aver assistito molte volte Yachi durante le sue crisi, così come l'amica aveva fatto con lei; però...
- No, mai- ammise.
- Ti ringrazio; puoi andare-.
- Arrivederci- Kyoko si alzò ed uscì dalla stanza.

Daichi guardó nuovamente la porta; si sentiva nervoso per Suga, aveva capito che aveva avuto un attimo di smarrimento e temeva potesse peggiorare. Sapeva che era andato con Yaku ad accompagnare Kyoko da Yachi, per cui in realtà anche se fosse uscito subito non l'avrebbe trovato. Però...
- Tu sai di essere malato?-. Riportó l'attenzione sul dottore. Sapeva il motivo di quella domanda: uno dei sintomi della psicosi era non riconoscere di essere malati.
- Lo negavo fin quando non mi hanno portato qui, ma ora non ho problemi ad ammetterlo- ammise.
- In questi giorni vi ho osservati e... Mi sembra che tu ti prenda molto cura dei tuoi amici-.
- Sono uno dei più grandi; quando sono arrivato, ho visto Sugawara che si prendeva cura degli altri come se niente fosse. Ho pensato di aiutarlo e in poco tempo mi sono ritrovato a fare quasi da padre a tutti gli altri- raccontó, con un piccolo sorriso. Ricordava bene come era rimasto sorpreso da quel ragazzo sin dal primo giorno: nonostante facesse fatica a fare quasi tutto, cercava sempre di aiutare gli altri. Quando sapeva di star per avere qualche problema che poteva farli preoccupare, si isolava da tutti e affrontava le sue crisi da solo. Aiutarlo a Daichi era venuto quasi naturale... E grazie a lui aveva accettato finalmente la sua malattia.
Anche adesso, gli sembrava quasi di vederlo di fianco al dottore; ma il suo sorriso era diverso, il moro sapeva che non era lui ma solo un'allucinazione.
- Grazie, puoi andare-. Daichi rimase sorpreso dalle parole del dottore.
- Di già?- chiese, confuso.
- Come vi ho detto prima, questa è solo una chiacchierata per conoscervi e capire come siete fatti. Per adesso, non mi serve sapere altro- affermò lui.
Per qualche motivo, quella cosa fece sorridere Daichi.
- La ringrazio- il ragazzo si alzò, dirigendosi verso la porta.
Quando la aprì, si trovò davanti il volto sorridente di Sugawara; sembrava stremato, come se avesse corso.
- Si è messo a correre all'improvviso; potevi almeno avvisarmi!- si lamentó Yaku, di fianco a lui.
Suga non gli diede molta attenzione: aveva avuto voglia di vedere Daichi, e qualcosa gli diceva che non sarebbe rimasto molto dentro alla stanza. Così, una volta lasciata Kyoko con Yachi si era messo a correre per farsi trovare fuori dalla porta non appena il ragazzo fosse uscito.
- Andiamo a preparare la tavola, Daichi?-. Il moro sorrise; l'amico soffriva di problemi di memoria, e sapeva che diceva i nomi degli altri ogni volta che poteva per non dimenticarli. Il suo non lo aveva mai sbagliato.

- Benvenuto Iwaizumi; siediti pure-. Hajime fece come gli era stato detto, sedendosi di fronte al dottore.
- Cosa le interessa sapere?- chiese.
- Vedo che sei un ragazzo diretto. Allora ti farò subito una domanda: da quello che vedo tu, Oikawa Tooru, Kageyama Tobio, Kindaichi Yutaro e Kunimi Akira vi conoscevate già da prima di venire qui-. Non erano gli unici, ma erano il gruppo più vasto.
- Esatto-.
- Le vostre malattie si sono sviluppate insieme?- chiese il dottore. Hajime ci pensó un attimo.
- Non vedevo Kageyama dai tempi delle medie, quindi non ho idea di quando abbia sviluppato il suo disturbo, e ho notato che Kindaichi e Kunimi non stavano bene solo durante il Liceo, quindi non saprei dirle. Ma so che la mia malattia si è sviluppata poco dopo quella di Oikawa, si- confermó.
- Particolare, dato che la nevrastenia solitamente si presenta nelle persone dai 20 ai 40 anni. Invece tu l'hai sviluppata attorno ai dodici- commentò il dottore.
- Me lo dicono tutti-. Ma con un idiota come Toru vicino, chiunque sarebbe impazzito; questo Hajime non lo disse, ma lo pensó.
- So che hai rifiutato molti trattamenti che ti venivano proposti- continuò il dottore.
Hajime sentì i battiti del suo cuore iniziare ad aumentare: quell'uomo stava arrivando subito al centro del discorso, e a lui non piaceva che fosse stato in grado di inquadrarlo così bene.
- Erano inutili- rispose semplicemente.
- Quindi hai preferito venire rinchiuso?-.
- Dottore, dovrebbe saperlo bene che una persona nervosa non piace a nessuno. Con il mio disturbo non sarei andato molto lontano-. Si fissarono per un attimo: sapevano entrambi che c'era qualcos'altro.
Hajime aveva paura che il dottore gli facesse altre domande per arrivare a scoprirlo, ma non accadde.
- Grazie mille: puoi andare-. Hajime si alzò, sentendo che la sua pazienza stava per raggiungere il limite.
No, non poteva certo andarsene: aveva un compito, una persona che non poteva abbandonare. Non era importante se stava male a causa sua, era l'unico a poterlo aiutare e l'avrebbe fatto anche a costo di rimanere lì per sempre.
Aprì la porta, trovandosi di fronte Oikawa.
- Com'è andata, Iwa?- gli chiese l'amico.
- Niente di che- rispose lui, spostandosi per lasciarlo passare e cercando di non mostrare la sua irritazione verso il modo in cui l'aveva chiamato. Era già meglio di un altro.
Alla sua risposta, vide il ragazzo rilassarsi leggermente.
Cercando di non farsi notare Hajime lo squadró, cercando di vedere se avesse segni strani, ma sembrava tutto normale.
Continuó a fissarlo finché il castano non chiuse la porta alle sue spalle.

- Questa stanza è un po' impersonale- commentó Tooru, guardandosi intorno.
- Non ho avuto ancora tempo per arredarla- rispose il dottore, squadrando il ragazzo come a cercare di capirlo.
- Ho visto che ci ha osservati per un po': cercava qualcosa in particolare?- chiese il castano, accavallando le gambe. Questo confermó al dottore che parlare con lui non sarebbe stato semplice come con gli altri.
- Solo di capire come siete fatti- rispose. Solo? A Tooru venne quasi da ridere. Non era riuscito a capirlo il terapeuta che l'aveva seguito per anni, figuriamoci uno sconosciuto che l'aveva osservato per tre giorni.
Nessuno ti potrà mai capire.
- E cos'ha capito?- chiese, ignorando il fastidioso ronzio che sentiva nelle orecchie.
- Ancora niente di certo. Per questo volevo parlare con te-.
Tooru sentí la testa inizia a pulsargli, ma cercò di non darlo a vedere.
Il dottore però si accorse che stava muovendo nervosamente la gamba. Puntó lo sguardo in quello del ragazzo.
- Con chi sto parlando? Qual'è il tuo nome?- gli chiese. Il castano si accigliò, non capendo il senso di quella domanda.
- Oikawa...- avrebbe voluto dire il suo nome, ma qualcosa lo fermò. La sua lingua non rispondeva più ai suoi comandi. Avrebbe voluto farsi prendere dal panico, ma invece era straordinariamente calmo. E questo non andava bene, ma allo stesso tempo gli piaceva.
Vide la sua gamba fermarsi, segno del fatto che il nervosismo si stava scaricando da un'altra parte. E questo, non andava bene per niente.
- Oikawa Tooru-. Al richiamo del dottore, il ragazzo alzò di scatto gli occhi.
- Sto parlando con Oikawa Tooru. Giusto?-. Tooru avvertí la gamba tornare a muoversi e la sensazione di pace lasciarlo; d'un tratto, si sentì meglio.
- Esatto- confermó, facendo un piccolo sorriso.
- Qual'è il suo nome?- gli chiese il dottore, nonostante sapesse già la risposta.
- Non ne ho idea- ammise il ragazzo. Non sapeva praticamente nulla dell'altra persona che viveva dentro di lui; non gli lasciava sapere nulla.
- Hai un modo per tenerla d'occhio?- gli chiese il dottore. A Tooru sfuggì un sorriso.
- Ho Iwa-chan- affermó. Il dottore annuí: sapeva che trattenere ulteriormente quel ragazzo, soprattutto in quella condizione di bilico, non sarebbe servito a nulla.
- Allora puoi tornare da lui- decise.
- Arrivederci- Toru si alzò ed aprì la porta. Appoggiato alla parete di fronte ad essa, trovò Hajime a fissarlo.
Fece un sorriso.
- Andiamo a giocare, Iwa-chan?-. Sentendo il suo soprannome, il moro dovette trattenere un sorriso ed un sospiro di sollievo.
- Aspettavo te shittikawa- affermò. Oikawa inizio ad incamminarsi lungo il corridoio, certo che l'amico l'avrebbe seguito; e così fu.

- Ha una bella pettinatura! Non pensavo che alla sua età si potessero ancora tingere!- esclamò Koutaro.
- Ma che razza di discorso è...- borbottò il dottore, sorpreso e incuriosito dal ragazzo che aveva davanti. A vederlo, Bokuto Koutaro sembrava probabilmente il contrario di una persona depressa: ma non era raro che accadesse una cosa simile. Aveva notato che il ragazzo cercava di rimanere sempre allegro, soprattutto quando era con i suoi amici. Ma ogni tanto l'aveva visto con li sguardo fisso nel vuoto, o aggirararsi di notte per la struttura in compagnia di qualcun altro. Da quello che aveva potuto capire, Akashi Keiji era l'unico che lo aveva visto davvero in crisi. Il che suonava strano, dato che il ragazzo appena nominato soffriva di apatia.
Ma vedendo il carattere solare di Bokuto, Ukai aveva compreso quanto potesse essere ammaliante quel ragazzo.
- Quali sono i tuoi interessi?- gli chiese il dottore.
- Praticamente tutto e niente! Dipende dai momenti! Ah, però sono sempre interessato ad Akashi-. Il ragazzo perdeva spesso interesse per le cose che faceva, ma con Akashi si divertiva sempre in un modo o nell'altro. Anche con Kuuro, ma con Akashi si sentiva bene nonostante tutto.
Con lui il vuoto che sentiva nel petto, quello che anche adesso stava minacciando di risucchiarlo da dentro, si affievoliva.
- Da quanto tempo sai di essere depresso?- gli chiese il dottore.
- Ho i sintomi da sei anni circa, ma dato che pensavano fosse l'adolescenza non sono stato da un dottore finché quattro anni fa non ho tentato il suicidio-. Il dottore rimase sorpreso: solitamente per i pazienti era già un grande passo avanti ammettere di essere malati, ma comunque non era sicuro di come prendere una persona che parlava così tranquillamente di argomenti come il suicidio.
Dal suo canto, Koutaro non aveva problemi ad ammetterlo: era stato anche grazie a quel suo gesto se si trovava lì ora, e non aveva senso nasconderlo, soprattutto se la persona che glielo chiedeva voleva aiutare lui ed i suoi amici.
Inoltre, il vuoto si stava allargando nel suo petto, e rispondere alle domande gli avrebbe permesso di andarsene da lì più velocemente.
- Lo vorresti tentare di nuovo?- gli chiese il dottore.
- Ora no-. Sapevano entrambi che con "ora" intendeva quell'esatto momento, e non il periodo in cui si trovava. Koutaro conviveva con i suoi sbalzi d'umore da abbastanza tempo da sapere che la sua risposta sarebbe potuta cambiare da un momento all'altro. Ma non gli importava.
Il dottore vide la sua espressione cambiare: il sorriso rimase lo stesso, ma qualcosa nei suoi occhi si spense.
- Ti piace stare qui?- gli chiese quindi, cercando di riattivare l'interesse del giovane.
- C'è sempre qualcosa da fare- rispose lui, con un tono monotono e basso che poco si addiceva al ragazzo squillante che era entrato poco prima nel suo studio.
- Ne sono felice. Vai pure-.
- La ringrazio- Koutaro si alzò ed uscì dalla stanza.
- Yakkun, accompagno Bokuto- Tetsuro informò l'amico, che stava entrando nella stanza. Il bassetto annuì mentre chiudeva la porta alle sue spalle.
- Dove mi accompagni?- chiese Koutaro, non veramente interessato alla risposta.
- In un posto che ti piacerà-.
- Capisco-. A Tetsuro faceva male vederlo così; quando aveva conosciuto il ragazzo, era stato colpito subito dalla sua allegria. La prima volta che l'aveva visto cupo o in preda all'apatia ne era rimasto shockato. Forse non avrebbe dovuto dirlo proprio lui, che soffriva di derealizzazione, ma gli sembrava quasi che in quei momenti non fosse Bokuto.
Arrivarono davanti alla porta della stanza della ricreazione. In un angolo, Akashi stava disegnando su un foglio, ma alzò lo sguardo quando sentí Kenma chiamarlo. Il bassetto aveva visto gli amici alla porta, e non appena Keiji li aveva notati si era alzato per andare verso di lui.
Sentendo l'altro avvicinarsi, Koutaro alzò di scatto lo sguardo, che gli si illuminò.
- Aghashi!- esclamò con un sorriso. Il moro alzò lo sguardo al cielo, sentendo come il suo cognome veniva storpiato, ma non disse nulla.
- Andiamo?- chiese semplicemente. Koutaro annuì e seguì l'altro ragazzo al piano superiore, fino alla stanza del moro.
Keiji si sedette sul tatami, unico ornamento che aveva richiesto oltre al necessario per sistemare i suoi manga, con le gambe incrociate; Koutaro si sdraió, con la testa sulle sue gambe. Il moro iniziò ad accarezzargli i capelli mentre recitava le solite tre frasi che usava in quella situazione:

I campi e i monti
sono scomparsi sotto il manto nevoso.
È il nulla

Koutaro sorrise, avvertendo improvvisamente tutto il suo corpo rilassarsi. Ancora non sentiva l'allegria che desiderava invaderlo; ma almeno, il vuoto non era più lì.

Yaku cercò di tenere gli occhi fissi sul volto dell'uomo davanti a lui, per evitare che altre visioni lo distraessero. Il dottore lo aveva capito, infatti cercava di non muoversi mentre parlava con il ragazzo.
- Ti capitano spesso le allucinazioni?- gli chiese, più in tono incuriosito che indagatorio.
- Se non sono concentrato su qualcosa si- rispose il ragazzo. Non gli piaceva dover per forza fissare l'uomo, ma temeva che se non l'avesse fatto sarebbero iniziate quelle allucinazioni e non voleva. Aveva sempre ansia di confondere la verità con ciò che vedeva, e proprio per questo ci teneva a mantenersi concentrato.
- Hai dormito poco stanotte vero?-.
-

Si- ammise Yaku. Un altro sintomo della malattia: a volte lo interrompeva anche nel sonno.
- Da quanto tempo sai di soffrirne?-. Yaku si sforzò di ricordarlo, anche se non era molto semplice.
- Avevo delle allucinazioni già da bambino, ma si pensava fossero dovute ad una grande fantasia. Mi hanno diagnosticato la schizofrenia quattro anni fa-. In poche parole, aveva passato anni un preda ad allucinazioni, deliri e a fare fatica a parlare ed organizzarsi; quando non ne aveva potuto più, era andato da uno psicologo ed aveva scoperto la schizofrenia.
- Penso tu sappia che la tua malattia può portare anche a disturbi di depressione, ansia e rabbia incontrollata. Ne soffri vero?-. Yaku annuí.
- La depressione no, ma mi sono sempre arrabbiato con facilità e l'ansia... Be', non sempre è facile tenerla a bada- ammise.
- Non è mai semplice- mormorò il dottore, e Yaku non poté fare altro che essere d'accordo con lui.
D'un tratto, gli venne sonno.
- Ha dei tatuaggi?- mormorò, assottigliando lo sguardo dopo aver notato una strana macchia nera sul collo del dottore.
- No- ribattè Ukai, pacamente. Yaku sbattè gli occhi e la macchia scomparve.
- Vai pure Yaku, grazie: riposati-. Il ragazzo annuì e si alzò, uscendo dalla stanza.
Fuori, di fianco a Kuuro vide Lev e Kenma.
- Kuuro, mi sa che ho di nuovo le allucinazioni- mormorò.
- Cosa vedi?- gli chiese il ragazzo, avvicinandosi.
- Lev e Kenma-.
- Tranquillo Yaku-san, siamo qui per farti compagnia mentre Kuuro è dentro!- esclamò Lev, sorridendo. Gli faceva male quando l'amico non lo distingueva da un'allucinazione, ma sapeva che poteva accadere, soprattutto se non si aspettava la sua presenza.
- E parlano- sbuffò Yaku.
- Ha parlato solo lui- borbottò Kenma.
- Amico, sono reali- lo informó Tetsuro, con più calma possibile.
- Sono sorpreso che Yaku-san mi abbia visto dato quanto è basso!-. Dopo quella frase, Lev fu colpito da Yaku con un calcio.
- Si, sei reale: non potrei immaginarmi qualcosa di così fastidioso- borbottó il più basso, facendo ridere Tetsuro.
- Ci vediamo tra poco- affermò.
- Chi sarebbe il basso?- chiese Yaku, offeso, mentre il moro entrava nella stanza.

- Come sta Yaku?- gli chiese il dottore non appena si fu seduto.
- Ha incontrato qualcuno di troppo fastidioso per essere un'allucinazione- ridacchió Kuuro.
- Mi fa piacere-. Tetsuro sapeva di aver fatto bene a portarsi dietro Lev, dopo aver accompagnato Bokuto; non voleva lasciare solo Yaku, soprattutto sapendo quanto fossero forti le allucinazioni del ragazzo quando non aveva niente da fare.
Si era stupito però del fatto che avesse voluto andare anche Kenma. Si sentiva tranquillo a lasciarlo con gli altri: il pasto era passato da un po', e sapeva che il suo amico si trovava bene con Hinata. Il fatto che avesse deciso di andare con lui di sua spontanea volontà lo faceva preoccupare; non tanto per il bassino, che ero sicuro fosse in forma al momento, ma per sé stesso.
- La avviso che probabilmente sto per avere un attacco di depersonalizzazione- affermò.
- Riesci a capire quando stanno per arrivare?- gli chiese il dottore.
- Io no, ma Kenma sì-. Se l'aveva seguito, è perché aveva notato qualcosa di strano in lui.
- Voi due siete amici da tempo vero?- gli chiese il dottore. Tetsuro sorrise.
- Da quando avevo cinque anni-.
- Immagino sia dura per entrambi- mormorò il dottore. Ed entrambi sapevano che intendeva vedere l'altro in quelle condizioni.
Tetsuro annuì. Ricordava ancora il giorno in cui aveva iniziato a vedere Kenma dimagrire, e poi aveva scoperto che era diventato anoressico. Era stato ancora peggio di scoprire di avere il dpdr.
Il dottore era quasi certo che il ragazzo non avesse solo un disturbo dissociativo d'identità, ma che stesse sfociando anche in un disturbo di non-possessione. Anzi, era certo che anche il corvino avesse questo sospetto. Ed effettivamente era così: Tetsuro era sempre più spaventato da ciò che accadeva durante le sue depersonalizzazioni, così aveva iniziato a fare ricerche.
Non gli piaceva quello che aveva letto, ma non voleva spaventare i suoi amici e non ne aveva ancora parlato con nessuno.
- Provare a nascondere i tuoi timori non ti aiuta, lo sai vero?-. Tetsuro si stupì di come il dottore avesse capito subito quel particolare.
- Vorrei prima esserne sicuro- mormorò.
- Posso darti una mano, sono qui per questo- affermò il dottore. Tetsuro lo squadró per un attimo.
- Lei è diverso- commentò.
- Ti ringrazio-. Tetsuro sorrise a quella risposta.
- Vai pure: tra poco è ora di pranzo no?- gli fece notare il dottore.
- Va bene, la ringrazio- Tetsuro si alzò, salutò il dottore ed uscì.
Quando passò dalla porta, si sentì improvvisamente il corpo più leggero.
- Kenma- provò a chiamare, ma dalla sua bocca non uscì alcun suono. Il suo corpo iniziò a muoversi lungo il corridoio, senza che lui riuscisse a fermarlo. Gli sembrava quasi di riuscire a vedersi mentre si allontanava, senza riuscire a fermarsi.
Non sentiva niente, vedeva solo sé stesso.
D'un tratto, avvertì qualcosa stringerlo e riconobbe il calore di un corpo umano che lo raggiungeva.
Si voltò, riuscendo finalmente a muoversi, e vide che Kenma lo stava abbracciando, il volto sepolto contro la sua schiena.
- Rimani con me- sussurrò.
Poco distanti, Yaku e Lev osservavano la scena con un sorriso triste in volto.
Tetsuro si girò, ricambiando l'abbraccio del più basso e ringraziando gli dei in tutte le lingue che conosceva per averlo messo sul suo cammino. Anzi, nella casa di fianco alla sua.
- Grazie per avermi riportato al tuo fianco- mormorò. Kenma arrossì, e proprio per questo premette ancora di più la testa contro il petto del moro, in modo che non vedesse il rossore sulle sue guance.
- Forza, torniamo dagli altri-.

Il dottore sentì qualcuno bussare alla porta dello studio, che venne poco dopo aperta da Takaeda.
- Com'è andata?-.
- Sarà dura- ammise Ukai.
- Però sono certa che lei ce la farà- affermo il proprietario del luogo. Il dottore sorrise.
- Può starne certo. Io aiuterò quei ragazzi-.

   
 
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